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T.A.R. Veneto sez. I, 08/04/2024, n. 661

Massima

In tema di cambio del cognome del minore, il dissenso di un genitore non può impedire l’aggiunta del cognome dell’altro genitore, dovendo il Prefetto valutare l’istanza alla luce del preminente interesse del minore all’identità personale e al riconoscimento del legame con entrambi i genitori.

Supporto alla lettura

DOPPIO COGNOME

Avere un doppio cognome significa avere un cognome composto da 2 parole su tutti i documenti anagrafici (carta di identità, passaporto e patente), oltreché su altri documenti ufficiali (codice fiscale, atti anagrafici, ecc.).

Il doppio cognome è una pratica sempre più diffusa in Italia, mentre in altri paesi è la regola (es. Spagna).

Gli unici 2 modi per poter aggiungere un secondo cognome sono:

  1. al momento della nascita: in questo caso, la scelta va fatta dai genitori al momento della dichiarazione di nascita. Ma il doppio cognome da poter aggiungere è solo quello materno;
  2. con una istanza da presentare alla Prefettura: in questo caso, il cognome può essere cambiato in qualsiasi momento della propria vita (da minorenne o maggiorenne). Inoltre, il doppio cognome può essere quello materno, di un parente, di fantasia, ecc.

Al momento della nascita, è possibile aggiungere (solo) il cognome materno tramite una dichiarazione all’ufficiale di stato civile. A prevedere ciò, però, non è stata una legge ma una recente sentenza della Corte Costituzionale italiana del 2022 secondo cui: “il figlio assume il cognome di entrambi i genitori nell’ordine dai medesimi concordato, salvo che essi decidano, di comune accordo, di attribuire soltanto il cognome di uno dei due. In mancanza di accordo sull’ordine di attribuzione del cognome di entrambi i genitori, resta salvo l’intervento del giudice in conformità con quanto dispone l’ordinamento giuridico“. Tale interpretazione della sentenza della Corte Costituzionale, però, non ha efficacia retroattiva. Questo significa che l’aggiunta del cognome materno tramite una semplice dichiarazione è possibile solo al momento della nascita e per i figli nati dopo il giorno 1 giugno 2022.

Per chi invece è già stato dichiarato alla nascita, e cioè ha già un cognome sui documenti di riconoscimento, la procedura è diversa, infatti l’unico modo per poter aggiungere il cognome materno e, più in generale, qualsiasi doppio cognome, è quello di presentare un’istanza alla Prefettura. L’istanza può essere presentata sia per i minorenni sia per i maggiorenni.

Ambito oggettivo di applicazione

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1329 del 2017, proposto da
(omissis), rappresentata e difesa dagli avvocati (omissis) e (omissis), con domicilio eletto presso lo studio (omissis) in Mestre, via (omissis);

contro

Ministero Interno, Prefettura (omissis), non costituiti in giudizio;

nei confronti

(omissis), non costituito in giudizio;

per l’annullamento

– del decreto del Prefetto di (omissis) (omissis) che ha respinto l’istanza presentata da (omissis) per l’attribuzione anche del cognome materno al figlio minore (omissis);

– di ogni altro atto presupposto connesso e/o conseguente.

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 febbraio 2024 il dott. (omissis) e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1. La ricorrente, nella sua qualità di genitore esercente la responsabilità genitoriale, ha impugnato il provvedimento di cui in epigrafe con il quale la Prefettura di (omissis) ha respinto la sua istanza del 31 gennaio 2016 per il cambiamento del cognome del figlio, (omissis) (nato il 23 aprile 2010 nel contesto di una relazione sentimentale precedente al matrimonio), con l’aggiunta del cognome materno ((omissis)) a quello paterno.

L’esigenza di attribuire (o meglio di aggiungere) il cognome della madre al figlio (omissis) sarebbe emersa dopo che, l’8 settembre 2015, all’interno del matrimonio contratto con l’attuale marito, (omissis), è nato il figlio (omissis) (il quale porta i cognomi dei entrambi i genitori), e si è tra l’altro posta l’esigenza di formalizzare innanzi alla società, nella cerchia amicale e di fronte alle Istituzioni (in particolare, quelle scolastiche), il rapporto che lega i due fratelli, entrambi figli della ricorrente e con essa conviventi.

2. Il diniego è stato espresso unicamente sul rilievo dell’opposizione del padre dissenziente, formulata ai sensi dell’art. 91 del d.P.R. n. 396 del 2000, tenuto conto che “la Corte Costituzionale con sentenza n. 286 – 8 Novembre 2016, ha ritenuto ammissibile che, in deroga alla regola, consuetudinaria, della automatica attribuzione del cognome paterno, possa essere attribuito al figlio, legittimo naturale o adottivo, al momento della nascita, del riconoscimento o dell’adozione, il cognome materno in aggiunta a quello paterno, sempreché e solo in caso vi sia una comune volontà espressa in tal senso da parte dei genitori (legittimi naturali o adottivi). […] nel caso di specie, non sussistono i presupposti per procedere al cambiamento del cognome del minore […], con l’aggiunta del cognome materno, stante l’opposizione del padre naturale […]”, ossia non risultando la comune volontà dei genitori. In definitiva, in presenza dell’opposizione del padre e, dunque, mancando l’accordo dei genitori, l’istanza della madre (diretta peraltro ad aggiungere e non a sostituire il proprio cognome a quello paterno) non avrebbe potuto essere accolta, difettandone il necessario presupposto (l’accordo dei genitori).

3. La ricorrente impugna in questa sede il diniego sulla base delle seguenti censure:

(1) erronea/mancata applicazione di legge (d.P.R. 396/2000 regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile in particolare artt. 33 e 34 e 89, 90, 91) eccesso di potere per sviamento, travisamento, erroneità dei presupposti. Erronea/sviata applicazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 286/2016; nel richiamare la sentenza della Corte Costituzionale n. 286 del 2016, l’Amministrazione avrebbe erroneamente ritenuto che l’accordo dei genitori costituisca il presupposto per la trasmissione al figlio del cognome materno. Assume la ricorrente che la fattispecie in esame differisca in termini sostanziali da quella esaminata dalla Corte Costituzionale, riguardante il caso di attribuzione del cognome al momento della nascita o dell’adozione. Nella fattispecie, oggetto dell’istanza sarebbe invece l’aggiunta del cognome della madre a quello paterno, sulla base del principio – derivato dalla medesima giurisprudenza costituzionale – della perfetta equiparazione che sussiste tra i due cognomi. Di conseguenza, in mancanza di un automatismo diretto a privilegiare l’imposizione del cognome del padre, entrambi potrebbero legittimamente coesistere, dal momento che la precedente attribuzione dell’uno non potrebbe comunque escludere la successiva aggiunta dell’altro;

(2) violazione di legge (artt. 2, 3 e 29 costituzione, d.P.R. – 9 – 396/2000 regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile in particolare artt. 89, 90, 91) eccezione di incostituzionalità delle predette norme del d.P.R. 396/2000. Eccesso di potere per sviamento, travisamento, erroneità dei presupposti. mancata applicazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 286/2016; la ricorrente, dopo avere richiamato il principio di unicità dello status fliationis e il diritto – sotteso a tale principio – del figlio (sia esso nato all’interno del matrimonio, naturale ovvero adottato) ad essere identificato attraverso l’attribuzione del cognome di entrambi i genitori, esclude che, nell’ambito di tali coordinate interpretative, l’assenso di un genitore possa costituire condizione di procedibilità della richiesta di aggiunta del cognome dell’altro, siano essi o meno legati da rapporto di coniugio. Al dissenso del padre, dunque, non potrebbe essere ricondotto alcun automatismo preclusivo, dovendosi ravvisare piena uguaglianza e pari dignità (morale e giuridica) tra entrambi i genitori, e potendo i rispettivi cognomi coesistere così da rappresentare, se richiesto, entrambe le linee di filiazione (paterna e materna), posto che l’una non può prevalere sull’altra;

(3) eccesso di potere per carenza di motivazione; il diniego, inoltre, non sarebbe adeguatamente motivato, poiché non conterrebbe l’indicazione dei presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che sorreggono la decisione, specie in relazione alle ragioni (sopra ricordata) che la ricorrente ha posto a sostegno della domanda.

4. L’Amministrazione e il controinteressato (omissis), pur ritualmente intimati, non si sono costituiti in giudizio.

5. Chiamata infine alla pubblica udienza del 21 febbraio 2024, la causa è stata assegnata alla decisione.

6. Il ricorso è fondato.

6.1 Vanno scrutinati congiuntamente i tre motivi di ricorso, strettamente connessi, in quanto complessivamente diretti a negare rilievo preclusivo al mancato accordo con il genitore controinteressato, il cui mero dissenso (manifestato dal padre allorché la Prefettura gli ha comunicato la pendenza dell’istanza) non ostacolerebbe l’attivazione del procedimento, e la favorevole definizione della richiesta di mutamento del cognome del minore.

6.2 L’istanza in esame è stata proposta ai sensi dell’art. 89, del d.P.R. n. 396 del 2000, secondo cui “chiunque vuole cambiare il nome o aggiungere al proprio un altro nome ovvero vuole cambiare il cognome, anche perché ridicolo o vergognoso o perché rivela l’origine naturale o aggiungere al proprio un altro cognome, deve farne domanda al prefetto”.

La richiesta di cambio del cognome del minore, con aggiunta di quello materno, è stata respinta in quanto proposta da un solo genitore, la cui manifestazione di volontà sarebbe insufficiente per poter dare corso alla richiesta. In definitiva, secondo l’Amministrazione l’istanza sarebbe dovuta conseguire ad una richiesta congiunta dei coniugi o avrebbe, comunque, dovuto essere corredata dall’assenso di entrambi, non potendo il Prefetto autorizzare il cambio del cognome in presenza della opposizione del padre del minore, ancorché non provvisto della responsabilità genitoriale.

6.3 L’assunto dell’Amministrazione non può essere condiviso.

Si deve innanzitutto premettere che, per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 131 del 2022, è mutato il regime normativo relativo all’attribuzione del cognome ai figli: la Corte ha stabilito che, in via generale, il figlio assume il cognome di entrambi i genitori nell’ordine concordato dagli stessi (ovvero determinato all’esito della composizione dell’eventuale contrasto sull’ordine dei cognomi, ai sensi dell’art. 316, commi 2° e 3°, c.c.; vd. circ. Min. Int. n. 63 del 2022), fatto comunque salvo il loro accordo di trasmetterne uno soltanto.

Con tale pronuncia, la Corte costituzionale ha precisato che la nuova disciplina riguarda “il momento attributivo del cognome del figlio, sicché la presente sentenza, dal giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, troverà applicazione alle ipotesi in cui l’attribuzione del cognome non sia ancora avvenuta, comprese quelle in cui sia pendente un procedimento giurisdizionale finalizzato a tale scopo”.

La Corte costituzionale ha quindi aggiunto che “eventuali richieste di modifica del cognome, salvo specifici interventi del legislatore, non potranno, dunque, che seguire la procedura regolata dall’art. 89 del d.P.R. n. 396 del 2000, come sostituito dall’art. 1, comma 1, del d.P.R. n. 54 del 2012”.

6.4 La presente controversia non ricade, ovviamente, nella disciplina attualmente vigente dopo la sentenza della Corte costituzionale. Come peraltro recentemente posto in luce dal Consiglio di Stato – secondo l’orientamento cui il Collegio intende qui aderire –, “taluni principi espressi dalla Corte in tale decisione (ed in quelle che l’hanno preceduta), possano assumere rilevanza nell’esercizio del potere discrezionale di cui dispone il Prefetto in sede di decisione sulle richieste di mutamento del cognome in ambito familiare.

Occorre partire, innanzitutto, dal cambio di prospettiva che la Corte Costituzionale ha abbracciato in ordine alla portata e alla valenza del cognome dell’individuo, anche in ragione dell’influenza della Corte EDU.

Da un iniziale approccio teso ad assumere il cognome come segno distintivo della famiglia e, quindi, come strumento per individuare l’appartenenza della persona a un determinato gruppo familiare (Corte Cost., ordinanze n. 176/1988 e n. 586/1988), si è passati ad un processo di valorizzazione del diritto all’identità personale, valore assoluto avente copertura costituzionale ex art. 2 Cost., in virtù del quale il cognome assurge ad espressione dell’identità del singolo (Corte Cost. n. 286/2016).

Invero, la originaria procedura di attribuzione del cognome era basata, come rilevato dalla stessa Corte Costituzionale nella sentenza n. 61/2006, su un sistema costituente retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, la quale affondava le proprie radici nel diritto di famiglia romanistico e di una tramontata potestà maritale, non più ritenuta coerente con i principi dell’ordinamento.

Tale sistema è stato abbandonato dalla Corte Costituzionale, anche a seguito della condanna dello Stato italiano da parte della Corte EDU (Cusan-Fazzo contro Italia, del 7 gennaio 2014), dapprima, con la citata pronuncia n. 286/2016 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme che non consentono ai coniugi di trasmettere, di comune accordo, il cognome materno e, più di recente, con la sentenza n. 131/2022 con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale di tutte le norme che prevedono l’automatica attribuzione del cognome del padre con riferimento ai figli nati “dentro e fuori dal matrimonio” e a quelli adottivi (cfr. sul punto TAR Lazio, Sez. I Ter, 1 luglio 2022 n. 8964).

[…] Nella successiva sentenza n. 135 del 10 maggio – 4 luglio 2023, la Corte Costituzionale, nel pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell’art. 299, comma 1, del codice civile, che imponeva nel caso di adozione di persona maggiorenne, l’obbligatoria anteposizione del cognome dell’adottante a quello dell’adottato, ha ripercorso la propria giurisprudenza sul diritto all’identità personale e sul diritto al nome, dichiarando l’illegittimità dell’irragionevole compressione del diritto inviolabile all’identità personale. Ha richiamato, in particolare, la sentenza n. 286 del 2016, secondo cui “il diritto al nome [sarebbe] indissolubilmente collegato al diritto all’identità personale e che la protezione di esso sostanzi e determini realizzazione di quest’ultima”.

È emersa, quindi, una particolare sensibilità sul tema del “cognome”, come testimonianza del legame del figlio con entrambi i suoi genitori, o, se si vuole, con ciascuno di essi, in quanto l’assegnazione del cognome deve intendersi funzionale alla migliore costruzione dell’identità del figlio” (Cons. Stato, 19 settembre 2023, n. 8422).

All’interno di tale cornice di principio, l’equiparazione delle figure genitoriali in sede di attribuzione del cognome alla prole (delineata sin dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 286 del 2016) si traduce nella regola secondo cui al figlio sono assegnati i cognomi di entrambi i genitori salvo accordo contrario, così da porre sul medesimo piano giuridico le linee, paterna e materna, della filiazione, in un assetto che le vuole complementari e coesistenti, proprio perché allo stesso modo essenziali nella definizione dell’identità dell’individuo.

Identità che in questa più ampia accezione, come traspare nel caso esaminato, appare funzionale alla definizione del contesto sociale nel quale l’individuo è inserito e svolge la propria personalità (art. 5 Cost.), in ragione dell’appartenenza ad un dato gruppo familiare (art. 29 Cost.), il cui perimetro e i cui legami assumono consistenza attraverso il riferimento formale ad entrambe le figure genitoriali.

6.5 Alla stregua delle considerazioni che precedono, ritiene il Collegio che l’impugnato diniego non sia immune dalle dedotte doglianze di eccesso di potere e di violazione di legge, nel quadro di una lettura in senso costituzionalmente orientato dell’art. 89 del d.P.R. n. 396 del 2000. La Corte, infatti, con la declaratoria di incostituzionalità della norma complessivamente desumibile dagli artt. 237, 262 e 299 c.c., 72, comma 1, r.d. 9 luglio 1939, n. 1238, nonché 33 e 34, d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, nella parte in cui non consente ai coniugi, di comune accordo, di trasmettere ai figli, al momento della nascita, anche il cognome materno, ha altresì sollecitato il legislatore ad un “indifferibile intervento legislativo, destinato a disciplinare organicamente la materia, secondo criteri finalmente consoni al principio di parità tra i coniugi” (C. Cost., 21 dicembre 2016, n. 286), per poi giungere – nell’inerzia del Legislatore – all’affermazione della regola sopra citata, secondo cui, come si è ricordato, il figlio assume il cognome di entrambi i genitori nell’ordine concordato dagli stessi, fatto salvo il loro accordo di trasmetterne uno soltanto (C. Cost., 4 luglio 2023, n. 135)

Occorre sottolineare come, alla base di tale percorso ermeneutico, si ponga l’affermazione di un principio immanente alla definizione e all’assetto costituzionale dei diritti dell’individuo, secondo cui la mancata previsione della possibilità per la madre di attribuire al figlio anche il proprio cognome, nonché per il figlio di essere identificato anche con il cognome della madre, pregiudichi il diritto all’identità personale e, nel contempo, dia luogo ad un’irragionevole disparità di trattamento tra i genitori, che si pone in insanabile contrasto con i corollari desumibili dall’art. 2 Cost. oltre che dall’art. 8 della Convenzione EDU.

Alla stregua della suddetta lettura costituzionalmente orientata della normativa e dei principi espressi dalla Corte (direttamente applicabili alla presente fattispecie come statuito da Cons. Stato, Sez. III, n. 8422 del 2023), emerge pertanto l’erroneità dell’assunto prefettizio circa l’indispensabilità dell’assenso di entrambi i genitori. Non può infatti essere riconosciuto al dissenso manifestato dal padre alcun automatico effetto impeditivo dell’esame dell’istanza della madre, sussistendo piena uguaglianza e pari dignità morale e giuridica tra entrambi i genitori e ben potendo i rispettivi cognomi coesistere – e ciò anche a prescindere dal riparto nel concreto della responsabilità genitoriale, nel caso di specie attribuita alla sola madre affidataria – in quanto funzionali alla definizione dell’identità del figlio.

7. Di conseguenza, il ricorso deve essere accolto con conseguente annullamento dell’impugnato provvedimento di rigetto dell’istanza della ricorrente, dovendo l’Amministrazione rideterminarsi sulla base dei principi sopra espressi.

Le spese di lite vanno compensate per l’intero, tenuto conto della particolarità e della parziale novità della questione esaminata.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi e per gli effetti di cui in motivazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1, 2 e 5, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 e dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera f), del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di riproduzione e diffusione del presente provvedimento, all’oscuramento delle generalità dei minori, dei soggetti esercenti la responsabilità genitoriale o la tutela e di ogni altro dato idoneo ad identificare i medesimi interessati ivi citati e, comunque, ogni persona fisica menzionata nella decisione.

Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 21 febbraio 2024 con l’intervento dei magistrati:

(omissis)

Allegati

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