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T.A.R. Pescara (Abruzzo) sez. I, 15/05/2013, n. 266

Massima

La giurisdizione in materia di iscrizione negli albi professionali, come quello degli agenti e rappresentanti di commercio, spetta al giudice amministrativo quando la controversia riguarda provvedimenti espressi adottati a seguito di una segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), come l’inibizione all’esercizio dell’attività per mancanza dei requisiti morali.

Supporto alla lettura

DIFETTO DI GIURISDIZIONE

Disciplinato dall’art. 37 c.p.c., consiste nell’impossibilità per il giudice ordinario di esplicare la propria funzione giurisdizionale, in quanto devoluta dalla legge ad altri giudici appartenenti non semplicemente ad altri uffici (altrimenti si configurerebbe difetto di competenza ex art. 38 c.p.c.) bensì ad altri sistemi giudiziali, come quello dei ricorsi amministrativi o ad altri poteri pubblici (es.: Pubblica Amministrazione).

In passato, tale difetto era era rilevato, anche d’ufficio, in qualunque stato e grado del processo, trattando alla stregua il difetto assoluto di giurisdizione (quando la questione proposta di fronte al giudice è in realtà riservata al legislatore o all’amministrazione) e il difetto relativo di giurisdizione (che si occasiona tra diverse giurisdizioni), la nuova formulazione dell’art. 37 c.p.c. ha distinto le diverse ipotesi di difetto di giurisdizione, chiarendo, definitivamente, le facoltà impugnatorie riconosciute all’attore nei giudizi di impugnazione.
La riforma Cartabia non sembra invece incidere in maniera nettamente innovativa sul processo amministrativo dal momento che il tenore letterale dell’art. 9 c.p.a., prevedeva già che «il difetto di giurisdizione è rilevato in primo grado anche d’ufficio. Nei giudizi di impugnazione è rilevato se dedotto con specifico motivo avverso il capo della pronuncia impugnata che, in modo implicito o esplicito, ha statuito sulla giurisdizione».

Ambito oggettivo di applicazione

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 366 del 2011, proposto da:
(omissis) e (omissis) Sas. di (omissis) e C., rappresentati e difesi dagli avv.ti (omissis) ed (omissis), con domicilio eletto presso (omissis) in Pescara, viale (omissis);

contro

Camera di Commercio, Industria, Artigianato ed Agricoltura di Chieti di Chieti, rappresentata e difesa dall’avv. (omissis), con domicilio eletto presso (omissis) in Pescara, via (omissis);

per l’annullamento

della determinazione 9 giugno 2011, n. 195, con la quale il Dirigente dell’Area III della Camera di Commercio di Chieti ha inibito la prosecuzione dell’attività di agente/rappresentante di commercio; nonché degli atti presupposti e connessi.

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della Camera di Commercio di Chieti;

Vista l’ordinanza collegiale 8 settembre 2011, n. 164, con la quale non è stata accolta la domanda incidentale di sospensione del provvedimento impugnato;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 maggio 2013 il dott. (omissis) e uditi l’avv. (omissis), su delega dell’avv. (omissis), per le parti ricorrenti e l’avv. (omissis), su delega dell’avv. (omissis);

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

L’attuale ricorrente ha presentato il 31 febbraio 2011 alla Camera di Commercio di Chieti segnalazione certificata di inizio dell’attività di agente/rappresentante di commercio.

Con il ricorso in esame ha impugnato la determinazione 9 giugno 2011, n. 195, con la quale il Dirigente dell’Area III della Camera di Commercio gli ha inibito la prosecuzione dell’attività per mancanza del requisito morale prescritto dall’art. 5, comma 1, lett. c), della L. 3 maggio 1985, n. 204, in quanto dal certificato del casellario giudiziale risultavano alcune condanne ostative all’esercizio dell’attività.

Ha dedotto le seguenti censure:

1) che essendo decorso il termine di trenta giorni di cui all’art. 19 della L. 7 agosto 1990, n. 241, l’Amministrazione non avrebbe potuto inibire la prosecuzione dell’attività, ma avrebbe dovuto intervenire in autotutela;

2) che non era stata data comunicazione dell’avvio del procedimento, né era stato comunicato il preavviso di rigetto;

3) che l’atto era privo di motivazione;

4) che non avrebbe potuto tenersi conto delle pene patteggiate e dei decreti penali di condanna, in quanto per i primi non occorreva la riabilitazione data l’automatica estinzione della pena ai sensi dell’art. 445 c.p.p., mentre per i secondi i reati si erano estinti in base all’art. 460 c.p.p.; peraltro, era esclusa la loro rilevanza penale, trattandosi di fattispecie depenalizzate.

La Camera di Commercio, Industria, Artigianato ed Agricoltura di Chieti si è costituita in giudizio e con memorie depositate il 3 agosto 2011 e l’8 aprile 2013 ha diffusamente contestato il fondamento delle censure dedotte.

Alla pubblica udienza del 9 maggio 2013 la causa è stata trattenuta a decisione.

DIRITTO

1. – Con il ricorso in esame – come sopra esposto – è stata impugnata la determinazione 9 giugno 2011, n. 195, con la quale la Camera di Commercio di Chieti ha inibito la prosecuzione dell’attività di agente rappresentante di commercio, che il ricorrente aveva iniziato a svolgere a seguito della presentazione il 31 febbraio 2011 di una segnalazione certificata di inizio dell’attività di agente e rappresentante di commercio.

Tale determinazione è stata assunta in quanto, da una verifica delle dichiarazioni prodotte relative all’inesistenza di condanne penali ed, in particolare, dall’esame del certificato del casellario Giudiziale acquisito d’ufficio, era emerso che lo stesso aveva riportato alcune condanne ostative all’esercizio dell’attività, per cui mancava il requisito morale prescritto dall’art. 5, comma 1, lett. c), della L. 3 maggio 1985, n. 204.

2. – Va al riguardo pregiudizialmente evidenziato che relativamente alla controversi proposta sussiste la giurisdizione di questo Tribunale.

Deve, invero, evidenziarsi che in linea generale le controversie relative all’iscrizione negli albi o nei registri professionali degli agenti e dei rappresentanti di commercio sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario, atteso che la pretesa all’iscrizione – sussistendone i requisiti prescritti dalla predetta L. 3 maggio 1985 n. 204 – si configura come posizione di diritto soggettivo, non implicando l’iscrizione stessa valutazioni discrezionali, ma solo il riscontro formale di presupposti determinati dalla legge (cfr., da ultimo T.A.R. Lombardia, Brescia, 26 febbraio 2003, n. 305, Cons. St., sez. VI, 25 settembre 2001, n. 5354, T.A.R. Bolzano, 5 settembre 2000, 254, e T.A.R. Toscana, 27 marzo 2000, n. 515); così, come del resto sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario tutte le controversie in materia di iscrizione in albi o registri professionali nelle ipotesi in cui l’iscrizione sia subordinata al semplice riscontro oggettivo della sussistenza o meno di determinati requisiti prefissati dalla legge (Cons. St., sez. VI, 15 maggio 2012, n. 2769, T.A.R. Sicilia, Catania, sez. IV, 12 marzo 2012, n. 626, e T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III-quater, 29 novembre 2011, n. 9350).

Pur tuttavia, va anche ricordato che in base all’art. 74 del D.Lgs. 26 marzo 2010, n. 59, di attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno, l’attività di agente e rappresentante di commercio è oggi soggetta a segnalazione certificata di inizio di attività da presentarsi alla Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura, “corredata delle autocertificazioni e delle certificazioni attestanti il possesso dei requisiti prescritti” e che l’art. 133 del codice del processo amministrativo ha attribuito alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie relative all’impugnazione di “provvedimenti espressi adottati in sede di verifica di una segnalazione certificata, denuncia e dichiarazione di inizio attività di cui all’art. 19 della L. 7 agosto 1990, n. 241”.

Per cui anche le controversie, come quella ora all’esame, aventi per oggetto l’iscrizione in albi professionali, rientrano nella giurisdizione del giudice amministrativo nelle ipotesi in cui l’interessato sostenga che il decorso del tempo abbia determinato il perfezionarsi di un’ipotesi di silenzio significativo in proprio favore (Cons. St., sez. VI, 12 marzo 2012, n. 1405), o siano stati impugnati, come nel caso di specie, “provvedimenti espressi adottati in sede di verifica di una segnalazione certificata”.

3. – Chiarito tale aspetto può utilmente passarsi all’esame delle censure dedotte.

Ai fini del decidere deve partirsi dal rilievo che in base al predetto art. 74 del D.Lgs. 26 marzo 2010, n. 59, una volta ricevuta la segnalazione certificata di inizio di attività, la Camera di Commercio deve verificare il possesso dei requisiti di legge, tra i quali quello previsto dall’art. 5, lettera c), della L. 3 marzo 1985 n. 204, che vieta l’iscrizione al soggetto “interdetto o inabilitato, condannato, per delitti contro la pubblica amministrazione, l’amministrazione della giustizia, la fede pubblica, l’economia pubblica, l’industria ed il commercio, ovvero per delitto di omicidio volontario, furto, rapina, estorsione, truffa, appropriazione indebita, ricettazione e per ogni altro delitto non colposo per il quale la legge commini la pena della reclusione non inferiore, nel minimo, a due anni e, nel massimo, a cinque anni salvo che non sia intervenuta la riabilitazione”.

Nella specie, la Camera di Commercio ha appreso dal certificato del casellario giudiziale, acquisito d’ufficio, che il ricorrente aveva subito quindici condanne, alcune delle quali ostative all’esercizio dell’attività, per cui con la determinazione 9 giugno 2011, n. 195, oggi impugnata, ha inibito la prosecuzione dell’attività di agente rappresentante di commercio.

Con l’impugnativa in esame il ricorrente si è lamentato nella sostanza delle seguenti circostanze:

a) che, essendo decorso il termine di trenta giorni di cui all’art. 19 della L. 7 agosto 1990, n. 241, l’Amministrazione non avrebbe potuto inibire la prosecuzione dell’attività, ma avrebbe dovuto intervenire in autotutela;

b) che non era stata data comunicazione dell’avvio del procedimento, né era stato comunicato il preavviso di rigetto;

c) che l’atto era privo di motivazione;

d) che non avrebbe potuto tenersi conto delle pene patteggiate e dei decreti penali di condanna, in quanto per i primi non occorreva la riabilitazione data l’automatica estinzione della pena ai sensi dell’art. 445 c.p.p., mentre per i secondi i reati si erano estinti in base all’art. 460 c.p.p.; peraltro, era esclusa la loro rilevanza penale, trattandosi di fattispecie depenalizzate.

Tali doglianze, va subito precisato, sono prive di pregio.

4. – Quanto alla prima delle predette censure va ricordato che l’art. 19 della legge sul procedimento, nel disciplinare la segnalazione certificata di inizio attività, ha disposto al suo terzo comma che l’Amministrazione competente, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti, nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione “adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa”, con la precisazione contenuta nell’ultimo capoverso che “in caso di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci, l’amministrazione … può sempre e in ogni tempo adottare i provvedimenti di cui al primo periodo”.

In base a tale disposizione, che disciplina in via generale l’istituto della scia, l’atto di inibizione alla svolgimento dell’attività può essere assunto dall’Amministrazione che riceve l’istanza “sempre e in ogni tempo”, cioè anche dopo il decorso dei predetti sessanta giorni, nel caso in cui alla istanza siano state allegate “dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci”.

Ora, poiché nella specie il ricorrente aveva dichiarato nell’istanza di non aver subito condanne penali, sembra evidente che la Camera di Commercio avrebbe potuto assumere l’atto impugnato anche dopo il decorso del predetto termine.

Quanto, poi, alle censure sopra riassunte alla lettera b), con le quali è stata lamentata la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento e del preavviso di rigetto, va osservato per un verso che – come è noto – non sussiste obbligo di avviso di avvio del procedimento in caso di procedimento promosso su istanza di parte e culminato in un provvedimento vincolato (Cons. St., sez. III, 21 gennaio 2013, n. 304) e per altro verso che l’art. 10-bis della L. 7 agosto 1990 n. 241, in materia di partecipazione procedimentale, non deve essere interpretato in senso formalistico, ma si deve avere riguardo all’effettivo e oggettivo pregiudizio, nel senso che la violazione dell’obbligo di preventiva comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza è inidonea di per sé a giustificare l’annullamento di un atto, non essendo consentito, ai sensi del successivo art. 21-octies, l’annullamento dei provvedimenti amministrativi, il cui contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (Cons. St., sez. IV, 20 febbraio 2013, n. 1056).

E nella specie la resistente ha chiarito che l’atto impugnato non avrebbe potuto essere diverso.

Rimangono, per concludere, da esaminare le ultime doglianze sopra riassunte alla lettere c) e d) – che possono essere esaminate congiuntamente – con le quali l’istante si è lamentato del fatto che l’atto impugnato era privo di idonea motivazione e che non avrebbe potuto tenersi conto delle pene patteggiate e dei decreti penali di condanna, in quanto estinti; ha, inoltre, evidenziato che alcune condanne non avrebbero dovuto essere prese in considerazione, in quanto relative a fattispecie oggi depenalizzate.

Anche tali doglianze non sono fondate.

Va, invero, osservato che il predetto art. 5, lettera c), della L. 3 marzo 1985 n. 204, esclude la rilevanza delle condanne subite solo ove “non sia intervenuta la riabilitazione” e che la modulistica predisposta dalla Camera di Commercio di Chieti prevedeva espressamente, in ottemperanza a tale disposizione, che i soggetti che intendevano esercitare l’attività in questione avrebbero dovuto espressamente dichiarare le eventuali condanne penali subite e precisare gli “eventuali provvedimenti di riabilitazione e le ordinanze di revoca eventualmente intervenute”, anche relativamente ai reati depenalizzati.

L’istante, nel sottoscrivere tale modulistica, ha disatteso tale prescrizioni ed ha falsamente dichiarato di non aver mai subito sentenze di condanne.

Tale falsa dichiarazione giustifica, ad avviso del Collegio, l’adozione dell’atto impugnato, in quanto era specifico onere del ricorrente effettuare al riguardo una dichiarazione non solo veritiera, ma anche completa in ordine ai precedenti penali, in modo da consentire all’Amministrazione di effettuare le proprie valutazioni in merito. Né può utilmente ritenersi che nella specie si trattava di un “falso innocuo”, in quanto la predetta normativa imponeva espressamente di dichiarare nella domanda oltre alle condanne, anche anche i provvedimenti di riabilitazione intervenuti.

5. – Alla luce delle suesposte considerazioni il ricorso in esame deve, conseguentemente, essere respinto.

Sussistono, tuttavia, in relazione alla complessità della normativa applicabile alla fattispecie e delle questioni interpretative che tale normativa pone, giuste ragioni per disporre la totale compensazione tra le parti delle spese e degli onorari di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo sezione staccata di Pescara (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Pescara nella camera di consiglio del giorno 9 maggio 2013 con l’intervento dei magistrati:

(omissis)

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 15/05/2013

Allegati

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