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T.A.R. Lecce (Puglia) sez. III, 02/10/2017, n. 1550

Massima

L’emissione del DASPO, pur essendo una misura discrezionale dell’Autorità di Pubblica Sicurezza, deve essere supportata da una valutazione concreta e puntuale dei fatti, al fine di dimostrare la sussistenza di una reale pericolosità per l’ordine e la sicurezza pubblica da parte del destinatario. La condotta sanzionata, sebbene impropria, deve essere effettivamente riconducibile alle ipotesi previste dall’art. 6 della Legge n. 401/1989, non potendo il provvedimento colpire comportamenti meramente ipotetici o non idonei a generare un pericolo concreto. (Nel caso di specie, la condotta del ricorrente, pur violando il regolamento sportivo, non integrava gli estremi per l’applicazione del DASPO, in quanto non finalizzata a turbare l’ordine pubblico, ma a favorire un confronto pacifico tra tifosi e squadra in un contesto privo di pericoli per la sicurezza).

Supporto alla lettura

DASPO

Il Daspo (da “D.A.SPO.”, acronimo di “Divieto di Accedere alle manifestazioni SPOrtive”) è una misura prevista dalla legge italiana nata al fine di impedire aggressioni violente nei luoghi degli avvenimenti sportivi e poi allargata alla tutela degli atleti da ogni forma di offesa verbale, quanto meno rimandabile alla sfera razziale.

Il Daspo vieta al soggetto ritenuto pericoloso di accedere in luoghi in cui si svolgono determinate manifestazioni sportive.

Il provvedimento viene emesso dal questore e la sua durata va da uno a cinque anni, in base alle modifiche del cosiddetto Decreto Pisanu varato nel febbraio 2007 dopo gli scontri di Catania.

Può essere accompagnato dall’obbligo di presentazione a un ufficio di polizia in concomitanza temporale delle manifestazioni vietate. Viene sempre notificato all’interessato; nel caso in cui ad esso si affianchi anche la prescrizione della firma, è comunicato anche alla Procura della Repubblica presso il Tribunale competente. Entro 48 ore dalla notifica ne deve seguire la convalida da parte del GIP presso il medesimo Tribunale, solo per la parte attenente la firma. Il Questore può autorizzare l’interessato, in caso di gravi e documentate esigenze, a comunicare per iscritto il luogo in cui questi possa recarsi per apporre le firme d’obbligo in concomitanza delle manifestazioni sportive.

La Corte Costituzionale, nella sentenza n. 512 del 2002, inquadra la misura del Daspo tra quelle di prevenzione, che possono essere quindi inflitte indipendentemente dalla commissione di un reato.

Ambito oggettivo di applicazione

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 15 del 2017, proposto da:
(omissis), rappresentato e difeso dagli Avv.ti (omissis) e (omissis), con domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. (omissis) in Lecce, via (omissis);

contro

Ministero dell’Interno e Questura (omissis), in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro-tempore, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato – Lecce, domiciliata in Lecce, Piazza S. Oronzo (ex Palazzo di Giustizia);

per l’annullamento:

del decreto di D.A.SPO. avente n. 26/2016 – Div.P.A.C. – M.P.S. del 28 settembre 2016 (notificato il 17 ottobre 2016) del Questore di (omissis).

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno e della Questura di (omissis);

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 27 giugno 2017 la dott.ssa (omissis) e uditi per le parti l’Avv. (omissis) e l’Avvocato dello Stato (omissis);

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Il ricorrente (omissis)” – ha impugnato, domandandone l’annullamento, il decreto di D.A.SPO. n. 26/2016 – Div.P.A.C. – M.P.S. del 28 settembre 2016 (notificato il 17 ottobre 2016), con cui il Questore di (omissis): ha ordinato che gli sia fatto divieto “di accedere ai luoghi ove si svolgono incontri di calcio relativi ai campionati nazionali professionisti e dilettanti, ai tornei internazionali, ai tornei amichevoli, alle partite della nazionale italiana di calcio che verranno disputate sul territorio nazionale nonché sul territorio degli altri stati appartenenti all’Unione europea, per la durata di anni tre a decorrere dalla data di notifica del presente provvedimento”; gli ha vietato, altresì, “in considerazione del fatto che le zone circostanti gli impianti sportivi ed i luoghi di usuale transito di tifosi si prestano all’innesco di azioni violente tra opposte tifoserie, di accedere da due ore prima a due ore dopo lo svolgimento degli incontri di calcio del (omissis), alle aree di parcheggio di autovetture, pulmans ed altri mezzi di trasporto nel raggio di 300 metri dal perimetro esterno dell’impianto sportivo”.

A sostegno dell’impugnazione interposta ha formulato i seguenti motivi di gravame:

1) violazione dell’art. 14 della Legge n. 689/1981, decadenza del potere sanzionatorio;

2) violazione dell’art. 6, comma 1 della Legge n. 401/1989, errore sui presupposti di fatto e di diritto, difetto di motivazione per genericità del provvedimento, eccesso di potere per violazione del principio di gradualità e sproporzione della stessa.

Si sono costituiti in giudizio, per il tramite dell’Avvocatura Distrettuale Erariale, il Ministero dell’Interno e la Questura (omissis), contestando in toto le avverse pretese e chiedendo la reiezione del gravame.

Con ordinanza 2 febbraio 2017, n. 50, questo Tribunale ha accolto l’istanza cautelare incidentalmente formulata dal ricorrente, ritenuto (quanto al fumus boni iuris) “che dai fatti come contestati non sembrano emergere elementi tali da ricondurre la condotta nella fattispecie di cui all’art. 6 della L. n. 401/1989, e tenuto conto, inoltre, che il provvedimento appare sproporzionato nella misura erogata”.

All’udienza pubblica del 27 giugno 2017, su istanza di parte, la causa è stata introitata per la decisione.

DIRITTO

0. – Il ricorso è fondato nel merito e deve essere accolto.

1. – Condivisibile ed assorbente (e ciò dispensa il Collegio dall’esame delle ulteriori doglianze formulate) è la seconda censura con cui il ricorrente (rilevato che l’impugnato provvedimento di D.A.SPO. fa discendere la sua responsabilità dall’aver consentito ad alcuni tifosi l’indebito accesso, una volta terminata la competizione sportiva, al settore dello stadio ad essi precluso) deduce, sostanzialmente, la violazione dell’art. 6 della Legge n. 401/1989, per non essere il concreto comportamento contestato ascrivibile alle fattispecie di cui alla summenzionata disposizione normativa.

1.1 – E’ opportuno rammentare che l’art. 6 (rubricato “Divieto di accesso ai luoghi dove si svolgono manifestazioni sportive”), comma 1, della Legge 13 dicembre 1989, n. 401 (recante “Interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestini e tutela della correttezza nello svolgimento di manifestazioni sportive”) stabilisce che nei confronti delle persone che risultano “denunciate o condannate anche con sentenza non definitiva nel corso degli ultimi cinque anni” per taluno dei reati specificamente elencati nella prima parte del comma in esame, “ovvero per aver preso parte attiva a episodi di violenza in occasione o a causa di manifestazioni sportive, o che nelle medesime circostanze abbiano incitato, inneggiato o indotto alla violenza, il questore può disporre il divieto di accesso ai luoghi in cui si svolgono competizioni agonistiche specificamente indicate nonché a quelli, specificamente indicati, interessati alla sosta o al trasporto di coloro che partecipano o assistono alle competizioni medesime. Il divieto di cui al presente comma può essere, altresì, disposto nei confronti di chi, sulla base di elementi di fatto, risulta avere tenuto, anche all’estero, una condotta, sia singola che di gruppo, evidentemente finalizzata alla partecipazione attiva ad episodi di violenza, di minaccia o di intimidazione, tali da porre in pericolo la sicurezza pubblica o a creare turbative per l’ordine pubblico nelle medesime circostanze di cui al primo periodo”.

Tale disposizione normativa, mentre nella prima parte individua i presupposti per la sua applicazione con richiamo nominativo a singole ipotesi di reato (che, ove ascritte, anche con sola denuncia all’A.G., rendono possibile, nel prudente apprezzamento dell’Autorità di Pubblica Sicurezza, l’adozione dell’inibitoria di accesso ai luoghi ove si svolgono le competizioni sportive), nella seconda parte assume a riferimento una serie di comportamenti afferenti all’aver “incitato, inneggiato o indotto alla violenza”, ovvero all’aver tenuto una condotta “evidentemente finalizzata alla partecipazione attiva ad episodi di violenza, di minaccia o di intimidazione tali da porre in pericolo la sicurezza pubblica o a creare turbative per l’ordine pubblico” in occasione o a causa di manifestazioni sportive (e tanto al fine prevalente di scongiurare il ripetersi di detti episodi in danno del regolare svolgimento delle manifestazioni sportive e con pericolo dell’ordine, della sicurezza e della stessa incolumità pubblica nei luoghi in cui tali manifestazioni si svolgono).

1.2 – Orbene, in primo luogo, la Sezione conosce e condivide il prevalente orientamento giurisprudenziale per cui “il potere attribuito al Questore dal citato art. 6 della Legge 13 Dicembre 1989 n° 401 e ss.mm. ha natura ampiamente discrezionale e le valutazioni inerenti alla pericolosità dei soggetti e alla ragionevolezza del divieto (D.A.SPO.), attenendo al merito dell’azione amministrativa, si sottraggono di norma al sindacato di legittimità del G.A.” (T.A.R. Puglia, Lecce, III, 22 febbraio 2017, n. 326): e tanto “in considerazione delle finalità di pubblica sicurezza cui è diretto, in vista della tutela dell’ordine pubblico, non soltanto in caso di accertata lesione, ma anche in via preventiva ed in caso di pericolo anche soltanto potenziale di lesione” (T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, 5 ottobre 2016, n. 1003).

E’ stato altrettanto a ragione ritenuto che “l’anticipazione della soglia di sanzionabilità del comportamento tenuto dal tifoso in occasione di una manifestazione sportiva non possa spingersi fino a colpire condotte meramente ipotetiche,…., ove non assistite da alcun elemento concreto o comunque univocamente atto a concretizzare un pericolo per la sicurezza e la moralità pubblica” (T.A.R. Puglia, Lecce, I, 17 febbraio 2016, n. 325).

In altri termini, “il divieto di cui sopra presenta natura interdittiva atipica, nel senso che deve fondarsi su una situazione di pericolosità sociale specifica, ossia sulla pericolosità che deriva dal verificarsi di ben individuate condotte in occasione di manifestazioni sportive, generatrici di tumulto, allarme e/o di pericolo, in carenza delle quali il divieto non può essere disposto (cfr., tra le altre, C.d.S., Sez. VI, 3 dicembre 2009, n. 7552; TAR Lombardia, Milano, Sez. III, 11 marzo 2010, n. 567; TAR Campania, Napoli, Sez. V, 2 dicembre 2009, n. 8303). E’, dunque, evidente che l’adozione di provvedimenti di tal genere, riconducibili al genus delle misure di prevenzione o di polizia e, quindi, comminabili “ante delictum”, deve risultare motivata con riferimento a comportamenti concreti ed attuali del destinatario, dai quali possano desumersi talune delle ipotesi previste dalla legge come indice di pericolosità per la sicurezza e la moralità pubblica, tali da ingenerare nelle tifoserie sentimenti di odio e vendetta o, comunque, condotte di incitamento alla violenza durante una manifestazione sportiva (cfr., tra le altre, TAR Calabria, Catanzaro, Sez. I. 4 marzo 2011, n. 301)” (T.A.R. Lazio, I ter, 7 maggio 2012 n. 4091; in termini, T.A.R. Toscana, II, 25 novembre 2015, n. 1601).

1.3 – Tanto premesso, nella particolare vicenda in esame, il Collegio è dell’avviso meditato che (come già rilevato nell’ordinanza cautelare n. 50 del 2 febbraio 2017) i fatti concretamente contestati al ricorrente non sono tali da ricondurre la condotta del predetto nella fattispecie normativa di cui all’art. 6, comma 1 della Legge n. 401/1989.

Ed invero, con l’impugnato provvedimento di D.A.SPO., si rileva che l’odierno ricorrente, in qualità di (omissis) della (omissis)), al termine dell’incontro di calcio disputato dalla (omissis), “dopo aver interloquito con la tifoseria ultras, consentiva a sei tifosi, di cui cinque ultras, di accedere all’interno dello stadio ormai vuoto e bonificato per poi condurli nell’area spogliatoi ove erano ancora presenti sia la terna arbitrale che la squadra ospite, per farli parlare con alcuni giocatori, violando palesemente quanto previsto dall’art. 12 c. 8 del Codice di Giustizia Sportiva. Il Dirigente del servizio interveniva personalmente per allontanare sia gli ultras che il … mentre erano intenti a discutere all’interno del terreno di gioco. Pertanto, il …., abusando del proprio ruolo di (omissis) e asserendo falsamente di essere stato autorizzato all’ingresso degli ultras dal dirigente del servizio di o.p,, esercitava una condotta intimidatoria nei confronti dello steward preposto internamente alla porta che immette all’area spogliatoi. Per questi fatti il …. veniva deferito alla competente AG per il reato p.e p. dall’art 336 c.p.”.

Il gravato D.A.SPO. prosegue nel senso che “risulta di tutta evidenza che il …., abusando delle proprie mansioni e violando le più basilari norme di comportamento sportivo oltre che le normative vigenti di settore, ha cagionato concreto pericolo per l’incolumità di calciatori del (omissis), favorendo l’ingresso dei tifosi (omissis) nelle aree riservate dello stadio quando queste erano ancora in uso a calciatori, terna arbitrale e addetti autorizzati. Ha inoltre consentito che sei tifosi del (omissis), alcuni già destinatari in passato di Daspo, venissero a contatto con rappresentanti della Squadra e calciatori, peraltro senza alcun preavviso all’Autorità di P.S. e con esplicita minaccia agli steward addetti ai controlli di sicurezza e di accesso all’area riservata in argomento”. Conclude che la presenza dell’odierno ricorrente “anche quale spettatore, in occasione dì manifestazioni sportive e nei luoghi ove esse si svolgono, sia pericolosa per l’ordine e la sicurezza pubblica e possa turbare il regolare svolgimento delle gare”.

Ciò posto, il Tribunale ritiene dirimente osservare (sinteticamente): da un lato, che il reato di minaccia a Pubblico Ufficiale ex art. 336 del Codice Penale (per il quale il ricorrente è stato denunciato all’A.G.) non rientra tra quelli previsti dall’art. 6, comma 1 della Legge n. 401/1989 (essendo un delitto contro la P.A.); e, dall’altro, che il ricorrente medesimo non ha “incitato, inneggiato o indotto alla violenza” in occasione o a causa dell’incontro di calcio de quo, né il comportamento concretamente tenuto è riconducibile ad “una condotta, sia singola che di gruppo, evidentemente finalizzata alla partecipazione attiva ad episodi di violenza, di minaccia o di intimidazione, tali da porre in pericolo la sicurezza pubblica o a creare turbative per l’ordine pubblico” in occasione o a causa del suddetto incontro.

Ed invero, osserva la Sezione che l’atto impugnato fa discendere la responsabilità del ricorrente essenzialmente dall’avere quest’ultimo consentito ad alcuni tifosi “ultras” (al termine dell’incontro calcistico ed a “stadio ormai vuoto e bonificato”) l’accesso al settore dello stadio (area spogliatoi) ad essi precluso.

Orbene, trattasi di condotta, sia pure impropria, volta a far “riappacificare” (come pure condivisibilmente evidenziato dal ricorrente medesimo) la tifoseria con la squadra dopo una cocente sconfitta.

Ciò è confermato, in particolare, dallo stesso “Rapporto di servizio dell’attività steward” del 21 dicembre 2015, laddove si espone che il (omissis) (odierno ricorrente), accompagnato dagli steward e dal delegato alla sicurezza, “al termine della gara”, “intendeva risolvere pacificamente la protesta” e che “con molte difficoltà riusciva a sedare gli animi e portare i tifosi alla calma”, evidenziando che, poi, lo stesso accompagnava alcuni tifosi nell’area spogliatoi (ancorchè “pretendendo l’ingresso”), e tanto ad avvenuto deflusso dei tifosi della squadra ospite (già sul pullman in partenza).

Sicchè, in definitiva, avuto riguardo vuoi al momento in cui si è verificata la condotta censurata (al termine della gara ed a stadio vuoto e bonificato), vuoi alle specifiche circostanze di fatto ed all’intero contesto della vicenda, il Collegio è dell’avviso meditato che il comportamento sanzionato – sebbene improprio e non consono alla rivestita qualifica di (omissis)(specificamente censurabile dal Giudice sportivo, tant’è che risulta irrogata, il 21 dicembre 2015, da tale Giudice la sanzione dell’ammenda di euro 750,00 “per indebita presenza nel terreno di gioco, di persone non autorizzate al termine della gara”) – presenta peculiarità tali che lo rendono estraneo alle ipotesi di cui all’art. 6 della Legge n. 401/1989 (in quanto non effettivamente idoneo a porre in pericolo la sicurezza pubblica o a turbare l’ordine pubblico).

2. – Per tutto quanto innanzi sinteticamente esposto, il ricorso deve essere accolto, e, per l’effetto, va disposto l’annullamento del provvedimento impugnato.

3. – Sussistono gravi ed eccezionali motivi (l’assoluta novità delle specifiche questioni affrontate) per disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce – Sezione Terza, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte ricorrente.

Così deciso in Lecce nella Camera di Consiglio del giorno 27 giugno 2017 con l’intervento dei magistrati:

(omissis)

Allegati

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