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T.A.R. Perugia, (Umbria) sez. I, 06/06/2024, n.434

Massima

La considerazione delle peculiari condizioni del debitore pubblico, al pari dell’esigenza di evitare locupletazioni eccessive o sanzioni troppo afflittive, costituiscono fattori da valutare non ai fini di un’astratta inammissibilità della domanda relativa a inadempimenti pecuniari, ma in sede di verifica concreta della sussistenza dei presupposti per l’applicazione della misura della penalità di mora nonché al momento dell’esercizio del potere discrezionale di graduazione dell’importo.

Supporto alla lettura

ASTREINTE

L’astreinte (o penalità di mora), è un istituto che prevede l’applicazione di una penale a danno del debitore che violi una condanna all’adempimento.
Si tratta di un’istituto dell’ordinamento francese che trova posto anche nel diritto italiano con l’art. 614 bis c.p.c.. Tecnicamente viene vista come una misura di coercizione indiretta, concretamente consiste in una sorta di penale, imposta dal giudice, che il debitore dovrà pagare in caso di inosservanza o ritardo nell’adempimento per il quale è stato condannato.
L’art. 614 c.p.c. prevede che l’istituto dell’astreinte si applichi con riferimento alle obbligazioni di fare infungibili, di non facere e anche alle ipotesi di inadempimento degli obblighi di consegna e rilascio. Inoltre dispone che tale istituto possa essere concesso dal giudice solo su richiesta di parte e se il provvedimento non risulti manifestamento iniquo nel caso concreto.
Caratteristica di questo istituto è che rappresenta titolo esecutivo, e quindi al verificarsi dell’inadempimento o del ritardo, il creditore potrà subito iniziare un’azione esecutiva ai danni del debitore, notificandogli un atto di precetto, senza necessità di un provvedimento che accerti l’effettiva sussistenza del ritardo o dell’inadempimento. Sarà eventualmente il debitore, tramite opposizione all’esecuzione, a dover dimostrate l’avvenuto adempimento.
Il giudice nel fissare la somma da pagare deve tenere conto di diversi parametri:
 valore della causa;
 natura della prestazione e del danno;
 condizioni patrimoniali delle parti;
 altre circostanze utili.
Anche nell’ambito del diritto amministrativo è presente un istituto riconducibile all’astreinte, infatti l’art. 114 c.p.a. prevede che, nell’ambito del giudizio di ottemperanza, la pubblica amministrazione possa essere condannata al pagamento di una penalità di mora nel caso in cui non provveda all’esecuzione del giudicato.

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto
FATTO e DIRITTO
1. Oggetto del presente giudizio è la domanda di ottemperanza del decreto della Corte di Appello di Perugia con cui si condannava il Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro tempore, al pagamento in favore dei Sigg.ri (omissis) della somma di € 1.000,00 ciascuno, oltre interessi legali dal deposito della domanda giudiziale al saldo, a titolo di danno non patrimoniale ex lege n. 89/2001. Con il medesimo ricorso agisce altresì il procuratore antistatario della fase d’appello avv. (omissis), per il pagamento nei confronti del Ministero delle relative spese di lite, liquidate nel decreto in € 203,00 a titolo di compenso professionale, € 8,00 per esborsi, oltre al rimborso forfettario nella misura del 15% del compenso, CAP e IVA come per legge.

2. Nel ricorso introduttivo è stata altresì spiegata domanda di condanna del Ministero alle cd. penalità di mora, oltre alla refusione delle spese legali della presente fase di giudizio in favore del procuratore costituito avv. Barbata Morbinati, dichiaratasi antistataria.

3. Il Ministero della Giustizia si è costituito in giudizio senza articolare difese diverse da quelle di mero stile, e non ha preso posizione sul dedotto inadempimento rispetto al dictum della Corte di Appello di Perugia.

4. La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza in camera di consiglio del 23 aprile 2024.

5. Preliminarmente deve essere osservato che la pronuncia della Corte di Appello di Perugia risulta passata in giudicato, come da certificazione del suddetto ufficio giudiziario in data 19 maggio 2023; la parte ricorrente ha provveduto alla rituale notifica all’Amministrazione del medesimo provvedimento in data 14 dicembre 2017. Risulta, inoltre, regolarmente inviata la dichiarazione di cui all’art. 5-sexies della legge n. 89/2001 in data 14 dicembre 2017.

6. Ciò premesso, il Collegio rammenta che:

– il giudizio d’ottemperanza è limitato alla stretta esecuzione del giudicato del quale si chiede l’attuazione ed esula dal suo ambito la cognizione di qualsiasi altra domanda, comunque correlata al giudicato stesso;

– l’ottemperanza è esperibile indipendentemente da ogni disposizione concernente l’esecuzione civile, attesa la diversità ontologica delle due azioni;

– l’esecuzione dell’ordine del Giudice costituisce un inderogabile dovere d’ufficio per l’Amministrazione cui l’ordine è rivolto nonché per i suoi rappresentanti e funzionari.

7. Fatta tale doverosa premessa, il Collegio osserva che la domanda di esecuzione del decreto della Corte di Appello spiegata dai ricorrenti è meritevole di accoglimento sia in riferimento al pagamento della somma riconosciuta a titolo di danno non patrimoniale nonché quanto alla contestuale istanza di nomina di un commissario ad acta.

8. Alla stregua di quanto esposto, questo Tribunale dispone che il Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro tempore, provveda entro il termine di 90 giorni dalla notifica o dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza, al pagamento delle somme di cui sopra in favore di parte ricorrente.

Al riguardo, si precisa che il debito per i diritti e gli onorari liquidati nel decreto da eseguire è un’obbligazione pecuniaria (art. 1224 cod. civ.), con la conseguenza che:

– il ritardo nel pagamento produce automaticamente gli interessi legali;

– la corresponsione di questi ultimi soddisfa ogni pretesa da ritardo.

Si osserva altresì che detti interessi dovranno essere calcolati dal giorno della notifica del decreto di cui trattasi, connotandosi la notifica come costituzione in mora del debitore (art. 1219 cod. civ.).

9. Per il caso di inadempienza, il Tribunale nomina sin d’ora commissario ad acta il Dirigente responsabile dell’Ufficio I della Direzione Affari Giuridici e Legali del Dipartimento per gli Affari di Giustizia del Ministero soccombente.

10. Il commissario cosi designato provvederà a:

a – prelevare le somme da qualsiasi capitolo di spesa del Ministero competente al pagamento, ovvero, in caso di incapienza, da qualsiasi altro capitolo di spesa dello Stato, scelto a sua discrezione secondo il criterio di buona amministrazione;

b – utilizzare se necessario anche i fondi fuori bilancio;

c – utilizzare in alternativa, sempre a sua scelta, l’istituto del pagamento in conto sospeso.

11. Il commissario terminerà la sua opera, salvo proroghe da richiedersi a questo Tribunale, entro il termine di 90 giorni dalla richiesta che la parte interessata gli presenterà dopo che sia decorso inutilmente il termine di 90 giorni di cui al precedente paragrafo 8.

12. – Quanto alla domanda di condanna al pagamento delle ulteriori somme richieste a titolo di indennità di mora (c.d. astreinte), il Collegio osserva quanto segue.

12.1. Secondo quanto stabilito dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (sent. 25 giugno 2014, n. 15), nell’ambito del giudizio di ottemperanza l’irrogazione della penalità di mora di cui all’art. 114, c. 4, lett. e), cod. proc. amm. è ammissibile per tutte le decisioni di condanna di cui al precedente art. 113, ivi comprese quelle aventi ad oggetto prestazioni di natura pecuniaria, nonché di corresponsione di indennizzo a titolo di equa riparazione per eccessiva durata del processo di cui alla l. n. 89 del 2001.

Ferma restando tale ammissibilità, la stessa Adunanza plenaria non ha mancato di osservare come “la considerazione delle peculiari condizioni del debitore pubblico, al pari dell’esigenza di evitare locupletazioni eccessive o sanzioni troppo afflittive, costituiscono fattori da valutare non ai fini di un’astratta inammissibilità della domanda relativa a inadempimenti pecuniari, ma in sede di verifica concreta della sussistenza dei presupposti per l’applicazione della misura nonché al momento dell’esercizio del potere discrezionale di graduazione dell’importo. Non va sottaciuto che l’art. 114, comma 4, lett. e), cod. proc. amm., proprio in considerazione della specialità, in questo caso favorevole, del debitore pubblico – con specifico riferimento alle difficoltà nell’adempimento collegate a vincoli normativi e di bilancio, allo stato della finanza pubblica e alla rilevanza di specifici interessi pubblici – ha aggiunto al limite negativo della manifesta iniquità, previsto nel codice di rito civile, quello, del tutto autonomo, della sussistenza di altre ragioni ostative. Ferma restando l’assenza di preclusioni astratte sul piano dell’ammissibilità, spetterà allora al giudice dell’ottemperanza, dotato di un ampio potere discrezionale sia in sede di scrutinio delle ricordate esimenti che in sede di determinazione dell’ammontare della sanzione, verificare se le circostanze addotte dal debitore pubblico assumano rilievo al fine di negare la sanzione o di mitigarne l’importo”.

12.2. In definitiva, secondo il succitato autorevole arresto, pur escludendosi la sussistenza di preclusioni astratte sul piano della ammissibilità, è escluso ogni automatismo nel giudizio di applicazione della sanzione, dovendo il giudice tener conto delle circostanze esimenti stabilite dalla norma al fine di mitigarne l’importo o di negarne la stessa applicazione.

12.3. Orbene, il Collegio ritiene, alla luce della richiamata decisione dell’Adunanza plenaria (e dell’orientamento della giurisprudenza formatosi sul punto), che, nella specie, le note difficoltà di adempimento connesse anche alla perdurante crisi della finanza pubblica e l’ingente ammontare del debito pubblico giustifichino, in concreto, il rigetto della domanda di applicazione dell’indennità di mora (cfr. TAR Lazio, Roma, sez. III-quater, 23 agosto 2018, n. 9022; TAR Lazio, Roma, sez. II, 20 marzo 2018, n. 3101; TAR Campania, Napoli, sez. VII, 8 giugno 2018, n. 3836).

Va anche detto che tali ragioni ostative assumono rilievo, ex art. 115 c.p.c., in quanto fatti notori (cfr. al riguardo TAR Lazio, n. 3101/2018 cit.).

In definitiva, alla luce di quanto precede, la domanda volta a conseguire la condanna dell’Amministrazione al pagamento della c.d. astreinte, non può essere accolta, essendo le circostanze sopra riferite sufficienti non solo a mitigarne l’importo ma ad escluderne la stessa applicazione, quali concrete “ragioni ostative“.

13. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo, tenuto conto del carattere seriale e del non elevato livello di complessità della causa.

Per il pagamento delle spese del giudizio il commissario provvederà analogamente a quanto indicato nel paragrafo 10.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Umbria (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte nei sensi sopra indicati, e, per l’effetto, ordina gli adempimenti indicati in motivazione.Condanna il Ministero della Giustizia al pagamento delle spese di lite, che liquida in € 500,00 (euro cinquecento/00), oltre agli oneri ed agli accessori di legge ed alle eventuali ulteriori spese che dovessero rendersi necessarie, con distrazione in favore del difensore antistatario, avvocato (omissis).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 23 aprile 2024 con l’intervento dei magistrati:

(omissis)

DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 06 GIU. 2024.

Allegati

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