RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Con decreto ai sensi dell’art. 429 c.p.p.. Te.An. veniva tratto a giudizio dinnanzi a questo Tribunale, in composizione monocratica, per rispondere del reato di cui in rubrica. All’udienza dei 17 giugno 2019. il Giudice, ritenuta la regolare costituzione delle parti, dichiarava aperto il dibattimento. Le parti formulavano le rispettive richieste istruttorie ed il Tribunale ammetteva le prove così come da loro richieste.
All’udienza del 20 giugno 2019. il Giudice rinviava all’udienza del 28 giugno 2019, data l’assenza del magistrato titolare, dott.ssa Ines Rigoli.
All’udienza del 28 giugno 2019. su accordo delle parti, ai sensi dell’art. 493 co. 3 c.p.p., veniva acquisita la querela della persona offesa, con utilizzabilità limitata ad alcune parti. In tal sede, il Giudice sentiva la Teste Ga.El..
Le udienze del 14 novembre 2019 e del 27.02.2020, venivano rinviate per l’assenza dei testimoni. All’udienza del 16 luglio 2020, il Giudice sentiva come testimoni il Maresciallo Pa.Gi. e Be.Cr. Alla stessa udienza, il Giudice, su richiesta della difesa, acquisiva documentazione come da nota di deposito. Nel corso della stessa udienza, su richiesta del difensore della parte civile, veniva acquisita ulteriore documentazione come in atti.
L’udienza del 19 novembre 2020 veniva rinviata per l’assenza del teste della parte civile e il difensore dell’imputato eccepiva la decadenza della parte civile dall’assunzione della prova. All’udienza del 25 febbraio 2021, il Giudice, valutate le ragioni della difesa di parte civile, rigettava l’eccezione di decadenza della prova testimoniale.
All’udienza dell’11 novembre 2021, il Giudice disponeva l’accompagnamento coattivo dei testi assenti. All’udienza del 10 marzo 2022, veniva assunta la testimonianza di Gi.Ca.. All’udienza del 31 marzo 2022, veniva sentito il teste Lo.Fr..
L’udienza del 13 ottobre 2022 veniva rinviata per l’assenza del magistrato titolare motivata da ragioni di salite.
All’udienza del 2 febbraio 2023. veniva sentila la teste Ca.Co.. Alla stessa udienza, il Giudice acquisiva certificato di morte della teste Ta.. Esaurita l’istruttoria, il giudice pronunciava sentenza, con lettura del dispositivo in udienza.
Al fine di meglio inquadrare i fatti oggetto del presente procedimento, va evidenzialo che in data 19.09.2014 El.Ga. presentava al Questore di Bologna istanza di ammonimento nei confronti di Te.An., al quale la donna era stata legata da una protratta relazione sentimentale. In data 9.10.2014 il Questore di Bologna depositava decreto di ammonimento. In data 28.11.2014. persistendo le condotte vessatorie denunciate, la Ga.El. sporgeva querela nei confronti dell’odierno imputato. Da tale querela traeva origine il procedimento n. 18500/14 RGNR. per atti persecutori, nei contesto del quale con sentenza del GIP del 29 luglio 2015 nei confronti dell’odierno imputato veniva applicata la pena di un anno di reclusione con sospensione condizionale della pena.
Ciò posto, il presente procedimento trae origine da una nuova querela sporta in data 12 maggio 2016 da El.Ga. nei confronti dell’odierno imputato.
Nel contesto di tale querela, la Ve. ha raccontato alcuni episodi verificatisi a seguito di cessazione della misura cautelare applicata nel procedimento n. 1 8500/14 RGNR.
In data 3 gennaio 2016, la sig.ra riconosceva il Te.An., il quale aveva posteggiato la propria auto dietro agli alberi del parcheggio sul quale si affacciano le finestre dalla Ga.El.. A quel punto, la donna, avendo visto l’uomo scendere e avvicinarsi alla propria finestra, aveva chiamato i Carabinieri che erano intervenuti dopo pochi minuti.
Pochi giorno dopo, in data 6 gennaio 2016. la donna aveva ancora una volta notato l’automobile di Te.An. in sosta lungo la strada su cui si affaccia la finestra della sua camera da letto; anche in tale circostanza la Ga.El. aveva allertato il Comando dei carabinieri di San Pietro in Casale. Il Te.An. nel frangente era ripartito a bordo della propria automobile; i militari, tuttavia, avevano confermato di avere incontrato l’odierno imputato lungo il tragitto mentre procedeva da San Pietro in Casale verso Pieve di Cento.
Ancora, in data in data 27 febbraio 2016. mentre stava uscendo per recarsi al lavoro, la querelante aveva notato l’auto del Te.An. parcheggiata in Via (…), strada che incrocia quella dove abita la persona offesa. La Ga.El. aveva contattato in Carabinieri; nel frangente aveva fermato il proprio veicolo in prossimità di quello di Te.An.; nel frangente Te.An. si era incamminato verso la propria auto coprendosi il viso in guisa da non essere riconosciuto. Una volta a bordo, il Te.An., dopo aver effettuato alcune manovre per uscire dal parcheggio, aveva accostato la propria automobile a quella della Ga.El. c. rivoltosi alla donna, le aveva detto che non era lì per spiarla, ma per altri motivi. La donna gli aveva intimato di smetterla di appostarsi nei pressi della sua abitazione. Poco dopo era sopraggiunta una pattuglia dei Carabinieri, della quale faceva parte il Maresciallo Pa. che aveva sottoposto a identificazione Te.An..
La sig.ra Ga.El., sentita all’udienza del 28 giugno 2019. ha raccontato di essere stata legata a Te.An. da una lunga relazione sentimentale, protrattasi dal maggio del 2010 al luglio del 2014. L’odierno imputato non aveva accettato l’interruzione della relazione e aveva quindi cominciato ad assillare la Ga.El. con pedinamenti e minacce:
TESTIMONE Ga.: – Lui non era lanlo d’accordo. Ed ha iniziato a seguirmi, pedinarmi, minacciare a me. alla mia famiglia e ai miei amici -.
Te.An., pura fronte dell’ammonimento del Questore non aveva desistito sicché la Ga.El. aveva presentato querela.
(Testimone Ga.El.: – Si, è scattato prima l’ammonimento nei suoi confronti, ma non ha rispettato la legge neanche in questo caso, con continui pedinamenti. Era sempre sotto casa, lungo le scale. Testimoni anche i condomini, che mi ha causato anche problemi con i condomini. E dopo è scattato il divieto di avvicinamento davanti a me, ma anche quello non ha rispettato nulla -).
Dalla querela aveva tratto origine il procedimento n. 18500/14 RGNR, definito con sentenza di applicazione pena pronunciata dal GIO in data 29 luglio 2015. A seguito di tale sentenza, tuttavia si erano verificati nuovi incresciosi episodi. A breve distanza dalla perdita di efficacia della misura del divieto di avvicinamento alla persona offesa, nel settembre del 2015 il vicino di casa l’aveva avvertita di una presenza sospetta vicino ai bidoni della spazzatura. La donna si era quindi affacciata alla finestra e aveva scorto l’auto di Te.An.
Nel mese di dicembre 2015. intorno alle ore 17, allorquando stava per terminare il proprio turno di presso il negozio di frutta e verdura dove lavora, la Ga.El. aveva notato il veicolo del Te.An. fare il giro nell’area di parcheggio adiacente al negozio: “Mi vedo la macchina che fa il giro nel parcheggio del negozio e poi esco per verificare se era lui o no. Scappò via e di conseguenza ho dovuto chiudere anticipatamente anche il negozio, perché avevo paura mi arrivasse in negozio “. La teste ha poi confermato i due episodi verificatisi in gennaio, a distanza di qualche giorno l’uno dall’altro. In una occasione, che ha collocato nei primi giorni di gennaio, la teste, intorno alle 7 del mattino, aveva notato l’automobile di Te.An. proprio sotto l’abitazione. La donna aveva scattato delle foto e aveva allertato i Carabinieri, ma al loro arrivo Te.An. si era già allontanato. In un’altra occasione, sempre intorno alle 7 del mattino, la teste aveva notato nuovamente il veicolo di Te.An. parcheggiato sotto la sua abitazione, in via (…). Anche in tale occasione aveva chiamato i Carabinieri. All’arrivo degli operanti anche in questa circostanza Te.An. si era già allontanato; gli operanti avevano tuttavia incrociato il veicolo dell’imputato a circa due chilometri di distanza dall’abitazione della persona offesa. In una occasione aveva visto l’imputato effettuare un intero giro con la propria automobile attorno ad una casa in costruzione posta propria dinnanzi all’abitazione della persona offesa: “Addirittura c’è stata una volta che ha fatto lutto il giro di una casa che stavano costruendo lì davanti casa mia e il giorno dopo sono addirittura andata a sentire anche dei muratori e gli ho detto: “Avete visto una macchina bianca e scheggiata?”.
Come è stato anticipato, in data 27 febbraio 2016, il Maresciallo Pa.. sopraggiunto a seguito di richiesta della persona offesa, era riuscito a identificare l’odierno imputato.
In tale occasione, intorno alle 7 del mattino, la persona offesa, mentre stava uscendo per andare a lavorare, aveva notato Te.An. “girare a piedi” nelle adiacenze della propria abitazione. La Ga.El. aveva accostato la propria autovettura a quella del Te.An., che aveva giustificato la sua presenza, adducendo genericamente “altri motivi”: “Ala era la mattina alle 7 (…) ma era la mattina alle 7 ed era venuto per vedere”.
All’arrivo del Maresciallo, il Te.An. “visibilmente su di giri”; aveva addossato alla Ga.El. e al Maresciallo la colpa del procedimento nei suoi confronti: “Che se ha una denuncia e tutta colpa mia e del maresciallo “. La teste ha poi escluso che nella circostanza l’auto di Te.An. fosse carica di scatoloni: “Sono sicura perché mi sono piazzata con la mia macchina, che io ho una 600 bianca, dietro la sua, che lui ha una Chia sport bianca (…) Quindi sono sicura che la macchina era vuota, perché i mobili, se c’è dei mobili, degli scatoloni lo vedi”.
Anche successivamente a tale identificazione, si erano verificati ulteriori “avvistamenti” da parte della Ga.El. (“ma purtroppo sempre senza testimoni”).
Il comportamento di Te.An. era per la persona offesa fonte di “negatività, ansia, insonnia, tanti problemi”. La donna aveva assunto un atteggiamento costantemente guardingo: “io quando esco guardo sempre se c’è. Allora quando sono a casa, io guardo sempre se c’è. Anche 50 km da casa mia. Io guardo sempre se c’è”.
La donna ha poi raccontato un altro episodio verificatosi nel maggio del 2017. In tale occasione l’imputato aveva affiancato la Ga.El., intenta a praticare ciclismo e ripetutamente le aveva chiesto di fermarsi.
Ha poi escluso di aver ricevuto telefonate moleste; ha precisato, tuttavia, di aver cambiato numero di telefono a seguito delle molestie di Te.An. e che era sua abitudine tenere il numero del telefono noto all’imputato disattivo: “Lo accendevo una volta al mese e poi sinceramente non volevo guardare se mi arrivava qualcosa”.
Ha infine riferito di non essere a conoscenza di amicizie e/o motivi di lavoro che potessero giustificare il transito di Te.An. vicino alla sua abitazione e al suo luogo di lavoro.
Nel corso dell’udienza del 16 luglio 2020 è stato sentito il Ma.Gi., il quale ha riferito in merito al contenuto di un’annotazione di servizio relativa all’episodio verificatosi in data 27 febbraio 2016: “Allora l’annotazione di servizio riguarda un intervento effettuato su richiesta della sig.ra Ga.El. la quale mi aveva chiamato dicendo che il signor Te.An. era nei pressi della sua abitazione. Io mi recai sul posto e nel tragitto vicino, a qualche centinaio di metri dall’abitazione della signora Ga.El., incrociai I autovettura del Te.An. e nell’occasione lo fermai e gli chiesi il motivo per il quale trovava in zona”.
Nell’occasione l’imputato era visibilmente infastidito: “Non era agitalo, era soltanto un po’ infastidito dal fatto che fossimo intervenuti”.
Il Maresciallo ha poi confermato di essere stato più volte è stato contattato dalla persona offesa: – “Diverse volte sono stato chiamato (..,) La signora Ga.El. ha il mio numero di telefono quindi nell’occasione lei chiamava direttamente me. Questo perché a seguito successo precedentemente (…) quindi nell’occasione lei chiamò direttamente me e io mi trovavo in ufficio quella mattina e andai subito ecco, andai da solo per quello perché non ero di pattuglia. Ma in altre occasioni che io non ho rendicontato, ma erano telefonate nelle quali lei mi diceva: “Ah. ma è stato qui sotto””.
Nel corso della stessa udienza,è stata sentita la madre della persona offesa, Cr.Be.. La teste ha riferito che dopo la conclusione della relazione sentimentale Te.An. aveva cominciato a tampinare la Ga.El.: “La seguiva, la sera girava intorno a casa, al giorno quando mia figlia andava fuori che voleva andare in bicicletta, a correre, la seguiva sempre, perché si vedeva così in giro, anche con la buona volontà, però insomma ragazzi, non si può. L’angoscia c’era da parte nostra e le dico, ancora adesso c’e”.
Con riguardo al periodo oggetto del capo di imputazione. la teste ha manifestato la propria perdurante angustia per la condotta di Te.An.. Ha poi confermato che l’imputato aveva persistito nella ricerca di contatti con la persona offesa anche in epoca successiva alla condotta del 29 luglio 2015.. In più occasioni la figlia l’aveva contattata dicendo di aver visto l’automobile di Te.An. nei pressi della sua abitazione.
“Io ho visto e anche mio marito, quando lei chiamava, noi andavamo a casa o dove diceva anche sul posto di lavoro, lo non conosco le macchine quindi sapevo che la sua era una macchina bianca e sapevo la targa quindi spesso la vedevamo dove diceva El. “. Ha poi precisato di riconoscere la macchina di Te.An. poiché ne aveva notato la targa su un big)iettino che portava con sé: “avevo un bigliettino in macchina”.
Rispetto le condizioni psicologiche della figlia, la sig.ra Be. ha poi evidenziato che la sig.ra Ga.El. si è rivolta ad una psicologa e che tendeva a trascorrere le giornate libere in casa per evitare incontri spiacevoli: “Prima di tutto è dovuta andare da uno psichiatra, uno psicologo quelli lì e poi niente, poi ancora adesso devo dire che ancora adesso passa le sue domeniche in casa fuori non ci va. che le dico una ragazza di 35 e 36 anni si è già rovinata la vita”.
Talvolta il disagio emotivo della figlia era evidente: “Le lacrimucce. gli occhietti rossi si sono visti”. Ha poi precisato che l’imputato, anche dopo la sentenza di applicazione pena, era solito appostarsi e transitare vicino all’abitazione della figlia “è ritornato a girare avanti e indietro (…) e fermarsi sotto casa”.
All’udienza del 2 febbraio 2023 è stata sentita la teste Co., che aveva conosciuto Te.An. all’epoca della sua relazione con la Ga.El.. Dopo la fine del rapporto sentimentale, la Co. aveva dato al Te.An. la possibilità di utilizzare il suo garage, ubicato in Via (…) in San Pietro in Casale: “E la roba che lui aveva in garage da lei non sapeva dove metterla”.
Ha poi riferito di non ricordare quando Te.An. avesse sgomberato il garage: “Non è che è venuto lui a togliermi tutta quella porcheria che c’era ecco”. Ha poi rappresentato che solitamente non vedeva Te.An. fare accesso al garage: “Lui veniva in garage, prendeva quello che doveva prendere e poi se ne andava”. Ha precisato, ancora, che Te.An., allorquando si recava presso il suo garage, aveva la possibilità di parcheggiare nelle immediate vicinanze; “Qui c’è lo spazio davanti (…) Si parcheggiava davanti al garage”. Ha infine raccontato che una vicina, poi deceduta, le aveva riferito di aver visto in una occasione An. e la sua ex ragazza: “Che era fuori in macchina tutta incappucciata (…) che io non sapevo se An. era andato in garage, cosa aveva fatto. Però avvia visto lei fuori e dopo quando è venuto An., mi ha detto che era venuto nel mio garage, prendere quella roba che le occorreva “. In tale occasione An. era stato fermato dai Carabinieri. All’udienza del 10.03.2022 è stata sentita la teste Gi.Ca., psicoterapeuta, alla quale la persona offesa si era rivolta per un supporto. La persona offésa aveva preso contatti con lei nel 2015; in occasione di tali incontri le aveva raccontato delle condotte vessatorie perpetrate da Te.An. e del suo senso di oppressione: “Era stanca, era anche molto delusa e dispiaciuta, perché insomma si era creata questa situazione che partiva da una relazione affettiva”. La donna rivelava anche una condizione di stress: “difficoltà a dormire tensione fisica diciamo stati dolorosi anche fisici perché lei soffriva di ernia e quindi lo stress sicuramente acuiva questa situazione di dolore”. Secondo quanto riferito dalla Ga.El., nel 2016. “An. era tornato all’attacco”. In tale periodo la Ca. aveva avuto modo di riscontrare personalmente il turbamento emotivo della persona offesa: “Però la percezione della rabbia dell’esasperazione, del della tristezza quello sì. quello l’ho visto direttamente”.
All’udienza del 31 marzo 2022 è stato sentito il teste Lo.; dopo aver premesso che era sua abitudine uscire molto presto al mattino, ha confermato che la signora gli aveva chiesto di segnalarle se vedesse qualcuno e se vi fossero “Movimenti strani dalle parti del condominio”. Ha altresì confermato di averle inviato una mattina un messaggio del seguente tenore: “Buongiorno, occhio ad uscire, c’è qualcuno nascosto tra i bidoni”.
Sottopostosi ad esame, Te.An. ha riferito che all’epoca dei fatti per cui si procede abitava a circa 2/3 chilometri di distanza da San Pietro in Casale; ha poi riferito che la sua presenza in San Pietro in Casale era giustificata da frequentazioni amicali e da visite alla madre: “Però non ho mai seguito, non ho mai offeso, non ho mai visto la Ga.El.”. In particolare, aveva mantenuto rapporti di amicizia con tale signor Br., che abitava nello stesso Palazzo della Ga.El.. Ha tuttavia precisalo di essersi recalo presso il Sig. Br. poche volte e che si recava a San Pietro in Casale soprattutto perché aveva a disposizione il garage concessogli in uso gratuito dalla signora Ca.Ac. all’interno del quale aveva appoggiato masserizie varie: “Quindi avevo dentro vestiti, qualunque cosa”.
Con riguardo all’episodio del 2015 ha riferito che si era avvicinato al negozio della Ga.El.. poiché un suo amico, con il quale aveva parlato della Ga.El., si era detto incuriosito. Si era quindi introdotto con il proprio veicolo all’interno del cortile adiacente al negozio ove la Ga.El. lavorava: “Siamo entrati con la macchina, dopo mi è venuto un ripensamento (…) ho fatto inversione dentro al cortile del magazzino e poi siamo usciti”.
Con riguardo all’episodio del 27 febbraio 2016, l’imputato ha rappresentato di essersi recato in S. Pietro in Casale per prelevare degli scatoloni e che poi aveva pensato di andare a far visita al suo amico Br.: “Mentre ritornavo allora ho detto: “mi fermo a trovare il signor Br. “voi perché non sapevo che non stava molto bene. Ho parcheggiato la macchina poco distante, sono andato a piedi, ho bussato”. Aveva quindi parcheggiato in Via (…). Aveva poi constatato l’assenza del Sig. Br. e, una volta tornato al proprio veicolo, aveva trovato la Ga.El. che aveva parcheggiato la propria automobile dietro alla sua. Aveva quindi bussato al vetro del suo finestrino e le aveva chiesto di spostarsi. Poi. con manovra difficoltosa, era riuscito a ripartire: poco dopo aveva incontrato l’auto dei Carabinieri ed era stato fermato dal Maresciallo Pa.. al quale aveva detto che il procedimento precedente era finito: “e quindi io ero una persona libera, potevo girare”.
All’udienza del 2 febbraio 2023, sono state inoltre acquisite le dichiarazioni rese da Gi.Ta., il quale ha confermato di aver aiutato in due occasioni Te.An. nello sgombero di un garage e che in una circostanza lui aveva chiesto all’amico dove lavorasse la Ga.El.. della quale aveva visto una foto su facebook, sicché Te.An. era passato vicino al luogo di lavoro della donna “Passò davanti al suo luogo di lavoro con la macchina per mostrarmelo” (cfr. dichiarazioni rese ai sensi degli artt. 391 bis e 391 ter c.p.p., del 13.09.2018, acquisite all’udienza del 2.02.2023).
Con riguardo alle dichiarazioni rese dalla persona offesa occorre richiamare il costante orientamento della Corte di Cassazione, secondo cui la deposizione della persona offesa dal reato, anche se non equiparabile a quella del testimone estraneo, può tuttavia essere da sola assunta come fonte di prova, ove venga sottoposta ad un’indagine positiva sulla credibilità soggettiva ed oggettiva di chi l’ha resa (Cava, n. 4 1461 del 19/07/2012: Le regole dettate dall’art. 192, collima terzo, cod. proc. peti, non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone. (In motivazione la Corte ha altresì precisato come, nel caso in cui la persona offesa si sia costituita parte civile, può essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi)).
Ciò posto, in punto di credibilità soggettiva, va evidenziato che gli “avvistamenti” dell’imputato nei pressi dell’abitazione sono stati accompagnali da immediate richieste di intervento alle forze dell’ordine, così da agevolare una obbiettiva e imparziale verifica delle condotte denunciate. Va poi osservato, a suffragio dell’assenza di intenti calunniatori e/o ritorsivi, che la querela dalla quale ha tratto origine il procedimento n. 18500/14 RGNR e la querela da cui ha tratto origine il presente procedimento sono state precedute da una preliminare richiesta di ammonimento al Questore ai sensi della legge n. 11 del 2009, avanzata dalla Ga.El. in data 16 settembre 2014 (cfr. provvedimento del Questore del 9 ottobre 2014. n. 247/14 RG MP).
Sotto il profilo dell’attendibilità intrinseca, le dichiarazioni della persona offesa risultano lineari, costanti ed esenti da incongruenze logiche.
Le circostanze riferite dalla persona offesa hanno infine trovato puntuale conferma nelle testimonianze della teste Gi.Ca. e della teste Gi.Be., che hanno confermato il perdurante stato di disagio emotivo della Ga.El. (cfr. relazione del 9.03.2016. a firma della Dott.ssa Gi.Ca., acquisita all’udienza del 10.03.2022. nel contesto della quale viene fatta menzione dell’episodio del 21.12.2016 e di due occasioni in cui la Ga.El. aveva visto Te.An. appostato nei pressi della propria abitazione).
La credibilità della prospettazione accusatoria non risulta infirmata dalle dichiarazioni rese in sede di esame dall’imputato. Con riguardo alla condotta di avvicinamento al luogo di lavoro della persona offesa, lo stesso imputato ne ha ammesso l’intenzionalità, avendo riferito che un amico era incuriosito dalla Ga.El. e le aveva chiesto di vederla.
Va poi evidenziato che le condotte di appostamento osservale nel mese di gennaio, a intervallo di pochi giorni di distanza l’una dall’altra, hanno trovato conferma nelle fotografie scattate dalla persona offesa. Sul punto, poi. fa ricostruzione alternativa fornita dall’imputato appare scarsamente plausibile, tenuto conto dell’orario degli appostamenti (alle ore 7 del mattino), nonché del fatto che. ove l’odierno imputato si fosse recato in S. Pietro in Casale all’esclusivo scopo di effettuare lo sgombero del garage, avrebbe potuto agevolmente parcheggiare la propria automobile nelle immediatamente vicinanze dello stesso (cfr. dichiarazioni della teste Gi.Co.). Il maresciallo Pa. ha inoltre escluso che il garage di cui il Te.An. diceva di avere la disponibilità fosse nella zona dell’abitazione della Ga.El.: “Non in quella zona, non proprio ecco (…) Dove io l’ho fermato non era la strada per andare in quel garage”. Ha poi precisato, con riguardo all’episodio del 27 febbraio 2016. di non aver notato che l’autovettura di Te.An. fosse carica di scatoloni.
Alla luce di quanto esposto, appaiono integrati gli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 612 bis c.p. Le risultanze disponibili hanno delineato, infatti, una sequela di azioni disturbanti certamente sufficienti ad integrare l’abitualità necessaria alla configurazione dell’elemento oggettivo del reato ((Cass. n. 33X42/2018: Integrano il delitto di atti persecutori di cui all’art. 612-bis cod. pen. anche due sole condotte di minacce, molestie o lesioni, pur se commesse in un breve arco di tempo, idonee a costituire la “reiterazione” richiesta dalla norma incriminatrice, non essendo invece necessario che gli atti persecutori si manifestino in una prolungata sequenza temporale). Le ripetute condotte di appostamento riscontrate (alcune delle quali a pochi giorni di distanza Luna dall’altra), seppure esenti da connotati marcatamente aggressivi, appaiono idonee ad integrare la materialità del reato ascritto per la loro carica obiettivamente intrusiva e molesta e per la loro idoneità a suscitare il fondato timore di una perdurante possibilità di interferenza dell’imputato nella propria quotidianità.
E’ emerso, inoltre, come il modus operandi dell’imputato, connotato da modalità pervicaci, in alcun modo inibite dalla condanna del 29.07.2015 e dal tempo decorso dalla cessazione della relazione sentimentale, abbia interferito pesantemente sulla tranquillità di vita della persona offesa, suscitando uno stato di costante allerta (Cass. n. 17795 del 02/03/2017: In tema di atti persecutori, la prova dell’evento del delitto, in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, deve essere ancorala ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall’agente ed anche da quest’ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l’evento. quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata. Cass. n. 18646/2017: Ai fini della integrazione del reato di atti persecutori (art. 612 bis cod. pen.) non si richiede l’accertamento di uno stato patologico ma è sufficiente che gli atti ritenuti persecutori – e nella specie costituiti da minacce, pedinamenti e insulti alla persona offesa, inviati con messaggi telefonici o, comunque, espressi nel corso di incontri imposti – abbiano un effetto destabilizzante della serenità e dell’equilibrio psicologico della vittima, considerato che la fattispecie incriminatrice di cui all’art. 612 bis cod. pen. non costituisce una duplicazione del reato di lesioni (art. 582 cod. pen.), il cui evento è configuratile sia come malattia fisica che come malattia mentale e psicologica.
Le ricadute pregiudizievoli sullo stato emotivo della persona offesa di tale comportamento hanno poi trovato ampia conferma, oltre che nelle dichiarazioni della persona offesa, nelle circostanze rappresentate dalla madre della persona offesa, Gi.Co., e dalla psicoterapeuta Gi.Ca.. In particolare la Dott.ssa Ca. ha evidenziato: “La signora viene da me a riferirmi che An. è ritornato all’attacco. (..) perché sembra che la situazione si calmi e poi ritorna, ritorna il signor Te.An. e dice che la va a trovare sul posto di lavoro però poi non entra”. Con particolare riferimento alla idoneità delle nuove condotte suscitare stati ansiosi nella persona offesa, si richiama, poi. la relazione a firma della Ca., recante data 9 marzo 2016: “Nel colloquio odierno El. riferisce una forte delusione e dispiacere per questa situazione; riferisce grande stanchezza sia per “il ritorno in scena di An. “che per la limitazione del tempo libero, ok invece di impiegare per svago riposo, un super telefonare e incontrare avvocati e carabinieri, scrivere relazioni seguire una psicoterapia”.
Quanto all’elemento soggettivo, anche in considerazione delle circostanze e dell’epoca di consumazione delle condotte, non sussistono margini di incertezza sulla consapevolezza in capo all’imputato del carattere molesto del proprio comportamento e della sua idoneità a suscitare turbamento emotivo nella persona offesa. Trattasi, invero, di condotte commesse a seguito di ammonimento del Questore del 9 ottobre 2014 e a breve distanza dalla cessazione, in data 29 luglio 2015, degli effetti dell’ordinanza applicativa della misura del divieto di avvicinamento alla persona offesa nell’ambito del procedimento n. 18500/14 RGNR, n. 214/15 RGGIP per atti persecutori, consistiti, peraltro, in condotte in parte speculari a quelle per cui procede, ovvero ripetuti appostamenti nei pressi dell’abitazione della donna.
In considerazione del corretto comportamento processuale osservato dall’imputato, che è stato presente e si è sottoposto ad esame, appare giustificata la concessione delle circostanze attenuanti generiche, in regime di prevalenza sulle contestate aggravanti.
In ragione dell’omogeneità del modus operandi, dell’unitaria direzione soggettiva, nonché del contenuto intervallo temporale, appare ravvisabile, inoltre, il vincolo della continuazione, tra le condotte per cui si procede e quelle oggetto del procedimento n. 18500/14 RGNR. n. 214/15 RGGIP. Stimasi pertanto equo, tenuto conto della ritenuta concedibilità delle circostanze attenuanti generico, un aumento pari a tre mesi sulla pena di un anno inflitta con riferimento al reato oggetto del procedimento giudicato con sentenza n. 16882 del 2015 (passata in giudicato data 16.09.2015) da identificarsi come violazione più grave ai sensi dell’art. 187 disp. att.)
Ne consegue la rideterminazione della complessiva pena in anni 1 e mesi tre di reclusione (Cass. n. 30119/2021: In tema di continuazione in sede esecutiva tra un reato giudicato con rito ordinario ed un reato oggetto di sentenza di patteggiamento, il giudice, nel determinare la pena unica, deve applicare la riduzione concessa ex art. 444 cod. proc. pen., cosicché, ove valuti come reato più grave quello giudicato con il rito speciale, dovrà porre a base del calcolo la relativa pena ridotta; ove, invece, ritenga tale reato come satellite, dovrà commisurare l’aumento alla pena determinata in sede di cognizione, comprensiva della riduzione per il rito). In considerazione del comportamento successivo ai fatti oggetto del presente procedimento, pare estensibile il beneficio della concessione sospensione condizionale della pena, di cui alla sentenza n. 16882/2015, anche con riferimento alla sanzione irrogata per la condotta delittuosa oggetto del presente procedimento (Cass. pen. 9756/2016: “In tema di applicazione nella fase esecutiva della disciplina del reato continuato, una volta ritenuta, da parte del giudice dell’esecuzione, l’unicità del disegno criminoso tra due fatti oggetto di due diverse sentenze e applicala agli stessi la disciplina del reato continualo, la sospensione condizionale della pena già disposta per uno dei due fatti non è automaticamente revocala, essendo compilo del giudice valutare se il beneficio già concesso possa estendersi alla pena complessivamente determinata ovvero se esso debba essere revocato; Cass. n. 3137/2021: In tema di applicazione “in executivis” della disciplina del reato continualo, una volta ritenuta dal giudice dell’esecuzione l’unicità del disegno criminoso tra due fatti oggetto di due diverse sentenze ed applicata agli stessi la disciplina del reato continuato, la sospensione condizionale già disposta per uno dei due fatti non è automaticamente revocata, essendo compilo del giudice valutare se il beneficio già concesso possa estendersi alla pena complessivamente determinata ovvero se esso debba essere revocato perché venuti meno i presupposti di legge. (In applicazione del principio, la Corte ha annullalo con rinvio il provvedimento del giudice della esecuzione che. riconosciuta la continuazione tra più reati e rideterminata la pena complessiva in misura superiore a due anni di reclusione, ha omesso di pronunciarsi sulla revoca del beneficio concesso con la prima condanna, ritenendo la stessa implicita nel superamento del limite previsto dall’art. 163 cod. pen.).
Avuto riguardo ai profili civilistici connessi alla richiesta di risarcimento del danno, si rileva che le condotte delittuose accertate hanno suscitato nella persona offesa un grave turbamento emotivo, da apprezzarsi anche tenuto conto della prostrazione psicologica suscitata dalle pregresse condotte accertate. Risulta pertanto meritevole di accoglimento la domanda di risarcimento del danno in favore della costituita parte civile, da liquidarsi in separata sede, in difetto di più specifici elementi atti a consentire una pertinente ed esaustiva quantificazione del pregiudizio complessivamente cagionalo dalle condotte delittuose accertate.
Alla luce delle evidenze processuali acquisite, tuttavia, si ritiene sin d’ora raggiunta la prova di un danno morale liquidabile equitativamente in misura non inferiore ad Euro 2500.00. L’imputato, infine, deve essere condannato a rifondere alla parte civile le spese di costituzione e di assistenza sostenute nel presente giudizio, che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara l’imputato responsabile del reato a lui ascritto e concesse le circostanze attenuanti generiche e ritenuto il vincolo della continuazione tra il reato per cui si procede e quello giudicato con sentenza numero 1682 del 2015 del gip del tribunale di Bologna, passata in giudicato in data 16 settembre 2015 ridetermina la pena complessivamente inflitta in anni uno e mesi tre di reclusione.
Condanna l’imputato al risarcimento del danno cagionato dalla costituita parte civile, da liquidarsi insperato giudizio civile, nonché alla rifusione delle spese processuali dalla stessa sostenute, che si liquidano in Euro 2600.00, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge.
Visto l’articolo 539 comma 2 c.p.p., condanna l’imputato al pagamento in favore della costituita parte civile una provvisionale immediatamente esecutiva, che liquida in Euro 2500.00.
Concede all’imputato la sospensione condizionale della pena.
Indica i giorni 90 il termine per il deposito della motivazione
Così deciso in Bologna il 2 febbraio 2023.
