Parte ricorrente sottolineava che, già all’epoca del suo servizio in nave per la Marina Italiana, numerose erano le informazioni e i documenti elaborati dalla comunità scientifica che evidenziavano i rischi per la salute derivanti dall’amianto e dal contatto con altre sostanze nocive presenti nelle imbarcazioni, anche in considerazione della vetustà delle navi da guerra sulle quali il Sig.(omissis) aveva prestato servizio, ove erano presenti percentuali assai elevate di amianto, con esposizione ulteriormente aggravata dalle lamentate plurime esposizioni a fattori concausali di rischio.
A causa della malattia fortemente invalidante contratta il ricorrente domandava a questo TAR la condanna del Ministero della Difesa al pagamento delle somme dovute per il risarcimento del grave danno biologico subito (con interessi e rivalutazione monetaria), cagionato dal datore di lavoro per non avere assicurato il rispetto della normativa “ratione temporis” vigente in tema di sicurezza dell’ambiente di lavoro e in particolare: dell’art. 2087 c.c.; del DPR 303/56 (artt. 4,21 e 33); del DPR 547 /55 (artt. 4,377 e 38), sì da evitare l’insorgere della gravissima e purtroppo incurabile malattia contratta dal ricorrente.
Si costituiva in giudizio, in data 10.9.2013, il Ministero della Difesa depositando comparsa di mero stile.
In corso di causa, precisamente, in data 14.12.2014, il Sig.(omissis) è deceduto e la causa è proseguita, per effetto dell’atto depositato in data 17.9.2019 dalle di lui eredi signore (omissis)- (moglie), (omissis)- (figlia) e (omissis)- (figlia), che insistevano nelle conclusioni già formulate con il ricorso introduttivo.
All’esito della pubblica udienza del 25.5.2022, con ordinanza n. (omissis) il Collegio, considerata la natura della controversia e la necessità di accertare il nesso di causalità tra le condizioni di lavoro denunciate dal “de cuius” e la patologia da questi sofferta, disponeva apposita verificazione medico-legale, ai sensi degli artt. 19 e 66 cod. proc. amm., incaricando dell’incombente il Collegio Medico Legale della Difesa al quale veniva richiesto di accertare se la causa più probabile della malattia invalidante e della successiva morte del ricorrente potesse ritenersi dipendente (secondo il criterio del “più probabile che non”) dalle attività di servizio prestate dal ricorrente per la Marina Militare, le quali potevano aver contribuito, anche in via con-causale, all’insorgenza della grave malattia, manifestatasi a molti anni di distanza dal periodo lavorativo espletato.
La relazione relativa alla verificazione compiuta veniva depositata il 28.11.2022 e riportava le seguenti conclusioni medico-legali: “questo Collegio Medico Legale, in merito al quesito posto, sulla base delle considerazioni espresse, ritiene che la causa, o almeno la concausa, più probabile della neoplasia diagnosticata al ricorrente e della sua successiva morte possa ritenersi dipendente (secondo il criterio del ‘più probabile che non’) dalle attività di servizio prestate dal ricorrente per la Marina Militare, attività che hanno contribuito, dunque, allo sviluppo della malattia: “mesotelioma pleurico”.
Ciò, tenuto peraltro in debita considerazione anche il trascorso ambientale e lavorativo successivo alla data del congedo (1968), in cui il Sig. -OMISSIS- ha operato presso l’Istituto poligrafico dello Stato (fino al 1998)”.
In data 17.2.2023 depositava memoria difensiva il Ministero della Difesa, rappresentando, in particolare che, nel caso di specie, in mancanza di una patologia che abbia fatto residuare esiti invalidanti, l’unico danno biologico risarcibile sarebbe stato, in ipotesi, quello da invalidità temporanea. Inoltre deduceva che, in applicazione del principio della “compensatio lucri cum damno” (cfr. Ad. Plen. Cons. Stato 1/2018), si sarebbe comunque dovuto procedere alla decurtazione, dalla somma eventualmente liquidata a titolo risarcitorio, di tutte le somme corrisposte agli odierni ricorrenti “iure hereditatis” in conseguenza della malattia contratta e del successivo decesso del sig.(omissis).
Stante la conclusione affermativa raggiunta dal Collegio Medico Legale in ordine alla sussistenza del nesso causale, la Sezione, con ordinanza n. (omissis) del 24.3.2023, affidava al medesimo organo un supplemento di verificazione volto ad offrire indicazioni in ordine ai seguenti, ulteriori aspetti:
– le conseguenze, in termini di danno biologico (danno biologico permanente e invalidità temporanea), originate dall’insorgenza della patologia alla morte del militare, con valutazione in termini di punteggio o di percentuale, dell’incidenza di detto danno sulla integrità psico-fisica dell’interessato;
– l’incidenza della patologia, dalla sua prima manifestazione fino all'”exitus”, sullo svolgimento e sulla qualità delle ordinarie attività della vita e i presumibili riflessi d’ordine soggettivo, rilevanti per l’eventuale liquidazione del danno morale soggettivo.
In data 27.7.2023 il verificatore ha provveduto al deposito del nuovo elaborato.
In vista dell’udienza di merito parte ricorrente ha prodotto memoria conclusionale con la quale insiste per l’accoglimento delle proprie domande risarcitorie, considerato l’esito della doppia verificazione effettuata in corso di causa.
Alla pubblica udienza del 20 dicembre 2023, presenti il legale di parte ricorrente e l’avvocato dello Stato, la causa è stata assunta in decisione.
Il Collegio deve dunque definire la domanda di risarcimento dei danni non patrimoniali iure hereditatis, quale ristoro del danno biologico e del danno morale patiti dal congiunto nel lasso di tempo decorrente tra il manifestarsi della malattia ed il decesso, da liquidare nella misura di giustizia.
Il danno preteso dalle ricorrenti, alla luce dei criteri tabellari elaborati dal Tribunale di Milano per la liquidazione del danno “terminale” (tabelle 2021), comporta la spettanza alle eredi di una somma da quantificare nella misura di euro 99,00 (personalizzabile fino a un massimo di: euro 149,00) per ogni giorno di invalidità temporanea assoluta, moltiplicato per il numero dei giorni in cui il danneggiato ha vissuto, dall’insorgenza della grave patologia sino alla sua morte.
Si deve inoltre tener conto, ad avviso di parte ricorrente, del danno morale aggiuntivo da quantificare in ragione della gravissima situazione soggettiva vissuta dal sig. (omissis), costretto a subire innumerevoli ricoveri, percependo lucidamente l’aggravarsi della patologia e l’approssimarsi della morte.
Deducono le ricorrenti che vi è stata violazione dell’art. 2087 del codice civile, nonché la manifesta violazione degli artt. 4 lettera b) D.P.R. 303/56 (mancata informazione nei confronti dei lavoratori), 4 lettera c) D.P.R. 303/56 (mancata fornitura specifici DPI), D.P.R. 303/56 (mancata separazione delle lavorazioni pericolose), D.P.R. 303/56 (mancata difesa contro le polveri nocive).
L’Amministrazione datrice di lavoro, ai sensi dell’art. 4 D.P.R. 547/55, avrebbe dovuto informare i dipendenti circa i rischi specifici (cancerogeni) dell’attività cui erano adibiti; contingentare i tempi di esposizione di ciascun addetto allo scopo di ridurre il più possibile l’intensità del pericolo e prevedere controlli sanitari mirati periodici e avrebbe dovuto adottare subito, e con la massima urgenza, accorgimenti definitivi e veramente utili, consistenti nella cessazione dell’uso dell’amianto e nella sua sostituzione con altri materiali.
2. La domanda in esame è fondata.
3. Sussiste, nella fattispecie, la responsabilità datoriale i sensi dell’art. 2087 c.c..
Secondo il principio mutuato dalla giurisprudenza di legittimità “la responsabilità dell’imprenditore ex art. 2087 c.c., pur non configurando una ipotesi di responsabilità oggettiva, non è circoscritta alla violazione di norme di diritto oggettivo esistenti o di regole di esperienza o di regole tecniche preesistenti e collaudate, ma deve ritenersi volta a sanzionare, alla luce delle garanzie costituzionali del lavoratore, l’omessa predisposizione da parte del datore di lavoro di tutte quelle misure e cautele atte a preservare l’integrità psicofisica e la salute del lavoratore sul luogo di lavoro, tenuto conto della concreta realtà aziendale e della sua maggiore o minore possibilità di venire a conoscenza e di indagare sull’esistenza di fattori di rischio in un determinato momento storico” (Cons. Stato, 16 maggio 2022, n. 3830, che cita: Cass. Civ., Sez. lav., 15 febbraio 2019, n. 4613; Cass. n. 2491 del 2008; Cass. n. 644 del 2005; Cass. n. 10510 del 2004).
Alla luce delle risultanze della verificazione, risulta comprovata la sussistenza di un nesso di causalità tra l’esposizione all’amianto e il mesotelioma pleurico, tenuto conto dei tempi di latenza della malattia. A tali conclusioni, dalle quali il Collegio non ha ragione di discostarsi, il Verificatore è giunto dopo l’analisi della letteratura medico-scientifica in materia di esposizione all’amianto e la disamina della documentazione di causa, afferente alle mansioni del ricorrente e ai lunghi giorni trascorsi bordo di navi contenenti amianto a vari livelli; il Verificatore ha inoltre considerato la complessiva vicenda clinica del “de cuius” a partire dal 10.10.2012 quando, a seguito di una TC del Torace, emergeva quanto segue: “attualmente si segnala a sinistra un peggioramento del quadro polmonare precedentemente visualizzato, in particolare si segnala un aumento volumetrico e numerico negli ispessimenti pleurici segnalati precedentemente che al controllo odierno appaiono mammellonati, similnodulari ed estesi cranio-caudalmente a tutti i lobi polmonari. Notevole aumento volumetrico dell’immagine nodulare subpleurica descritta a sinistra nel lobo inferiore in sede apicale con dimensioni attuali di 30x25x26 mm e strie di connessione alle strutture vascolari omolaterali. Lieve aumento volumetrico della formazione adesa alla pleura descritta in sede lingulare inferiore nel gennaio 2012. Stria fibrotica in sede apicale destra. … qualche linfonodo del dm fino a 10 mm in sede mediastinica ed ascellare. …” (v. prima relazione verificazione, pag. 6).
Il Verificatore, tra le altre cose, ha osservato che “sotto il profilo professionale la mansione di meccanico navale, svolta sulle unità navali della Marina Militare dal 1951 al 1968 (come attestato dal foglio matricolare del Sig.(omissis)) è da considerarsi, in rapporto causale, atta a determinare una esposizione qualificata, (esposizione a fibre di amianto personale media annua superiore a 100 ff/1 riportata al turno di lavoro) secondo i criteri dettati dall’INAIL nel “Rapporto dell’INAIL ad oggetto: Marina Militare Italiana. Valutazione tecnica dell’esposizione dell’amianto utile ai fini del riconoscimento dei benefici previdenziali per i dipendenti militari e civili in servizio presso gli arsenali militari marittimi e altri enti di terra”.
Ciò, in quanto, il Sig.(omissis), impiegato per oltre 15 anni come Sottufficiale, motorista navale su naviglio per la gran parte iscritto nell’elenco annesso in Allegato 1 al Rapporto denominato “Elenco delle Unità navali che, per presenza e diffusione di M.C.A., hanno potuto determinare tale esposizione” può senz’altro essere annoverato nell’ambito “di equipaggio, cui spetta il compito di intervenire in quelle operazioni di manutenzione e riparazioni urgenti su quegli apparati e nei locali dove si è dimostrata la maggiore e più diffusa presenza di amianto”, e pertanto evidentemente soggetto “all’esposizione diretta a livelli di fibre aerodisperse significativi tali da determinare, per intensità e durata, condizioni di esposizione qualificata” (pagg. 10 e 11 relazione cit.).
4. A quanto sopra, deve aggiungersi che, con riferimento alla sussistenza di un nesso di causalità tra le mansioni svolte e l’esposizione all’amianto, per accertare l’efficienza causale dell’atto (o della condotta) illegittima occorre procedere ad un giudizio controfattuale, volto a stabilire “se, eliminando o, nell’illecito omissivo, aggiungendo quella determinata condotta, l’evento si sarebbe ugualmente verificato, e, una volta risolto positivamente tale scrutinio, un secondo stadio richiede di verificare, con un giudizio di prognosi ex ante, l’esistenza di condotte idonee – secondo il criterio del “più probabile che non” – a cagionare quel determinato evento.
Sicché l’esito positivo del predetto giudizio – riconducibile alla teoria della causalità adeguata – accerta definitivamente l’efficienza causale dell’atto illegittimo rispetto all’evento di danno, che va esclusa qualora emergano fatti o circostanze che abbiano reso da sole impossibili il perseguimento del bene della vita determinando autonomamente l’effetto lesivo (Cons. Stato, VI, 29 maggio 2014, n. 2792)” (Consiglio di Stato, Sez. V, 9 luglio 2019, n. 4790)” (Cons. Stato, Sez. VI. 7 aprile 2022, n. 2586).
Su tale linea, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza della Corte di Cassazione “in tema di responsabilità civile (sia essa legata alle conseguenze dell’inadempimento di obbligazioni o di un fatto illecito aquiliano), la verifica del nesso causale tra la condotta omissiva e il fatto dannoso si sostanzia nell’accertamento della probabilità (positiva o negativa) del conseguimento del risultato idoneo ad evitare il rischio specifico di danno, riconosciuta alla condotta omessa, da compiersi mediante un giudizio controfattuale, che pone al posto dell’omissione il comportamento dovuto. Tale giudizio deve essere effettuato sulla scorta del criterio del “più probabile che non”, conformandosi a uno standard di certezza probabilistica, che, in materia civile, non può essere ancorato alla determinazione quantitativa-statistica delle frequenze di classi di eventi (c.d. probabilità quantitativa o pascaliana), la quale potrebbe anche mancare o essere inconferente, ma va verificato riconducendone il grado di fondatezza all’ambito degli elementi di conferma (e, nel contempo, di esclusione di altri possibili alternativi) disponibili nel caso concreto (c.d. probabilità logica o baconiana) (Sez. 3, Ordinanza n. 23197 del 27/09/2018, Rv. 650602 – 01)” (Cons. Stato, 16 maggio 2022, n. 3830, Cass. civ., Sez. III, 14 marzo 2022, n. 8114).
Alla luce di quanto sopra emerge che la causalità omissiva è peculiare, perché si fonda non su fatti materiali empiricamente verificabili, ma su di una ricostruzione logica che, a differenza di quella commissiva, non può avere una verifica fenomenica.
Ne consegue che, acclarata, alla luce delle risultanze della verificazione, l’altissima probabilità dell’eziopatogenesi della malattia sviluppata dal de cuius dalla esposizione ad amianto, ritiene il Collegio che, facendo ricorso alla regola del “più probabile che non”, possa ritenersi fondato il motivo di ricorso secondo il quale l’adozione, da parte del datore di lavoro, di misure a protezione dei lavoratori dall’esposizione a fibre di amianto avrebbe potuto impedire l’insorgenza della malattia.
Più nello specifico, non risulta puntualmente contestata dall’Amministrazione resistente e pertanto può ritenersi pacificamente acquisita ai sensi dell’art. 64, comma 3, c.p.a., la circostanza, affermata in ricorso da parte ricorrente e corroborata da plurimi riferimenti fattuali, che le navi sulle quali il sig. -OMISSIS- ebbe ad imbarcarsi erano risalenti al periodo immediatamente successivo alla seconda guerra mondiale (in certi casi si trattava di navi americane costruite nel corso della seconda guerra mondiale e cedute all’Italia al termine del conflitto) e, per la loro vetustà, rendevano frequenti gli interventi di manutenzione ordinaria da parte del personale con azioni come taglio, demolizione, foratura, che davano tutte luogo alla dispersione di polveri e fibre di amianto.
Possono, inoltre, ritenersi pacificamente acquisite le circostanze descritte in ricorso in ordine alle mansioni lavorative e ai luoghi di prestazione delle stesse, implicanti una significativa esposizione a polveri e fibre d’amianto aerodisperse.
Infine, come ha osservato il Verificatore (pag. 11 relazione), il periodo di latenza, con insorgenza della malattia dopo 42 anni dalla cessazione del servizio nella Marina Militare e quindi dalla presunta, quanto attendibile esposizione professionale, “è compatibile con i dati riportati in letteratura”.
La conclusione del Verificatore (condivisa dal Collegio) è stata dunque la seguente: “sulla base delle considerazioni espresse, ritiene che la causa, o almeno la concausa, più probabile della neoplasia diagnosticata al ricorrente e della sua successiva morte possa ritenersi dipendente (secondo il criterio del ‘più probabile che non’) dalle attività di servizio prestate dal ricorrente per la Marina Militare, attività che hanno contribuito, dunque, allo sviluppo della malattia: “mesotelioma pleurico”. Ciò, tenuto peraltro in debita considerazione anche il trascorso ambientale e lavorativo successivo alla data del congedo (1968), in cui il Sig. -OMISSIS- ha operato presso l’Istituto poligrafico dello Stato (fino al 1998)”.
Ne deriva che detta esposizione ha causato, secondo il criterio del “più probabile che non”, il decesso del militare per mesotelioma pleurico, malattia relativamente rara che ha una delle sue peculiarità nel lungo periodo di latenza fra l’esposizione alle possibili cause e la comparsa della malattia, che può variare dai 20 fino ai 40 anni.
5. Acclarato il nesso di causalità tra la condotta omissiva dell’Amministrazione e l’insorgenza della malattia, resta da chiarire il criterio per la determinazione del danno non patrimoniale risarcibile agli eredi.
Al riguardo, giova richiamare l’orientamento della Corte di Cassazione (v. Cass. n. 17577/2019), nel senso che il danno subito dalla vittima, nell’ipotesi in cui la morte sopravvenga dopo apprezzabile lasso di tempo dall’evento lesivo, “è configurabile e trasmissibile agli eredi nella duplice componente di danno biologico “terminale”, cioè di danno biologico da invalidità temporanea assoluta, e di danno morale consistente nella sofferenza patita dal danneggiato che lucidamente e coscientemente assiste allo spegnersi della propria vita; la liquidazione equitativa del danno in questione va effettuata commisurando la componente del danno biologico all’indennizzo da invalidità temporanea assoluta e valutando la componente morale del danno non patrimoniale mediante una personalizzazione che tenga conto dell’entità e dell’intensità delle conseguenze derivanti dalla lesione della salute in vista del prevedibile exitus” (Cass. Civile, 36841/2022).
Il Collegio, ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale, ritiene di doversi conformare ai principi di diritto individuati dalla Corte di Cassazione, che fa riferimento alle tabelle del Tribunale di Milano, che stimano l’inabilità temporanea assoluta con opportuni “fattori di personalizzazione”, quale parametro di conformità della valutazione equitativa del danno alle disposizioni degli artt. 1226 e 2056 c.c..
Il riferimento alla Tabelle milanesi deriva dal riconoscimento loro attribuito dalla giurisprudenza di legittimità, alla stregua (in linea generale e in applicazione dell’art. 3 Cost.) del parametro di conformità della valutazione equitativa del danno biologico a norma degli artt. 1226 e 2056 c.c., salvo che non sussistano in concreto circostanze idonee a giustificarne l’abbandono (cfr. Cass. n. 12408/2011, n. 27562/2017; v. anche Cass. n. 9950/2017).
Con la sentenza n. (omissis) la Corte di Cassazione con riferimento al caso di malattia professionale o infortunio sul lavoro con esito mortale, che abbia determinato il decesso non immediato della vittima, ha stabilito i seguenti principi, poi richiamati dalle successive pronunce:
a) al danno biologico terminale, consistente in un danno biologico da invalidità temporanea totale (sempre presente e che si protrae dalla data dell’evento lesivo fino a quella del decesso), può sommarsi una componente di sofferenza psichica (danno catastrofale);
b) si tratta di danni che vanno tenuti distinti e liquidati con criteri diversi:
– nel caso di danno “biologico terminale” la liquidazione può essere effettuata sulla base delle tabelle relative all’invalidità temporanea e deve essere effettuata in relazione alla menomazione dell’integrità fisica patita dal danneggiato sino al decesso; tale danno dà luogo ad una pretesa risarcitoria, trasmissibile “iure hereditatis” da commisurare soltanto all’inabilità temporanea, adeguando tuttavia la liquidazione alle circostanze del caso concreto, ossia al fatto che, se pur temporaneo, tale danno è massimo nella sua intensità ed entità, tanto che la lesione alla salute non è suscettibile di recupero ed esita, anzi, nella morte;
– nel caso, invece, del danno catastrofale la natura peculiare del pregiudizio comporta la necessità di una liquidazione che si affidi ad un criterio equitativo puro, che tenga conto della “enormità” del pregiudizio, giacché tale danno, sebbene temporaneo, è massimo nella sua entità ed intensità, tanto da esitare nella morte (cfr. Cass. n. 23183/2014, n. 15491/2014); tale voce di danno c.d. “catastrofale”, ossia danno conseguente alla sofferenza patita dalla persona che lucidamente assiste allo spegnersi della propria vita, secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione è risarcibile iure hereditatis solo ove intercorra un apprezzabile lasso di tempo tra le lesioni colpose e la morte causata dalle stesse (Cass. Sez. U. 22 luglio 2015, n. 15350).
Alla luce dei principi sopra delineati, si osserva che le Tabelle di Milano (2021) per il periodo di inabilità temporanea assoluta prevedono la liquidazione della somma di Euro 99,00 al giorno con possibilità di personalizzazione fino al 50 per cento in più e quindi fino a Euro 149,00 al giorno.
Con riguardo alla fattispecie che ci occupa, avuto riguardo al carattere profondamente afflittivo anche del danno soggettivo t0emporaneamente sofferto (emergente anche dalle considerazioni svolte dal Verificatore con il secondo elaborato, dep. 27.7.2023), il Collegio ritiene di procedere anche alla personalizzazione della liquidazione del danno da inabilità ed invalidità temporanea stante la seguente osservazione del Verificatore: “Nel caso del Sig. (omissis) è verosimile che, dal momento in cui è stata formulata la diagnosi di mesotelioma pleurico, lo stesso ha patito gravi sofferenze all’inizio di natura prevalentemente psichica (consapevolezza di essere affetto da una malattia con sopravvivenza a 5 anni inferiore all’8%) a cui progressivamente si sono aggiunte quelle fisiche fino all’astenia, cachessia, insufficienza respiratoria e l’exitus. Pertanto, al di là del dolore “somatico”, la sofferenza morale sperimentata dallo (omissis) si è caratterizzata anche e soprattutto dal progressivo degrado della persona ovvero dalla consapevolezza di “non essere più in grado” di condurre la propria esistenza come nello stato anteriore, il che risulta accompagnato, in linea generale e irrimediabilmente, a sentimenti di tristezza, inadeguatezza, ansia, timore per la propria salute e paura di morire. In sintesi, sulla base della sola documentazione esaminata, è possibile affermare che il Sig.(omissis) sia stato costretto via via (dalla prima manifestazione fino all’exitus) a ricorrere a visite e accertamenti continui, accessi ospedalieri, terapie antiblastiche con gravi effetti collaterali, e poi a cure palliative e all’assistenza di terzi anche per le più comuni attività della vita quotidiana. In conclusione è possibile affermare che tale sofferenza si è mantenuta, nell’arco dei due anni della progressione della malattia, su un grado elevato rispetto al danno biologico temporaneo.”.
Ciò induce il Collegio a ritenere che l’importo spettante a titolo di danno biologico da invalidità temporanea assoluta (I.T.A.) e da invalidità temporanea parziale (I.T.P.), a seconda dei diversi periodi considerati (v. “infra”) deve essere personalizzato nella misura massima (50%) prevista dalle tabella milanesi.
6. Pertanto, per quanto sopra esposto e seguendo le puntuali indicazioni del Collegio Medico Legale della Difesa (pag. 4 seconda relazione), il danno biologico temporaneo può essere quantificato in questi termini:
i) Inabilità temporanea parziale (I.T.P.) al 50%: 6 mesi, da ottobre 2012 a marzo 2013 (gg. 180), vale a dire “dalla formulazione della diagnosi al rilievo strumentale di un incremento dell’estensione del mesotelioma e della comparsa di adenopatie quali secondarismi neoplastici”;
ii) Inabilità temporanea parziale (I.T.P.) al 75%: 6 mesi, da aprile 2013 a settembre 2013 (gg. 180) corrispondente a “quel periodo di progressione della malattia che ha poi imposto l’inizio della chemioterapia”;
iii) Inabilità temporanea assoluta (I.T.A.) al 100%: 14 mesi (gg. 428), ossia dall’inizio del primo ciclo chemioterapico (ottobre 2013) fino all’exitus (dicembre 2014).
Partendo dal rilievo che secondo le tabelle di riferimento più aggiornate (tabelle milanesi 2021), il punto base I.T.T. è di Euro 99,00 e diviene, quindi, pari ad euro 149,00 in ragione della personalizzazione per danno morale soggettivo (i.e. euro 99,00 + personalizzazione massima 50%), ne consegue che devono riconoscersi complessivamente alle tre eredi del danneggiato le seguenti somme:
i) I.T.A. al 50% per i primi 180 giorni pari a Euro 13.410,00 (euro 149,00 x gg. 180 pari ad euro 26.820,00 – 50% = 13.410,00);
ii) I.T.A. al 75% per i secondi 180 giorni pari a Euro 20.115,00 (euro 149,00 x gg. 180 pari ad euro 26.820,00 – 25% = 20.115,00);
iii) I.T.A. per i 428 giorni trascorsi fino all’exitus pari ad euro 63.772,00 (euro 149,00 x gg. 428).
Quindi il danno biologico temporaneo totale, incrementato in forza del danno morale subbiettivo (c.d. “catastrofale”) patito dall’originario ricorrente a causa delle intense sofferenze psicologiche patite nella fase terminale della sua malattia, ammonta complessivamente ad Euro 97.297,00.
7. Del tutto irrituale è risultata, viceversa, l’introduzione della pretesa di ciascuna delle tre ricorrenti a vedersi riconosciuto, “iure hereditario”, il danno non patrimoniale da perdita, rispettivamente, del coniuge e da perdita del genitore, da liquidare secondo le tabelle elaborate dal Tribunale di Milano in materia (tabelle 2022).
Si osserva infatti che la causa veniva introdotta esclusivamente dal “de cuius” sig.(omissis) quando egli era in vita e, per ovvie ragioni, non poteva avere ad oggetto azioni risarcitorie per danni non patrimoniali (come quelli riconducibili alla nozione di perdita del rapporto genitoriale e di coniugio) prodottisi soltanto “post mortem”, direttamente nella sfera giuridica dei suoi stretti congiunti.
Le eredi, dopo la morte dell’originario ricorrente, si sono costituite in causa con atto depositato in data 17.9.2019 al solo fine di determinare la prosecuzione del processo ed evitarne l’interruzione, esercitando “iure successionis” i medesimi diritti già azionati dal loro dante causa.
Sebbene nella comparsa di costituzione vi sia un laconico riferimento, oltre che ai loro diritti “in qualità di eredi” ai loro diritti “iure proprio”, non vi è poi in essa alcun accenno in concreto a pretese risarcitorie ulteriori rispetto a quelle avanzate dal loro dante causa con la promozione della presente causa.
Pertanto le domande per risarcimento del danno non patrimoniale per perdita del rapporto parentale (e di coniugio), ontologicamente diverse dalla domanda per risarcimento del danno non patrimoniale (biologico e morale soggettivo o “catastrofale”) proposta dal sig. (omissis) con il presente ricorso, sono state proposte per la prima volta, del tutto irritualmente, con la comparsa conclusionale e, pertanto, sono del tutto irricevibili e non suscettibili di trattazione all’interno di questa causa.
Peraltro, trattandosi di domanda di risarcimento danni iure proprio sussisteva, in ogni caso, il difetto di giurisdizione di questo Giudice poiché il giudice munito di giurisdizione è il Giudice ordinario, dinanzi al quale la causa avrebbe dovuto essere proposta.
Infatti, secondo il consolidato orientamento della Corte di Cassazione (Cass. Civ., Sez. Un., 5 maggio 2014, n. 9573; id. 6 marzo 2009, n. 5468), “nel caso di controversia relativa a rapporto di pubblico impiego non soggetto, per ragioni soggettive o temporali, alla privatizzazione, la soluzione della questione del riparto della giurisdizione, rispetto ad una domanda di risarcimento danni per la lesione della propria integrità psicofisica proposta da un pubblico dipendente nei confronti dell’Amministrazione, è strettamente subordinata all’accertamento della natura giuridica dell’azione di responsabilità in concreto proposta, in quanto, se è fatta valere la responsabilità contrattuale dell’ente datore di lavoro, la cognizione della domanda rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, mentre, se è stata dedotta la responsabilità extracontrattuale, la giurisdizione spetta al giudice ordinario. L’accertamento del tipo di responsabilità azionato prescinde dalle qualificazioni operate dall’attore, anche attraverso il richiamo strumentale a singole norme di legge, quali l’art. 2087 o l’art. 2043 cod. civ., mentre assume rilievo decisivo la verifica dei tratti propri dell’elemento materiale dell’illecito, e quindi l’accertamento se il fatto denunciato violi il generale divieto di neminem laedere e riguardi, quindi, condotte dell’amministrazione la cui idoneità lesiva possa esplicarsi indifferentemente nei confronti della generalità dei cittadini come nei confronti dei propri dipendenti, costituendo in tal caso il rapporto di lavoro mera occasione dell’evento dannoso, ovvero consegua alla violazione di obblighi specifici che trovino al ragion d’essere nel rapporto di lavoro, nel qual caso la natura contrattuale della responsabilità non può essere revocata in dubbio (ex multis, Cass. Civ., Sez. Un. 27 febbraio 2013, n. 4850)”.
Pertanto (fermo restando il preliminare e dirimente profilo dell’irritualità sopra menzionato), solo l’azione proposta dal dipendente danneggiato e proseguita dalle ricorrenti “iure hereditatis” appartiene alla giurisdizione di questo T.A.R.
8. In conclusione, il ricorso merita accoglimento e, per l’effetto, accertata la dipendenza della patologia diagnosticata al sig. -OMISSIS- dal servizio prestato e la responsabilità in capo all’Amministrazione intimata per l’insorgenza dell’infermità de qua, si liquida, in favore delle ricorrenti iure hereditatis la somma complessiva di euro di Euro 97.297,00 a titolo di danno non patrimoniale. Sono dovuti, altresì, sulla somma liquidata gli interessi legali dalla data della presente pronuncia al dì dell’effettivo soddisfo.
Le spese di lite, liquidate secondo l’ordinario criterio della soccombenza, sono liquidate in dispositivo.
Non si provvede sulle spese della verificazione in mancanza di richiesta di liquidazione del compenso da parte dell’organismo incaricato.
lo accoglie e, per l’effetto, accertata la dipendenza della patologia diagnosticata al sig. (omissis) dal servizio prestato e la responsabilità in capo all’Amministrazione intimata per l’insorgenza dell’infermità, condanna il Ministero della Difesa al pagamento, in favore delle signore (omissis), quali eredi del Sig. (omissis)-, del risarcimento del danno iure hereditatis liquidato nella somma complessiva di euro di Euro 97.297,00 (novantasettemiladuecentonovantasette/00), oltre interessi legali fino al giorno del pagamento.
Condanna, altresì, il Ministero della Difesa al pagamento delle spese di giudizio che liquida in favore delle ricorrenti nella somma complessiva di euro 4.500,00 (quattromilacinquecento/00), oltre IVA, CPA, oneri per spese generali nella misura del quindici per cento e rimborso del contributo unificato anticipato.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e all’articolo 9, paragrafi 1 e 4, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 e all’articolo 2-septies del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 dicembre 2023 con l’intervento dei magistrati:
(omissis), Presidente
(omissis), Consigliere, Estensore
(omissis), Referendario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 02 FEB. 2024.
