Avverso il predetto diniego la ricorrente articola i seguenti motivi di gravame:
1) violazione e falsa applicazione dell’art. 9, comma 1, lett. f) legge 91/92 per omessa acquisizione del parere del Consiglio di Stato, omissione che comporterebbe, ad avviso della difesa attorea, la nullità del provvedimento;
2) violazione dell’art. 3, commi 1 e 3, l. 241/90, dell’art. 9 comma 1, lett. f), l. 91/92, dell’art. 10 bis l. 241/90, degli artt. 24 e 97 Cost., discriminazione e arbitrarietà, eccesso di potere per travisamento dei fatti ed inadeguatezza della motivazione, per avere l’Amministrazione privato l’interessata della possibilità di interloquire, partecipando al procedimento e per avere respinto la richiesta sulla scorta di una circostanza, peraltro contestata, che riguarda il coniuge e non la ricorrente;
3) violazione della Direttiva 2000/43/CE, per avere l’Amministrazione discriminato l’interessata non ascoltandola.
Con un altro motivo il ricorrente deduce l’illegittimità costituzionale dell’art. 42, comma 8, legge 124/2007 nella parte in cui dispone l’accesso senza estrazione di copia per violazione degli artt. 2 Cost. e 6CEDU, 3, 24, 97 e 111 Cost.
La ricorrente chiede l’accoglimento del ricorso, previo accesso agli atti ed istanza cautelare di sospensione.
Il 1° marzo 2018 la difesa attorea rinuncia all’istanza cautelare e di accesso agli atti.
In data 8 maggio 2019 la ricorrente deposita memoria con cui insiste nelle doglianze.
Il 21 giugno 2019 deposita istanza istruttoria al fine di ottenere l’esibizione dei documenti amministrativi relativi all’attività informativa a cui si fa riferimento nel provvedimento impugnato.
Il 5 novembre 2019 la ricorrente deposita la richiesta di rivalutazione della propria istanza di cittadinanza inoltrata all’Amministrazione.
Il 24 gennaio 2020 la ricorrente deposita domanda di misure cautelari.
Il 24 febbraio 2020 deposita note con cui chiede la decisione della causa con sentenza breve.
Il 21 aprile 2020 il Tribunale respinge la richiesta misura cautelare.
Il 4 dicembre 2020 la ricorrente deposita memoria con cui reitera la richiesta di accesso agli atti e le proprie censure.
Con ordinanza n. 580 del 15 gennaio 2021 il Tribunale dispone incombenti istruttori a carico del Ministero.
Il 24 maggio 2021 il ricorrente deposita la pec di pari data con cui ha sollecitato l’adempimento istruttorio al Ministero dell’Interno.
Il 15 giugno 2021 la ricorrente deposita memoria con cui, a fronte dell’inadempimento istruttorio del Ministero, insiste per l’accoglimento del ricorso.
Il 1° luglio 2021 l’Amministrazione ha adempiuto alla ordinanza istruttoria.
Il 15 luglio 2021 la ricorrente deposita note d’udienze con cui insiste nelle doglianze, lamenta il ritardo con cui l’Amministrazione ha provveduto al deposito della documentazione e la mancata audizione della ricorrente che non avrebbe avuto modo di difendersi sulle informative poste a base del diniego.
Il 18 luglio 2021 il difensore della ricorrente deposita le richieste, rivolte al Direttore della Direzione Centrale per i diritti civili, la cittadinanza e le minoranze del Dipartimento per le libertà civili e l’Immigrazione del Ministero dell’Interno, di rettifica e blocco dei dati contenuti nella relazione riservata ed in particolare la circostanza, che si asserisce insussistente, che la ricorrente avrebbe gestito con il coniuge i conti correnti segnalati.
In pari data la difesa attorea deposita note d’udienza con cui si riporta alle conclusioni depositate il 15 luglio 2021.
All’udienza del 19 luglio 2021 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Ai sensi dell’articolo 9 comma 1 lettera f) della legge n. 91 del 1992, la cittadinanza italiana “può” essere concessa allo straniero che risieda legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica.
L’utilizzo dell’espressione evidenziata sta ad indicare che la residenza nel territorio per il periodo minimo indicato è solo un presupposto per proporre la domanda a cui segue “una valutazione ampiamente discrezionale sulle ragioni che inducono lo straniero a chiedere la nazionalità italiana e delle sue possibilità di rispettare i doveri che derivano dall’appartenenza alla comunità nazionale” (v. Consiglio di Stato, sez. IV, 16 settembre 1999, n. 1474 e, tra le tante, da ultimo, CdS sez. III 23/07/2018 n. 4447), valutazione che si estende anche alla correlata assenza di vulnus per le condizioni di sicurezza dello Stato ed in relazione alla quale possono assumere rilievo situazioni che – anche se non caratterizzate nell’immediato da concreta lesività – possano essere tali su un piano potenziale e/o di solo pericolo (v. CdS sez. III, 11/05/2016, n. 1874).
Il conferimento dello status civitatis, cui è collegata una capacità giuridica speciale, si traduce in un apprezzamento di opportunità sulla base di un complesso di circostanze, atte a dimostrare l’integrazione del richiedente nel tessuto sociale, sotto il profilo delle condizioni lavorative, economiche, familiari e di irreprensibilità della condotta (Consiglio di Stato sez. VI, 9 novembre 2011, n. 5913; n. 52 del 10 gennaio 2011; Tar Lazio, sez. II quater, n. 3547 del 18 aprile 2012).
L’interesse pubblico sotteso al provvedimento di concessione della particolare capacità giuridica, connessa allo status di cittadino, impone che si valutino, anche sotto il profilo indiziario, le prospettive di ottimale inserimento del soggetto interessato nel contesto sociale del Paese ospitante (Tar Lazio, sez. II quater, n. 5565 del 4 giugno 2013), atteso che, lungi dal costituire per il richiedente una sorta di diritto che il Paese deve necessariamente e automaticamente riconoscergli ove riscontri la sussistenza di determinati requisiti e l’assenza di fattori ostativi, rappresenta il frutto di una meticolosa ponderazione di ogni elemento utile al fine di valutare la sussistenza di un concreto interesse pubblico ad accogliere stabilmente all’interno dello Stato comunità un nuovo componente e dell’attitudine dello stesso ad assumersene anche tutti i doveri ed oneri (cfr., ex multis, Cons. St. n. 798 del 1999).
Tale valutazione discrezionale può essere sindacata in questa sede nei ristretti ambiti del controllo estrinseco e formale; il sindacato del giudice non può dunque spingersi al di là della verifica della ricorrenza di un sufficiente supporto istruttorio, della veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione e dell’esistenza di una giustificazione motivazionale che appaia logica, coerente e ragionevole (Consiglio di Stato sez. VI, 9 novembre 2011, n. 5913; Tar Lazio II quater n. 5665 del 19 giugno 2012).
Nel caso di specie, secondo quanto si legge nel provvedimento impugnato, dalla attività informativa esperita “è emersa la contiguità del richiedente a movimenti aventi scopi non compatibili con la sicurezza della Repubblica”.
A seguito dell’istruttoria disposta dal Tribunale l’Amministrazione, con nota riservata del 28 giugno 2021, ha rappresentato che –(omissis) -.
Sulla base di detta informativa, il Ministero, con valutazione insindacabile in questa sede, poiché non affetta da manifesta illogicità o travisamento, ha ritenuto preminente l’esigenza di salvaguardia della sicurezza nazionale rispetto all’interesse della richiedente all’acquisto della cittadinanza italiana.
– (omissis) – è un movimento che nella giurisprudenza della Cassazione (cfr. Cassazione civile sez. un., 28/10/2015, n. 21946) viene qualificato come fazione della –(omissis) -(cfr. Tar Lazio I ter 8003/2021).
Per quanto sintetica, l’informazione contenuta nella documentazione riservata, appare sufficientemente dettagliata e specifica e conferma la correttezza della motivazione del provvedimento gravato.
A tale riguardo questo Tribunale ha già affermato anche il principio di diritto, per cui, nei casi in cui il diniego di cittadinanza è fondato su ragioni inerenti la sicurezza della Repubblica, il provvedimento di diniego è sufficientemente motivato, ai sensi dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990, quando consente di comprendere l’iter logico seguito dall’amministrazione nell’adozione dell’atto, non essendo necessario che vengano espressamente indicate tutte le fonti ed i fatti accertati sulla base dei quali è stato reso il parere negativo (Tar Lazio, Sez. II quater, 3 marzo 2014 n. 2453 conf. CdS 6704/2018).
Nel caso di specie appare adeguatamente motivato il diniego della cittadinanza allo straniero che sia coinvolto in gruppi che offrono supporto ad una organizzazione terroristica fondamentalista.
Gli accertamenti sulla sicurezza pubblica sono, infatti, naturalmente riservati e quando non sono posti a base di misure limitative della libertà o di altri diritti costituzionalmente garantiti, ma danno luogo alla formulazione di una valutazione riferibile al potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini (e che può essere risollecitata dopo cinque anni dall’emanazione del diniego, ai sensi dell’art. 8, comma 1, della legge n. 91 del 1992), ben possono essere esternati con formule sintetiche che, piuttosto che configurarsi meramente apodittiche, hanno l’obiettivo di evitare il disvelamento di notizie che potrebbero compromettere anche solo attività di “intelligence” in corso (così Tar, II quater 4 luglio 2017 n. 7712, ma cfr. anche Cons. Stato, Sez. VI 4 dicembre 2009 n. 7637 e, 2 marzo 2009n. 1173) e le connesse esigenze di salvaguardia della incolumità di coloro che hanno effettuato le indagini (Cons. Stato, sez. III, sentenza n. 5262 del 6 settembre 2018; n. 3206 del 29 maggio 2018).
Secondo tale orientamento considerare “insufficiente” tale istruttoria, benché espressamente menzionata, e inadeguato il richiamo scaturito dalla stessa ad una sospetta contiguità con associazioni ‘non positive’, oltre a comportare un’indebita invasione nell’ambito di discrezionalità tecnica dell’Amministrazione, finirebbe per mettere a rischio le complessive e complesse finalità di salvaguardia generale sottese alla diagnosi di pericolosità sociale effettuata.
Non si tratta, all’evidenza, di un giudizio di pericolosità sociale, passibile di misure di prevenzione, né presuppone l’adozione di sanzioni penali, ma solo di una valutazione di prevalenza dell’interesse pubblico a non inserire stabilmente nella comunità chi, allo stato degli atti, si ritenga esprima la propria vicinanza a movimenti aventi scopi non compatibili con la sicurezza della Repubblica.
Quanto poi all’attendibilità delle valutazioni operate dall’Amministrazione, si deve evidenziare che si tratta di notizie pervenute dagli organismi preposti ai servizi di sicurezza dello Stato, quindi, di fonte ufficiale, raccolte e vagliate da detti organismi pubblici nell’esercizio delle loro funzioni istituzionali, sulla cui attendibilità non è dato ragionevolmente dubitare.
Né la natura di alta amministrazione del provvedimento gravato consente a questo giudice di sostituire valutazioni di merito, riservate all’Autorità amministrativa preposta, con altre, attesi i vincoli al sindacato giurisdizionale in questa materia.
Nel contestare che le informazioni rilevanti per la sicurezza nazionale non riguardano la ricorrente, ma il coniuge della stessa, la difesa attorea trascura l’aspetto rilevante della comunione di vita che il matrimonio comporta e i possibili riflessi della concessione della cittadinanza anche sul coniuge, il quale, oltre a non essere più soggetto ad espulsione, potrebbe ottenere la cittadinanza ai sensi dell’art. 5 della legge 91/1992.
Ciò precisato, il Collegio ritiene che, nella specie, l’obbligo di motivazione sia stato puntualmente adempiuto.
Il provvedimento, inoltre, non avrebbe avuto esito diverso ove il Ministero avesse avuto modo di acquisire le osservazioni offerte dall’interessata, la quale, neanche in questa sede, offre elementi idonei a censurare la valutazione posta a base del diniego.
Le censure contenute in ricorso, infine, non tengono conto dell’amplissima discrezionalità, informata anche a criteri di precauzione di profilo oggettivo (v. Cons. Stato, Sez. III, 11 maggio 2016, n. 1874) e di cautela (v., per tutte, Cons. Stato, Sez. III, 29 marzo 2019, n. 2102; 6 settembre 2018, n. 5262), che caratterizza il provvedimento di concessione della cittadinanza italiana, in quanto atto che – come rilevato dall’Amministrazione e valutato dal Tar, ed è bene ribadire e sottolineare – attribuisce definitivamente uno status che comporta rilevantissime conseguenze per il patrimonio giuridico del richiedente e sui suoi diritti all’interno dello Stato; e può comportare conseguenze altrettanto rilevanti, anche gravemente perniciose per l’interesse nazionale in caso di infelice concessione (così CdS II 5326/2020).
Infondata è poi anche la censurata violazione dell’art. 9 della legge 91/92 in quanto la previsione di legge non prevede di sentire il Consiglio di Stato prima di rigettare la domanda di cittadinanza, ma solo nel caso di concessione dello status.
Nessuna discriminazione di carattere etnico è ravvisabile nel caso di specie, in quanto il diniego si fonda espressamente, non sulla origine etnica della richiedente, bensì sulla attività posta in essere dal coniuge e sulla vicinanza espressa a movimenti che si ritengono incompatibili con la sicurezza nazionale.
Manifestamente infondata è poi la questione di illegittimità costituzionale dell’art. 42, comma 8, legge 124/2007, non essendo esplicitato in che modo l’impossibilità di estrarre copia di una sintetica informativa riservata, consentendosi solo la presa visione, avrebbe pregiudicato il diritto di difesa della ricorrente.
Nella fattispecie il documento di cui è preclusa l’estrazione di copia consta di poche righe, sopra riportate, con le quali l’Amministrazione ha ottemperato all’ordinanza istruttoria del Tribunale e che consentono alla ricorrente di comprendere in modo sufficientemente circostanziato quali sono gli elementi che l’Amministrazione ha posto a base del diniego.
La sussistenza del prevalente interesse pubblico alla sicurezza nazionale costituisce logico e non irragionevole bilanciamento tra le esigenze di riservatezza e il diritto di difesa del singolo che si esprime attraverso la limitazione dell’accesso nella forma della sola visione senza estrazione di copia.
L’art. 6 CEDU, la cui violazione è denunciata dalla ricorrente, non trova applicazione nel procedimento di concessione della cittadinanza, riguardando “il diritto ad un’equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole, davanti a un tribunale indipendente e imparziale costituito per legge, al fine della determinazione sia dei suoi diritti e dei suoi doveri di carattere civile, sia della fondatezza di ogni accusa penale che gli venga rivolta”.
Nella fattispecie sub judice non si verte né di accuse penali né di diritti e doveri di carattere civile, bensì della sussistenza di un interesse pubblico alla concessione dello status civitatis.
In questa sede la ricorrente ha avuto modo di produrre le proprie osservazioni e di esplicitare le proprie difese nelle forme previste dal codice del processo amministrativo dopo che il proprio difensore ha avuto accesso alla documentazione riservata prodotta dall’Amministrazione.
Non sembra poi materia di rettifica l’informativa dei servizi di intelligence in ordine alla circostanza riportata con riguardo alla ricorrente. La difesa può certo contestare la circostanza, ma non si tratta di dati personali univoci in relazione ai quali è prevista la suddetta richiesta.
La suddetta circostanza, peraltro, anche ove la si volesse stralciare, per tutto quanto sopra osservato, non avrebbe alcun effetto sulla decisione gravata, la quale si fonda principalmente sulla attività del coniuge.
Tutto ciò premesso il ricorso va respinto, poiché infondato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità di parte ricorrente nonché degli altri dati relativi anche al coniuge del medesimo e del contenuto della nota riservata dell’Amministrazione.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 luglio 2021, in collegamento da remoto in videoconferenza, ai sensi dell’art. 25 d.l. 137/2020, attraverso videoconferenza con l’utilizzo della piattaforma “Microsoft Teams” come previsto dalla circolare n. 6305 del 13/03/2020 del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa, con l’intervento dei magistrati:
(omissis) , Presidente
(omissis) , Consigliere
(omissis) , Consigliere, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 04 OTT. 2021.