Con ricorso depositato ai sensi dell’art. 702 bis c.p.c., la Carola s.r.l. esponeva di aver acquistato azioni della Veneto Banca negli anni 2012-2014 e di non aver ricevuto adeguata informazione sulle operazioni, sulla natura dei titoli e dell’emittente.
Evocava in giudizio la Banca Apulia s.p.a. invocando la declaratoria di nullità e/o annullabilità o risoluzione per inadempimento delle operazioni finanziarie descritte, con condanna alla restituzione della somma investita ed al risarcimento del danno per svalutazione, interessi e rivalutazione monetaria.
Fissata la comparizione delle parti, si costituiva in giudizio la Banca convenuta, eccependo il proprio difetto di legittimazione, la prescrizione dell’azione di annullamento e la sua infondatezza.
Interveniva volontariamente in corso di causa Veneto Banca in l.c.a., chiedendo di accertare la sussistenza della propria legittimazione passiva, con estromissione di Intesa Sanpaolo e declaratoria di improcedibilità della domanda ai sensi dell’art. 83 T.U.B.
Disposto il mutamento del rito ed espletata ctu, all’udienza del 21.2.2023 le parti precisavano le conclusioni e la causa era riservata per la decisione, con la concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito di memorie conclusionali e repliche.
La domanda attorea è meritevole di accoglimento in parte, per le ragioni di seguito esposte.
La convenuta ha eccepito il difetto di legittimazione passiva rispetto alla domanda azionata.
Sul punto è opportuno ricostruire brevemente la vicenda normativa e convenzionale sottostante.
Con il d.l. 25 giugno 2017 n. 99, convertito con modificazioni nella legge 31 luglio 2017 n. 121, è stata avviata la liquidazione coatta amministrativa di Veneto Banca e di Banca Popolare di Vicenza. Il medesimo decreto ha previsto la possibilità di procedere alla cessione di azienda, beni, diritti e rapporti giuridici, attività e passività in favore di un cessionario da individuare seguendo la procedura selettiva delineata nell’art. 3 d.l. cit.
Su questa base, in data 26 giugno 2017 è stato stipulato tra le Banche in l.c.a. e Intesa San Paolo s.p.a. un contratto di cessione di azienda, il quale ha individuato l'”insieme aggregato” di attività e passività che devono ritenersi oggetto di trasferimento in favore di ISP e gli assets che, invece, ne sono esclusi. L’art. 3.1.1 del contratto precisa che per attività e passività incluse di Veneto Banca e di Banca Popolare di Vicenza si intendono anche quelle delle relative partecipate che siano espressamente incluse nell’insieme aggregato. Orbene, per quanto interessa in questa sede, da un lato, l’art. 3.1.2(a)(xi) ha espressamente ricompreso nel novero delle attività incluse (e dunque cedute) anche la partecipazione di Veneto Banca in Banca Apulia s.p.a., dall’altro, l’art. 3.1.4(b) ai punti (iv) e (vi) espressamente esclude dalla cessione “i debiti, le responsabilità (e relativi effetti negativi) e le passività derivanti da, o comunque connessi con, le operazioni di commercializzazione di azioni o obbligazioni subordinate e/o convertibili delle Banche in LCA” così come “qualsiasi Contenzioso (e relativi effetti negativi, anche per oneri e spese legali), anche se riferibili ad Attività Incluse e/o a Passività Incluse, diverso dal Contenzioso Pregresso (di seguito il Contenzioso Escluso), nonché i relativi fondi”.
In definitiva, secondo la prospettazione difensiva, la presente controversia non sarebbe ricompresa nel novero delle passività incluse nella cessione, come del resto sarebbe confermato anche dall’art. 3.3. dell’Atto ripetitivo del Secondo Atto Ricognitivo del Contratto di cessione, concluso il 17 gennaio 2018 da Intesa San Paolo e le Banche in l.c.a., a tenore del quale “in conformità agli Articoli 3.1.1. (secondo paragrafo) e 3.1.4(b)(vi) del Contratto di cessione, sono da intendersi (e accettati) come ricompresi tra i Contenziosi Esclusi anche quelli instaurati da azionisti/obbligazionisti convertibili e/o subordinati verso Banca Nuova, Banca Apulia e le Banche estere Partecipate per la sottoscrizione o l’acquisto o la commercializzazione di azioni o di obbligazioni convertibili e/o subordinate di ciascuna delle due Banche in LCA”.
Escluso il trasferimento della passività in questione e restando quindi essa a carico di Veneto Banca in l.c.a., il credito azionato in giudizio dovrebbe essere accertato nell’ambito della procedura di liquidazione e soddisfatto nel concorso con gli altri creditori, con conseguente improcedibilità delle domande proposte.
L’eccezione è infondata e va rigettata.
Questo Tribunale, con argomentazioni che qui si condividono, ha già escluso che la disciplina descritta possa sortire gli effetti invocati dalla convenuta e dall’interventrice.
In primo luogo, occorre considerare che il d.l. 99/17, base normativa del contratto di cessione, è chiaro nel restringere il suo campo applicativo alle sole banche oggetto di liquidazione coatta (cfr. art. 1 d.l. cit. “Ambito di applicazione”) né si rinvengono norme che abilitano una sua estensione anche alle banche partecipate dalle l.c.a. Non si può sostenere, pertanto, che il contratto di cessione intervenuto tra Veneto Banca e Intesa San Paolo possa aver avuto l’effetto di incidere sulla titolarità di un rapporto facente capo ad un soggetto estraneo all’accordo medesimo. È vero, infatti, che la partecipazione (neppure totalitaria) di Veneto Banca in Banca Apulia è stata oggetto di cessione ma un conto è il trasferimento della partecipazione altro è il trasferimento della singola posizione giuridica di cui la partecipata è titolare. Banca Apulia, infatti, costituisce un autonomo soggetto di diritto, titolare di posizioni proprie, delle quali solo lei può disporre in via diretta e immediata e non certo il socio, quantunque controllante.
“La descritta interpretazione sarebbe l’unica costituzionalmente possibile, in quanto sostenere che il d.l. n. 99/2017 abbia determinato l’esonero di Banca Apulia da eventuali responsabilità per la commercializzazione delle azioni della allora capogruppo, postulando una cessione del debito dalla partecipata alla controllante senza il consenso del creditore (il quale, imprevedibilmente, si troverebbe dinanzi per di più un debitore in una difficile situazione economica e sottoposto a l.c.a. con conseguente improcedibilità della sua domanda), frustrerebbe il diritto di difesa della parte e si porrebbe in contrasto con gli artt. 24 e 47 (che incoraggia e tutela il risparmio)” (Tribunale di Bari, 29 luglio 2022).
Consegue la legittimazione passiva (rectius: la titolarità passiva) della convenuta in relazione al diritto azionato.
Può quindi procedersi all’esame nel merito delle domande.
Alla vicenda in esame trova applicazione la disciplina contenuta nel D. Lgs n.58/98, vigente all’epoca dei fatti, ed il Reg. Consob n. 16190/2007 del 29.10.2007, entrato in vigore il 02.11.2007, conseguente all’entrata in vigore della direttiva MiFID 2004/39/EC (Markets in financial instruments directive), vigente dal 31 gennaio 2007 al 2 gennaio 2018, allorquando è entrata in vigore la nuova direttiva MiFID II (2014/65/EU).
Secondo la citata direttiva, il rapporto tra la banca e il cliente non deve essere considerato in maniera confliggente, ma su un piano di assistenza tecnica e supporto. La pluralità degli obblighi facenti capo ai soggetti abilitati a compiere operazioni finanziarie (obbligo di diligenza, correttezza e trasparenza, obbligo di informazione, obbligo di evidenziare l’inadeguatezza dell’operazione che si va a compiere) convergono verso un fine unitario, ossia quello di guidare l’investitore verso una scelta consapevole, segnalando l’eventuale inadeguatezza delle operazioni di acquisto di prodotti finanziari che si accinge a compiere.
Nella specie, l’esame è circoscritto, alla luce dei fatti descritti in ricorso e cristallizzati nel thema decidendum e probandum, alle operazioni di acquisto di azioni Veneto Banca eseguite il 11/10/2012 (150 azioni per E 6.037,50), il 16/10/2013 (1.000 azioni per un investimento di
E 40.750,00), il 01/07/2014 (417 azioni, E 15.012,00) ed il 01/07/2014 (143 azioni, E 5.148,00), per un investimento totale di E 66.947,50.
L’investitore, prima di poter porre in essere operazioni di investimento finanziario, è tenuto a sottoscrivere con l’intermediario un c.d. contratto quadro, che regolerà i futuri rapporti tra le parti e che, ai sensi dell’art. 23. T.U.I.F., deve avere la forma scritta a pena di nullità, rilevabile solo dal cliente, al quale deve essere consegnata una copia del contratto medesimo, debitamente sottoscritta dalle parti.
Dopo la stipula del contratto quadro, l’investitore potrà procedere alla sottoscrizione delle operazioni di investimento attraverso la predisposizione di ordini.
Secondo la normativa primaria e secondaria di settore, l’intermediario è tenuto ad adempiere ad una serie di obblighi informativi in favore dell’investitore, in modo da consentirgli di effettuare scelte consapevoli.
Il rapporto fra intermediario e investitore è caratterizzato da una forte asimmetria informativa e pertanto il cliente, in qualità di contraente debole del rapporto, è legittimato, in caso di inadempimento agli obblighi informativi al momento della vendita dei prodotti finanziari, ad ottenere la risoluzione del contratto quadro e dei singoli ordini di investimento e il conseguente risarcimento del danno.
La casistica giurisprudenziale è ormai granitica nell’escludere che gli eventuali difetti di informazione possano comportare vizi incidenti sulla validità del contratto, purché stipulato per iscritto, residuando spazio unicamente per profili di inefficacia e di responsabilità contrattuale.
Tale conclusione si basa su due considerazioni: l’assenza di una comminatoria espressa di nullità da parte della normativa di settore pur nella consapevolezza del carattere imperativo della predetta normativa e l’omessa incidenza dell’eventuale violazione degli obblighi di informazione sulla presenza del consenso del sottoscrittore alla conclusione del contratto.
In particolare, secondo l’impostazione sposata dalla Suprema Corte, le norme disciplinanti l’attività di intermediazione mobiliare (art. 6 L. n. 1 del 1991 e successive modificazioni) hanno carattere imperativo: esse sono, cioè, dettate non solo nell’interesse del singolo contraente di volta in volta implicato ma anche nell’interesse generale all’integrità dei mercati finanziari e si impongono inderogabilmente alla volontà delle parti contraenti. La violazione di una o più tra dette norme non comporta, però, automaticamente, la nullità dei contratti stipulati dall’intermediario col cliente, vigendo anche nello specifico settore dell’intermediazione finanziaria la tradizionale distinzione tra norme di comportamento dei contraenti e norme di validità del contratto: la violazione delle prime, tanto nella fase prenegoziale quanto in quella attuativa del rapporto, genera responsabilità e può esser causa di risoluzione del contratto, ove si traduca in una forma di non corretto adempimento del generale dovere di protezione e degli specifici obblighi di prestazione gravanti sul contraente, ma non incide sulla genesi dell’atto negoziale, quanto meno nel senso che non è idonea a provocarne la nullità (Cass. civ., Sez. Unite, 19/12/2007, n.26724; Sez. Unite, 19/12/2007, n.26725; Cass. civ., Sez. I, 29/09/2005, n.19024).
Per quanto concerne il riparto dell’onere probatorio nelle azioni di responsabilità per danni subiti dall’investitore, deve osservarsi che l’investitore è tenuto ad allegare l’inadempimento delle citate obbligazioni da parte dell’intermediario, nonché di fornire la prova del danno e del nesso di causalità fra questo e l’inadempimento, anche avvalendosi di presunzioni, mentre l’intermediario deve provare di aver adempiuto alle proprie obbligazioni con la specifica diligenza richiesta dalla natura dell’affare.
Quanto alle presunzioni, va rilevato che pur non potendo mai il danno derivante all’investitore dall’inadempimento degli obblighi informativi dell’intermediario considerarsi in re ipsa, tuttavia, in assenza dell’assolvimento dell’obbligo informativo dell’intermediario previsto dalla legge, sussiste una presunzione dell’esistenza del nesso di causalità, quanto all’avvenuta effettuazione di una scelta non consapevole da parte dell’investitore, senza che la precedente o la contestuale condotta di investimento in altri titoli rischiosi esoneri dall’adempimento degli obblighi informativi in capo all’intermediario, né integri la prova contraria su di lui gravante (cfr. Cass. n. 18153/2020).
Riassumendo, la disciplina applicabile per un ordinario prodotto finanziario è quella contemplata, da un lato, dagli artt. 21 e 23 del TUF, che prevedono la forma scritta del contratto di intermediazione finanziaria, l’obbligo informativo a carico degli operatori finanziari e un’inversione dell’onere della prova, nei giudizi risarcitori, circa l’adozione della specifica diligenza prevista e, dall’altro, dagli artt.28 e 29 del Reg. Consob, che sanciscono l’obbligo di profilatura dell’investitore circa la sua esperienza, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi e la sua propensione al rischio e l’obbligo per l’intermediario di astenersi dall’effettuare operazioni non adeguate per tipologia, oggetto, frequenza o dimensione.
Passando all’esame della fattispecie sottoposta al giudizio del Tribunale, si deve rilevare quanto segue.
Secondo l’orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità, il requisito della forma scritta del contratto quadro relativo ai servizi di investimento, disposto dal D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 23, è rispettato ove sia redatto il contratto per iscritto e ne venga consegnata una copia al cliente (Cass. SS.UU. n. 898/2018); inoltre, in tema di intermediazione finanziaria la forma scritta è prevista dalla legge per il contratto quadro e non anche per i singoli ordini, a meno che non siano state le parti stesse a prevederla per la sua validità ai sensi dell’art. 1352 c.c. (Cass. civ. sez. I, 14/06/2019, n.16106; Cass. 2 agosto 2016, n. 16053; in senso conforme: Cass. 9 agosto 2017, n. 19759).
Alla luce di tali considerazioni, risultando prodotto in atti il contratto quadro la cui stipula è antecedente al primo acquisto di azioni oltre alle successive schede di adesione e sottoscrizione, la domanda di nullità è rigettata.
Del tutto generica e non adeguatamente argomentata la domanda di annullamento, che subisce analoga sorte.
Per quanto concerne la pretesa violazione degli obblighi informativi in capo all’intermediario, devono condividersi le risultanze della CTU espletata, correttamente argomentata nelle conclusioni.
La prima operazione è preceduta dalla compilazione del questionario Mifid ed è stata eseguita come adeguata ed appropriata al profilo della Carola s.r.l., profilo testimoniato dal relativo questionario Mifid compilato, da cui risulta la consapevole assunzione di rischi elevati per realizzare proventi finanziari e far crescere il capitale in maniera rilevante, con individuazione di un profilo di rischio medio-alto.
La seconda operazione di acquisto di n.1000 azioni ordinarie Veneto Banca risulta effettuata con un test di adeguatezza che ha dato esito negativo, in quanto la Banca ha effettuato la consulenza e dichiara che all’esito delle verifiche effettuate l’operazione è risultata non adeguata per superamento del limite di concentrazione in quanto trattasi di investimento non conforme all’esperienza ed alla conoscenza dell’investitore; evidenzia, inoltre, la sussistenza del conflitto di interessi trattandosi di strumento finanziario emesso da società appartenenti al Gruppo Veneto Banca, negoziato con Veneto banca Scpa. Pertanto la Banca sconsiglia l’esecuzione dell’operazione in quanto non adeguata al profilo del cliente; l’operazione viene quindi eseguita su iniziativa del cliente il quale dà espresso incarico alla banca di eseguire la presente operazione. Non viene compilato il questionario Mifid prima della nuova sottoscrizione.
Il terzo ed il quarto ordine di acquisto di azioni ordinarie della Veneto Banca risultano effettuati in data 01/07/2014, pressoché contestualmente. Come rilevato dal ctu, il test di adeguatezza eseguito il 01/07/2014 alle ore 15:07 indica che la banca, dopo aver prestato la propria consulenza, sconsiglia l’esecuzione dell’operazione in quanto non adeguata al profilo del cliente per superamento del limite di concentrazione. Alle 15:08, ossia un minuto dopo, risulta eseguito il test di appropriatezza in cui la banca dichiara di non aver prestato la propria consulenza, che l’operazione avviene su iniziativa del cliente e che sconsiglia l’esecuzione dell’operazione in quanto non adeguata al profilo del cliente, trattandosi di un’operazione in conflitto di interessi su titolo non quotato. Il cliente prende atto delle indicazioni e dà espresso incarico alla banca di eseguire l’operazione.
Anche in tal caso, non è stato compilato il questionario Mifid prima della nuova duplice sottoscrizione in data 01/07/2014.
Gli investimenti oggetto di esame riguardano azioni non quotate, scambiabili non in un mercato regolamentato ma unicamente tra l’emittente ed i soci azionisti o tra i soci predetti, e perciò difficilmente liquidabili, potendo incontrare limitazioni nello smobilizzo entro un lasso di tempo ragionevole.
Può dirsi ormai consolidato l’orientamento della giurisprudenza di legittimità (da ultimo: Cassazione civile sez. I, 14/12/2022, n.36584) secondo cui: l’intermediario non è esonerato, pure in presenza di un investitore aduso ad operazioni finanziarie a rischio elevato che risultino dalla sua condotta pregressa, dall’assolvimento degli obblighi informativi previsti dal D.Lgs. n. 58 del 1998 e dalle relative prescrizioni di cui al regolamento Consob n. 11522 del 1998 e successive modificazioni, permanendo in ogni caso il suo obbligo di offrire la piena informazione circa la natura, il rendimento ed ogni altra caratteristica del titolo. Né, infine, la violazione di tale obbligo può ritenersi esclusa neanche in presenza di una segnalazione di non adeguatezza e di non appropriatezza, gravando sull’intermediario anche un autonomo obbligo di prestare all’investitore il corredo informativo relativo allo specifico strumento finanziario, evidenziandone le caratteristiche ed i rischi specifici.
Ed ancora: In tema di intermediazione finanziaria, l’obbligo informativo a carico dell’intermediario sussiste, anche al di fuori di una negoziazione diretta in contropartita, nel caso di negoziazione diretta per conto del cliente, rientrando tale operazione a pieno titolo tra “i servizi e attività di investimento” di cui all’art. 1,comma 5, lett. b) T.U.F. La violazione di tale obbligo non può ritenersi esclusa neanche in presenza di una segnalazione di non adeguatezza e di non appropriatezza, gravando sull’intermediario anche un autonomo obbligo di prestare all’investitore il corredo informativo relativo allo specifico strumento finanziario, evidenziandone le caratteristiche ed i rischi specifici (Cassazione civile sez. I, 05/05/2022, n.14208).
Ciò premesso, condividendo le osservazioni svolte dal ctu, la composizione del portafoglio di investimenti della società attrice fino al 30/06/2013 può dirsi coerente con la predisposizione al rischio evidenziata dai questionari Mifid rilasciati in sede di stipula del contratto quadro ed in sede del primo investimento del 2012, trovandosi perlopiù investimenti in obbligazioni ed oscillazioni contenute (circa il 2%) nelle perdite e nei guadagni. Il primo investimento del 2012 in titoli azionari risulta quindi coerente con il profilo di rischio del cliente, introducendo investimenti in titoli azionari -tendenzialmente più rischiosi in misura limitata (circa il 13,84% del valore complessivo del portafogli, coerente con un profilo di rischio medio alto).
Gli investimenti obbligazionari vengono smobilizzati nel corso del secondo trimestre 2013, passando ad una maggiore concentrazione di investimenti azionari tra il 2013 ed il 2014, allorquando con le due ultime operazioni la concentrazione in investimenti azionari è pari al 100%.
Tali acquisti sono operati senza procedere ad un aggiornamento della profilatura Mifid e con valutazione di inadeguatezza e non appropriatezza da parte della Banca Apulia per superamento del limite di concentrazione. La banca procede quindi ad effettuare le operazioni su richiesta del cliente, effettuando nell’arco di un paio di minuti i due test di adeguatezza ed appropriatezza ed ottenendo la conferma per iscritto dal cliente ad eseguire l’operazione.
Ora, pur essendo il questionario Mifid in corso di validità al momento delle negoziazioni oggetto di esame, ciò non impedisce un suo aggiornamento alla luce della criticità delle negoziazioni; inoltre, la sostanziale coincidenza temporale tra l’esecuzione dei test negativi e la conferma dell’operazione induce a ritenere che l’istituto di credito non abbia fornito alcun elemento specifico di valutazione dei rischi al cliente, in violazione degli obblighi informativi posti dalla normativa vigente; né è stata fornita alcuna prova in ordine all’adempimento specifico di tali obblighi da parte della banca, all’uopo onerata ex art. 23 TUF.
Tali violazioni sono idonee a determinare la risoluzione degli ordini di acquisto del 2013 e 2014 per inadempimento della convenuta.
Con la risoluzione del contratto, si ingenerano tra le parti reciproci obblighi restitutori, in conseguenza degli effetti retroattivi della risoluzione ex art. 1458 c.c., dovendo in tal caso l’intermediario restituire il capitale investito, secondo le regole dell’indebito oggettivo.
All’attore spetta la restituzione delle somme capitali investite maggiorate degli interessi legali dalla data della domanda (sulla decorrenza degli interessi cfr. Cass. civ. 3912/2018: “In tema di intermediazione finanziaria, allorche’ sia stata pronunciata la risoluzione del contratto per inadempimento della banca, non può reputarsi “in re ipsa” la prova della mala fede, traendo tale convincimento dalla mera imputabilità ad essa dell’inadempimento che abbia determinato la risoluzione del contratto. Ne consegue che il credito del cliente avente ad oggetto il rimborso del capitale investito produce interessi, in base ai principi in tema di ripetizione dell’indebito, solo a seguito della proposizione della domanda giudiziale, gravando su chi richiede la decorrenza dalla data del versamento l’onere di provare che la banca era in mala fede”).
Non residuando alcun valore attribuibile alle predette azioni all’attualità, consegue una perdita netta della società attrice per E 60.910,00, con decurtazione della somma percepita dal FIR Consap per euro 20.087,00, per la residua somma di euro 40823,00.
Pertanto, la banca deve essere condannata al pagamento della somma di E 40823,00 oltre gli interessi legali dalla data di notifica del ricorso ex art. 702 bis c.p.c. al saldo.
Attesa la natura di debito di valuta dell’obbligazione restitutoria per cui è causa (cfr. Cassazione civile sez. II, 04 giugno 2018, n.14289) e stante la mancata allegazione di specifici pregiudizi subiti in conseguenza degli andamenti valutari, ne deriva che la domanda proposta è in parte qua infondata e va rigettata.
Le spese legali seguono la soccombenza.
Alla liquidazione del compenso deve procedersi ai sensi del D.M. 10.03.2014 n. 55, tenuto conto del decisum, applicando i medi tariffari.
P.Q.M.
Il Tribunale di Bari, Quarta Sezione civile, in funzione di Giudice Unico, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta, con atto di citazione regolarmente notificato, da Carola s.r.l. nei confronti di Intesa Sanpaolo s.p.a. e con l’intervento di Veneto banca s.p.a. in l.c.a. così provvede:
1. ACCOGLIE la domanda di parte attrice per quanto di ragione e, per l’effetto, dichiara la risoluzione degli acquisti di azioni indicati in parte motiva, condannando la banca convenuta al pagamento in favore dell’attore della somma di E 40823,00, oltre interessi legali dalla domanda;
2. RIGETTA ogni altra domanda;
– condanna Banca Apulia s.p.a. e Veneto Banca in l.c.a. in solido alla rifusione delle spese processuali, con distrazione delle stesse in favore degli avvocati anticipatari, liquidate in euro 7500,00 oltre r.f. ed accessori come per legge e rimborso spese per c.u.;
– pone le spese di c.t.u. in via definitiva a carico di Banca Apulia s.p.a.
Bari, 30/05/2023
Depositata in cancelleria il 31/05/2023
