Massima

La condotta privata di un militare, inclusa la sfera sessuale, non è soggetta a sanzioni disciplinari se non lede il prestigio dell’Arma. La “serietà” e il “decoro” richiesti al militare si riferiscono a comportamenti che hanno un impatto pubblico e non possono estendersi alla sfera personale, tutelata dal diritto alla privacy e alla libera espressione della propria personalità.

Supporto alla lettura

SANZIONI DISCIPLINARI DEL PERSONALE MILITARE

Le norme inerenti la disciplina militare sono riportate nel d. lgs. 66/2010 che definisce i principi fondanti della “disciplina militare” sancendo le “posizioni reciproche del superiore e dell’inferiore, le loro funzioni, i loro compiti e le loro responsabilità” da cui scaturiscono i principi di gerarchia ed i conseguenti rapporti di subordinazione e dovere dell’obbedienza intesa come “esecuzione pronta, rispettosa e leale degli ordini attinenti al servizio e alla disciplina, in conformità al giuramento prestato”.

Le sanzioni disciplinari si differenziano in:

  • sanzioni disciplinari di stato: sospensione disciplinare dall’impiego per un periodo da 1 a 12 mesi; sospensione disciplinare dalle funzioni del grado per un periodo da 1 a 12 mesi; cessazione dalla ferma o dalla rafferma per grave mancanza disciplinare o grave inadempienza ai doveri del militare; perdita del grado per rimozione;
  • sanzioni disciplinari di corpo: rimprovero, consegna e consegna di rigore.

Ambito oggettivo di applicazione

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2872 del 2017, proposto da
(omissis), rappresentato e difeso dagli avvocati (omissis), (omissis), con domicilio eletto presso lo studio (omissis) in Milano, via (omissis);

contro

Ministero della Difesa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, domiciliataria ex lege in Milano, via (omissis);

per l’annullamento

del provvedimento prot. (omissis) – notificato in data 9.10.2017 – con il quale il Vice Comandante Generale dei Carabinieri ha sospeso disciplinarmente dall’impiego il ricorrente per mesi 6;

di tutti gli atti a qualunque titolo anteriori, preordinati, connessi, coordinati e conseguenti alla emanazione del suddetto provvedimento.

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14 marzo 2023 la dott.ssa (omissis) e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con il proposto ricorso il ricorrente impugna il provvedimento prot. (omissis) e notificato in data 9.10.2017, con il quale il Vice Comandante Generale dei Carabinieri ha sospeso disciplinarmente dall’impiego il ricorrente stesso per mesi 6 in quanto trovato in compagnia di soggetti che facevano uso di sostanze stupefacenti.

Il ricorrente veniva deferito alla Commissione di Disciplina che, nella seduta dell’11 maggio 2017, lo riteneva “non meritevole dì conservare il grado”. Tale decisione veniva riformata dal Ministro della difesa, il quale con proprio provvedimento del 21 luglio 2017 riteneva viceversa il ricorrente “meritevole di conservare il grado” visti “…gli ottimi precedenti disciplinari e di servizio del Graduato…”.

In presenza della suddetta decisione il vice Comandante Generale adottava il provvedimento di sospensione impugnato in questa sede, considerando “…che l’interessato, nel contrarre relazioni o amicizie con persone dedite all’uso di stupefacenti, ha assunto un comportamento lesivo del prestigio personale e dell’Istituzione innanzi ai soggetti pubblici e privati venuti a conoscenza della vicenda, omettendo di osservare i doveri attinenti al proprio status e di tenere, anche nella vita privata, una condotta seria e decorosa…”, sul presupposto della applicazione degli artt. 920, 1357 e 1379 del d.lgs. 66/2010.

Avverso il suddetto provvedimento, il sig. (omissis) ha proposto ricorso, lamentando eccesso di potere nonchè violazione e falsa applicazione di legge e di normativa regolamentare.

Chiarisce il ricorrente di non essere dedito al consumo di stupefacenti, come risulta anche dagli esami tossicologici cui si sarebbe sottoposto. Nel provvedimento mancherebbe un qualsivoglia riferimento normativo ad uno specifico comportamento sanzionabile, in ossequio al principio della tassatività delle sanzione e degli illeciti disciplinari; in specie, il provvedimento non indicherebbe quale norma sia stata violata dal ricorrente, nel serbare una particolare condotta. La “relazione o amicizia con persone dedite al consumo di stupefacenti” sarebbe insussistente e, sarebbe stata questa ultima circostanza relativa al consumo di droga comunque ignota al ricorrente stesso, per cui alcun comportamento contrario all’Arma dei Carabinieri, globalmente considerato sarebbe stato posto in essere.

Espone il ricorrente, infine, che il provvedimento impugnato appare teso a sanzionare non tanto la “relazione suddetta” quanto piuttosto il suo differente orientamento sessuale. Inoltre nel provvedimento mancherebbe qualunque riferimento giuridico od anche fattuale alla indispensabilità di applicare una sanzione di indubbia gravità quale quella della sospensione per il periodo di sei mesi.

Si è costituita in giudizio l’amministrazione intimata affermando la legittimità del proprio operato.

Alla pubblica udienza del 14 marzo 2023 il ricorso è stato trattenuto in decisione all’esito della manifestazione di persistente sussistenza di interesse alla decisione da parte del ricorrente.

Il ricorso è fondato e va pertanto accolto.

Il ricorso è affidato a un unico, per quanto articolato, motivo con il quale il ricorrente lamenta anzitutto la illegittimità della sanzione non per vizi procedimentali ma per insussistenza, a fini disciplinari, della condotta tenuta dal militare in quanto attinente alla sua vita privata e al suo orientamento sessuale.

Al fine di rendere più chiaro il contesto fattuale che ha dato luogo al procedimento penale va ricordato che il ricorrente è stato ritrovato in casa di un terzo con altre 4 persone nell’intento di avere un rapporto intimo omosessuale. Uno dei presenti avrebbe fatto uso di sostanze stupefacenti, tanto che, uscito di casa, egli è stato ritrovato sui tetti in stato confusionale. I militari intervenuti sul posto, nel riaccompagnare in casa quest’ultimo hanno identificato tra gli altri il ricorrente e avviato il procedimento disciplinare nei suoi confronti, culminato nella sospensione dall’impiego di 6 mesi dal servizio.

La sanzione impugnata è stata inflitta ritenendo che il comportamento attribuito al militare rientri nell’ambito della disciplina riguardante il contegno del militare di cui all’art. 732 del d.P.R. 90/2010 secondo cui “1. Il militare deve in ogni circostanza tenere condotta esemplare a salvaguardia del prestigio delle Forze armate. 2. Egli ha il dovere di improntare il proprio contegno al rispetto delle norme che regolano la civile convivenza.

3. In particolare deve: ….d) astenersi dagli eccessi nell’uso di bevande alcoliche ed evitare l’uso di sostanze che possono alterare l’equilibrio psichico;

….5. Il personale dell’Arma dei carabinieri deve improntare il proprio contegno, oltre che alle norme previste dai precedenti commi, ai seguenti ulteriori doveri:

a) mantenere, anche nella vita privata, una condotta seria e decorosa;

b) osservare i doveri del suo stato, anche nel contrarre relazioni o amicizie;

….

6. Per il personale dell’Arma dei carabinieri costituisce grave mancanza disciplinare: …;

c) fare uso smodato di sostanze alcooliche o, comunque, di sostanze stupefacenti;…”.

Il provvedimento impugnato poggia sulla seguente motivazione: “l’interessato nel contrarre relazioni o amicizie con persone dedite all’uso di stupefacenti, ha assunto un comportamento lesivo del prestigio personale e dell’istituzione innanzi ai soggetti pubblici e privati venuti a conoscenza della vicenda, omettendo di osservare i doveri attinenti al proprio status e di tenere, anche nella vita privata, una condotta seria e decorosa”.

Con la memoria di costituzione l’amministrazione afferma che dall’attività istruttoria espletata sarebbe emerso che il militare, a prescindere dalla meritevolezza alla conservazione del grado, abbia comunque assunto un comportamento contrario ai doveri attinenti al suo status, denotando carenze sul piano delle qualità militari e di carattere nonché della rettitudine anche nella vita privata (tutte qualità che devono improntare l’agire di un militare) motivo per cui si ritiene congrua l’irrogazione della sanzione disciplinare della “sospensione dal servizio”.

Quanto invece ai criteri per la definizione della durata della sanzione stessa viene precisato che la sospensione viene parametrata alla gravità del rilievo disciplinare e che la valutazione in ordine alla gravità dei fatti addebitati, con le conseguenti scelte sanzionatorie, non risulta sindacabile in punto di legittimità, in quanto espressione di discrezionalità amministrativa, salvo che le sanzioni non siano puntualmente tipizzate o sussistano evidenti profili di sproporzionalità, irragionevolezza e travisamento.

Passando all’esame della condotta contestata al militare e alla base del procedimento disciplinare rispetto alla stessa vengono in rilievo due profili importanti: la presenza nel luogo in cui si trovava il militare di residui di cocaina e l’incontro sessuale di gruppo cui stava partecipando.

In merito al primo aspetto, in base alla ricostruzione dei fatti agli atti deve ritenersi verosimile la versione per la quale il ricorrente non si sarebbe accorto della presenza di residui di utilizzo di cocaina, trovandosi in una stanza buia e probabilmente trattandosi di sostanza assunta non in sua presenza. Ciò viene avvalorato non solo dalla relazione difensiva del 6 febbraio 2017 ma anche dalla circostanza per cui il ricorrente non risulta assuntore di droghe essendo risultato negativo al narcotest.

Trattandosi di soggetto non utilizzatore di droghe e trovandosi in un ambiente poco illuminato, e in assenza di circostanze maggiormente indicative del suo coinvolgimento, il ricorrente verosimilmente non ha notato la presenza di posate utilizzate per l’assunzione di droga ovvero di due bottiglie di coca cola preparate per tale finalità. E’ ipotizzabile, quindi, che egli si sia accorto della presenza di droga nell’appartamento dove si trovava solo al momento dell’irruzione in casa dei militari per la perquisizione.

Inoltre, per quanto sia ovvio che un militare non può intrecciare strette relazioni con persone dedite a reati, nel caso di specie può osservarsi: a) che il consumo di stupefacenti per uso personale nel nostro ordinamento non ha rilievo penale, ma costituisce un illecito amministrativo; b) che l’amministrazione non ha offerto alcuna prova del fatto che il ricorrente abbia, o abbia avuto, una regolare frequentazione con le persone trovate sotto l’effetto della droga durante la perquisizione domiciliare, con le quali ben avrebbe potuto consumare un occasionale rapporto sessuale di gruppo.

Ciò chiarito, la motivazione della sanzione secondo cui il ricorrente con la sua condotta ometteva “di osservare i doveri attinenti al proprio status e di tenere, anche nella vita privata, una condotta seria e decorosa”, cosi come le carenze sul piano delle “qualità militari e di carattere nonché della rettitudine anche nella vita privata” di cui alla memoria difensiva dell’amministrazione, ovvero le “censurabili carenze morali e di carattere” di cui alla Relazione finale del 21/02/2017, redatta nell’ambito del procedimento disciplinare a carico del ricorrente, devono intendersi, quindi, collegate in particolare all’incontro omosessuale di gruppo cui lo stesso partecipava. Il Collegio ritiene che detta circostanza non possa avere in sè alcun rilievo disciplinare ed esclude che nel corso di tale incontro sia risultato offeso il prestigio e il decoro dell’Arma, trattandosi di un evento che si è svolto a casa di una terza persona, in una dimensione privata e non pubblica.

Per come si legge anche nella memoria difensiva in favore del ricorrente di cui al procedimento disciplinare (datata 6 febbraio 2017), partecipare a un incontro presso l’abitazione di un terzo e non accorgersi della presenza di due cucchiai con dei residui di sostanza stupefacente non può certo avere rilevanza disciplinare, tenuto anche conto che l’episodio, non ha avuto alcun risalto mediatico. Si è trattato di un incontro tra adulti, non aperto all’esterno, ma riservato, in occasione del quale non ha avuto alcun peso il ruolo professionale del ricorrente (peraltro, come emerge dagli atti, militare di valore, che è stato qualificato con il giudizio di “eccellente” dal luglio 2007 all’agosto 2015, e da agosto 2015 a marzo 2016 con il giudizio di “superiore alla media”).

A questo punto, quindi, deve esaminarsi il motivo di ricorso prospettato, al fine di verificare se effettivamente il provvedimento disciplinare potrebbe essere rivolto più a sanzionare l’orientamento sessuale del ricorrente che una condotta avente rilievo disciplinare.

Va premesso che in una materia così delicata, nella quale si confrontano interessi parimenti importanti e di rango costituzionale – per un verso, il diritto alla svolgimento della “vita privata”, per altro verso, interessi pubblici afferenti alla sicurezza dei cittadini ed al buon andamento dell’amministrazione che la garantisce- non si possa rinunciare, anzi va fatta con scrupolo maggiore, la verifica se in concreto vi sia una oggettiva pubblicità, potenzialmente lesiva dell’ordine di appartenenza del militare sanzionato (cfr. Cons. Stato, sez. III, 21 febbraio 2014, n. 848).

Orbene, nel caso di specie, in primo luogo va esclusa la potenziale lesività per il corpo di appartenenza, trattandosi di vicenda che non ha ricevuto clamore mediatico, come emerge dagli atti del giudizio.

Inoltre il Collegio deve necessariamente soffermarsi sulla portata della locuzione “condotta seria e decorosa” richiesta al militare in servizio ai sensi del menzionato art. 732. Il giudice amministrativo ha già avuto modo di interrogarsi se il costume della società attuale, di cui il giudice deve essere interprete nell’applicazione di clausole generali, consideri offensivo per il decoro dell’amministrazione, l’inclinazione omosessuale, utilizzata nella vita privata, in ambiente non lavorativo e senza riferimenti all’attività lavorativa svolta (cfr. sentenza Cons. Stato citata).

L’idea di “decoro” appartiene alla “morale”, che varia nel tempo e nello spazio, specialmente nella nostra epoca caratterizzata da una rapida e costante evoluzione delle opinioni circa la vita sessuale delle persone. Il concetto di “decoro”, invero, dal punto di vista giuridico, è una clausola indeterminata ed elastica, la definizione dei cui confini è affidata all’interprete in un determinato contesto storico-sociale e che risente dell’evoluzione dei costumi e della cultura. In conformità con il disposto di cui agli artt. 2 e 3 della Costituzione, la vita sessuale è riconosciuta come condizione dell’uomo degna di tutela, in quanto riguarda l’identità della persona e il diritto alla realizzazione della propria personalità, e secondo l’art. 10 della Convenzione dei diritti dell’Uomo rientra nella libertà di espressione la possibilità di palesare opinioni e comportamenti che rivelano l’inclinazione sessuale (Cons. Stato, sez. III, 21 febbraio 2014, n. 848).

In effetti, fin dalla sentenza n. 561 del 1987, la Corte costituzionale ha avuto modo di affermare che “essendo la sessualità uno degli essenziali modi di espressione della persona umana, il diritto di disporne liberamente é senza dubbio un diritto soggettivo assoluto, che va ricompreso tra le posizioni soggettive direttamente tutelate dalla Costituzione ed inquadrato tra i diritti inviolabili della persona umana che l’art. 2 Cost. impone di garantire”.

Ne consegue che il legislatore, e a maggior ragione l’amministrazione che si trovi ad applicare clausole generali, non possono porre tale libertà, che si esprime attraverso la piena disponibilità del proprio corpo, in bilanciamento se non con principi costituzionali di pari forza, alla ricerca di un equilibrio che preservi integro il nucleo fondamentale degli interessi confliggenti.

Certamente tra tali principi, opponibili all’esercizio di un diritto fondamentale della persona, non può annoverarsi l’imposizione di uno standard di “serietà” e “decoro”, non meglio declinato dal legislatore, se non quando venga offerta una rigorosa motivazione in ordine al pregiudizio che la condotta abbia inferto al principio costituzionale che le si oppone, attraverso un bilanciamento proprio del caso concreto, che è invece stato del tutto omesso. Ragionando in senso contrario, lo Stato di diritto finirebbe per degenerare in Stato etico, imponendo ai consociati condotte di vita contrarie alla libera inclinazione di ciascuno di essi, solo in nome di un astratto senso della moralità, e non per proteggere vitali beni giuridici di rilievo costituzionale.

Orbene, per il Collegio questi principi devono ritenersi applicabili anche nei confronti di un militare, ogni qualvolta questi esprime il suo orientamento sessuale in un contesto privato, senza far valere il suo status. La “rettitudine anche nella vita privata” che viene richiesta al militare, non collegata a nessun comportamento lesivo di beni giuridici, deve necessariamente fermarsi “alla porta di casa”, ovvero alla porta di ingresso dell’ambiente in cui una persona vive la propria dimensione privata, anche sessuale, senza che possa essere oltrepassata.

Non emergendo altri profili di rilievo disciplinare, mantenere ferma la sanzione significherebbe censurare aspetti della vita privata di una persona che attengono alla realizzazione della propria personalità e che rientrano nella libertà di espressione della propria inclinazione sessuale, ciò che vale, è il caso di ribadirlo, anche per i militari in quanto “persone”.

Alla luce delle svolte considerazioni il ricorso va accolto e per l’effetto annullato l’atto impugnato.

Le spese di lite, in ragione della particolarità della questione, possono essere compensate.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla l’atto impugnato

Spese compensate.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare parte ricorrente.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 14 marzo 2023 con l’intervento dei magistrati:

(omissis)

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