SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 420 del 2015, proposto da:
(omissis), (omissis), rappresentati e difesi dagli avv. (omissis), (omissis), con domicilio eletto presso (omissis) in Firenze, Via (omissis);
contro
Questura di Firenze in persona del Questore pro tempore, Ministero dell’Interno in persona del Ministro pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Firenze, domiciliata in Firenze, Via (omissis);
per l’annullamento
dei provvedimenti DASPO del Questore della Provincia di Firenze, dd. 12.12.2014, tutti di egual durata e contenuto, notificati in data 17.12.2014, con i quali veniva fatto divieto ex art. 6 della L. 401/1989, come modificato dal D. L. 22.12.1994 n. 717, convertito nella l. 24.02.1995 n. 45, dal D. Lgs. 377/2001 e dalla L. 41/2007, di accedere ai luoghi ove si svolgono incontri di calcio relativi ai campionati nazionali professionisti e dilettanti, ai tornei internazionali, ai tornei amichevoli, alle partite della nazionale italiana di calcio, che verranno disputate sul territorio nazionale, nonché sul territorio degli altri stati appartenenti all’Unione Europea, per la durata di anni 5.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Questura di Firenze e Ministero dell’Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 5 novembre 2015 il dott. (omissis) e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con provvedimenti 12 dicembre 2014 prot. n. 189 e 200/14-D, il Questore di Firenze faceva divieto ai ricorrenti, ai sensi dell’art. 6, 1° comma della l. 13 dicembre 1989, n. 401, di accedere <<ai luoghi ove si svolgono incontri di calcio relativi ai campionati nazionali professionisti e dilettanti, ai tornei internazionali, ai tornei amichevoli, alle partite della nazionale italiana di calcio, che verranno disputate sul territorio nazionale, nonché sul territorio degli altri Stati appartenenti all’Unione Europea>>per il periodo di 5 anni; divieto esteso, per lo stesso arco temporale, ai <<luoghi circostanti lo Stadio “Rigamonti” di Brescia, nonché in tutti i luoghi interessati alla sosta, al transito o al trasporto di coloro che partecipano o assistono alle predette manifestazioni>>; con gli stessi provvedimenti era altresì ordinato ai ricorrenti, ai sensi dell’art. 6, 2° comma della citata l. 13 dicembre 1989, n. 401, di presentarsi, rispettivamente, presso gli Uffici della Questura di Brescia e la Stazione Carabinieri di Gardone Val Trompia <<un quarto d’ora dopo il calcio di inizio delle gare, un quarto d’ora dopo l’inizio del secondo tempo ed un quarto d’ora dopo la fine delle stesse, nei giorni in cui la squadra calcistica del Brescia disputerà a Brescia o in altre città della Lombardia, incontri ufficiali di campionato nazionale, di Coppa Italia e di coppe internazionali e nei giorni in cui la Nazionale Italiana di calcio disputerà incontri nella Provincia di Brescia; una sola volta mezz’ora dopo l’inizio del primo tempo delle gare, nei giorni in cui la squadra calcistica del Brescia disputerà fuori dalla Regione Lombardia gli incontri ufficiali di campionato nazionale, di Coppa Italia e di Coppe internazionali>> (anche in questo caso, per un periodo di cinque anni dalla notifica del provvedimento).
Il provvedimento sopra descritto (cd. D.A.S.P.O.) traeva origine dall’episodio avvenuto il 27 settembre 2014 presso l’area di servizio “Chianti Ovest” e che vedeva l’aggressione ad alcuni tifosi del Verona messa in atto ad opera di tifosi del Brescia, in transito per assistere alla partita Perugia-Brescia e facenti parte di un numeroso gruppo poi identificato all’arrivo a Perugia.
Gli atti sopra meglio specificati erano impugnati dai ricorrenti per: 1) eccesso di potere per travisamento dei fatti, nonché insufficienza, illogicità, contraddittorietà della motivazione e difetto di istruttoria; 2) violazione di legge, art. 6 l. 401/1989 ed eccesso di potere per difetto ed indeterminatezza dei presupposti in merito alle manifestazioni sportive ed ai luoghi di transito inibiti.
Si costituivano in giudizio le Amministrazioni intimate, controdeducendo sul merito del ricorso.
Con ordinanza 17 aprile 2015 n. 275 era accolta l’istanza cautelare proposta con il ricorso.
Alla pubblica udienza del 5 novembre 2015, Sezione sollecitava il contraddittorio in ordine ad una possibile inammissibilità parziale del gravame per difetto di giurisdizione e lo tratteneva in decisione.
L’impugnazione del divieto di accedere a manifestazioni sportive ex art. 6, 1° comma della l. 13 dicembre 1989, n. 401 è fondata e deve pertanto essere accolta.
La problematica è già stata affrontata dalla Sezione con le sentenze 17 gennaio 2013 n. 67 e 28 febbraio 2014, n. 403, che possono essere richiamate, anche in funzione motivazionale della presente decisione: <<la giurisprudenza del Giudice amministrativo e della Sezione (T.A.R. Toscana, sez. II, 6 ottobre 2011 n. 1463) ha sottolineato, da tempo, l’elevata discrezionalità che la norma attributiva del potere riconosce all’Amministrazione, ai fini dell’individuazione dei possibili destinatari della misura di prevenzione: <<la misura del divieto di accesso agli impianti sportivi (c.d. D.A.S.P.O.) può essere disposta non solo nel caso di accertata lesione, ma anche di pericolo di lesione dell’ordine pubblico, come nel caso di semplici condotte che comportano o agevolano situazioni di allarme e di pericolo; detto potere si connota di un’elevata discrezionalità, in considerazione delle finalità di pubblica sicurezza cui è diretto in vista della tutela dell’ordine pubblico, non solo in caso di accertata lesione, ma anche in via preventiva in caso di pericolo, anche solo potenziale, di lesione; con la conseguenza che il divieto di accesso negli stadi non richiede un oggettivo e accertato fatto specifico di violenza, essendo sufficiente che il soggetto non dia affidamento di tenere una condotta scevra da episodi di violenza, accertamento che resta incensurabile nel momento in cui risulta congruamente motivato, avuto riguardo a circostanze di fatto specifiche>> (T.A.R. Puglia, Lecce, sez. I, 25 ottobre 2012 n. 1796; T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 5 dicembre 2011 n. 9547; 11 agosto 2011 n. 7083; T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. I, 4 marzo 2011 n. 301; Cons. Stato, sez. VI, 16 dicembre 2010, n. 9074).
L’adozione dei provvedimenti di prevenzione ex art. 6, 1° comma della l. 13 dicembre 1989, n. 401, <<riconducibili al genus delle misure di prevenzione o di polizia …… deve (pertanto) risultare motivata con riferimento a comportamenti concreti ed attuali del destinatario, dai quali possano desumersi talune delle ipotesi previste dalla legge come indice di pericolosità per la sicurezza e la moralità pubblica, tali da ingenerare nelle tifoserie sentimenti di odio e di vendetta o, comunque, condotte di incitamento alla violenza durante una manifestazione sportiva>> (T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 7 maggio 2012 n. 4091>>.
Per quello che riguarda l’aspetto soggettivo, la recente giurisprudenza della Sezione ha poi sottolineato come l’applicazione del cd. D.A.S.P.O. non possa prescindere dall’accertamento delle responsabilità del singolo in un qualche episodio di violenza che possa giustificare l’applicazione della misura di prevenzione: <<con riferimento alla vicenda che ci occupa, la Sezione ha già rilevato, in sede cautelare, l’illegittimità dei provvedimenti impugnati <<sotto il profilo della carenza di istruttoria e motivazione in relazione alla previsione di cui all’art. 6 l. 401/89 attualmente in vigore, dato che, dalla relazione di servizio, oltre agli altri presupposti di cui all’art. 6 cit., manca ogni riferimento e descrizioni di singoli episodi di violenza a carico di ciascuno dei ricorrenti al momento dei fatti contestati, citandosi solo 4 di loro, visti oltrepassare le transenne unitamente ad altre persone in numero non specificato (circa 300), senza considerare le specifiche circostanze di fatto dovute all’improvviso arrivo di un temporale, senza valutare come si sono comportati addetti e stewards dopo lo scoppio dello stesso in ordine alle modalità di controllo dei biglietti e alla permanenza al loro posto, senza verificare la struttura dei cancelli di ingresso (se erano stati lasciati incustoditi e aperti e se erano aperti altri settori), se ciascuno dei ricorrenti era o meno in possesso di biglietto e quali erano state le modalità di rimborso degli stessi ad opera dell’organizzatore dell’evento sportivo;……(peraltro) dalla documentazione in atti non emerge che ai singoli ricorrenti siano stati ascritti specifici episodi di istigazione alla violenza né che sul posto si siano verificati episodi di istigazione e/o violenza>> (T.A.R. Toscana, sez. II, ord. 8 settembre 2011 n. 909). La conclusione merita di essere mantenuta anche nella spirito di maggiore approfondimento proprio della fase decisoria del merito. La semplice lettura dell’atto impugnato e delle relazioni di servizio depositate in giudizio dall’Amministrazione resistente non evidenzia, infatti, comportamenti individuali caratterizzati dal requisito della violenza e si limita ad utilizzare espressioni (<<accodandosi alle persone in fila al varco del pre-filtraggio>>; <<approfittando di coloro che accedevano all’impianto>>; ecc.) che non implicano necessariamente, anche avuto riguardo alla particolare situazione ambientale (violento temporale abbattutosi su Lucca), l’esercizio di comportamenti violenti idonei a determinare l’applicazione del provvedimento preventivo ex art. 6, 1° comma l. 13 dicembre 1989, n. 401>> (T.A.R. Toscana, sez. II, 17 gennaio 2013 n. 67; 22 gennaio 2013 n. 97; nello stesso senso, si veda anche, T.A.R. Liguria, sez. II, 6 marzo 2013 n. 428)>>.
Del resto, si tratta di soluzione che oggi trova ulteriore giustificazione in una decisione della Corte di Giustizia UE che, in una controversia relativa alle misure di prevenzione internazionali applicate alla rete Al-Qaeda, ha affermato un principio sicuramente generalizzabile ed applicabile a tutte le misure di prevenzione: <<senza spingersi sino ad imporre di rispondere in dettaglio alle osservazioni presentate dalla persona coinvolta (v., in questo senso, sentenza Al-Aqsa/Consiglio e Paesi Bassi/Al-Aqsa, cit., punto 141), l’obbligo di motivazione previsto dall’articolo 296 TFUE implica in tutte le circostanze, …….che tale motivazione identifichi le ragioni individuali, specifiche e concrete per cui le autorità competenti ritengono che alla persona interessata debbano essere applicate misure restrittive (v., in questo senso, citate sentenze Al-Aqsa/Consiglio e Paesi Bassi/Al-Aqsa, punti 140 e 142, nonché Consiglio/Bamba, punti da 49 a 53)>> (Corte Giust. UE, 18 luglio 2013 nelle cause riunite C-584/10P, C-593/10P e C-595/10P, punto n. 116)>> (T.A.R. Toscana, sez. II, 28 febbraio 2014, n. 403).
La soluzione non è poi sostanzialmente modificata dalla nuova strutturazione dell’art. 6, 1° comma della l. 13 dicembre 1989, n. 401 derivante dalle modificazioni disposte dall’art. 2, 1° comma, lett. a) del d.l. 22 agosto 2014, n. 119 (conv. in l. 17 ottobre 2014 n. 119), con riferimento alla problematica del c.d. D.A.S.P.O. di gruppo; deve, infatti, ritenersi che il riferimento all’aver <<tenuto, anche all’estero, una condotta, sia singola che di gruppo, evidentemente finalizzata alla partecipazione attiva ad episodi di violenza, di minaccia o di intimidazione, tali da porre in pericolo la sicurezza pubblica o a creare turbative per l’ordine pubblico>> presupponga comunque un comportamento di partecipazione o anche solo di agevolazione di manifestazioni di violenza (in questo senso, si veda la recente T.A.R. Liguria, sez. II, 5 ottobre 2015, n. 768).
Nella vicenda che ci occupa, la motivazione apposta agli atti impugnati e l’intera documentazione depositata in giudizio non evidenziano comportamenti assunti dai ricorrenti che possano essere qualificati in termini di partecipazione o anche solo di agevolazione di manifestazioni di violenza (come desumibile anche dalla richiesta di archiviazione 28 ottobre 2014 della Procura della Repubblica di Firenze); l’unico comportamento sicuramente attribuibile agli stessi appare pertanto essere costituito dall’aver utilizzato gli stessi mezzi di trasporto collettivi utilizzati dagli autori dei comportamenti di violenza e dall’essere stati identificati, non nell’immediatezza dei fatti, ma all’arrivo dell’intero gruppo a Perugia.
Per quello che riguarda la contestazione dell’obbligo di firma imposto ai ricorrenti, ai sensi dell’art. 6, 2° comma della l. 13 dicembre 1989, n. 401, la Sezione non ha motivo per discostarsi dalla giurisprudenza che ha rilevato, sulla base delle previsioni dei commi 3 e 4 della citata previsione dell’art. 6 della l. 401 del 1989 (che prevedono la necessaria convalida dell’obbligo di firma da parte del Giudice per le indagini preliminari e riservano alla Corte di cassazione ogni contestazione giudiziale del provvedimento di convalida), come la contestazione giudiziaria dell’imposizione dell’obbligo di firma non ricada nelle attribuzioni giurisdizionali del Giudice amministrativo, essendo di indubbia competenza dell’A.G.O.: <<la Legge 401/1989, dopo aver stabilito che la prescrizione de qua cessa di aver efficacia se il GIP non ne dispone la convalida nelle quarantotto ore successive alla richiesta del Pubblico Ministero, dispone poi che “contro l’ordinanza di convalida è proponibile il ricorso per cassazione”. Trattandosi infatti di una limitazione imposta alla libertà personale del ricorrente, a norma dell’art. 13 della Costituzione, il vaglio circa la sua legittimità deve essere esercitato esclusivamente attraverso la procedura stabilita dalla legge, ovverossia attraverso il ricorso per cassazione. Ciò posto, qualora il provvedimento, oltre a comminare il divieto di accesso a manifestazioni sportive imponga, come nella specie, anche l’obbligo di presentazione all’autorità di P.S. e le censure articolate nel relativo ricorso si riferiscano a quest’ultimo obbligo, è pacifico che difetti la giurisdizione del giudice amministrativo, essendo competente il giudice ordinario (in al senso si veda TAR Liguria, Sez. 2^, 15 febbraio 2006, n. 137 nonché TAR Liguria, Sez. 2^, 12 aprile 2007, n. 643). Invero, come già precisato dalla giurisprudenza della Sezione, il senso della disciplina contenuta nell’art. 6 Legge 401/1989, è quello di evidenziare come il controllo sui presupposti di legittimità dell’obbligo di presentazione appartenga per definizione – e non potrebbe essere diversamente, tenuto conto della natura stessa della misura – all’autorità giudiziaria ordinaria, ricadendo nella generale giurisdizione amministrativa di legittimità unicamente l’impugnazione del provvedimento recante il divieto di accesso ai luoghi ove si svolgono manifestazioni sportive (cfr. Cass. Penale, 27 ottobre 2004, n. 44273)>> (T.A.R. Liguria sez. II, 30 aprile 2010 n. 2027; T.A.R. Veneto, sez. III, 21 settembre 2010 n. 4890; per la giurisprudenza del T.A.R., si veda T.A.R. Toscana, sez. I, 8 novembre 2004 n. 5479).
Per quello che riguarda la contestazione giudiziale dell’imposizione dell’obbligo di firma deve pertanto essere dichiarato il difetto di giurisdizione del Giudice amministrativo nei confronti dell’A.G.O.; ai sensi dell’art. 11, 2° comma del c.p.a. gli effetti processuali e sostanziali della domanda potranno essere fatti salvi, nell’ipotesi in cui il processo sia riproposto innanzi all’Autorità giudiziaria ordinaria, entro il termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato della presente sentenza.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e devono essere poste a carico delle Amministrazioni resistenti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:
a) accoglie, come da motivazione, l’azione di annullamento relativa alla contestazione giudiziale dei provvedimenti ex art. 6, 1° comma della l. 13 dicembre 1989, n. 401, adottati nei confronti dei ricorrenti e, per l’effetto, dispone l’annullamento degli atti impugnati;
b) dichiara il difetto di giurisdizione del Giudice amministrativo nei confronti dell’A.G.O. per quello che riguarda la contestazione giudiziale dell’obbligo di firma ex art. 6, 2° comma della l. 13 dicembre 1989, n. 401.
Condanna le Amministrazioni resistenti alla corresponsione ai ricorrenti della somma di € 1.000,00 (mille/00), oltre ad IVA e CAP, a titolo di spese del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 5 novembre 2015 con l’intervento dei magistrati:
(omissis)
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 25/11/2015