SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 13.1.2012, R. I. e R. P. convenivano, innanzi al Tribunale di Bari l’ASL BA per sentir accogliere le seguenti conclusioni:
1) accertare e dichiarare da parte della convenuta per i fatti di cui alla narrativa di tale atto la violazione dell’art. 2 Costituzione, nonchè degli articoli 1. 3. 5. 8. 9 del Regolamento della Regione Puglia del 20.12.2002 n. 8, “Regolamento di organizzazione e funzionamento delle RSA”;
2) per l’effetto, condannare l’ASL suddetta al risarcimento nei confronti delle attrici dei danni patrimoniali e non patrimoniali da determinarsi anche in via equitativa sia jure hereditatis per i pregiudizi subiti dalla propria madre sia jure proprio per le motivazioni di cui alla narrativa del medesimo atto; con vittoria di spese.
Esponevano le istanti:
1) che esse sono assieme a R. F. figlie di B. M., deceduta in data (omissis…)., all’epoca dei fatti affetta da morbo di Alzheimer ed invalida al 100%;
2) che i tre germani a seguito di accordo del 22.9.2004, stipulato alla presenza dei rispettivi legali, si erano impegnati a provvedere alla cura, assistenza e pulizia della casa e della persona della B.. a turni uguali presso le proprie abitazioni ovvero presso la casa materna;
3) che in data 12.4.2010. nel corso del mese di assistenza prestata da R. F., la B. veniva ricoverata presso l’Ospedale di Conversano (BA). con diagnosi d’ingresso di grave stato di disidratazione e iperpiressia in paziente con insufficienza renale e sepsi delle vie urinarie da escherichia coli, sindrome da ridotta mobilità da morbo di Alzheimer;
4) che il 19.4.2010 il Dirigente medico di I livello, dott. L. F., certificando le condizioni della B., scriveva: “la paziente è in condizioni di non autosufficienza e attualmente in condizioni cliniche stabili e necessita di dimissione protetta in regime residenziale (R.S.A.) in regime di urgenza”;
5) che il successivo 23.4.2010 il solo R. F. compilava ed inoltrava richiesta di accesso in favore della B. presso la R.S.A. di Mola di Bari, su proposta di accesso a firma del dirigente dell’Unità Ospedaliera di Conversano, dott.ssa M. D’A.;
6) che di tanto non venivano informate le altre due figlie della B., odierne attrici, pur essendo esse quotidianamente presenti in ospedale;
7) che, tuttavia, le signore, proprio in virtù della costante ed assidua presenza al fianco della madre ricoverata, avevano appreso in via del tutto informale nella serata del 23.4.2010 dell’eventualità di un ricovero della B. in R.S.A., esprimendo immediatamente e verbalmente il proprio disaccordo in merito;
8) che, sennonchè la B. in data 27.4.2010 veniva dimessa dalla struttura ospedaliera di Conversano ed immediatamente ricoverata presso la R.S.A. di Mola di Bari, senza che nulla venisse comunicato alle attrici, e che nella lettera di dimissione, indirizzala al medico curante, il medico responsabile consigliava terapia da eseguirsi a domicilio (cardioaspirina e limpidex), prescriveva analisi da effettuare a distanza di 15 giorni, ma nulla diceva in merito all’eventuale ricovero in R.S.A.;
9) che, non appena appresa la notizia, le R. si recavano personalmente presso la Direzione della struttura ospitante ove esprimevano il proprio totale dissenso all’ingresso della B., dichiarandosi disponibili ad assistere domiciliarmente la propria madre e formalizzando il tutto in una dichiarazione che veniva sottoscritta e consegnata alla Commissione di Valutazione, ma non rilasciata loro in copia;
10) che. ciononostante, in totale spregio delle volontà delle odierne attrici, la B. non veniva dimessa dalla R.S.A.;
11) che il giorno seguente le sorelle R. inoltravano istanza per le dimissioni della madre sia al direttore del Distretto Socio Sanitario 11 sia. per conoscenza, alla direzione della R.S.A. in questione, unitamente a richiesta della documentazione inerente l’accesso in R.S.A.;
12) che ancora una volta non veniva dato seguito alcuno alle loro richieste;
13) che in data 7.5.2010 i Servizi Socio Sanitari di Mola di Bari presentavano al Giudice tutelare del Tribunale di Bari istanza per la nomina urgente di un amministratore di sostegno a tutela della B., stante il rapporto altamente conflittuale tra i figli:
14) che, con provvedimento emesso dal G.T. di questo Tribunale. R. P. veniva nominata A.d.S. provvisorio della B., con il compito di “sostituirsi alla beneficiaria nel prestare il consenso/dissenso informato alle dimissioni dalla R.S.A. di Mo. di Bari”;
15) che finalmente, in data 7.6.2010 la B. veniva dimessa e riportata nei suoi ambienti familiari ove il successivo 29.3.2011 decedeva;
16) che. con racc.ta a.r. del 6.7.2011. inviata all’ASL BA. esse inoltravano richiesta di risarcimento dei danni patiti, patrimoniali e non, quantificati nella somma di € 25.000,00 jure hereditatis ed € 25.000.00 pro capite a titolo di risarcimento dei danni patiti jure proprio, così per complessivi € 75.000.00;
17) che esse avevano più volte inoltrato richiesta di accesso agli alti amministrativi ex L. n. 241/90 e che tali richieste venivano solo in parte evase, e. pertanto, ad oggi, la documentazione in possesso della loro difesa non poteva ritenersi completa per detti motivi, e, ciononostante, era possibile con assoluta certezza documentare quanto sin qui esposto;
18) che doveva ulteriormente puntualizzato che durante il periodo di ricovero presso la R.S.A. B. M. era stata “allettata”, “cateterizzata”, alimentata unicamente attraverso flebo e “siringoni”;
19) che, quando era rientrata al proprio domicilio dopo il ricovero presso la RSA, le sue condizioni di salute e di vita erano peggiorate e non riusciva più ad alimentarsi con le posate;
20) che nei periodi precedenti il ricovero quando le veniva prestata assistenza domiciliare dalle due figlie trascorreva le giornate alternando letto e poltrona, consumava i pasti seduta a tavola, veniva imboccata con posate, riusciva a bere dal cucchiaio, riusciva, accompagnata, a muovere dei passi ed a percorrere brevi tratti in casa;
21) che la B. era sotto costante controllo da parte del medico di famiglia secondo il piano di assistenza domiciliare programmata che prevedeva analisi cliniche ad intervalli mensili e comunque all’occorrenza;
22) che R. I., nubile e priva di impegni lavorativi occupava gran parte del proprio tempo dedicandosi alla cura della madre invalida che poteva assistere in ogni necessità;
23) che il ricovero della madre presso la RSA non voluto ed anzi osteggiato dalle due sorelle aveva determinato in R. I. e P. turbamento dell’animo, stress psico-fisico, lesione alla serenità personale e familiare; che era loro interesse promuovere questo giudizio al fine di ottenere sentenza di condanna al risarcimento danni patrimoniali e non, jure proprio e jure hereditatis anche per i seguenti motivi in diritto:
1) Violazione dell’art. 2 della Costituzione;
2) Violazione e falsa applicazione del cit. Regolamento di organizzazione e funzionamento delle RSA;
2.1) Violazione dell’art. 1 dello stesso Regolamento: 2.2. Violazione dell’art. 3 dello stesso regolamento;
2.3) Violazione dell’art. 5 dello stesso Regolamento;
2.4) Violazione dell’art. 8 dello stesso Regolamento;
2.5) Violazione dell’art. 9 dello stesso Regolamento;
3) la B. era stata ricoverata presso la RSA di Mola di Bari per 40 giorni senza che le due figlie, odierne attrici, ne fossero state preventivamente informate, e la stessa era stata, inoltre, trattenuta presso la predetta struttura in spregio della volontà manifestata per iscritto dalle R. di riportarla a casa per assisterla personalmente come lino ad allora avevano fatto, e durante il periodo di ricovero era stata allettata, cateterizzata, sottoposta a flebo ed alimentata con siringoni nonostante dal luglio di dimissione non risultasse affatto tale necessità, e al contrario, quando era stata assistita a domicilio dai figli, la signora veniva assistita, come già specificato, di tanto in tanto veniva fatta deambulare cd. addirittura, accompagnata in auto a casa di altri familiari, sempre alla presenza del figlio cui competeva l’assistenza, allo scopo di prevenire sindrome da immobilizzazione ed impedire emarginazione ed isolamento; ed era di tutta evidenza il mutamento delle condizioni di vita che aveva dovuto subire la B., e che in una donna anziana e malata avevano indubbiamente causato un peggioramento delle condizioni cliniche: conseguentemente le attrici chiedevano, a titolo di risarcimento jure hereditatis dei danni materiali, biologici e morali patiti dalla B.. le cui conseguenze erano state deleterie per la stessa, determinando un significativo peggioramento delle condizioni di vita dalla data del ricovero in regime di RSA (27.4.2010) fino al decesso (29.3.2011), la somma che il Giudice avesse voluto determinare anche equitativamente;
4) che, ancora, le R. avevano personalmente subito le conseguenze delle violazioni di norme costituzionali, nazionali e regionali, nonchè del regolamento di organizzazione e funzionamento delle RSA, perpetrate dalla ASL Bari per i motivi addotti in narrativa, ed esse, inoltre, avevano dovuto sempre rapportarsi con un “muro di gomma”: ogni legittima richiesta avanzata veniva lasciata nell’oblio, non avevano ricevuto copia dei verbali dei colloqui sostenuti con la Commissione di Valutazione, avevano visto scomparire il peso delle loro volontà espresse, sempre nell’unico e solo interesse alla salvaguardia e tutela delle condizioni psico-fisiche della loro amata madre.
Nonostante la regolare notificazione dell’atto introduttivo alla convenuta, inizialmente nessuno si costituiva per quest’ultima, che, pertanto, veniva dichiarata contumace con la stessa ordinanza con la quale, alla prima udienza del 16.5,2012, venivano concessi i termini di cui all’art. 183, comma 6, c.p.c.
Alla successiva udienza del 12.12.2012, si costituiva tardivamente la convenuta, concludendo per l’integrale rigetto della domanda con vittoria di spese.
Con ordinanza depositata il 22.2.2013, questo Giudice invitava le parti a precisare le conclusioni all’udienza del 15.1.2014.
Effettivamente precisate le conclusioni all’udienza del 13.5.2015 con la concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c, la causa può adesso essere decisa.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Le domande delle attrici sono fondate e pertanto meritevoli di accoglimento nei termini e nei limiti di cui appresso.
Nell’ordinanza depositata il 22.2.2013 la causa fu ritenuta “senz’altro matura per la decisione, senza bisogno di assunzione di mezzi di prova, in quanto dato saliente della fattispecie, confermato, a seguito della costituzione, sia pur tardiva, della convenuta, è che la defunta madre delle attrici venne ricoverata in regime di R.S.A. in un momento nel quale era persona non incapace legalmente (ma al più incapace naturale) e non sottoposta ad alcuna misura di protezione, visto che solo successivamente fu nominato un amministratore di sostegno (provvisorio) in suo favore, ma che, nondimeno, l’ASL resistente dette corso alla richiesta di accesso ai servizi residenziali, avanzata dal solo germano delle istanti in data 23.4.2010 (e non dalla poi deceduta B. M.), restando perfettamente ininfluente il verbale di accordo tra i tre fratelli, che. a detta della convenuta, lo legittimava ad occuparsi della madre, visto che lo stesso, per giunta res inter alios acta rispetto all’anziana madre dei contraenti, non poteva ovviamente disporre della capacità legale di quest’ultima e nemmeno far si che uno qualsiasi di loro potesse sostituirsi alla B. nel prestare consensi o avanzare richieste in sua vece relativi alla sfera personale della sua salute (pertanto, è auspicabile che le parti addivengano ad una soluzione conciliativa, sebbene su basi diverse dalla richiesta stragiudiziale delle attrici, che appare obiettivamente esagerata)”.
A seguito di tale provvedimento, la cui impostazione le parti peraltro non pongono in discussione, le stesse non hanno, però, raggiunto l’accordo ivi auspicato.
La causa, perciò, dev’essere decisa in termini strettamente giuridici.
Ebbene, la resistente, nel costituirsi tardivamente, aveva eccepito che: “Le attrici sono all’evidenza carenti di legittimazione attiva e, comunque, i rapporti con il fratello esulano dalla competenza e dall’interesse processuale e sostanziale dell’ASL BA”.
Non è dato comprendere, però, in quali termini la convenuta abbia sollevato la questione della carenza di legittimazione attiva adcausam delle due attrici.
Giova, comunque, ricordare che. secondo un ormai consolidato indirizzo, benchè non sempre tenuto in conto soprattutto nella prassi giurisprudenziale di merito, la legitimatio ad causam, attiva e passiva, consiste nella titolarità del potere e del dovere di promuovere o subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto in causa, mediante la deduzione di fatti in astratto idonei a fondare il diritto azionato, secondo la prospettazione dell’attore, prescindendo dall’effettiva titolarità del rapporto dedotto in causa, con conseguente dovere del giudice di verificarne l’esistenza in ogni stato e grado del procedimento. Da essa va tenuta distinta la titolarità della situazione giuridica sostanziale, attiva e passiva, per la quale non è consentito alcun esame d’ufficio, poichè la contestazione della titolarità del rapporto controverso si configura come una questione che attiene al inerito della lite e rientra nel potere dispositivo e nell’onere deduttivo e probatorio della parte interessata. Fondandosi, quindi, la legittimazione ad agire o a contraddire, quale condizione all’azione, sulla mera allegazione fatta in domanda, una concreta ed autonoma questione intorno ad essa si delinea solo quando l’attore faccia valere un diritto altrui, prospettandolo come proprio, ovvero pretenda di ottenere una pronunzia contro il convenuto, pur deducendone la relativa estraneità al rapporto sostanziale controverso (così, ad es.. tra le tante, di recente, Cass., sez. III, 30.5.2008, n. 14468; e in termini id.. sez. III. 9.4.2009. n. 8699, id. sez. I, 16.5.2013, n. 11984, quest’ultima in relazione alla legittimazione passiva ad causarti).
Ora, come risulta dalla narrativa che precede, le istanti hanno agito in una duplice chiave per conseguire la condanna della resistente al risarcimento dei danni lamentati, e, cioè, jure hereditatis e jure proprio.
Dal primo punto di vista, esse allegano che la madre B. M. sia deceduta il (omissis…). ed implicitamente, ma chiaramente, di esserne eredi e, quindi, di essere subentrate nel diritto al risarcimento dei danni che sarebbero conseguiti alla violazione di posizioni giuridiche soggettive che, in vita, facevano capo alla defunta madre; prospettazione di parte, questa, in base alla quale deve decidersi in punto di legittimazione attiva e che appare più che sufficiente a porne la sussistenza.
È ben evidente, poi. che la questione dei non buoni rapporti delle sorelle istanti con l’altro germano R. F. non riguarda la ASL resistente, ma tanto non ha nulla a che vedere con la legitimatio adiva ad causam delle attrici. Solo per completezza di disamina si vuol aggiungere che queste ultime in ipotesi avrebbero potuto evocare in giudizio anche il fratello, visto che a quest’ultimo attribuiscono l’iniziativa di aver inoltrato alla ASL “richiesta di accesso in favore della sig.ra M. B. presso la R.S.A. di Mola di Bari”, ma che in questa sede hanno piuttosto fatto valere una condotta imputata esclusivamente alla resistente, e consistente appunto nell’aver dato corso all’unilaterale richiesta del fratello, restando ininfluente il dato che non abbiano esteso le loro domande rispetto a quest’ultimo nella veste di concorrente negli illeciti lamentati (peraltro, la posizione di ipotetico coobbligato di R. F. non ne farebbe di certo un litisconsorte necessario in questo giudizio).
Senza fondamento, inoltre, la convenuta eccepiva anche il proprio difetto di legittimazione passiva, sul rilievo che: “Una volta espletato correttamente il proprio procedimento. l’ASL BA ha rimesso la paziente al competente UVM, che – peraltro – ha deciso correttamente per il bene dell’anziana signora, rimettendosi al Giudice Tutelare”. E’ di tutta evidenza, infatti, che questi ultimi aspetti attengono al merito della controversia in senso stretto, e non certo alla legittimazione passiva ad causam della convenuta, che resta segnata dalla prospettazione delle istanti innanzi sintetizzata.
Passando, perciò, al merito della causa in senso stretto, la convenuta non contesta nè che la B. sia deceduta il (omissis…). nè che le attrici ne siano le eredi.
Inoltre, come già notato nell’ordinanza del 22.2.2013, la resistente (la quale non ha prodotto alcun documento) ammette che: “Il procedimento presso l’ASL si apriva in data 23.4.2010 con l’istanza di accesso in RSA – Residenza Sanitaria Assistenziale presentata dal sig. F. R., figlio della sig.ra B. M., alla UVM – Unità di Valutazione Multidimensionale del Distretto Socio-Sanitario dell’ASF BA. DSS 11 di Mola di Bari”.
Infine, è pacifico in punto di fatto che il contestato ricovero della de cuius presso la R.S.A. di Mola di Bari durò dal 27.4.2010 fino al 7.6.2010, e, quindi, per complessivi 41 giorni, al netto del giorno di dimissioni del 7.6.2010.
Orbene, sul piano strettamente giuridico, e in linea di ovvia continuità con quanto osservato nella ridetta ordinanza, è assolutamente irrilevante il dato che le istanti fossero contrarie a tale ricovero, a prescindere da quando ne avessero avuto notizia e da quando abbiano manifestato tale contrarietà, per il semplice motivo che nel descritto contesto la loro volontà non assumeva alcuna valenza in positivo o in negativo.
Esse, infatti, quand’anche la madre fosse stata in condizione d’incapacità naturale (cosa che si vuol dare per scontata, non senza notare che nessuna di loro, al pari del germano, si era premurata di far si che fosse sottoposta all’occorrente misura di protezione: il che avvenne solo in seguito, e, per giunta, non su loro iniziativa), non potevano ovviamente prestare consensi o dissensi al ricovero in questione in luogo della madre (come del resto, il loro fratello; cosa che va di nuovo sottolineata).
Regola primordiale del nostro ordinamento giuridico è quella sancita dall’art. 32. comma 2. primo periodo, della Costituzione, a termini del quale: “‘Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”. Pertanto, le disposizioni di rango meramente regolamentare che richiamavano le istanti in citazione non assumono la benchè minima rilevanza nel caso di specie, fatta eccezione per quella di cui all’art. 9, comma 1, del cit. Regolamento regionale, che recita: “La proposta di accesso alle RSA pubbliche e private è effettuata dal medico di medicina generale, dai servizi territoriali dell’Azienda Unità Sanitaria Locale ovvero, in caso di dimissione dall’ospedale, dal dirigente della divisione ospedaliera, o dai servizi territoriali comunali, nel rispetto della volontà del paziente, ovvero in caso di incapacità di intendere e di volere dello stesso, da chi esercita la tutela o la curatela”. Quest’ultima disposizione, infatti, a ben vedere, non costituisce che applicazione dello scontato principio secondo il quale un trattamento sanitario, di regola, non può essere imposto a nessuno, se non in base ad una sua valida volontà o. in caso di soggetti legalmente incapaci, in base alla volontà di chi per legge li rappresenti.
Nella fattispecie in esame, poi, si è evidentemente al di fuori delle ipotesi di trattamento sanitario obbligatorio, la cui disciplina, peraltro, non rappresenta che conferma ulteriore di quanto sin qui ricordato.
Le attrici, comunque, sia pure nell’illustrare la pretesa violazione dell’art. 2 Cost. hanno dedotto che il ricovero presso la RSA era avvenuto “in totale antitesi con la libertà e la dignità della Signora M. B.” (così a pag. 6 dell’atto di citazione), ed è questa praticamente l’unica trasgressione da loro lamentata che può assumere rilievo giuridico nella specie.
La convenuta, d’altronde, neanche ha dedotto che il ricovero, a seguito della richiesta avanzata dal solo R. F., e quindi da persona sicuramente non legittimata, fosse avvenuto con una partecipazione volontaria e valida della diretta interessata, e cioè della stessa B..
Anzi, proprio la ASL. per mezzo di sua struttura, aveva autorizzato l’accesso in RSA in data 27.4.2010, sul rilievo che l’anziana donna fosse in stato di non autosufficienza totale.
Già si è detto, peraltro, della perfetta ininfluenza del verbale di accordo del 22.9.2004 per coprire l’operato di R. F. come della ASL resistente nell’occasione.
Ciò considerato, la violazione della norma costituzionale sopra richiamata è sicuramente produttiva di danno risentito direttamente dalla B. quando era ancora in vita, ma di un danno nella specie esclusivamente non patrimoniale.
Invero, è indimostrato, e, secondo il Tribunale, indimostrabile (le attrici stesse peraltro neanche hanno richiesto l’espletamento di un’ipotetica C.T.U. medico-legale), che la B.. a cagione del ricovero subito senza il suo consenso o di chi potesse legittimamente prestarlo in sua vece, avesse subito un qualsiasi nocumento, in particolare alla sua salute o ad altri beni diversi dalla sua libertà di autodeterminazione.
In particolare, si versa in ipotesi all’evidenza diversa da quella della mancata acquisizione del consenso informato del paziente (o di chi lo possa rappresentare), perchè non è assolutamente dedotta la violazione dell’obbligo di informazione (nei confronti della B.). bensì, ed ancora prima, è stata fatta valere (anche) la mancanza proprio dell’occorrente consenso ad un trattamento sanitario (certamente non obbligatorio).
Vale, comunque, ricordare che anche nella giurisprudenza di legittimità è ormai jus receptum che, in materia di responsabilità per attività medico-chirurgica, l’acquisizione del consenso informato del paziente, da parte del sanitario, costituisce prestazione altra e diversa rispetto a quella avente ad oggetto l’intervento terapeutico, di talchè l’errata esecuzione di quest’ultimo dà luogo ad un danno suscettibile di ulteriore ed autonomo risarcimento rispetto a quello dovuto per la violazione dell’obbligo di informazione, anche in ragione della diversità dei diritti – rispettivamente, all’autodeterminazione delle scelte terapeutiche ed all’integrità psicofisica – pregiudicati nelle due differenti ipotesi (così, ad es. Cass., sez. III. 13.2.2015. n. 2854).
Tanto precisato, è incontroverso anzitutto che il ricovero della B. in RSA, giudicato opportuno e consentito sul piano strettamente sanitario dagli organi competenti della ASL. avvenne senza soluzione di continuità con altro ricovero ospedaliero (la cui necessità le attrici non pongono in dubbio e in discussione), e che l’anziana donna, quindi, versasse nelle serie e pregiudicate condizioni di salute da loro stesse esposte e documentate.
Ebbene, neppure è dedotto, prima che dimostrato, che le prestazioni che la B. avrebbe subito nel corso della sua degenza in RSA, e cioè l’essere stata allettata. Tessere cateterizzata e l’essere alimentata unicamente attraverso flebo e simili fossero non appropriate alle sue condizioni dell’epoca e che comunque abbiano provocato il dedotto peggioramento del suo stato di salute.
Del resto, neanche è provato quale fosse la situazione clinica della donna quando fu dimessa dalla RSA. sulla quale non esiste alcuna documentazione in atti; nè le attrici hanno richiesto che tale documentazione venisse esibita dalla convenuta. Mette conto aggiungere in proposito che, come già notato, la nomina di R. P., quale amministratrice di sostegno provvisoria della madre, ivi decisa con decreto immediatamente esecutivo del G.T. competente in data 5.6.2010, emanato, però, non su richiesta di qualcuna delle attrici (o di responsabili della ASL), bensì su istanza dei Servizi sociali del Comune di Mola di Bari, ma che l’amministratrice suddetta, una volta assuntasi la responsabilità di far dimettere la congiunta dalla struttura in cui era ospitata – cosa che avvenne il 7.6.2010 -, ben avrebbe potuto e dovuto chiedere ed ottenere subito, in tale qualità, copia della cartella clinica relativa a detto ricovero o, quanto meno, dei documenti medici essenziali allo stesso relativi.
Inoltre, le attrici neanche hanno dimostrato, per via documentale medica, quali fossero le condizioni della congiunta una volta tornata a casa propria (il capitolo di prova sub 4) della loro memoria depositata il 12.7.2012 è formulato in modo alquanto generico e valutativo), ma è certo che l’exitus non segui subito dopo le dimissioni volontarie dalla RSA in data 7.6.2010, bensì si verificò il 29.3.2011, a distanza di oltre 9 mesi da quelle dimissioni nel corso dei quali la B. fu assistita nel proprio domicilio appunto dalle attrici. Infine, non è stato assolutamente dimostrato che durante la degenza della B. presso la R.S.A. alle sue due figlie fosse stato precluso di visitarla e di partecipare alla sua assistenza, onde evitarne l’isolamento rispetto al contesto familiare.
Resta, perciò, confermato che l’unico pregiudizio subito in vita dalla B. fu quello determinato dalla violazione del suo diritto inviolabile di autodeterminazione, come tale, rispetto al ricovero operato: danno in tale chiave di natura non patrimoniale, ma che dev’essere senz’altro risarcito, come in tutti i casi di lesione di valori della persona umana costituzionalmente protetti (cfr., a mero titolo d’esempio, Cass., sez. lav.. 11.3.2008, n. 6436).
Trattasi di pregiudizio che va, quindi, liquidato in via necessariamente equitativa, come del resto richiesto anche dalle attrici, ma che deve essere quantificato tenendo in debito conto che la violazione de qua avvenne in contesto, si non emergenziale ed inducente stato di necessità, ma nel quale era pacificamente impossibile ottenere un valido e cosciente consenso della diretta interessata all’accesso in RSA, e nel quale, inoltre, gli organi dell’ASL pensarono, sia pure a torto, di poter far leva sulla richiesta di stretto congiunto dell’assistita; laddove, erano tenuti a percorrere la strada prevista dall’art. 406, ult. comma, cc, per far si che, per il tramite di un amministratore di sostegno. fosse prestato o meno l’occorrente consenso ad un qualsiasi trattamento sanitario in favore della B.: tanto invece, come si è visto, avvenne solo in seguito, a ricovero già avvenuto, ma solo ad iniziativa dei Servizi sociali del Comune di Mola di Bari.
Alla luce di tutte le superiori considerazioni, il danno in questione può essere liquidato nel complessivo importo di € 1.000,00, con riferimento all’epoca dell’illecito in data 27.4.2010.
Nulla, invece, può essere riconosciuto alle due attrici a titolo di danno risentito in proprio nella vicenda in esame.
Alla stregua, infatti, di quanto innanzi osservato, il fatto che le loro richieste e le loro volontà contrarie al ricovero in questione non siano state prese in considerazione dalla ASL non assume alcun rilievo, e non può essere considerato ingiusto ai sensi dell’art. 2043 c.c., non essendo le stesse titolari all’epoca (prima che R. P. ricevesse la nomina ad amministratrice di sostegno provvisoria) di alcun potere di esprimere consensi o dissensi in luogo della loro madre, nè essendo configurabile ovviamente un loro diritto a prestarle assistenza a domicilio, e non essendo emerso comunque che sia stato loro impedito durante la degenza in RSA della madre di incontrarla ed eventualmente ivi assisterla, così integrando le prestazioni fornite dalla struttura.
Il danno come sopra liquidato, in quanto credito di valore, va poi rivalutato con attribuzione anche degli interessi cd. compensativi.
Quanto appunto alla rivalutazione, la somma liquidata alle eredi della danneggiata va rivalutata dalla data (27.4.2010) in cui è stata monetariamente determinata (cd. aestimatio) fino alla data della loro liquidazione definitiva (cd. taxatio), che va fissata al giorno 31.8.2015 (in relazione all’ultimo indice ISTAT disponibile).
In particolare, la rivalutazione va effettuata applicando sulle somme gli indici della rivalutazione monetaria ricavati dalle pubblicazioni ufficiali dell’Istituto Nazionale di Statistica. Gli indici presi in considerazione sono quelli del cd. costo della vita, ovverosia del paniere utilizzato dall’ISTAT per determinare la perdita di capacità di acquisto con riferimento alle tipologie dei consumi delle famiglie di operai e impiegati (indice l’.O.I.). Tale rivalutazione viene presa in considerazione per ciascuna delle voci di cui si compone la liquidazione del danno e dalla decorrenza per ciascuna indicata (v. sopra).
Circa, infine, gli interessi, nella liquidazione del danno la giurisprudenza è concorde nel riconoscere anche il danno da ritardo nella prestazione e tale importo viene liquidato in via sostanzialmente equitativa attraverso il riconoscimento al danneggiato di una ulteriore voce che correntemente viene definitiva come “interessi compensativi” (altri li definiscono “moratori”, ma ai fini della presente valutazione le differenze terminologiche sono indifferenti). Tali interessi sono calcolati dalla data del momento generativo della obbligazione risarcitoria sino al momento della liquidazione. Gli interessi vanno liquidati al tasso nella misura legale che. in base alla normativa vigente, viene variato in relazione alle dinamiche dei tassi correnti sul mercato, sia un parametro di riferimento adeguato per determinare il danno da ritardo nella prestazione risarcitoria. Tali interessi, infine, vanno calcolati non sulle somme integralmente rivalutate (il che condurrebbe ad una duplicazione delle voci risarcitone, come affermato nella nota sent. delle Sezioni Unite del 17.2.1995, n. 1712), e ciò comporta un calcolo di interessi alquanto inferiore a quelli calcolati integralmente per l’intero periodo.
La cadenza della rivalutazione comporta il calcolo degli interessi sulla somma via via rivalutata con periodicità annuale (cfr. Cass.. 20.6.1990, n. 6209, soluzione accolta, in genere, anche con riferimento alle esigenze di semplificazione dei calcoli). In tal caso, il calcolo della rivalutazione viene fatto anno per anno alla data convenzionale del 31 dicembre ed in quella data vengono computati gli interessi che. poi. sono improduttivi di ulteriori interessi e non vengono capitalizzati in alcun modo.
In definitiva, le somme complessivamente dovute alle attrici sono le seguenti:
A) danno liquidato al 27.4.2010 (cd. aestimatio): € 1.000,00; B1) interessi maturati al 31.8.2015: € 90,63; B2) rivalutazione maturata al 31.8.2015: € 76.00;
B) interessi e rivalutazione totali (B1 + B2): € 166,63.
Importo totale (A + B) dovuto al (cd. taxatio): € 1.166,63 (che si arrotonda ad € 1.166,34).
Pertanto, la convenuta va condannata al pagamento, in favore delle due attrici della somma complessiva suddetta, sulla quale sono poi dovuti i soli interessi legali dal 31.8.2015 sino al saldo e che è da ripartire e corrispondere ad ognuna delle due attrici per l’esatta metà dell’intero.
Tenendo conto del molto parziale accoglimento delle domande delle attrici, nettamente inferiore nel quantum a quanto esse avevano richiesto prima del giudizio, ricorrono giusti motivi per porre a carico della resistente 1/4 delle spese di lite, che liquida complessivamente e per intero come in dispositivo (tenendo conto del valore entro il quale le domande sono state accolte), con conseguente compensazione tra le parti dei restanti 3/4 di dette spese.
P.Q.M.
Il Giudice, F. C., definitivamente pronunziando sulle domande proposte da R. I. e R. P., con atto di citazione notificato il 13.1.2012, nei confronti dell’Azienda Sanitaria Locale BA, così provvede:
1) accoglie, per quanto di ragione, le domande delle attrici e. per l’effetto, condanna la convenuta al risarcimento dei danni subiti da B. M. per l’illecito di cui è causa, risarcimento che liquida nella complessiva somma di € 1.166.64 (di cui € 583.32 in favore di R. I. ed € 583.32 in favore di R. P.), comprensiva di rivalutazione e di interessi sull’importo in linea capitale specificato in motivazione via via rivalutato annualmente sino al 31.8.2015, oltre ai soli interessi legali da quest’ultima data sino al soddisfo;
2) condanna, infine, la convenuta al pagamento di 1/4 delle spese processuali delle attrici, che liquida complessivamente e per intero in € 2.897.28, di cui € 2.430.00 ed € 467.28 per borsuali. oltre IVA, CNF e rimborso forfetario delle spese generali come per legge, compensando tra le parti i restanti 3/4 di dette spese.
Così deciso in Bari il 4.10.2015.
