Con ricorso depositato in data 19/09/2024, J.B. si rivolgeva all’intestato Tribunale chiedendo – nelle more della proposizione di un ricorso ai sensi dell’art. 473-bis.12 c.p.c. per la regolamentazione degli aspetti inerenti all’esercizio della responsabilità genitoriale sul figlio minore S.P., nato a Bergamo il (omissis) – l’emissione di un provvedimento urgente e indifferibile ai sensi dell’art. 473 bis n. 15, inaudita altera parte, con ogni ulteriore adempimento e conseguenza di legge, nello specifico, un provvedimento volto ad autorizzare l’immediata iscrizione del piccolo presso l’IC (omissis) di (omissis), ove era stato già iscritto, ricorrendone tutti i presupposti di legge soprattutto sotto il profilo del pregiudizio imminente e irreparabile che la mancata iscrizione e la conseguente mancata frequenza provoca e provocherebbe alla corretta crescita e formazione del minore.
A fondamento del ricorso, la signora J.B. deduceva che dalla relazione sentimentale con G.P. era nato S.P., oggi di anni tre; che la convivenza more uxorio instaurata tra le parti dal mese di settembre 2020 si rivelava disastrosa, fortemente caratterizzata da comportamenti violenti sia fisici che psicologici del G.P. nei confronti della compagna, la quale riferisce che egli spesso beve e purtroppo gioca; che, nell’impossibilità di dialogare con il padre del bambino, vani erano stati i tentativi di trovare una composizione del conflitto anche tramite l’intervento dei rispettivi Legali; che tali episodi sarebbero stati portati all’attenzione dell’intestato Tribunale nell’ambito del ricorso che la signora J.B. si riservava di depositare ai sensi dell’art. 473-bis.12 c.p.c.; che, intanto, la stessa deve riferire che nel mese di maggio 2024, stanca di questa situazione che è evidentemente irrisolvibile, ha lasciato il compagno e si è riparata col piccolo a (omissis) presso la casa dei suoi genitori, dove ha trasferito la sua residenza e quella del bambino; che, dal tempo del trasferimento, il G.P. ha trascorso con il figlio alcuni giorni nello scorso mese di agosto, come concordato dai rispettivi difensori, e non ha fatto pervenire alcuna utile opposizione al trasferimento della compagna e del piccolo; che, dal momento del trasferimento, il G.P. non aveva versato al figlio alcunché per il mantenimento del bambino, pur consapevole che la compagna aveva provveduto all’acquisto dell’intero corredo scolastico; che, peraltro, con un messaggio whatsapp del 2 settembre scorso, il G.P. aveva chiesto alla J.B. come fosse stato il “primo giorno di scuola” di S.P., richiesta a cui la madre aveva risposto dicendo che la scuola sarebbe iniziata il successivo 16 settembre, salvo poi ricevere dalla scuola una nota di rigetto dell’istanza di iscrizione di S.P. per mancato assenso dell’altro genitore; che, peraltro, la situazione di stallo venutasi a creare a causa del mancato consenso del padre all’iscrizione del figlio alla scuola materna di Valsinni, ove era stato già iscritto, non solo sarebbe stata pregiudizievole per il bambino ma rischia[va] di avere effetti e ripercussioni gravissime sulla vita lavorativa della J.B., la quale [aveva] già dovuto rinunciare a un incarico presso l’I(omissis) ed [era] in attesa di risposta dall’Ufficio scolastico territoriale della provincia di Taranto. Mentre scambi di messaggi scritti e vocali attestano che lo stesso [ndr: padre] “imporrebbe” alla ex compagna l’accoglimento delle condizioni da lui proposte per la definizione della vicenda quale condizione per la successiva iscrizione del figlio a scuola.
Alla luce dei fatti sopra rappresentati, con decreto emesso in data 22/09/2024, questo Giudice autorizzava la madre, J.B., inaudita altera parte, a procedere senza ritardo all’iscrizione del figlio S.P. presso la scuola materna “IC (omissis)” di (omissis) (MT), fissando l’udienza di comparizione personale delle parti per il giorno 08/10/2024, con assegnazione di termine per la notifica e la costituzione in giudizio del convenuto, mandando alla Cancelleria la comunicazione del decreto al Pubblico Ministero. In detto provvedimento urgente si dava atto che la scuola materna avrebbe avuto inizio già in data 16 settembre, come si poteva desumere dalla messaggistica scambiata tra le parti, sicché appariva evidente come la mancata frequentazione della scuola da parte del bambino avrebbe costituito serio ostacolo al regolare e continuativo svolgimento di attività lavorativa da parte della madre, che, diversamente, sarebbe [stata] costretta ad affidare il bambino alle cure di terze persone; inoltre, dalla messaggistica istantanea scambiata tra le parti, emergeva come il minore vivesse da qualche mese, insieme alla madre, a (omissis), in provincia di Matera, località dove risultava già formalmente trasferita la residenza anagrafica di madre e figlio, si presumeva con l’assenso del padre esercente la responsabilità genitoriale.
Con comparsa depositata in data 07/10/2024, si costituiva G.P., chiedendo di dichiararsi nullo e/o inammissibile il ricorso avversario ex art. 473-bis.15 c.p.c., con conseguente condanna alle spese, nonché di revocarsi il decreto del 22/09/2024, in quanto irrituale poiché emesso in violazione della norma e del principio del contraddittorio, oltre che infondato in fatto e in diritto. Più in particolare, l’odierno convenuto eccepiva la nullità del ricorso avversario per mancanza dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo ex art. 156, comma 2 c.p.c., richiamando, sul punto, la scelta compiuta dal legislatore della Riforma Cartabia, laddove aveva attribuito un ruolo residuale e specifico all’art. 473-bis.15 c.p.c., incapace di essere proposto in via autonoma; deduceva l’irritualità del decreto emesso inaudita altera parte, senza che fossero stati sentiti i genitori e il pubblico ministero, in assenza del presupposto del pericolo attuale e concreto di sottrazione del minore o di altre condotte pregiudizievoli, come previsto dall’art. 473-bis.38, comma 6 c.p.c.; contestava, comunque, l’inquadramento del ricorso avversario nell’ambito del citato art. 473-bis.38, stante il tenore letterale della norma, che presuppone l’esistenza di provvedimenti sull’affidamento del minore ai fini della soluzione delle controversie ad essi collegate, posto che, in assenza di un provvedimento da attuare, esiste[va] un altro strumento ad hoc, completamente deformalizzato, che permetteva a ciascun genitore di adire il giudice per la soluzione di controversie inerenti all’esercizio della responsabilità genitoriale, ovvero l’art. 316, comma 2 c.c., parimenti modificato dalla Riforma Cartabia; aggiungeva, anche alla luce di quanto emerso dai lavori preparatori, che con la Riforma Cartabia l’art. 709-ter c.p.c. era stato superato e sostituito da due nuove norme, l’art. 473-bis.38 e l’art. 473-bis.39 c.p.c., ove il primo altro non è che la trasposizione nel delicato ambito dei diritti della persona dell’art. 669-duodecires c.p.c.; concludeva nel ritenere che, allo stato attuale, vi erano dunque tre distinte azioni relative all’esercizio della responsabilità genitoriale, ossia l’art. 316 c.c. per tutti quei casi che non involvano un provvedimento precedente, l’art. 473-bis.38 c.p.c. per tutti quei casi in cui la responsabilità genitoriale sia regolata da un provvedimento precedente e l’art. 473-bis.39 c.p.c. deputato a offrire al giudice gli strumenti processuali anche sotto forma di misure coercitive in linea con il fu 709-ter c.p.c. Nel merito, il convenuto contestava quanto ex adverso dedotto, rappresentando che il progetto di una vita comune aveva indotto la coppia genitoriale ad acquistare un immobile in comproprietà ad (omissis), dove le odierne parti in causa avevano fissato la loro residenza dal mese di settembre 2020; che entrambe le parti, sostenute economicamente dalle famiglie di origine, avevano sottoscritto un contratto preliminare per l’acquisto dell’immobile, contratto che prevedeva il versamento di una caparra confirmatoria, ad oggi, versata solamente dal G.P.; che costui lavorava da cinque anni presso la società (omissis), con sede a Lallio, svolgendo le mansioni di magazziniere, mentre la signora J.B., dal 12/10/2020 al 30/06/2021, aveva lavorato come insegnante della scuola dell’infanzia presso l’I.C. Statale di (omissis) “(omissis)”, scuola dove aveva ripreso servizio dal 16/01/2023, rinnovando volontariamente il contratto di lavoro sino al giorno 08/06/2024; che, fino alla metà dell’anno 2023, la relazione tra le parti proseguiva serenamente, seppure non erano mancati momenti di fatica; che, tuttavia, in data 11/02/2024, per alcune incolmabili difficoltà relazionali, dietro suggerimento del proprio psicoterapeuta e con l’accordo della compagna, il G.P. si trasferiva presso l’abitazione della di lui madre, così da evitare discussioni alla presenza del figlio e consentirne una più serena gestione; che, però, da febbraio 2024, al signor G.P. era stato delegato unicamente il ruolo di “babysitter”, potendo vedere il proprio bambino solo ed esclusivamente quando la madre fosse stata impegnata al lavoro, dunque, per una quindicina di occasioni in totale, dal momento in cui usciva di casa fino alla data dell’11/05/2024; che, infatti, il martedì successivo a quell’11 maggio, verso le ore 13:30, la madre di G.P. – che lavora come impiegata amministrativa presso il medesimo istituto scolastico dove era occupata la signora J.B. – telefonava al figlio chiedendo informazioni sullo stato di salute della compagna, posto che costei non si era presentata a scuola riferendo di “non sentirsi bene”; che, pertanto, il G.P. provava a contattare la J.B., effettuando numerose telefonate prima di ottenere risposta; che solo alle ore 14:07 la J.B. riferiva di trovarsi a (omissis) con S.P., senza però fornire ulteriori dettagli sul tempo in cui si sarebbe trattenuta in Basilicata, su quando e come era partita e aveva affrontato il viaggio con un bambino di tre anni; che, pertanto, il G.P. telefonava all’asilo nido comunale frequentato dal figlio, scoprendo che anche il giorno precedente, lunedì 13 maggio, S.P. non era stato accompagnato al nido; che, solo dopo l’intervento del fratello dell’odierno convenuto, alle ore 21:07, J.B. inviava un sms a G.P., rappresentando che la sua intenzione era quella di trasferirsi definitivamente a (omissis), inviando anche la fotografia di una lettera raccomandata nella quale si comunicava l’intenzione della medesima di interrompere il rapporto di convivenza, missiva che giungeva in via cartacea solamente in data 21/05/2024; che l’indisponibilità della madre a consentire una frequentazione anche solo nel fine settimana faceva chiudere le trattative tra le parti; che, infatti, recatosi in Basilicata nel mese di luglio, il padre poté trascorrere con il figlio solo due ore il sabato pomeriggio del 20 luglio e due ore la domenica mattina seguente; che, pure nel mese di agosto, il padre dovette lesinare la frequentazione con il figlio a causa delle inconsistenti preoccupazioni della madre rispetto a possibili infezioni del bambino a fronte della scarsa igiene di casa sua; che, il G.P., fino ad oggi, si era astenuto dal presentare una querela contro la madre solo per evitare di inasprire gli animi, nella speranza di trovare un componimento pacifico con la J.B.; che, peraltro, i due genitori avevano già concordato la frequentazione da parte di S.P. della scuola materna “(omissis)” di (omissis), come poteva evincersi dal modulo di iscrizione; che, infatti, quando la madre inviava al G.P. il modulo per l’iscrizione del bambino alla scuola materna di Valsinni, costui rispondeva di non poter acconsentire alla richiesta, ritenendo essenziale il rientro di S.P. a Bergamo; che, peraltro, dopo l’opposizione del padre, la signora J.B. si rendeva irraggiungibile, impedendo, di fatto, i già limitati contatti telefonici tra padre e figlio; che, in definitiva, il piccolo era stato sradicato da suo padre, dalla sua città, dalle sue abitudini e dai suoi affetti, per essere trasferito a ben 1028 km dal padre; che la madre aveva anche lasciato un lavoro fisso a Bergamo e solo ora si apprendeva che era in attesa di una risposta dall’ufficio scolastico territoriale della provincia di Taranto, per una sede lavorativa che neppure era stata esplicitata in ricorso; che, dunque, l’enorme distanza tra (omissis) e (omissis), unitamente all’atteggiamento fortemente ostativo al rapporto padre-figlio, assunto dalla madre nei mesi estivi dopo l’illecito trasferimento, non rendeva applicabile una qualsiasi modulazione del regime di incontri con il padre che garanti[sse] al bimbo una qualsivoglia continuità.
Così instaurato il contraddittorio, anche nei confronti del Pubblico Ministero, all’udienza di comparizione personale delle parti tenutasi in data 08/10/2024, entrambi i difensori davano atto di aver medio tempore promosso un giudizio di merito per la regolamentazione dell’affidamento, del collocamento e del mantenimento del minore S.P.; nello specifico, la difesa della parte ricorrente deduceva di aver depositato il ricorso telematico in data 03/10/2024 e che la causa, iscritta al numero di ruolo 5489/2024 R.G., era stata già assegnata al Giudice dr.ssa Liboria Maria Stancampiano, mentre la difesa del convenuto deduceva di aver depositato il ricorso telematico in data 04/10/2024 e che la causa, iscritta al numero di ruolo 5563/2024 R.G., era stata assegnata alla Scrivente Giudice dr.ssa Veronica Marrapodi. Dato atto di ciò, in quella medesima udienza, interrogata liberamente, J.B. dichiarava: «S.P. sta bene, è tranquillo e sereno e sta frequentando l’asilo; in questo asilo frequenta i bambini che già aveva avuto modo di conoscere al parchetto questa estate. Io momentaneamente non sto svolgendo attività lavorativa. Ho dovuto rinunciare ad un lavoro in una scuola paritaria (Istituto “(omissis)” di (omissis)) perché non avrei saputo a chi lasciare il bambino la mattina. Ho l’appoggio di mia madre, ma mia madre la mattina lavora. La casa dei miei genitori è su più piani; io e S.P. viviamo al piano terra, dove c’è una cucina, un bagno, un soggiorno dove c’è un letto. S.P. dorme con me come ha sempre fatto da quando è nato. Penso che avrò la possibilità di svolgere l’attività di insegnamento; al momento sono in contatto con la segreteria di diverse scuole della provincia di Taranto. Non è previsto un termine per la chiusura della procedura di selezione degli insegnanti. Se avessi potuto accettare l’incarico all’Istituto “(omissis)” avrei potuto portare i ragazzi fino all’esame di maturità. Quando vivevo in provincia di Bergamo (ad (omissis)) l’ultimo anno mi avevano assunto con un contratto breve, di qualche mese. Il bambino lo portavo io alle ore 7.30 al nido per essere alle 8.00 a scuola ad (omissis). Lì ero completamente da sola. Il padre non lo ha mai accompagnato all’asilo, anche quando faceva il turno pomeridiano di lavoro. Mi sono trovata sola a dover organizzare il mio lavoro in funzione delle esigenze del bambino. La nostra convivenza cessava a febbraio e da quel momento mi sono trovata a gestire da sola il bimbo. Solo quando avevo i consigli di classe e finivo tardi il signor G.P. andava a prendere il bambino all’uscita del nido, ma mai lo ha accompagnato la mattina al nido, perché diceva che doveva riposare. Anche il sabato mattina il sig. G.P. teneva il bimbo nella casa familiare. Io uscivo alle 7.50 e rientravo per le 13.15; ero io che gli preparavo il pasto; un paio di volte è capitato che il padre gli preparasse un piatto di pasta. Dovevo anche sbrigarmi a tornare a casa perché lui alle ore 13,00 iniziava a chiamarmi, dicendo che non ce la faceva più a stare con il bambino. Mi aveva chiesto addirittura di riconoscergli 50 euro o 4 pacchetti di sigarette per il fatto che lui stava a casa con il figlio ed una babysitter mi sarebbe costata di più; mi diceva questo perché tenendo il bambino il sabato non avrebbe potuto fare straordinari al lavoro. Eravamo d’accordo io e G.P. che una volta terminato il mio contratto di lavoro io mi sarei trasferita per sempre insieme a S.P. in Basilicata. Ne parlavamo tutti i giorni, e lui era d’accordo. Poi, in realtà, io non riuscivo più a sostenere la situazione e decidevo di partire prima, nel mese di maggio. Un sabato, era il 4 maggio, il G.P. entrava in casa mia alle 7.30 (mentre io mi preparavo per andare a scuola e il bimbo dormiva), arrivava urlando dicendo che “avrei fatto una brutta fine insieme a chi aveva portato S.P. a Milano” (in occasione dei festeggiamenti dell’Inter); non ha mai detto a chi si riferiva ma suppongo che si volesse riferire ai miei fratelli. Gli dicevo di calmarsi perché il bimbo dormiva e poi non vedevo il problema nel fatto di essere andata a Milano con il bimbo. Lui continuava a urlare e il bimbo si svegliava e iniziava a piangere. Quella mattina lo lasciavo al padre in lacrime, spaventato dall’accaduto. Non avrei voluto andare al lavoro, ma lui mi costringeva ad andare al lavoro. Mi ripeteva più volte che avrei fatto una brutta fine. Io cercavo di calmarlo dicendo di stare tranquillo perché non mi avrebbe più visto. Lui mi diceva che sarei andata via a giugno e io rispondevo che me ne sarei andata prima. Lui continuava a dirmi che non potevo andare in Basilicata, ma non perché sarebbe stato lontano dal bambino ma perché non voleva che lasciassi il lavoro in modo da contribuire alle spese di casa. La sua fissazione sono sempre stati i soldi. Il 14/05 mi recavo in Comune a (omissis) e sottoscrivevo i moduli per trasferire la mia residenza e quella di S.P., ma non mi veniva richiesta la firma del papà, motivo per cui sono riuscita a trasferire la residenza già nel mese di maggio. Non so riferire quando il padre è venuto a saperlo; forse l’ha saputo quando si è recato dall’avvocato, perché io non gliel’ho mai detto. Il signor G.P. ha detto che lui scenderebbe una volta al mese e in occasione di tutte le festività, ogni volta che gli sarà possibile. Poi ha chiesto di videochiamare il bambino per tre giorni a settimana; abbiamo concordato dei giorni o, meglio, li ha decisi lui, il martedì/giovedì e sabato, ma di fatto chiama quando capita e quando ha tempo. Io non sono disposta a lasciargli il bambino. Il G.P. è un padre che beve dalla mattina alla sera. La mattina stappa una bottiglia di birra anche quando va al lavoro; gioca, lui dice che non gioca più ma io non lo posso sapere. Ma soprattutto perché beve e perché lui va in ansia quando si trova insieme alla gente. So che andava da uno psicologo per gestire i suoi momenti di ansia. Il bimbo non lo porta mai al parco, forse lo ha portato due/tre volte in tre anni di vita. Anche questa estate non ha mai portato il bambino al parco, ci andavamo solo se ero presente anch’io. Inoltre, sostanzialmente, il bambino non conosce il padre, non ci ha mai dormito insieme. O meglio, da un annetto prima della fine della relazione il G.P. dormiva sul divano. Lui aveva abitudini diverse, es. teneva la tv accesa per addormentarsi; inoltre, gli ha sempre dato fastidio il pianto del bambino» […] «Non sono disponibile a fare rientro a Bergamo a nessuna condizione. Io ho passato tre anni di inferno. Il G.P. si ubriaca e ho dovuto raccogliere il suo vomito in casa; ho subito violenze di tutti i tipi, fisica, psicologica ed economica. Ho dovuto metabolizzare la cosa perché all’inizio credevo nel nostro progetto familiare. Lui ha intrapreso il percorso dallo psicologo sotto mia sollecitazione. Intervenivano anche i miei genitori e lo dicevo ai suoi genitori che lui continuava a bere. Ad Alzano ho fatto tutto da sola. Mio fratello che vive a Brescia sapeva qualcosina della situazione che vivevo ma non tutto. G.P. è un padre anaffettivo, che non dà amore al figlio e non sa dare amore, perché lui da piccolo non l’ha mai ricevuto. Mio fratello a Brescia convive. La famiglia del G.P. si è coalizzata contro di me. Lui mi ha picchiata più volte mentre il bambino dormiva, una volta era anche sveglio e ha tirato dei calci al padre. Il bimbo ha tre anni ma non parla, per i traumi che ha subito. La pediatra a Bergamo mi diceva che la situazione del bambino non era preoccupante. L’indicazione della pediatra era di attendere l’autunno e di vedere se era il caso di rivolgersi ad una logopedista. Sono io che penso che queste difficoltà del linguaggio siano legate a dei traumi che ha vissuto per la situazione familiare, non me lo ha detto nessuna specialista. Inoltre, quando aveva 13 mesi, vorrei ricordare che S.P. veniva aggredito al viso dal cane della famiglia G.P. La sua famiglia mi impedì di portarlo al Pronto soccorso. Gli vennero messi dei punti sul viso e per più di un anno il bambino ha avuto il trauma di stare disteso su un lettino, per il ricordo che gli suscitava il giorno in cui gli misero i punti. Io non ho un lavoro fisso, non posso pagare un affitto; quindi, per il momento l’unica soluzione è (omissis). Se dovessi rientrare a Bergamo dovrei prendere una baby-sitter; voglio aggiungere che sono stata io a decidere di iscriverlo alla scuola paritaria perché c’era la possibilità di farlo entrare con orario anticipato, così da conciliare con i miei impegni di lavoro; dovrei pagarmi l’affitto di una casa; poi, gli ultimi mesi non vivevo serena per tutte le violenze subite e per quello che ho raccontato prima». Sentito liberamente, il convenuto G.P. dichiarava quanto si riporta di seguito: «E’ vero che le cose fra di noi non andavano benissimo, motivo per cui mi trasferivo a febbraio a casa di mia madre; in pratica, io e la signora J.B. andavamo ad un incontro con il mio psicologo, che ci consigliava di stare un po’ separati. Ma mai credevo che saremmo arrivati al 14 maggio. Volevamo regolamentare il tutto, cioè l’affidamento, il mantenimento. La signora J.B. andava molto spesso in Basilicata, anche per una settimana/dieci giorni, e anche i suoi genitori spesso venivano ad Alzano. Lei doveva finire il percorso fino agli esami di terza media e il bambino doveva finire il nido. Io non ero a conoscenza di niente. Lei prendeva l’iniziativa di andarsene e scappare. Parlavamo del fatto che era un desiderio della madre trasferirsi in Basilicata ma io non ho mai dato il mio consenso. Io il bambino l’ho visto poco e niente perché lei non mi riteneva all’altezza.
Quel 4 maggio, come al solito, andavo a casa della madre, il bambino non piangeva, io lo portavo anche in giro. Posso aver chiesto alla madre se lo avesse portato alla festa dell’Inter, ma lei non rispondeva a questa domanda e la discussione finiva lì; poi non ricordo bene cosa accadeva perché è passato un po’ di tempo; comunque, lei andava al lavoro e io mi occupavano del bambino fino al rientro di J.B. Io ho passato un’estate infernale per vedere il bimbo, solo quando me lo permetteva la madre. Quel giorno sentivo che riprendevano le scuole e quindi le scrivevo un messaggio per sapere quando avrebbe iniziato l’asilo, pensando che lei fosse riuscita a iscriverlo all’asilo senza il mio consenso, come aveva fatto con la residenza. Poi scoprivo che lei non era riuscita ad iscriverlo in mancanza di mia autorizzazione e quindi io le dicevo che non ero d’accordo con l’iscrizione alla scuola materna. Io volevo che il bimbo rientrasse a casa. Il 10/09 scrivevo una mail alla scuola significando il mio dissenso. Io ci tengo all’istruzione di mio figlio e credo che a Bergamo potrebbe ricevere una istruzione migliore. Io non conosco bene le dinamiche ma credo che si possa trasferire in corso d’anno. Non mi sono informato con la scuola pubblica, ma penso che sia possibile il trasferimento. Il bambino era già iscritto alla scuola paritaria, ma adesso non credo che ci sarebbe la possibilità di accedere alla scuola paritaria. In attesa che venga decisa la mia richiesta di rientro del bambino a Bergamo, io sono d’accordo nel consentire a S.P. di frequentare la scuola materna, perché ci tengo all’istruzione di mio figlio. Però, credo anche che il bambino, per il suo benessere e il suo sviluppo, abbia anzitutto bisogno di una madre e di un padre. Io arrivavo a (omissis) alle ore 21:00 del venerdì sera, il 27/9, avevo già avvisato J.B. molto tempo prima, ma lei mi scriveva che potevo stare con il bambino solo per due ore il sabato e due ore la domenica, solo in sua presenza, quindi, me lo sono goduto poco niente. Su 400 e passa ore questa estate sono stato con mio figlio per 38 ore in totale. Faccio più ore di viaggio rispetto al tempo che trascorro con mio figlio. Per il prossimo ponte ho fatto un biglietto con il pullman (farò 31 ore di viaggio) per partire il 31 ottobre e ripartire il 3 novembre (lunedì’ pomeriggio)» […] «Se mio figlio dovesse rimanere a (omissis) io vorrei tenerlo con me liberamente, mangiare con lui, dormirci insieme. Vorrei fare il papà in tutto, vorrei godermi mio figlio in tutto e per tutto. Sulle videochiamate nessuno ha stabilito dei giorni. Io cercavo di chiamare in orari consoni, compatibilmente coi miei turni di lavoro, ma la maggior parte delle volte non ottenevo risposta. Nell’ultima telefonata il bambino ha detto “papà cacca” e ha chiuso la telefonata. Vorrei maggiore collaborazione da parte della madre anche nel modo in cui si svolgono le telefonate, perché riconosco che il bambino è piccolo» (v. verbale udienza).
Preso atto dell’impossibilità di conciliare le parti, all’esito del libero interrogatorio, il procuratore di J.B. insisteva per la conferma definitiva dei provvedimenti emessi in via d’urgenza, per le stesse ragioni dedotte nel provvedimento pronunciato da questo Giudice, nonché per via della insostenibilità della situazione familiare, causata dalle violenze agite dentro le mura domestiche e dall’abuso di sostanze alcoliche da parte di G.P. Di contro, la difesa di G.P. si riportava a tutte le eccezioni in diritto sollevate in comparsa di costituzione, chiedendo, in subordine, la revoca dei provvedimenti emessi in via d’urgenza e rilevando come la madre avesse ammesso di aver trasferito il bambino senza preventiva comunicazione al padre e di aver trasferito la residenza anagrafica senza l’autorizzazione del padre; contestava l’abuso di alcol da parte del signor G.P., deducendo come lo stesso fosse periodicamente sottoposto ad analisi del sangue dal datore di lavoro, per via dell’uso del muletto.
Orbene, tutto ciò premesso, il ricorso proposto da J.B. è infondato e va rigettato, per le ragioni di seguito enunciate.
In primo luogo, appare necessario rimarcare che rientra nei poteri del giudice adito – a maggior ragione nell’ambito del contenzioso di famiglia dove i poteri officiosi del giudicante sono più incisivi, in considerazione della necessità di tutelare la posizione processuale della prole minorenne – procedere alla riqualificazione giuridica della domanda anche in caso di erronea intitolazione del ricorso, purché dall’articolazione dell’atto sia inequivocabilmente individuabile l’oggetto della domanda. In altra branca del diritto, attenta giurisprudenza di merito ha ricordato come, nell’esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda, il giudice di merito non sia affatto condizionato dalla “formula” adottata dalla parte, dovendo egli tener conto del contenuto sostanziale della pretesa come desumibile dalla situazione dedotta in giudizio e dalle eventuali precisazioni formulate nel corso del medesimo, nonché del provvedimento in concreto richiesto (cfr. Tribunale di Torino, sez. VIII, 09/02/2024, n. 934). Inoltre, sebbene non espressamente disciplinato all’art. 156 c.p.c., si ritiene che anche la mera difformità dell’atto dal “paradigma” prefissato dal codice di rito non possa comportare alcuna conseguenza processuale, né in termini di nullità (ove non espressamente comminata dalla legge ex art. 156 c.p.c.) né in termini di inammissibilità, ogni qual volta dal contenuto dell’atto e dal tipo di tutela invocata si possa riqualificare la domanda e inquadrare il ricorso in altro schema processuale, del quale sono rispettati tutti gli elementi prescritti dalle disposizioni di legge.
Alla luce delle considerazioni che precedono, questo Giudice ritiene che, sebbene il ricorso introduttivo sia stato erroneamente qualificato ai sensi dell’art. 473-bis.15 c.p.c., esso possa (anzi, debba) essere inquadrato nel paradigma dell’art. 473-bis.38 c.p.c., ovvero tra i procedimenti diretti a risolvere controversie in ordine all’esercizio della responsabilità genitoriale.
Come noto, infatti, l’art. 473-bis.15 c.p.c. fa espressamente riferimento alle “domande proposte dalle parti”, così da lasciare intendere che vi debba essere un giudizio contenzioso di merito, nel quale sono state proposte delle “domande”. La stessa collocazione dell’art. 473-bis.15, a parere di questo Giudice, esclude che si possa presentare un ricorso “autonomo” per chiedere l’emissione dei soli provvedimenti “indifferibili” senza che siano state formulate altre domande di merito per l’assunzione di provvedimenti sullo status e/o per la disciplina dei rapporti economici e/o per la regolamentazione dell’esercizio della responsabilità genitoriale. In tal senso, si osserva che l’articolo in commento segue quello che disciplina il “deposito del ricorso” (art. 473-bis.14) e precede le disposizioni relative alla “costituzione del convenuto” e al deposito delle memorie integrative (artt. 473-bis.16 e ss.), così da lasciare intendere che i provvedimenti indifferibili possono essere richiesti nell’ambito di un procedimento, di competenza del tribunale in composizione collegiale adito ai sensi degli artt. 473-bis.12 e seguenti c.p.c. In aggiunta ai rilievi che precedono, va osservato che non esistono norme del Titolo IV-bis del codice di rito che stabiliscono quale sarebbe il regime di impugnazione dei provvedimenti indifferibili adottati dal giudice monocratico, convalidati all’esito dell’udienza di discussione, a riprova del fatto che il rimedio è solamente quello già previsto e disciplinato all’art. 473-bis.24, ossia il reclamo avverso i provvedimenti temporanei e urgenti di cui all’art. 473-bis.22. A questo proposito, deve essere menzionata una recente pronuncia della Suprema Corte, che ha affermato che i provvedimenti di cui all’art. 473-bis.22 – che si sono eventualmente pronunciati sulle medesime tematiche già disciplinati dai provvedimenti indifferibili e che li sostituiscono con un maggior grado di efficacia – devono considerarsi impugnabili a mezzo del reclamo avanti alla corte d’appello, poiché – chiariscono i giudizi di legittimità – in un contesto normativo (quale quello complessivamente desumibile dagli artt. 473-bis.15, 473-bis.22, 473-bis.23 e 473-bis.24 cod. proc. civ.) così strutturato, la mancata previsione di un meccanismo di reclamo avverso l’ordinanza con cui il giudice conferma, modifica o revoca i provvedimenti indifferibili ex art. 473 bis.15 cod. proc. civ. appare essere rivelatrice di un’intenzione legislativa che esclude la facoltà delle parti di impugnare l’ordinanza emessa dal giudice delegato (cfr. Cass. civ., se. I, sent. n. 11688/2024).
Ebbene, ritenuta infondata l’eccezione di nullità e/o inammissibilità del ricorso “autonomo” proposto a norma dell’art. 473-bis.15, che, infatti, come anzidetto, ben può essere riqualificato e inquadrato nel paradigma dell’art. 473bis.38 (come già rilevato nell’ambito del decreto di fissazione dell’udienza), occorre adesso chiarire le ragioni per le quali non appare condivisibile la tesi sostenuta dalla difesa del convenuto – anche se sorretta da puntuali riferimenti dottrinali – laddove riconduce il ricorso in esame allo schema processuale previsto dall’art. 316 c.c., anziché dall’art. 473bis.38 c.p.c.
Va ricordato, anzitutto, che l’art. 1, comma 23, lett. d), seconda parte, Legge n. 206/2021, delegava espressamente il Legislatore della Riforma a procedere al riordino dei criteri di competenza territoriale, prevedendo quale criterio di competenza prevalente quello della residenza abituale del minore, e prevedendo, altresì, che per il cambio di residenza ovvero per la scelta dell’istituto scolastico, anche prima della separazione dei genitori, sia sempre necessario il consenso di entrambi i genitori, ovvero, in difetto, del giudice. Dunque, in conformità ai criteri e principi della legge delega, è stato previsto all’art. 316 c.c. che le scelte relative al percorso scolastico e alla residenza abituale rientrano fra le “questioni di particolare importanza” sulle quali i genitori devono necessariamente e, quindi, previamente, concordare la decisione, con possibilità di adire il giudice in caso di mancato accordo. Peraltro, al fine di rendere armonico l’intervento del giudice nel conflitto tra genitori (coniugati e non coniugati) è stato modificato anche l’art. 145 c.c., riguardante i casi di disaccordo tra genitori coniugati in ordine alla fissazione della residenza ed “altri affari essenziali”, prevedendosi che il giudice, qualora ne sia richiesto espressamente da uno o entrambi i coniugi, adotta la soluzione che ritiene più adeguata all’interesse dei figli e alle esigenze dell’unità e della vita della famiglia, così modificando la precedente formulazione che consentiva al giudice di adottare la soluzione ritenuta più adeguata solo se richiesto espressamente e congiuntamente dai coniugi. Dunque, per effetto della riforma attuata con il D.lgs. n. 149/2022, l’attuale formulazione degli artt. 145 e 316 c.c. è perfettamente sovrapponibile, con l’unica differenza che nel primo caso il contrasto sorge in seno alla coppia coniugata e nel secondo in seno ad una coppia unita dal vincolo della convivenza; in entrambe le ipotesi, ovvero sia che i genitori siano coniugati sia che non siano sposati, in caso di contrasto su questioni essenziali come la scelta della residenza e la scelta del percorso scolastico, la procedura sarà identica, per cui il giudice, dopo aver sentito i genitori e aver disposto l’ascolto del minore capace di discernimento, adotta la soluzione che ritiene più adeguata all’interesse del/i figli/o, sempreché non sia possibile giungere ad una soluzione concordata (artt. 145, co.2 e 316, co. 3 codice civile). Le modifiche apportate dalla Riforma, dunque, paiono andare nella direzione di assicurare una maggiore ed effettiva tutela degli interessi del figlio, laddove il giudice decide anche quando la richiesta proviene da solo uno dei genitori coniugati (v. art. 145 c.c.), adottando, se il contrasto permane, la soluzione ritenuta più idonea e adeguata a curare l’interesse del figlio, senza più limitarsi ad attribuire – come previsto prima della novella – il potere di decisione a quello dei genitori che, nel singolo caso, ritiene più idoneo a curare l’interesse del figlio (v. art. 316 c.c. ante riforma).
Preme osservare, inoltre, che nella precedente formulazione, l’art. 316 c.c., in parallelo a quanto previsto dall’art. 145 c.c. (che, come si è detto, riguarda le coppie unite dal vincolo matrimoniale), operava un preciso richiamo all’unità della famiglia, richiamo che, come osservato da attenta dottrina, non c’è ragione di ritenere non più operante anche nella rinnovata formulazione come criterio che, dotato sempre di rilevanza costituzionale ex art. 29 Cost., potrà fungere da “parametro di scelta” tra le diverse possibili soluzioni che, in astratto, appaiano egualmente percorribili nell’interesse del minore. In definitiva, sul presupposto che gli articoli 145 e 316 c.c. trovino applicazione allorquando sorge un contrasto in seno alla coppia unita dal vincolo familiare – sia esso basato sul matrimonio o su una convivenza di fatto – il giudice dovrà preferire quella soluzione che appaia maggiormente idonea a curare l’interesse del figlio e che risponda all’interesse della “famiglia”, inteso come sintesi degli interessi individuali.
Nell’attuale assetto ordinamentale, infatti, il rinvio che l’art. 473-ter c.p.c. opera con riguardo ai provvedimenti di cui all’art. 316 c.c. – come modificato dal D. Lgs. n. 149/2022 – non investirà più le liti tra ex conviventi, che nel precedente assetto venivano trattate con il procedimento camerale in virtù del combinato disposto degli artt. 316, comma 4 c.c. e 337-bis c.c., ma esclusivamente le cosiddette liti endofamiliari, ossia i contrasti tra genitori uniti e, quindi, non in fase di separazione, del tutto in linea con istituti simili, come quello disciplinato all’art. 145 c.c.
Sul punto, infatti, alcuni commentatori della Riforma Cartabia hanno osservato che, nel caso in cui una coppia unita sia in disaccordo su questioni che riguardano i figli, opererà il rito camerale e, quindi, l’art. 145 o l’art. 316 codice civile, a seconda che le parti siano o meno unite in matrimonio, ma se vi è già stata disgregazione della famiglia e, quindi, una separazione di fatto, allora dovranno trovare applicazione le disposizioni sul rito unificato in materia di persone, minorenni e famiglie, in quanto trattasi di vero e proprio procedimento contenzioso.
Coerentemente con l’assetto ordinamentale qui illustrato, la Riforma ha introdotto l’art. 152-ter disp. att. c.p.c., che prevede che i provvedimenti previsti negli artt. 145 e 316 c.c. del codice sono di competenza del tribunale del circondario del luogo in cui è stabilita la residenza familiare o, se questa manchi, del tribunale del luogo del domicilio di uno dei coniugi, tribunale che provvederà in camera di consiglio in composizione monocratica con decreto immediatamente esecutivo. Il nuovo inciso, dunque, da un lato, conferma che l’intervento del giudice nelle forme di cui all’art. 316 c.c. sia autenticamente di volontaria giurisdizione, e, dall’altro, fa propendere per una interpretazione della norma che, ancora una volta, con l’espresso richiamo al luogo in cui è stabilita la “residenza familiare”, presuppone che debba trattarsi di lite endofamiliare.
Aderendo a questa lettura sistematica delle norme del codice civile e del codice di procedura civile, questo Giudice ritiene che per la soluzione delle controversie in ordine all’esercizio della responsabilità genitoriale sorte in seno a coppie di coniugi o genitori in crisi, che magari già vivano separatamente, la soluzione del giudice non potrà essere orientata a garantire l’unità familiare, ma dovrà tener conto, in via esclusiva, dell’interesse preminente del figlio, interesse che difficilmente potrà essere adeguatamente valutato dal giudicante senza tenere in debita considerazione i profili dell’affidamento e del collocamento di quel bambino/adolescente.
Per la soluzione delle controversie insorte tra genitori in crisi, infatti, il procedimento non potrà che rifarsi al modello contenzioso di cui all’art. 473bis.38, con tutte le tutele e cautele che ne conseguono in termini di: a) necessaria partecipazione del Pubblico Ministero, non prevista nei casi di cui agli artt. 145 e 316 c.c.; b) nomina, anche d’ufficio, di un curatore speciale che possa rappresentare in giudizio gli interessi del minore, quando i genitori appaiano, per gravi ragioni, temporaneamente inadeguati ex art. 473-bis.8 c.p.c.; c) facoltà di adozione di provvedimenti “opportuni” in deroga all’art. 112 c.p.c., avendo riguardo all’interesse superiore del minore, pur sempre nel rispetto del principio del contraddittorio come previsto dall’art. 473-bis.2 c.p.c.; d) potere di adottare un provvedimento inaudita altera parte, quando sussista un pericolo attuale e concreto di sottrazione del minore o di altre condotte che potrebbero pregiudicare l’attuazione del provvedimento, per tale intendendosi l’attuazione del provvedimento già adottato o, alternativamente, l’attuazione del provvedimento invocato dal genitore che ricorre al giudice monocratico per la soluzione di una controversia in ordine all’esercizio della responsabilità genitoriale. Tale formulazione, del resto, non è per nulla inedita nel codice di rito e pare ricalcare il disposto normativo dell’art. 669-sexies c.p.c., laddove prevede la possibilità per il giudice di emettere un decreto motivato, inaudita altera parte, quando la convocazione della controparte potrebbe pregiudicare l’attuazione del provvedimento, senza che con tale espressione si voglia pretendere la necessaria esistenza di un provvedimento “da attuare”. Come noto, infatti, anche l’art. 669-sexies prevede, come ipotesi eccezionale, la concessione della misura cautelare mediante decreto reso inaudita altera parte – ammissibile anche in corso di causa – allorquando il giudice ravvisi concreti pericoli di vanificazione dell’esigenza cautelare correlati alla preventiva notificazione della domanda alla controparte, situazione che, nel contenzioso di famiglia, potrà ravvisarsi quando ricorre il pericolo concreto e attuale di sottrazione del minore o di altre condotte (di uno dei genitori) che impediscano o rendano più difficoltosa l’attuazione del provvedimento sull’affidamento già emesso (e da attuare) oppure l’attuazione del provvedimento che è stato invocato dal ricorrente per la soluzione del contrasto genitoriale.
Del resto, la formulazione dell’art. 473bis.38 c.p.c. non prescrive affatto la (pre)esistenza di un provvedimento “da attuare”: sebbene l’articolo in commento si inserisca nella Sezione III del Capo II del Titolo IV-bis, intitolata “Dell’attuazione dei provvedimenti”, e la rubrica della norma recita “Attuazione dei provvedimenti sull’affidamento”, la formulazione del primo comma è assolutamente chiara, dato l’uso della congiunzione «e», nel prevedere che questo procedimento possa essere promosso sia per “l’attuazione dei provvedimenti sull’affidamento del minore”, sia per “la soluzione delle controversie in ordine all’esercizio della responsabilità genitoriale”. Il fatto che il secondo comma della citata disposizione preveda che “se non pende un procedimento … è competente, in composizione monocratica, il giudice che ha emesso il provvedimento da attuare…” costituisce una previsione di assoluto buon senso, volta a far sì che il giudice della cognizione possa mantenere uno stretto controllo sugli aspetti attuativi del provvedimento già emesso, così da intervenire più efficacemente e tempestivamente, ma non vale certo ad escludere che possa essere promosso un ricorso al Tribunale, individuato ai sensi dell’art. 473-bis.11 c.p.c., allorquando insorgano contrasti in ordine all’esercizio della responsabilità genitoriale tra genitori non più uniti dal vincolo familiare e l’affidamento non sia stato (ancora) regolamentato dall’Autorità giudiziaria. Anzi, proprio la circostanza, contemplata dalla norma in esame, per la quale se viene instaurato successivamente tra le stesse parti un giudizio che ha ad oggetto la titolarità o l’esercizio della responsabilità genitoriale, il giudice, anche d’ufficio e senza indugio, adotta i provvedimenti urgenti che ritiene necessari nell’interesse del minore e trasmette gli atti al giudice di merito, risponde all’esigenza di assicurare una “concentrazione delle competenze” in capo allo stesso giudicante, che, a seguito di una indagine più approfondita, potrà confermare, modificare o revocare i provvedimenti già emessi.
Per tutto quanto sopra esposto, pare evidente che, nel caso di specie, avendo cessato le parti la loro convivenza more uxorio già a far tempo da febbraio 2024, la scelta del percorso scolastico, così come quella relativa alla residenza del minore (che la precede in termini logici) non potranno che dipendere dalle modalità con le quali verranno disciplinati l’affidamento e il collocamento del piccolo S.P., questioni che dovranno essere decise dal giudice di merito già adito da entrambe le parti mediante due autonomi giudizi, che andranno verosimilmente riuniti ex art. 274 c.p.c.
A questo stesso giudice, dunque, andranno trasmessi gli atti della presente procedura, una volta assunti i “provvedimenti urgenti che si ritengono necessari nell’interesse del minore”, come previsto dal secondo comma dell’art. 473-bis.38 c.p.c.
Ebbene, entrando nel merito della vicenda in esame, va osservato come dal libero interrogatorio delle parti sia pacificamente emerso – a differenza di quanto affermato in ricorso dalla madre – che il cambio di residenza anagrafica del piccolo S.P. avveniva senza il preventivo consenso del padre, G.P., che apprendeva la circostanza solo dopo che il trasferimento del minore a (omissis) era stato compiuto (sentita in udienza, J.B. dichiarava: «Il 14/05 mi recavo in Comune a (omissis) e sottoscrivevo i moduli per trasferire la mia residenza e quella di S.P., ma non mi veniva richiesta la firma del papà, motivo per cui sono riuscita a trasferire la residenza già nel mese di maggio. Non so riferire quando il padre è venuto a saperlo; forse l’ha saputo quando si è recato dall’avvocato, perché io non gliel’ho mai detto»). Sempre in udienza è emerso – contrariamente a quanto affermato in ricorso dalla madre – che nessun modulo di iscrizione alla scuola materna era stato compilato dai genitori (sentito sul punto in udienza, G.P. dichiarava: «Quel giorno sentivo che riprendevano le scuole e quindi le scrivevo un messaggio per sapere quando avrebbe iniziato l’asilo, pensando che lei fosse riuscita a iscriverlo all’asilo senza il mio consenso, come aveva fatto con la residenza. Poi scoprivo che lei non era riuscita ad iscriverlo in mancanza di mia autorizzazione e quindi io le dicevo che non ero d’accordo con l’iscrizione alla scuola materna. Io volevo che il bimbo rientrasse a casa. Il 10/09 scrivevo una mail alla scuola significando il mio dissenso»). Deve prendersi atto, poi, che il provvedimento inaudita altera parte veniva concesso al fine di evitare pregiudizi al minore nel tempo necessario all’instaurazione del contraddittorio, così da permettere alla madre di svolgere attività lavorativa e al minore di essere collocato in un luogo sicuro, qual è la scuola materna, ma, a fronte della contestazione avversaria, l’odierna ricorrente non solo non ha documentato di aver ricevuto un incarico formale per l’insegnamento, ma neppure è stata in grado di riferire quali sarebbero le concrete prospettive di lavoro che renderebbero necessario affidare il bambino alle cure di terzi (sentita in udienza, J.B. dichiarava: «Io momentaneamente non sto svolgendo attività lavorativa. … Penso che avrò la possibilità di svolgere l’attività di insegnamento; al momento sono in contatto con la segreteria di diverse scuole della provincia di Taranto»). Preme ricordare, non da ultimo, che se il genitore è libero di fissare la propria residenza nel luogo desiderato, quando intenda condurre con sé il figlio minore, oltre a dover concordare con l’altro genitore il cambio di residenza – e adire preventivamente l’Autorità giudiziaria in caso di dissenso – deve pur sempre garantire al figlio il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con il genitore non convivente; ebbene, su questo aspetto, il libero interrogatorio di J.B. ha fatto emergere un atteggiamento opposto, apparentemente ostacolante della relazione padre-figlio, potenzialmente pregiudizievole per il percorso di sana ed equilibrata crescita psico-emotiva del bambino (sentita in udienza, J.B. dichiarava: «Io non sono disposta a lasciargli il bambino», mentre G.P. lamentava: «Su 400 e passa ore questa estate sono stato con mio figlio per 38 ore in totale»). Del resto, le affermazioni della odierna ricorrente circa le condotte pregiudizievoli poste in essere da G.P. in costanza di convivenza, e dopo la cessazione della convivenza more uxorio, non trovano alcun riscontro, neppure in termini indiziari, nella documentazione prodotta in questo giudizio, sicché la decisione non potrà fondarsi sulla valutazione di fatti che neppure sono stati circostanziati in ricorso («Il G.P. è un padre che beve dalla mattina alla sera. La mattina stappa una bottiglia di birra anche quando va al lavoro; […] lui va in ansia quando si trova insieme alla gente. […] ho subito violenze di tutti i tipi, fisica, psicologica ed economica. […] il G.P. è un padre anaffettivo, che non dà amore al figlio e non sa dare amore, perché lui da piccolo non l’ha mai ricevuto. […] Lui mi ha picchiata più volte mentre il bambino dormiva, una volta era anche sveglio e ha tirato dei calci al padre. Il bimbo ha tre anni ma non parla, per i traumi che ha subito»). Dal libero interrogatorio della ricorrente si è appreso, al contrario, che, dopo la cessazione della convivenza more uxorio, G.P. ha tenuto con sé il figlioletto tutti i sabati mattina e, all’occorrenza, alcuni pomeriggi, senza che si siano mai verificate – per quanto emerso in questo giudizio – situazioni di pregiudizio o di potenziale pericolo per il minore, aspetto che, dunque, allo stato degli atti e fatto salvo ogni approfondimento riservato al giudice di merito, non consente di muovere un giudizio di manifesta inidoneità del padre a far fronte ai bisogni di cura del bambino (sentita sul punto in udienza, J.B. dichiarava: «Solo quando avevo i consigli di classe e finivo tardi il signor G.P. andava a prendere il bambino all’uscita del nido, ma mai lo ha accompagnato la mattina al nido, perché diceva che doveva riposare. Anche il sabato mattina il sig. G.P. teneva il bimbo nella casa familiare. Io uscivo alle 7.50 e rientravo per le 13.15»).
Per tutto quanto sopra esposto ed argomentato, il ricorso proposto da J.B. è infondato e va rigettato, ritenendosi preminente, nel bilanciamento di interessi contrapposti, l’esigenza di assicurare continuità e assiduità alla relazione affettiva e di vicinanza morale tra il padre e il piccolo S.P., di soli tre anni, anche tenuto conto delle condotte potenzialmente ostacolanti assunte dalla madre nei mesi successivi al trasferimento illecito a (omissis). Si ritiene, infatti, che l’autorizzazione all’iscrizione del minore alla scuola dell’infanzia di (omissis), per quanto astrattamente e apparentemente conforme ai bisogni attuali del minore, rischia di avallare una serie di iniziative materne, già portate a termine, in totale spregio alla bigenitorialità – che deve pur sempre essere osservata e garantita fino a diversa determinazione dell’Autorità Giudiziaria – condotte ravvisabili nel repentino trasferimento da (omissis) a (omissis) senza la preventiva concertazione con il padre, nell’aver cambiato la residenza anagrafica senza il preventivo assenso del padre e nell’aver persino presentato alla scuola materna un modulo di iscrizione senza la preventiva condivisione della decisione con il padre.
In ragione della soccombenza della parte ricorrente, J.B. deve essere condannata a rifondere le spese di lite in favore di G.P., spese che si liquidano come in dispositivo, tenuto conto dei parametri “minimi” di cui al D.M. n. 55/2014 e successive modifiche e integrazioni, per le fasi di studio, introduttiva e decisionale, relativamente alle cause di valore indeterminabile di “bassa complessità”.
P.Q.M.
il Tribunale di Bergamo, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando nella causa instaurata tra le parti indicate in epigrafe, così decide:
– rigetta il ricorso, revocando il provvedimento di autorizzazione emesso inaudita altera parte in data 22/09/2024;
– condanna J.B. a rifondere le spese di lite in favore di G.P., liquidate in complessivi euro 2.906,00 a titolo di compensi professionali, oltre al 15% di rimborso forfettario, i.v.a. e c.p.a. come per legge.
Manda alla Cancelleria civile per la trasmissione urgente della presente ordinanza alle parti costituite e al Giudice della Prima Sezione civile, dr.ssa Maria Liboria Stancampiano, già assegnataria della causa di merito iscritta al numero di ruolo 5489/2024 R.G., per quanto di competenza.
Bergamo, lì 16/10/2024
