La citata ordinanza n. –(omissis)-dell’1 marzo 2013, non è mai stata impugnata dai ricorrenti e, giusto verbale della Polizia Municipale prot. n. –(omissis)– dell’11 settembre 2013, l’Amministrazione con ordinanza dirigenziale n. –(omissis)– del 24 ottobre 2013 ha poi accertato che la ditta non aveva ottemperato all’ordine di demolizione, acquisendo di conseguenza la proprietà delle opere abusive e dell’area di sedime su cui esse insistono, e provvedendo in seguito alla trascrizione, con nota n. reg. gen. n. –(omissis)-, in data 08.11.2013.
Successivamente, con note prott. –(omissis)-del 10 luglio 2018, ai ricorrenti è stato ingiunto il pagamento della somma di euro 29.266,20 a titolo di indennità di occupazione del manufatto in parola e con nota prot. –(omissis)– dell’1 giugno 2020, gli stessi sono stati quindi diffidati dal Comune a lasciare l’immobile libero da persone e cose.
Con ulteriore nota, prot. n. –(omissis)– del 21 luglio 2020, notificata il 28 luglio successivo, sono stati comunicati ai ricorrenti i costi quantificati per la prevista demolizione, giusta delibera di GM n. –(omissis)-del 27.12.2018, con cui era stato approvato il progetto definitivo dei lavori di demolizione di sette immobili acquisiti al patrimonio comunale (comprendenti anche quello di proprietà dei signori –(omissis)-), invitandoli a comunicare se intendessero procedere direttamente al ripristino.
In mancanza di riscontro, con ordinanza n.-(omissis)-del 28 ottobre 2020, il Comune di Alcamo, richiamato l’art. 823, comma 2, del codice civile e ritenuto “…che, nella fattispecie, ricorre la facoltà di autotutela amministrativa per rientrare nel possesso della disponibilità del bene…” ha disposto lo sgombero coattivo, nel termine di giorni 15, del ridetto immobile espressamente avvertendo che “…in caso di inosservanza anche parziale alla presente ordinanza, per mancato bonario rilascio, trascorso il termine suddetto si procederà all’esecuzione forzosa in danno dell’inadempiente, con recupero delle spese in danno nonché alla denuncia all’autorità Giudiziaria ai sensi dell’art. 650 del Codice Penale, e conseguente rimozione coatta delle predette persone, animali o cose, significando che il presente provvedimento, sarà eseguito ricorrendo, se necessario, anche all’assistenza della forza pubblica“.
2. Per chiedere l’annullamento del provvedimento da ultimo citato, nonché della delibera di G.M. n. –(omissis)-del 27.10.2018 (con cui il Comune come detto approvò il progetto dei lavori di demolizione di sette immobili acquisiti al patrimonio comunale), della determina dirigenziale n. –(omissis)– (recante la determina a contrarre, con cui venne avviato il procedimento per l’affidamento dei lavori di demolizione in discorso) e della nota prot. n. –(omissis)– del 21.07.2020 (con cui sono stati comunicati ai ricorrenti i costi della prevista demolizione) tutte richiamate nell’avversato provvedimento di sgombero sono dunque insorti i ricorrenti con il ricorso in epigrafe, notificato il 28 dicembre 2020 e depositato il 18 gennaio 2021.
Dopo aver sollevato perplessità sulla sussistenza della giurisdizione di questo Tribunale Amministrativo, parte ricorrente denunzia la violazione degli artt. 823, comma 2, e 826 del codice civile, la carenza di potere in assoluto ed il difetto di presupposti in relazione alla natura dell’immobile oggetto dell’ordine di sgombero, in tesi appartenente al patrimonio disponibile del Comune.
Sostengono in sostanza i ricorrenti che l’Amministrazione intimata sarebbe priva della possibilità di attivare i propri poteri pubblicistici per ottenere il possesso dell’immobile, atteso che questo ultimo non farebbe parte del demanio necessario del Comune e nemmeno del suo patrimonio indisponibile. In altri termini, secondo i ricorrenti, non avendo provveduto il Comune a dichiarare l’interesse pubblico del manufatto per cui è causa destinandolo ad una qualche pubblica funzione, esso apparterrebbe alla categoria dei beni patrimoniali disponibili, per conseguire il possesso dei quali il Comune avrebbe dovuto servirsi di rimedi di carattere ordinario e non pubblicistico, come quello avversato.
3. L’Amministrazione intimata si è costituita in giudizio eccependo preliminarmente l’inammissibilità per carenza di interesse del mezzo di tutela all’esame e chiedendone nel merito il rigetto.
La causa è stata trattenuta in decisione in esito all’udienza di smaltimento del 3 ottobre 2024, svolta ai sensi del comma 4 bis dell’art. 87 del codice del processo amministrativo, nel corso della quale, a mente dell’art. 73, comma 3, del codice del processo ammnistrativo il Collegio ha rilevato la sussistenza di profili di parziale irricevibilità del mezzo di tutela all’esame.
4. Preliminarmente va rilevato che il Collegio aderisce all’orientamento fatto recentemente proprio da questo Tribunale in analoghe controversie (cfr. T.A.R. Palermo, sez. II, 15 febbraio 2022, n. 534), ritenendo che sulle impugnazioni aventi ad oggetto ordinanze di sgombero di immobili acquisiti al patrimonio comunale, in conseguenza dell’inottemperanza ad un precedente ordine di demolizione, sussista la giurisdizione del Giudice amministrativo vertendosi in un’ipotesi di giurisdizione esclusiva ex art. 133, comma 1, lett. f) c.p.a., in cui l’amministrazione prospetta di agire iure imperii nell’ambito delle materie urbanistica e edilizia (da intendersi in modo omnicomprensivo) e senza che, in senso contrario, possa rilevare l’eventuale “carenza nel caso specifico di qualsiasi potere autoritativo, trattandosi di circostanze attinenti al merito della controversia, ossia alla fondatezza della domanda, del tutto ininfluenti ai fini della determinazione della giurisdizione” (Cass. Civ., Sez. Un., ordinanza 7 dicembre 2004, n. 22890).
5. Ancora in via preliminare, come rilevato nel corso della discussione, anche a non tener conto della circostanza che parte ricorrente non ha articolato sul punto specifiche censure, va evidenziata la manifesta tardività, essendo stato il ricorso notificato il 28.12.2020, della domanda di annullamento della delibera di G.M. n. –(omissis)-del 27.10.2018, della determina dirigenziale n. –(omissis)– e della nota prot. n. –(omissis)– del 21.07.2020, tutte richiamate nell’impugnato provvedimento.
6. Tanto premesso, anche a non considerare la dubbia legittimazione dei ricorrenti nella presente controversia stante la perdita della proprietà dell’immobile, per effetto dell’intervenuta acquisizione di esso al patrimonio comunale (cfr. C.G.A.R.S. 22 novembre 2022, n. 1208), si ritiene che il ricorso sia infondato e vada perciò respinto.
Non ignora il Collegio che la natura dell’ordinanza di sgombero sia oggetto di dibattito in giurisprudenza tra chi la considera, per dir così, ultimo segmento procedimentale dei provvedimenti ripristinatori finalizzato ad eseguire la demolizione prima ancora che ad acquisire il possesso del manufatto abusivo, e chi invece la considera sic et simpliciter strumento preordinato all’autotutela possessoria del patrimonio dell’Ente.
La distinzione non ha una rilevanza puramente dogmatica atteso che la citata autotutela possessoria, a mente dell’art. 823, comma 2, del codice civile è ammissibile al solo fine di tutelare i beni del demanio pubblico, il cui regime la giurisprudenza tende ad estendere ai beni del patrimonio indisponibile sicché, ove invece il bene non fosse destinato ad un pubblico servizio e rientrasse nella categoria dei beni patrimoniali disponibili, l’Amministrazione per acquisirne il possesso non potrebbe che ricorrere ai rimedi ordinari (Cfr. in termini, C.G.A.R.S., 19 marzo 2018, n. 151), con la conseguente nullità ex art. 21 septies della legge n. 241/1990 del provvedimento adottato (C.G.A.R.S., sez. giur., 3 aprile 2019, n. 178).
Ciò posto, per venire al caso di specie, osserva il Collegio che, per quanto il provvedimento impugnato richiami l’art. 823 del codice civile, appare evidente che l’intento della resistente Amministrazione sia di procedere alla demolizione del manufatto abusivo o, se si vuole, di portare a compimento il procedimento ripristinatorio avviato con l’ordine di demolizione del 2013, mai contestato dai ricorrenti. Non si spiegherebbe altrimenti il richiamo, contenuto nell’avversata ordinanza di sgombero, alla citata delibera n. –(omissis)-del 27.12.2018 con cui la Giunta Municipale di Alcamo approvò il progetto dei lavori di demolizione di sette immobili abusivi, tra cui quello di proprietà dei ricorrenti, ed alla nota prot. n. –(omissis)– del 21.07.2020, con la quale il Comune comunicò loro i costi di demolizione, invitandoli a comunicare a propria volta se intendessero procedere direttamente al ripristino.
Reputa in sostanza il Collegio che la doglianza articolata dai ricorrenti sia infondata, atteso che nella fattispecie all’esame l’ordinanza di sgombero e di immissione in possesso, nonché la sua esecuzione coattiva costituiscono evidentemente un segmento procedimentale ed esecutivo di provvedimenti di ripristino, definitivamente consolidati, di cui all’art. 31 del D.P.R. n. –(omissis)-/2001 essendo fisiologicamente volti, ai sensi del comma 5 del predetto art. 31, non tanto alla tutela dell’area acquisita al patrimonio, ma alla demolizione del fabbricato ed al conseguente ripristino della regolarità urbanistica.
Condivisibile giurisprudenza anche del Giudice d’Appello (cfr. da ultimo Consiglio di Stato, sez. II, 23 luglio 2024, n. 6659; in termini anche C.G.A.R.S., parere 25 settembre 2023, n. 399 e T.A.R. Campania, Napoli, Sez. II, 11 marzo 2021, n. 1625) ha, infatti, sottolineato che “l’atto di sgombero… costituisce nient’altro che il terminale esecutivo dei provvedimenti di demolizione e di acquisizione al patrimonio comunale dell’opera abusiva, di per sé dotati, in quanto estrinsecazioni dei poteri di vigilanza e di repressione urbanistico-edilizia sul territorio (cfr. art. 31 del d.P.R. n. –(omissis)-/2001), del connotato dell’esecutorietà, ossia della possibilità di essere portati ad esecuzione coattivamente ad opera della stessa amministrazione e senza l’intermediazione dell’autorità giudiziaria (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 26 gennaio 2015 n. 316; TAR Campania Napoli, Sez. II, 29 dicembre 2017 n. 6137; TAR Lazio Roma, Sez. I, 8 novembre 2010 n. 33239); ne discende che la gravata nota di sgombero è configurabile quale vero e proprio provvedimento amministrativo, sebbene esecutivo di precedenti provvedimenti repressivi di illeciti edilizi“.
D’altra parte, come ha avuto modo di evidenziare il Consiglio di Stato, l’art. 31 del D.P.R. n. –(omissis)-/2001 “…fa quindi riferimento al “patrimonio” del comune senza ulteriori aggettivi (disponibile/indisponibile) idonei ad identificare la natura del patrimonio. Nello stesso senso anche il comma quinto dell’art. 31, secondo cui l’opera abusiva, acquisita al “patrimonio” del comune a seguito dell’inottemperanza all’ingiunzione di demolizione, è demolita con ordinanza del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale a spese dei responsabili dell’abuso, salvo che con deliberazione consiliare non si dichiari l’esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l’opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell’aspetto idrologico” (Consiglio di Stato, sez. II, 4 giugno 2024, n. 4980).
In altri termini, la doglianza articolata dai ricorrenti è destituita di fondamento in ragione dell’irrilevanza nella fattispecie della natura – patrimonio disponibile o indisponibile – delle opere acquisite e per le quali viene ingiunto lo sgombero, in quanto in tal caso l’Amministrazione ha esercitato comunque poteri pubblicistici connessi alla repressione dell’abusivismo.
7. Per le ragioni esposte, in conclusione, il ricorso nei termini esposti va dichiarato irricevibile e per il resto va respinto perché infondato.
8. In considerazione della peculiarità della questione controversa su cui la giurisprudenza non si è espressa in modo univoco, si reputa che sussistano giuste ragioni per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare i soggetti nominativamente indicati nel presente provvedimento.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 3 ottobre 2024, in collegamento simultaneo da remoto, con l’intervento dei magistrati:
(omissis)
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 29 OTT. 2024.
