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T.A.R. Roma, (Lazio) sez. IV, 15/07/2024, n.14355

Massima

In tema di tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica, il blocco DNS disposto dall’AGCOM nei confronti di un sito web che consenta massivamente la fruizione non autorizzata di opere protette è conforme ai principi di proporzionalità, adeguatezza ed effettività, ove risulti necessario per impedire la prosecuzione delle violazioni e salvaguardare i diritti patrimoniali degli autori, senza imporre ai prestatori di servizi di mere conduit obblighi di sorveglianza generale non previsti dalla normativa comunitaria. 

Supporto alla lettura

PROPRIETA’ INTELLETTUALE 

La proprietà intellettuale consiste in un sistema di tutela giuridica dei beni immateriali che sono il risultato dell’attività inventiva e creativa dell’uomo. In particolare, si tratta di un insieme di diritti esclusivi riconosciuti sulle creazioni intellettuali, articolandosi, da un lato, nella proprietà industriale relativa a invenzioni (brevetti), marchi, disegni e modelli industriali e indicazioni geografiche e, dall’altro, nei diritti d’autore a copertura delle opere letterarie e artistiche.

Sebbene regolamentati da diverse normative nazionali e internazionali, i diritti di proprietà intellettuale (DPI) sono anche disciplinati dalla legislazione dell’Unione europea.

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto
FATTO e DIRITTO
La società (omissis) a.s. ha impugnato e chiesto l’annullamento della delibera di AGCOM n. 139/22/csp, emessa in data 28.9.2022 ai sensi degli artt. 8, commi 2 e 4, e 9, comma 1, lett. d), del regolamento in materia di tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica e procedure attuative ai sensi del d.lgs. 70/2003 di cui alla delibera n. 680/13/cons e s.m.i., con cui si è ordinato “ai prestatori di servizi di mere conduit operanti sul territorio italiano, individuati ai sensi dell’art. 14 del decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70, di provvedere alla disabilitazione dell’accesso al sito http://uloz.to, mediante blocco del DNS, da realizzarsi entro due giorni dalla notifica del presente provvedimento, con contestuale reindirizzamento automatico verso una pagina internet redatta secondo l’allegato A al presente provvedimento“; nonché di ogni atto presupposto, connesso e consequenziale.

In sintesi è accaduto: che con istanza del 5.9.2022 la SIAE (Società Italiana Autori ed Editori), in qualità di mandataria per il territorio italiano dei titolari dei diritti di sfruttamento sulle opere oggetto di istanza, ha segnalato la presenza, sul sito internet http:/uloz.to, in presunta violazione della legge 22 aprile 1941, n. 633, di una significativa quantità di opere di carattere sonoro, tra le quali quelle di alcuni cantanti (omissis); in sostanza, dalle verifiche condotte sul predetto sito è emerso che sarebbero state accessibili le riproduzioni delle opere sonore dei cantanti sopra indicati in presunta violazione degli artt. 2, comma 1, n. 2), 12,13,16,72 e ss. e 80 della legge 633/1941; e che, inoltre, sarebbe stato accertato che “il nome a dominio del sito risulta registrato dalla società (omissis), raggiungibile alla e-mail (omissis), per conto di un soggetto non identificabile” e che “i servizi di hosting appaiono forniti dalla società Vodafone Repubblica Ceca, con sede in (omissis) e indirizzo di posta elettronica (omissis) società cui risultano verosimilmente riconducibili anche i server impiegati, localizzati a Praga, Repubblica Ceca“; è stata, conseguentemente, data comunicazione dell’avvio del procedimento ai prestatori di servizi della società dell’informazione di cui all’art. 14 del d.lgs. 70/2003, mediante pubblicazione sul sito internet dell’Autorità, ai sensi dell’art. 8, comma 3 della legge 241/1990, e ciò in ragione dell’elevato numero di destinatari.

In esito all’istruttoria è stata confermata “l’accessibilità alle opere, configurando una fattispecie di violazione grave e di carattere massivo degli artt. 2, comma 1, n. 2), 12,13,16,72 e ss. e 80, della citata legge n. 633/41” e l’Autorità ha inoltre, escluso che “l’accesso a tali opere digitali sul medesimo sito, possa ritenersi giustificato alla luce del regime di eccezioni e limitazioni al diritto d’autore previsto dal Titolo I, Capo V, Sezione I, della legge n. 633/41“; il che ha condotto all’adozione dell’impugnato provvedimento.

A fondamento del ricorso sono stati dedotti i seguenti motivi:

1°) violazione degli artt. 1, 7 e 8 del Regolamento in materia di tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica e procedure attuative ai sensi del d.lgs. 70/2003; dell’art. 8 della legge 241/1990; degli artt. 2 e 16 del d.lgs. 70/2003; della Direttiva 2000/31/CE; eccesso di potere per sviamento; difetto d’istruttoria e di motivazione.

La ricorrente ha premesso che “Uloz.to, di proprietà della odierna società ricorrente e dalla stessa gestito, è un sito che consente lo sharing di contenuti di diversa natura, quali foto, video, musica; più nel dettaglio, tali contenuti vengono caricati (in upload) da utenti privati che si registrano al sito“; e che “proprio al fine di evitare eventuali commissioni di illeciti a sua insaputa (e data la difficoltà di controllare il gran numero di contenuti che vengono caricati ogni giorno dagli utenti privati di tutto il mondo), ha messo a disposizione degli utenti, e delle stesse pubbliche Autorità, un apposito canale ove è possibile effettuare la segnalazione di eventuali contenuti abusivi (analogamente a quanto si verifica, ad esempio, per il ben noto canale “youtube”), ossia un modello apposito (“abuse form”), una e-mail espressamente dedicato (abuse@uloz.to) e l’indirizzo fisico della società a Praga, al quale poter effettuare eventuali notifiche e comunicazioni cartacee” (cfr. pag. 6).

Un rimedio che proverebbe una condotta diligente da contestualizzare, peraltro, nella disciplina di cui alla Direttiva 2000/31/CE (“Direttiva sul commercio elettronico“), che all’art. 15 comma 1 postula la “assenza dell’obbligo generale di sorveglianza” (cfr. pag. 7).

Di contro, l’AGCOM non avrebbe informato la ricorrente “della possibilità di adeguarsi spontaneamente alla richiesta della SIAE, ovvero di eliminare i link (e solo tali link) che consentivano il download illecito di opere musicali” ed avrebbe, piuttosto, proceduto “all’integrale oscuramento del sito nella sua globalità, rendendo peraltro non più visibili i contenuti perfettamente leciti che sono caricati dagli utenti“, così violando le garanzie di partecipazione procedimentale, segnatamente contestandosi da parte della ricorrente che “la comunicazione a quest’ultima di avvio del procedimento – così come le altre comunicazioni – oltre a non essere in radice “particolarmente gravosa”, era facilitata dal fatto per cui, come già anticipato, accedendo al sito in contestazione vi era un apposito spazio dedicato alla possibilità di segnalare gli eventuali contenuti illeciti, attraverso il form appositamente dedicato o l’email abuse@uloz.to, o da ultimo l’indirizzo fisico della società riportato nel sito (“petacloud a.s., Javarova 3096, 43401, Most, Czech Republican”)” (cfr. pag. 8).

2°) Violazione degli artt. 7 e 8 del Regolamento in materia di tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica; dell’art. 1 della legge 241/1990, del principio di proporzionalità, del principio di adeguatezza; eccesso di potere per irragionevolezza e illogicità manifesta, sviamento.

Con tale motivo la ricorrente ha lamentato, in linea con quanto dedotto con il primo motivo, che “per raggiungere lo scopo perseguito dalla gravata delibera, sarebbe stato sufficiente comunicare alla Società ricorrente l’istanza presentata dalla odierna controinteressata e l’apertura del consequenziale procedimento istruttorio in modo tale da consentire alla Petacloud a.s. di rimuovere singolarmente i singoli link “incriminati”” (cfr. pag. 11); e che “l’Autorità non solo ha violato gli artt. 7 e 8 del Regolamento sotto molteplici angoli prospettici, bensì ha adottato una delibera ictu oculi sproporzionata in quanto, con l’oscuramento del sito internet “https://uloz.to” in Italia, che come già illustrato consente lo sharing di molteplici contenuti (a titolo meramente esemplificativo: foto, video, musica) che vengono caricati (in upload) da utenti privati, non sono stati più resi accessibili contenuti perfettamente leciti caricati dagli utenti” (cfr. pag. 12).

Si sono costituiti in giudizio la società SIAE (5.12.2022) e l’AGCOM (15.12.2022): la prima ha sottolineato, nella memoria depositata il 16.12.2022, che “l’Ufficio Antipirateria avviava (…) l’iter di segnalazione del sito ad AGCOM che si concludeva con l’istanza SIAE n. DDA/4554 (…), la quale veniva trasmessa all’Autorità con pec del 5 settembre 2022, ossia dopo ben tre mesi dalla comunicazione con la quale si contestava la presenza sulla piattaforma di opere tutelate dalla LdA, richiedendone la relativa rimozione. Con la citata istanza SIAE avvisava l’Autorità, rilevando quanto segue: “si evidenzia per il sito oggetto della presente istanza il carattere massivo delle violazioni al diritto d’Autore”” (cfr. pag. 8); e la seconda ha opposto, nella memoria depositata in data 16.12.2022, che “se Petacloud avesse davvero avuto l’intendimento di procedere spontaneamente alla rimozione dei contenuti ben avrebbe potuto farlo, senza attendere la conclusione del procedimento. Deve sottolinearsi, peraltro, come trovandosi i server in Repubblica Ceca e, dunque, al di fuori della giurisdizione italiana, l’unica misura che l’Autorità può disporre è la disabilitazione all’accesso dall’Italia, ordinando agli access provider italiani il blocco del DNS che identifica il sito” (cfr. pag. 6).

In esito all’istruttoria disposta con ordinanza collegiale n. 45 del 2 gennaio 2023, con ordinanza n. 770 dell’8 febbraio 2023 è stata accolta la domanda cautelare con la seguente motivazione: “considerato, ad un primo sommario esame proprio della fase cautelare, che la delibera impugnata non risulta essere stata preceduta da una rituale comunicazione di avvio, il cui deposito peraltro è stato oggetto dell’ordinanza istruttoria n. 45/2023; che, in base alle disposizioni vigenti, l’instaurazione del contraddittorio procedimentale risulta necessaria ai fini del successivo oscuramento del sito internet, a tutela del diritto d’autore“.

In vista dell’udienza di discussione del ricorso nel merito, fissata per il 10 luglio 2024, le parti hanno depositato le rispettive memorie.

In particolare: l’AGCOM, nella memoria depositata in data 24.6.2024, ha richiamato alcuni precedenti riferiti a giudizi aventi ad oggetto provvedimenti analoghi a quello oggetto del contendere e, soprattutto, ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per omessa impugnazione del regolamento di cui alla delibera n. 680/13/CONS “nella parte in cui disciplina le modalità di comunicazione dell’avvio del procedimento“; mentre la ricorrente, nella replica del 4.7.2024, ha controdedotto che la modalità e l’effettività della comunicazione di avvio del procedimento dovrebbe essere rapportata al carattere esasperatamente afflittivo della sanzione applicata (ossia l’oscuramento del sito); a tale udienza la causa è stata trattenuta per la decisione.

Preliminarmente, va respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso, opposta da AGCOM.

Nella fattispecie definita in seconde cure dal Consiglio di Stato con la sentenza della Sezione VI del 2 febbraio 2024, n. 1082 (che ha riformato la sentenza di questa Sezione del 17 luglio 2023, n. 12060), avente ad oggetto un provvedimento analogo a quello odiernamente impugnato, la ricorrente ha dedotto “l’inidoneità dello strumento della posta elettronica certificata ai fini della comunicazione dell’avvio del procedimento nei confronti di un soggetto non obbligato all’utilizzo del suddetto strumento“: una tesi che, all’opposto, non è stata riproposta nel ricorso introduttivo del presente giudizio, nel quale, piuttosto, è stata stigmatizzata la violazione dell’art. 8, comma 2 del regolamento, secondo cui “qualora ritenga sussistente la violazione del diritto d’autore o dei diritti connessi, l’organo collegiale esige, nel rispetto dei criteri di gradualità, di proporzionalità e di adeguatezza, che i prestatori di servizi destinatari della comunicazione di cui all’art. 7, comma 1, impediscano la violazione medesima o vi pongano fine“; ha, quindi, lamentato di non essere stata posta, pure a fronte di una comunicazione di avvio del procedimento, “nelle condizioni di porre fine alle violazioni in discussione da parte dell’Autorità resistente, proprio a causa delle inottemperanze compiute da quest’ultima” (cfr. pag. 8 del ricorso).

Ad avviso del Collegio, pertanto, lo specifico profilo rituale investe le modalità di applicazione di una disciplina regolamentare che non è stata contestata nei propri elementi fondativi.

Sebbene ammissibile, il ricorso è, però, infondato e, pertanto, va respinto, non cogliendo nel segno nessuno dei due motivi, che per affinità tematica possono essere esaminati in modo congiunto, il tutto in linea con le statuizioni rese dalla Sezione nella sentenza del 24 febbraio 2023, n. 3234.

L’Autorità ha applicato il regolamento in materia di tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica e procedure attuative ai sensi del d.lgs. 70/2003, approvato con deliberazione n. 680 del 12 dicembre 2013.

In particolare, è stata rilevata la violazione dell’art. 8, in cui si prevede che “qualora ritenga sussistente la violazione del diritto d’autore o dei diritti connessi, l’organo collegiale esige, nel rispetto dei criteri di gradualità, di proporzionalità e di adeguatezza, che i prestatori di servizi destinatari della comunicazione di cui all’articolo 7, comma 1, impediscano la violazione medesima o vi pongano fine, ai sensi degli articoli 14, comma 3, e 16, comma 3, del Decreto. A tale scopo, l’organo collegiale adotta gli ordini di cui ai commi 3, 4 e 5 nei confronti dei prestatori di servizi, i quali devono ottemperarvi entro tre giorni dalla notifica” (comma 2); e che “qualora il sito sul quale sono rese disponibili opere digitali in violazione del diritto d’autore o dei diritti connessi sia ospitato su un server ubicato fuori dal territorio nazionale, l’organo collegiale può ordinare ai prestatori di servizi che svolgono attività di mere conduit, di cui all’articolo 14 del Decreto, di provvedere alla disabilitazione dell’accesso al sito” (comma 4).

Le previsioni regolamentari hanno natura sostanzialmente normativa, considerato che nella legge 249/1997, istitutiva dell’AGCOM, l’art. 1, comma 6, lett. c) espressamente prevede che il Consiglio “garantisce l’applicazione delle norme legislative sull’accesso ai mezzi e alle infrastrutture di comunicazione, anche attraverso la predisposizione di specifici regolamenti“: il regolamento applicato, però, nella specie non è stato neppure impugnato dalla ricorrente.

Ma indipendentemente da tale, pur decisivo, profilo, ad avviso del Collegio l’impugnato provvedimento di disabilitazione costituisce null’altro che una piana applicazione delle disposizioni e dei principi posti a tutela del diritto d’autore, anzitutto riaffermati dalla legislazione e dalla giurisprudenza comunitaria: il che depone per l’infondatezza dei rilievi afferenti alla presunta violazione del principio di proporzionalità.

Proprio la Corte di Giustizia dell’Unione europea, nella sentenza del 22 giugno 2021 (cause riunite C 682/18 e C 683/18) ha delineato il quadro delle disposizioni del diritto unionale rilevanti ai fini del decidere, segnatamente le norme recate dalla direttiva 2001/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2001, sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione (c.d. direttiva sul diritto d’autore) e dalla direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’8 giugno 2000 relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno (c.d. direttiva sul commercio elettronico).

Il considerando 59 della direttiva sul diritto d’autore stabilisce che “in particolare in ambito digitale, i servizi degli intermediari possono essere sempre più utilizzati da terzi per attività illecite. In molti casi siffatti intermediari sono i più idonei a porre fine a dette attività illecite. Pertanto fatte salve le altre sanzioni e i mezzi di tutela a disposizione, i titolari dei diritti dovrebbero avere la possibilità di chiedere un provvedimento inibitorio contro un intermediario che consenta violazioni in rete da parte di un terzo contro opere o altri materiali protetti. Questa possibilità dovrebbe essere disponibile anche ove gli atti svolti dall’intermediario siano soggetti a eccezione ai sensi dell’articolo 5. Le condizioni e modalità relative a tale provvedimento ingiuntivo dovrebbero essere stabilite dal diritto nazionale degli Stati membri“; l’art. 3 della medesima direttiva prevede che “gli Stati membri riconoscono agli autori il diritto esclusivo di autorizzare o vietare qualsiasi comunicazione al pubblico, su filo o senza filo, delle loro opere, compresa la messa a disposizione del pubblico delle loro opere in maniera tale che ciascuno possa avervi accesso dal luogo e nel momento scelti individualmente” ed il successivo art. 8 puntualizza che “1. Gli Stati membri prevedono adeguate sanzioni e mezzi di ricorso contro le violazioni dei diritti e degli obblighi contemplati nella presente direttiva e adottano tutte le misure necessarie a garantire l’applicazione delle sanzioni e l’utilizzazione dei mezzi di ricorso. Le sanzioni previste devono essere efficaci, proporzionate e dissuasive. 2. Ciascuno Stato membro adotta le misure necessarie a garantire che i titolari dei diritti i cui interessi siano stati danneggiati da una violazione effettuata sul suo territorio possano intentare un’azione per danni e/o chiedere un provvedimento inibitorio e, se del caso, il sequestro del materiale all’origine della violazione, nonché delle attrezzature, prodotti o componenti di cui all’articolo 6, paragrafo 2. 3. Gli Stati membri si assicurano che i titolari dei diritti possano chiedere un provvedimento inibitorio nei confronti degli intermediari i cui servizi siano utilizzati da terzi per violare un diritto d’autore o diritti connessi“.

Tuttavia, la direttiva sul commercio elettronico, in qualche modo temperando e calibrando le conseguenze derivanti dalle previsioni dei considerando recati dalla direttiva sul diritto d’autore, ha specificato che: a) “La direttiva rappresenta un equilibrio tra i vari interessi in gioco e istituisce principi su cui possono essere basati gli accordi e gli standard delle imprese del settore” (considerando 41); b) “Le deroghe alla responsabilità stabilita nella presente direttiva riguardano esclusivamente il caso in cui l’attività di prestatore di servizi della società dell’informazione si limiti al processo tecnico di attivare e fornire accesso ad una rete di comunicazione sulla quale sono trasmesse o temporaneamente memorizzate le informazioni messe a disposizione da terzi al solo scopo di rendere più efficiente la trasmissione. Siffatta attività è di ordine meramente tecnico, automatico e passivo, il che implica che il prestatore di servizi della società dell’informazione non conosce né controlla le informazioni trasmesse o memorizzate” (considerando 42); c) “Un prestatore può beneficiare delle deroghe previste per il semplice trasporto (“mere conduit”) e per la memorizzazione temporanea detta “caching” se non è in alcun modo coinvolto nell’informazione trasmessa. A tal fine è, tra l’altro, necessario che egli non modifichi l’informazione che trasmette. Tale requisito non pregiudica le manipolazioni di carattere tecnico effettuate nel corso della trasmissione in quanto esse non alterano l’integrità dell’informazione contenuta nella trasmissione” (considerando 43); d) “Il prestatore che deliberatamente collabori con un destinatario del suo servizio al fine di commettere atti illeciti non si limita alle attività di semplice trasporto (“mere conduit”) e di “caching” e non può pertanto beneficiare delle deroghe in materia di responsabilità previste per tali attività” (considerando 44); e) “Le limitazioni alla responsabilità dei prestatori intermedi previste nella presente direttiva lasciano impregiudicata la possibilità di azioni inibitorie di altro tipo. Siffatte azioni inibitorie possono, in particolare, essere ordinanze di organi giurisdizionali o autorità amministrative che obbligano a porre fine a una violazione o impedirla, anche con la rimozione dell’informazione illecita o la disabilitazione dell’accesso alla medesima” (considerando 45); f) “Per godere di una limitazione della responsabilità, il prestatore di un servizio della società dell’informazione consistente nella memorizzazione di informazioni deve agire immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitare l’accesso alle medesime non appena sia informato o si renda conto delle attività illecite. La rimozione delle informazioni o la disabilitazione dell’accesso alle medesime devono essere effettuate nel rispetto del principio della libertà di espressione e delle procedure all’uopo previste a livello nazionale. La presente direttiva non pregiudica la possibilità per gli Stati membri di stabilire obblighi specifici da soddisfare sollecitamente prima della rimozione delle informazioni o della disabilitazione dell’accesso alle medesime” (considerando 46); g) “La presente direttiva non pregiudica la possibilità per gli Stati membri di chiedere ai prestatori di servizi, che detengono informazioni fornite dai destinatari del loro servizio, di adempiere al dovere di diligenza che è ragionevole attendersi da loro ed è previsto dal diritto nazionale, al fine di individuare e prevenire taluni tipi di attività illecite” (considerando 48).

In linea coerente con tali previsioni, l’art. 12 della direttiva sul commercio elettronico, occupandosi partitamente dell’attività di “semplice trasporto (“mere conduit”)“, stabilisce che “1. Gli Stati membri provvedono affinché, nella prestazione di un servizio della società dell’informazione consistente nel trasmettere, su una rete di comunicazione, informazioni fornite da un destinatario del servizio, o nel fornire un accesso alla rete di comunicazione, il prestatore non sia responsabile delle informazioni trasmesse a condizione che egli: a) non dia origine alla trasmissione; b) non selezioni il destinatario della trasmissione; e c) non selezioni né modifichi le informazioni trasmesse. 2. Le attività di trasmissione e di fornitura di accesso di cui al paragrafo 1 includono la memorizzazione automatica, intermedia e transitoria delle informazioni trasmesse, a condizione che questa serva solo alla trasmissione sulla rete di comunicazione e che la sua durata non ecceda il tempo ragionevolmente necessario a tale scopo. 3. Il presente articolo lascia impregiudicata la possibilità, secondo gli ordinamenti degli Stati membri, che un organo giurisdizionale o un’autorità amministrativa esiga che il prestatore impedisca o ponga fine ad una violazione“.

Il successivo art. 15 prevede poi che “nella prestazione dei servizi di cui agli articoli 12, 13 e 14, gli Stati membri non impongono ai prestatori un obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni che trasmettono o memorizzano né un obbligo generale di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite“.

Non a caso la Direttiva 970/2019 del 17.4.2019 (“sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale e che modifica le direttive 96/9/CE e 2001/29/CE“) ha previsto all’art. 17 (rubricato “utilizzo di contenuti protetti da parte di prestatori di servizi di condivisione di contenuti online“) che “gli Stati membri dispongono che il prestatore di servizi di condivisione di contenuti online effettua un atto di comunicazione al pubblico o un atto di messa a disposizione del pubblico ai fini della presente direttiva quando concede l’accesso al pubblico a opere protette dal diritto d’autore o altri materiali protetti caricati dai suoi utenti. Un prestatore di servizi di condivisione di contenuti online deve pertanto ottenere un’autorizzazione dai titolari dei diritti di cui all’articolo 3, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2001/29/CE, ad esempio mediante la conclusione di un accordo di licenza, al fine di comunicare al pubblico o rendere disponibili al pubblico opere o altri materiali” (comma 1); e che “qualora non sia concessa alcuna autorizzazione, i prestatori di servizi di condivisione di contenuti online sono responsabili per atti non autorizzati di comunicazione al pubblico, compresa la messa a disposizione del pubblico, di opere e altri materiali protetti dal diritto d’autore, a meno che non dimostrino di: a) aver compiuto i massimi sforzi per ottenere un’autorizzazione, e b) aver compiuto, secondo elevati standard di diligenza professionale di settore, i massimi sforzi per assicurare che non siano disponibili opere e altri materiali specifici per i quali abbiano ricevuto le informazioni pertinenti e necessarie dai titolari dei diritti; e in ogni caso, c) aver agito tempestivamente, dopo aver ricevuto una segnalazione sufficientemente motivata dai titolari dei diritti, per disabilitare l’accesso o rimuovere dai loro siti web le opere o altri materiali oggetto di segnalazione e aver compiuto i massimi sforzi per impedirne il caricamento in futuro conformemente alla lettera b)” (comma 4).

La tutela del diritto d’autore, in altri termini, costituisce sul piano delle garanzie di effettività dell’ordinamento speciale il riflesso dell’interesse pubblico correlato alla qualificata posizione dei soggetti destinatari di provvedimenti concessori, in linea con la previsione di cui all’art. 3 della Direttiva 2001/29 (“gli Stati membri riconoscono agli autori il diritto esclusivo di autorizzare o vietare qualsiasi comunicazione al pubblico, su filo o senza filo, delle loro opere, compresa la messa a disposizione del pubblico delle loro opere in maniera tale che ciascuno possa avervi accesso dal luogo e nel momento scelti individualmente“).

La predetta sentenza della Corte di Giustizia ha, infatti, chiarito che dai considerando 3 e 31 della direttiva sul diritto d’autore risulta che l’armonizzazione da questa effettuata è intesa a garantire, in particolare nell’ambiente elettronico, un giusto equilibrio tra l’interesse dei titolari dei diritti d’autore e dei diritti connessi alla protezione del loro diritto di proprietà intellettuale (garantita dall’articolo 17, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea) e la tutela degli interessi e dei diritti fondamentali degli utenti dei materiali protetti, segnatamente della loro libertà di espressione e d’informazione (garantita dall’articolo 11 della Carta), nonché dell’interesse generale (cfr. sentenze dell’8 settembre 2016, GS Media, C160/15, punto 31, e del 29 luglio 2019, Pelham e a., C476/17, punto 32 e giurisprudenza ivi citata).

Principi richiamati con estrema puntualità e chiarezza dalla giurisprudenza amministrativa, la quale ha evidenziato che “il fatto di fornire servizi della società dell’informazione a scopo di lucro non significa affatto che il fornitore di siffatti servizi acconsenta a che questi ultimi siano utilizzati da terzi per violare il diritto d’autore. A tal riguardo, in particolare dall’impianto sistematico dell’articolo 8 della direttiva sul diritto d’autore, segnatamente dal paragrafo 3 del medesimo, in combinato disposto con il considerando 27 di detta direttiva risulta che non si può presumere che meri fornitori di attrezzature fisiche atte a rendere possibile o effettuare una comunicazione e altri intermediari i cui servizi siano utilizzati da terzi per violare il diritto d’autore compiano essi stessi un atto di comunicazione al pubblico, benché essi agiscono, in generale, a scopo di lucro (cfr., in argomento, la sentenza dell’8 settembre 2016, GS Mediam nella causa C160/15)” (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 13 settembre 2022, n. 7949).

Occorre, infine, considerare che, nella specie, è stata trasmessa la comunicazione di avvio del procedimento in data 8.9.2022 ma nell’ambito di un c.d. procedimento abbreviato, come espressamente si legge nella deliberazione (profilo non contestato tra le parti ai sensi dell’art. 64, comma 2 c.p.a.), dunque giustificato dal carattere particolarmente grave della violazione contestata e, soprattutto, in ragione del fatto che l’attività afferisse al semplice trasporto (c.d. mere conduit), configurandosi una responsabilità disciplinata dall’art. 14 del d.lgs. 70/2003, norma espressamente richiamata nell’impugnato provvedimento, in cui si prevede che “l’autorità giudiziaria o quella amministrativa, avente funzioni di vigilanza, può esigere, anche in via d’urgenza, che il prestatore, nell’esercizio delle attività di cui al comma 2, impedisca o ponga fine alle violazioni commesse“.

In conclusione, il ricorso va respinto.

Si ravvisano i presupposti per disporre la compensazione delle spese processuali.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 luglio 2024 con l’intervento dei magistrati:

(omissis)

DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 15 LUG. 2024.

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