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T.A.R. Napoli (Campania), Sez. V, 29/09/2025, n. 6458

Massima

L’esclusione di un operatore economico da una gara d’appalto o concessione per grave illecito professionale, ai sensi degli articoli 95, comma 1, lettera e), e 98 del D.Lgs. 31 marzo 2023, n. 36, se fondata su significative o persistenti carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione (Art. 98, comma 2, lettera c), è illegittima qualora non sia dimostrata, secondo il tenore tassativo della norma (Art. 98, comma 6, lettera c), dalla intervenuta risoluzione per inadempimento del contratto pregresso o da una condanna al risarcimento del danno o ad altre conseguenze comparabili.

Supporto alla lettura

GARE PUBBLICHE

L’intera disciplina dei contratti pubblici, dalla fase di programmazione fino all’esecuzione, è contenuta nel Codice dei Contratti Pubblici, oggi rappresentato dal Decreto Legislativo 31 marzo 2023, n. 36. Il Codice attua le direttive comunitarie e costituisce la fonte primaria della materia, definendo i principi che devono guidare l’azione amministrativa:

Principio del Risultato (Art. 1): Orientamento primario all’efficacia e all’efficienza nell’affidamento e nell’esecuzione del contratto, visto come obiettivo di interesse pubblico.

Principio della Fiducia (Art. 2): Valorizzazione dell’autonomia decisionale e della discrezionalità amministrativa delle Stazioni Appaltanti, limitando la responsabilità solo ai casi di dolo o colpa grave.

Principio di Accesso al Mercato (Art. 3): Garanzia della massima partecipazione degli operatori economici, attraverso l’applicazione di un regime di tassatività delle cause di esclusione e la promozione della concorrenza.

Il D.Lgs. 36/2023, oltre a consolidare le procedure classiche, innova la materia con forte enfasi sulla digitalizzazione del ciclo di vita dei contratti, rendendo obbligatorio l’uso di piattaforme elettroniche e dell’interoperabilità tra banche dati (come la Banca Dati Nazionale dei Contratti Pubblici).

Il Codice distingue la disciplina a seconda del valore del contratto: gli Appalti Sottosoglia (al di sotto delle soglie di rilevanza europea) beneficiano di semplificazioni procedurali e della prevalenza del Principio del Risultato sulla formalità, mentre gli Appalti Soprasoglia sono soggetti al massimo rigore normativo e agli obblighi di pubblicità a livello europeo.

A garanzia della legalità e della correttezza delle procedure opera l’ANAC (Autorità Nazionale Anticorruzione), autorità indipendente che svolge la funzione di vigilanza sull’osservanza del Codice e previene fenomeni corruttivi nel settore degli appalti.

Ambito oggettivo di applicazione

SVOLGIMENTO E MOTIVI

 

Con il ricorso all’esame, notificato il 29 luglio e depositato il 9 settembre 2025, la società ricorrente impugna il provvedimento con il quale in data 30 giugno 2025 è stata esclusa, in applicazione dell’articolo 98 D.Lgs. 31 marzo 2023, n. 36, dalla gara per l’affidamento “in concessione … del servizio di ristoro mediante distribuzione automatica nelle sedi dell’Università degli Studi di Napoli Federico II”.

Ai fini della comprensione della vicenda e delle ragioni della decisione, occorre premettere in fatto che:

a) la società ricorrente ha gestito il servizio oggetto di gara in forza di un rapporto contrattuale cessato per scadenza del termine in data 31 luglio 2022;

b) in correlazione al periodo dell’emergenza COVID il pagamento del relativo canone di concessione fu sospeso dall’amministrazione nei mesi di marzo e aprile 2020 (in pratica durante il cd. lockdown); per il periodo successivo la ricorrente chiedeva di procedere a “riequilibrio delle condizioni di redditività della gestione” (in base all’articolo 28-bis del D.L. 19 maggio 2020, n. 34, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 17 luglio 2020, n. 77, secondo cui “in caso di contratti di appalto e di concessione che prevedono la corresponsione di un canone a favore dell’appaltante o del concedente e che hanno come oggetto il servizio di somministrazione di alimenti e bevande mediante distributori automatici presso … le università … qualora i relativi dati trasmessi all’Agenzia delle entrate … mostrino un calo del fatturato conseguito dal concessionario per i singoli mesi interessati dall’emergenza epidemiologica da COVID-19 superiore al 33 per cento, le amministrazioni concedenti attivano la procedura di revisione del piano economico finanziario prevista dall’articolo 165, comma 6, del codice dei contratti pubblici, di cui al D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50, al fine di rideterminare, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e per il solo periodo interessato dalla citata emergenza, le condizioni di equilibrio economico delle singole concessioni”); in particolare la ricorrente chiedeva la sospensione del canone sino al mese di febbraio 2022 e, per il periodo successivo e sino al luglio 2022, la sua riduzione nella misura del 50%; l’università, con delibera del consiglio di amministrazione n. 41 del 26 giugno 2024, accoglieva solo in parte queste richieste; essa, infatti, autorizzava “la sospensione del pagamento del canone concessorio dal mese di Giugno 2020 al mese di Luglio 2021, per un totale di euro 441.028,00”; per il periodo da agosto 2021 a febbraio 2022 essa riteneva che il canone potesse essere ridotto del 50%, mentre riteneva dovuto il canone nella misura intera a partire da marzo 2022 fino alla scadenza del 31 luglio 2022; con la delibera n. 41 l’università richiedeva quindi il pagamento del canone per un totale di euro 267.767,00, “con pagamento in due rate di euro 133.883,50 ciascuna, di cui la prima entro il 31 luglio 2024 e la seconda entro il 31 dicembre 2024”;

c) la ricorrente non eseguiva il pagamento della prima rata secondo quanto richiestole e – in data 9 settembre 2024 – inviava all’Università una nota nella quale si legge: “trovandosi in una situazione di difficoltà finanziaria temporanea, tale da non poter consentire il pagamento in due soluzioni, chiede che gli sia concessa la dilazione di n. 12 rate mensili di 22.313,91 euro cadauna, riconoscendo il proprio debito e rinunciando a qualsiasi contestazione in merito”; successivamente la ricorrente inviava una ulteriore nota con cui si dichiarava disponibile a prestare, a garanzia del pagamento delle rate nella misura da essa proposta, una fideiussione bancaria;

d) l’università forniva riscontro alla richiesta di diversa rateazione della ricorrente con una nota del 13 settembre in cui “confermava” quanto disposto dalla delibera c.d.a. n. 41 citata e intimava il pagamento della prima rata di euro 133.883,50 entro 15 giorni, minacciando, in mancanza, di attivare l’azione di recupero del credito e riservandosi, ove invece la rata fosse pagata nel termine fissato, di valutare “la possibilità” di concedere una dilazione del pagamento dell’importo della seconda rata; non avendo la ricorrente proceduto al pagamento della rata secondo quanto richiestole, il successivo 2 ottobre 2024, l’università confermava di non voler concedere dilazioni e il successivo 24 gennaio 2025 costituiva in mora la ricorrente intimando il pagamento dell’intero credito di euro 267.767 nel termine di 15 giorni;

e) in data 26 febbraio 2025, la ricorrente eseguiva un pagamento di euro 22.313,91 (in pratica una somma corrispondente alla prima rata del piano di rateazione che essa aveva proposto e che l’Università aveva rifiutato); seguivano pagamenti di uguale importo a partire dal mese di marzo; a fronte di questi pagamenti l’università, dapprima, con nota del 14 marzo 2025, ribadiva quanto disposto dalla Delib. n. 41 del 2024 e quindi, con nota del 20 maggio 2025, evidenziava che “i pagamenti effettuati dalla Società non trovano fondamento su alcun piano di rateizzo autorizzato dall’Ateneo”, comunicava che gli “importi versati al 28.04. u.s. saranno trattenuti sulla maggior somma dovuta” e diffidava la Società “in via ultimativa, a versare l’importo residuo di euro 200.825,27 (a cui andranno aggiunti gli ulteriori interessi maturati … fino all’effettivo soddisfo) entro e non oltre 15 giorni”.

Mentre si svolgeva la vicenda sopra descritta, l’Università “Federico II” il 18 aprile 2025 indiceva la gara per l’affidamento in concessione del medesimo servizio gestito fino al luglio 2022 dalla ricorrente, che presentava istanza di partecipazione alla gara; con il verbale n. 3 del “seggio di gara” era quindi disposta l’esclusione della ricorrente; la commissione, dopo aver richiamato le tappe della “vicenda” sopra descritta, riteneva che la ricorrente fosse incorsa in “un illecito professionale grave, tale da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità, dimostrato dalla stazione appaltante con mezzi adeguati”.

In estrema sintesi la commissione riteneva che: 1) la ricorrente fosse “titolare di un debito nei confronti dell’Ateneo pari ad euro 267. 767,00 (accertato alla data del 26 giugno 2024 e riconosciuto dalla Società, giusta nota allegata a PEC del 09/09/2024) maturato nel corso di precedente rapporto contrattuale avente medesimo oggetto rispetto a quello di cui alla procedura di gara in essere”; che essa non avesse “eseguito i pagamenti nei termini e secondo le modalità stabilite dall’Amministrazione con Delib. del 26 giugno 2024”; che “in modo del tutto arbitrario, in assenza di qualsivoglia fondamento giuridico e/o convenzionale legittimante pagamenti parziali”, avesse “proceduto, solo a decorrere da febbraio 2025 (oltre sei mesi dopo dalla scadenza del termine per il pagamento della prima rata) ad alcuni pagamenti i cui importi e tempi di esecuzione sono stati definiti unilateralmente dalla Società. Ciò, nonostante l’esplicito diniego, da parte dell’Ateneo, al piano di rateizzo (vedi nota prot. n. (…) del 13/09/2024) e le ripetute diffide successivamente inviate dall’Amministrazione e sistematicamente disattese dalla Società”; che, “allo stato” l’inadempimento della Società fosse perdurante “in quanto essa risulta ancora debitrice per una somma considerevole, pari ad euro 178.511,36, oltre interessi …”; 2) il comportamento così descritto integrasse un grave illecito professionale, considerati la rilevanza dell’interesse leso (interesse alla realizzazione del credito e al regolare andamento dei flussi di cassa) e la gravità della lesione, data l’entità del credito e la persistenza dell’inadempimento.

La ricorrente denuncia che la sua esclusione è illegittima per carenza di presupposti, istruttoria e motivazione; la sua tesi è che non vi sia alcun grave illecito professionale in quanto il preteso inadempimento non è grave né idoneo a inficiare il rapporto fiduciario con l’università (considerato che il rapporto contrattuale in questione ha avuto lunghissima durata e che la società per lungo tempo ha correttamente adempiuto ai suoi obblighi).

La ricorrente, in particolare, denuncia che l’esclusione non è stata preceduta dall’instaurazione del contraddittorio (primo motivo).

Essa denuncia altresì che l’inadempimento contestatole non integra un illecito professionale, men che meno un illecito grave o persistente; sotto questo secondo profilo la ricorrente sostiene in primo luogo che il suo preteso inadempimento non è riconducibile alla previsione della lettera c) dell’articolo 98 (“condotta dell’operatore economico che abbia dimostrato significative o persistenti carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione per inadempimento oppure la condanna al risarcimento del danno o altre sanzioni comparabili, derivanti da inadempienze particolarmente gravi o la cui ripetizione sia indice di una persistente carenza professionale”) dato che “la stazione appaltante non ha azionato alcuno dei procedimenti, amministrativi e giurisdizionali, previsti dalla norma dianzi citata ai fini di conseguire la risoluzione per inadempimento la condanna al risarcimento del danno ovvero altre sanzioni comparabili”; da ciò deriva ovviamente che difetta la prova dell’illecito (richiesta dalla lettera c) del comma 6 dell’articolo 9 (che è costituita, nella ipotesi della lettera c) del comma 3, proprio dalla “‘intervenuta risoluzione per inadempimento” o “condanna al risarcimento del danno o ad altre conseguenze comparabili”); a ciò si aggiungono i rilievi che l’inadempimento non sarebbe grave (tenuto conto dell’importo complessivo della commessa) né reiterato (riferendosi al solo e particolare periodo dell’emergenza COVID); sostiene infine la ricorrente che in ogni caso la motivazione della valutazione in merito alla gravità dell’inadempimento è solo apparente e non tiene in alcun conto le circostanze del caso concreto né il comportamento da essa comunque tenuto (il riferimento è alla trattativa svoltasi in merito alla istanza di riequilibrio e ai pagamenti parziali del periodo successivo al mese di gennaio 2025); sotto diverso profilo la ricorrente denuncia la violazione del comma 6 del D.Lgs. n. 96 e cioè della norma che dispone che il concorrente non possa essere escluso ove dimostri “di aver risarcito o di essersi impegnato a risarcire qualunque danno causato dal reato o dall’illecito”; essa sostiene infatti di essersi “impegnata a versare le somme richieste con una rateizzazione di dodici mesi comprendente anche il ristoro del danno che la stessa stazione appaltante ritiene essere quello connesso al ritardo nella percezione della somma e, quindi, pari agli interessi di mora” (secondo e terzo motivo).

La ricorrente sostiene infine che il credito vantato dall’amministrazione non solo non ha il carattere della certezza ma è stato anche non correttamente quantificato dalla Delib. n. 46 del 2024 (quarto motivo).

L’amministrazione resiste al ricorso.

Il ricorso è fondato, essendo condivisibili i rilievi della ricorrente in merito alla violazione degli articoli 95 e 98 D.Lgs. 31 marzo 2023, n. 36 citato.

Va premesso in punto di diritto che la stazione appaltante può escludere dalla gara il concorrente che abbia commesso “un illecito professionale grave, tale da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità, dimostrato dalla stazione appaltante con mezzi adeguati. All’articolo 98 sono indicati, in modo tassativo, i gravi illeciti professionali, nonché i mezzi adeguati a dimostrare i medesimi” (cfr. articolo 95 comma 1, lett. e); a sua volta il terzo comma dell’articolo 98 individua le fattispecie (a carattere tipico) da cui è consentito desumere l’illecito professionale; per quanto qui interessa, la lettera c) del comma 2 individua la “condotta dell’operatore economico che abbia dimostrato significative o persistenti carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione per inadempimento oppure la condanna al risarcimento del danno o altre sanzioni comparabili, derivanti da inadempienze particolarmente gravi o la cui ripetizione sia indice di una persistente carenza professionale”; infine il comma 6 alla lettera c) dispone, ai fini della prova dell’illecito (che è richiesta dalla lettera c) del comma 1), che tale prova è costituita da: “intervenuta risoluzione per inadempimento o condanna al risarcimento del danno o ad altre conseguenze comparabili”.

Ciò premesso, è evidente che il comportamento addebitato alla ricorrente non soddisfi le condizioni richieste dagli articoli 95 e 98; e infatti il preteso contestato inadempimento – che comunque si colloca nel quadro di una non riuscita trattativa avente a oggetto la revisione del contratto per l’alterazione del suo equilibrio determinato dall’emergenza COVID (fenomeno riconosciuto e regolato dall’articolo 28-bis citato che, al verificarsi dei presupposti che esso stesso individua, pacifici nella fattispecie, prescrive una revisione da attuarsi con il procedimento previsto dall’articolo 165 D.Lgs. n. 50 del 2016) – non risulta da intervenuta risoluzione del contratto per inadempimento né da condanna al risarcimento dei danni o ad altre conseguenze comparabili; quindi non è integrata oggettivamente alcuna delle fattispecie previste della lettera c) del comma 2 dell’articolo 98 citato; non potrebbe obiettarsi in contrario che dalla risoluzione o dalla condanna al risarcimento dei danni o conseguenza comparabile potrebbe nella fattispecie all’esame prescindersi, avendo la ricorrente riconosciuto il debito allorché ne chiese la rateazione il 9 settembre 2024. In contrario deve rilevarsi, da un lato, che, se una domanda di risoluzione potrebbe ritenersi inutile per un contratto la cui esecuzione è cessata, ben avrebbe potuto l’amministrazione agire per ottenere la condanna della ricorrente al pagamento di quanto ancora dovuto; né potrebbe sostenersi che una tale domanda sarebbe stata inutile avendo la ricorrente riconosciuto il debito e quindi ammesso l’inadempimento; invero, anche a voler prescindere dal carattere tassativo delle condizioni indicate all’articolo 98, va rilevato che il riconoscimento del debito della ricorrente nella sua nota del 9 settembre 2024 non era incondizionato ma si inseriva in un contesto di tipo negoziale, cioè in una proposta di definizione del rapporto che implicava l’accettazione del piano di rateazione del debito; indubbiamente il condizionamento del riconoscimento del debito all’accettazione della proposta di rateazione non era espresso, ma esso si deduce implicitamente dal tenore complessivo della nota inviata all’università che, solo dopo la formulazione della richiesta di rateazione, reca “il riconoscimento del debito e la rinuncia a qualsiasi contestazione in merito”; non essendo stata la proposta della ricorrente accolta, non può sostenersi che essa avesse riconosciuto il debito nella misura determinata dal creditore, così rendendosi incontestabilmente e persistentemente inadempiente ai suoi obblighi; ciò è coerente con l’istituto della revisione del contratto (si veda l’articolo 165 D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50, richiamato dall’articolo 28-bis del D.L. n. 34 del 2020), che prevede una negoziazione tra le parti. In ogni caso, a prescindere da come debba ricostruirsi la vicenda relativa alla rinegoziazione, sta di fatto che nella fattispecie all’evidenza non risulta integrata l’ipotesi della lettera c) del comma 2 dell’articolo 98 e ciò rende illegittima l’esclusione impugnata che va quindi annullata.

Il ricorso va quindi accolto.

Le spese di giudizio sono poste a carico dell’Università resistente e sono liquidate in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania – NAPOLI (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento di esclusione impugnato.

Condanna l’Università degli studi “Federico II” di Napoli al pagamento, in favore della ricorrente, delle spese di giudizio che liquida in euro duemila, oltre accessori di legge e rimborso del contributo unificato nella misura effettivamente versata.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità della ricorrente.

 

Conclusione

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 23 settembre 2025 con l’intervento dei magistrati (Omissis).

Allegati

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