SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 578 del 2020, proposto da
(omissis) S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati (omissis), (omissis), con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
A.S.L. Lecce, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Giorgio Selleri, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per l’annullamento
– del provvedimento della A.S.L. Lecce – Dipartimento di Prevenzione, registro ufficiale prot. U. 0014174 del 30 gennaio 2020, avente ad oggetto “Azione esecutiva ai sensi del reg. (UE) 2017/625 art. 138”;
– di tutti gli atti presupposti, conseguenziali o comunque connessi, in quanto lesivi, se pur ignoti, ivi compreso il verbale NAS del 12 gennaio 2020.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della A.S.L. Lecce;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore il dott. (omissis) nella camera di consiglio del giorno 30 giugno 2020, svoltasi in videoconferenza secondo quanto disposto dall’art. 4, comma 1, del decreto-legge n. 28/2020, convertito in Legge n. 70/2020, uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale e trattenuta la causa in decisione ai sensi dell’art. 60 c.p.a. e dell’art. 84, comma 5, del decreto-legge n. 18/2020, convertito in Legge n. 27/2020;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La (omissis) S.r.l. gestisce, tra gli altri, il punto vendita a insegna “(omissis)”, sito in Gallipoli (provincia di Lecce), ove ha allestito, all’interno del reparto gastronomia, un’area di vendita di pane ottenuto mediante completamento di cottura di “pane parzialmente cotto”.
A seguito di visita ispettiva effettuata in data 12 gennaio 2020, i Carabinieri del N.A.S. di Lecce procedevano al sequestro di 23 Kg. circa di pane precotto in vendita negli espositori, avendo riscontrato – come da verbale prodotto in atti – che “un cliente anziano, senza l’utilizzo della protezione di guanti, dopo aver toccato diversi pezzi di pane, ne ha scelto alcuni che ha finalmente acquistato“.
In particolare, nel verbale di sopralluogo, i militari contestavano le seguenti irregolarità: a) non è esercitata la necessaria vigilanza sulla procedura di acquisizione del pane precotto da parte del consumatore, poiché i distributori self-service del pane precotto sono posti a distanza dal banco vendita assistita ed in posizione defilata rispetto all’addetto al punto vendita; b) le diverse tipologie di pane precotto ed etichettato sono vendute in assenza di preconfezionamento per ciascun pezzo, in violazione della disciplina prevista per la vendita del pane precotto, di cui al combinato disposto dell’art. 14, comma 4, della legge 4 luglio 1967, n. 580 e dell’art. 1, comma 1, del d.P.R. 30 novembre 1998, n. 502.
Pertanto, il Dipartimento di Prevenzione della A.S.L. di Lecce adottava il provvedimento prot. n. U.0014174 del 30 gennaio 2020, con il quale – dopo aver richiamato il contenuto del verbale redatto dai Carabinieri del N.A.S. – disponeva «l’immediata sospensione della vendita self-service di pane e prodotti da forno sfusi e posti in vendita in appositi scaffali erogatori del tipo a cassetto, in assenza di un operatore addetto alla vigilanza sulle corrette modalità di prelievo/acquisto da parte dei clienti».
Con ricorso depositato in data 8 giugno 2020, la società ricorrente ha, quindi, impugnato il predetto provvedimento, chiedendone l’annullamento, previa adozione di idonee misure cautelari.
Nel ricorso si lamentano sia taluni vizi procedurali dell’atto della A.S.L. di Lecce, sia l’infondatezza nel merito dello stesso, sostenendo, in particolare, la legittimità e la conformità alle norme nazionali e comunitarie della procedura di vendita del pane precotto, in uso presso il punto vendita di Gallipoli.
La A.S.L. si è costituita in giudizio e ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile, improcedibile o, in subordine, infondato nel merito, con conseguente rigetto dell’istanza cautelare e delle domande in esso contenute e con vittoria delle spese di lite.
Con memoria del 25 giugno 2020, la difesa della Azienda Sanitaria ha rappresentato che, ancor prima della proposizione del ricorso introduttivo del presente giudizio, il competente Servizio di Prevenzione, in data 17 aprile 2020, con provvedimento prot. n. 53236, ha disposto la revoca del provvedimento oggetto di gravame, sul presupposto dell’avvenuta ottemperanza da parte della (omissis) alle prescrizioni contenute nello stesso, così come rilevato dai militari del N.A.S. di Lecce con nuovo verbale di visita ispettiva del 21 febbraio 2020.
Conseguentemente, l’Amministrazione ha eccepito l’inammissibilità del ricorso, sia perché proposto avverso un atto già revocato al momento della sua proposizione, sia per intervenuta acquiescenza al provvedimento oggetto di gravame.
Con memoria del 27 giugno 2020, parte ricorrente ha contestato che il nuovo provvedimento della A.S.L. Lecce abbia natura di atto di revoca, giacché nello stesso si dispone “la chiusura del provvedimento della A.C. prot. n.0014174 del 30/01/2020”.
Secondo la difesa della Megagest, il provvedimento non sarebbe espressione del potere di revoca e, dunque, persisterebbe l’interesse della sua assistita, anche al fine di individuare esattamente l’ambito di operatività della conformità alle norme in materia di igiene e di sicurezza alimentare previste dalla legislazione speciale di settore in materia di vendita self-service di pane precotto.
La società ricorrente ha contestato le deduzioni avversarie e ha insistito per l’accoglimento del ricorso e dell’istanza cautelare, avanzando pure istanza di discussione da remoto ex art. 4 D.L. n. 28/2020, alla quale l’Amministrazione resistente non si è opposta.
Nella camera di consiglio del 30 giugno 2020, previo avviso alle parti ex art. 60 c.p.a. e 84, co. 5, del D.L. n. 18/20, conv. in legge n. 27/2020, la causa è stata trattenuta in decisione.
2. Il Collegio prescinde dall’esame della questione relativa alla sopravvenuta carenza di interesse alla decisione, perché il ricorso è infondato nel merito.
Con il primo motivo, (omissis) S.r.l. lamenta la presunta illegittimità del provvedimento oggetto di gravame, sotto il profilo della sua mancata partecipazione al procedimento amministrativo ai sensi degli artt. 7 e ss. legge n. 241/1990.
La censura non è positivamente apprezzabile, in quanto le misure adottate con l’atto in questione rivestono carattere di urgenza e sono tese ad assicurare l’interesse alla salute pubblica, attraverso l’elisione di potenziali rischi di contaminazione dei prodotti di cui è stata sospesa la vendita.
L’art. 7 della legge n. 241 del 1990 esclude l’obbligo di previa comunicazione di avvio quando “sussistono ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento” e fa comunque “salva la facoltà dell’amministrazione di adottare, anche prima della effettuazione delle comunicazioni di cui al medesimo comma 1, provvedimenti cautelari”.
E proprio a tale dato normativo fa riferimento il provvedimento de quo, laddove testualmente motiva che “Trattandosi di provvedimento cautelare/urgente – oppure – dal momento che sussistono particolari esigenze di celerità del procedimento, si applica la deroga ex art. 7 della L. 241/90 in materia di comunicazione di avvio del procedimento”.
In proposito, il Collegio ritiene condivisibili le argomentazioni sviluppate in analoga vicenda da Cons. Stato, Sez. III, 17 dicembre 2015, n. 5714, secondo cui “…sono inammissibili per evidente mancanza dei presupposti le censure sollevate in merito alla mancata comunicazione dell’avvio del procedimento ai sensi degli artt. 7 e 8 della legge n. 241/1990. Se lo scopo del provvedimento è di prevenire infezioni o altre patologie ai danni dei consumatori, sono infatti del tutto evidenti le pressanti esigenze di urgenza: in questo caso l’urgenza del provvedere è in re ipsa ed è attestata dagli stessi tempi del procedimento. Inoltre il procedimento si è svolto in termini di immediatezza a stretto contatto con rappresentanti della medesima società, che ha potuto ampiamente esercitare il suo diritto di difesa come è testimoniato dagli atti”.
3. Con il secondo motivo di ricorso, (omissis) deduce l’illegittimità del provvedimento impugnato per errata interpretazione delle norme nazionali e comunitarie che regolano la materia, ed in particolare dell’art. 14, comma 4, della legge n. 580/1967, applicato in combinato disposto con l’art. 1 comma 1 del d.P.R. n. 502/1998.
Secondo l’assunto della ricorrente, l’obbligo di preconfezionamento normativamente previsto per il pane precotto, potrebbe essere assolto anche mediante imballaggi preconfezionati posti nel luogo di vendita ed utilizzati in un momento successivo al posizionamento del pane sfuso negli appositi scaffali per la vendita.
Anche tale doglianza è infondata.
In ordine al preconfezionamento, l’art. 14, comma 4, della legge n. 580/1967 prevede che “il pane ottenuto mediante completamento di cottura di pane parzialmente cotto, surgelato e non, deve essere distribuito e messo in vendita, previo confezionamento ed etichettature riportanti le indicazioni previste dalla normativa vigente in materia di prodotti alimentari, in comparti separati dal pane fresco e con le necessarie indicazioni per informare il consumatore sulla natura del prodotto“.
L’art. 1, comma 1, del regolamento attuativo emanato con d.P.R. n. 502/1998 testualmente recita: “1. Ai fini dell’applicazione dell’articolo 14, comma 4, della legge 4 luglio 1967, n. 580, come modificato dall’articolo 44 della legge 22 febbraio 1994, n. 146, il pane ottenuto mediante completamento di cottura da pane parzialmente cotto, surgelato o non surgelato, deve essere distribuito e messo in vendita in comparti separati dal pane fresco e in imballaggi preconfezionati riportanti oltre alle indicazioni previste dal decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 109, anche le seguenti: a) “ottenuto da pane parzialmente cotto surgelato” in caso di provenienza da prodotto surgelato; b) “ottenuto da pane parzialmente cotto” in caso di provenienza da prodotto non surgelato ne’ congelato. 2. Ove le operazioni di completamento della cottura e di preconfezionamento del pane non possano avvenire in aree separate da quelle di vendita del prodotto, dette operazioni possono avvenire, fatte salve comunque le norme igienico sanitarie, anche nella stessa area di vendita e la specifica dicitura di cui al comma l deve figurare altresì su un cartello esposto in modo chiaramente visibile al consumatore nell’area di vendita”.
Le norme in questione, nel dettare l’obbligo di preconfezionamento e di etichettatura del pane parzialmente cotto, perseguono una duplice finalità.
Con tali disposizioni, il legislatore ha inteso tutelare in primis l’interesse alla sicurezza alimentare e alla salute pubblica, prescrivendo il previo imballaggio del pane ottenuto da parziale cottura, per scongiurare il pericolo di contaminazione del prodotto da parte del consumatore che lo maneggi nella fase prodromica all’acquisto.
Al contempo, la voluntas legis ha fatto propria l’esigenza di rendere il consumatore edotto di una qualità essenziale del pane – precotto anziché fresco -, rispetto alla quale il preconfezionamento è misura specifica, che si aggiunge alle altre, ossia alla etichettatura e alla cartellonistica, nel segnalare al consumatore la lavorazione differenziata del pane in acquisto (cfr. Cass. Civ., Sez. II, ordinanza 27 aprile 2020, n. 8197).
In tale ottica, la previsione legislativa, per cui il pane precotto deve essere oggetto di preconfezionamento, deve essere riferita alla possibilità di effettuare l’imbustamento anche nello stesso locale destinato alla vendita del prodotto, ma necessariamente prima che il prodotto stesso venga collocato negli scaffali per la vendita.
Ed invero, alla stregua della individuata duplice ratio legis, entro cui si inscrivono gli obblighi di preconfezionamento e di etichettatura del pane ottenuto mediante completamento di cottura di pane parzialmente cotto, si deve ritenere che tali obblighi debbano essere assolti dallo stesso rivenditore e non dal consumatore, a prescindere dal luogo, interno o esterno dell’area di vendita, in cui siano effettuati (con l’unica precisazione che, ove il prodotto de quo sia confezionato nella stessa area di vendita, le confezioni etichettate dovranno essere accompagnate da appositi cartelli, che richiamino – ancora una volta – l’attenzione del consumatore sulla reale natura del pane, che viene cotto nella stessa area di vendita).
Sic rebus stantibus ed in disparte la considerazione circa la speciale normativa dettata in subiecta materia dagli artt. 14, comma 4, della legge n. 580/1967 e dall’art. 1 comma 1 del d.P.R. n. 502/1998, è inconferente il richiamo – operato dalla Megagest – alla sopravvenuta disciplina in materia di etichettatura e di pratiche d’informazione al consumatore, di cui al D. Lgs. n. 231/2017.
4. Con il terzo motivo, la ricorrente deduce la presunta illegittimità del provvedimento dell’A.S.L. Lecce in quanto la motivazione in esso contenuta si porrebbe “in aperto contrasto con la corretta interpretazione del capitolo II all. IX punto 3 del reg. 852/2004”, per come esplicitata dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale.
Anche tale assunto è privo di pregio.
Nell’Allegato II del Regolamento (CE) 29 aprile 2004, n. 852, intitolato «Requisiti generali in materia di igiene applicabili a tutti gli operatori del settore alimentare (diversi da quelli di cui all’allegato I)», il Capitolo IX – intitolato “Requisiti applicabili ai prodotti alimentari” – contiene un punto 3 formulato come segue: «In tutte le fasi di produzione, trasformazione e distribuzione gli alimenti devono essere protetti da qualsiasi forma di contaminazione atta a renderli inadatti al consumo umano, nocivi per la salute o contaminati in modo tale da non poter essere ragionevolmente consumati in tali condizioni».
La ricorrente cita a sostegno delle proprie argomentazioni i principi elaborati dalla Corte di Giustizia UE, per come richiamati nella sentenza del Consiglio di Stato, Sez. III, 17 dicembre 2015, n. 5714.
La reale portata della sentenza della Corte di Giustizia UE, sez. VIII, n. 382 del 6 ottobre 2011, ivi citata, deve, però, essere contestualizzata rispetto alla fattispecie concreta esaminata.
Infatti, a ben vedere, l’essenza della suddetta decisione, assunta dalla Corte di Giustizia, è rinvenibile nella critica che la stessa Corte rivolge all’Amministrazione per non aver valutato l’adeguatezza delle misure specificamente adottate dagli operatori nelle specifiche circostanze esaminate e di non aver motivato il provvedimento in rapporto ad esse.
In questi termini, la Corte di Giustizia ha ritenuto che non fossero violate le norme dell’Allegato II, Capitolo IX, punto 3 del Regolamento (CE) n. 852/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, in combinato disposto con l’art. 4, n. 2, e con l’art. 5 del medesimo regolamento, quanto agli obblighi che spettano agli operatori allo scopo di prevenire, eliminare o ridurre ad un livello accettabile il rischio di contaminazione (in tal senso, cfr. Cons. Stato, Sez. III, sentenza cit. n. 5714/2015).
Orbene, nel caso che ci occupa, non sembra che l’Amministrazione abbia omesso di valutare l’adeguatezza delle misure specificamente adottate dalla ricorrente e di motivare il provvedimento in rapporto ad esse.
Al contrario, il Dipartimento di Prevenzione della A.S.L. Lecce, nel provvedimento impugnato, ha valutato il sistema di vendita self-service in uso presso la struttura di vendita (così come descritto dai militari del N.A.S. nel verbale di sopralluogo) e ha ritenuto le misure adottate non sufficienti ed efficaci a ridurre a “livelli accettabili” il rischio di contaminazione, secondo quanto prescritto dal Regolamento n. 852/2004, sopra richiamato.
Peraltro, il provvedimento impugnato fa leva su dati di fatto non contestati, relativi alle modalità di vendita constatate dall’Autorità amministrativa, secondo la cui valutazione tecnica il pane è risultato privo di protezioni ed involucri e, inoltre, facilmente accessibile senza particolari accorgimenti, né controlli da parte di chiunque.
Come affermato nella stessa sentenza citata dal ricorrente (Cons. Stato Sez. III, sentenza n. 5714/2015), “tale valutazione, espressione di discrezionalità tecnica, non risulta affetta da quei vizi di logicità e di travisamento di fatto che caratterizzano l’ambito proprio del sindacato del giudice amministrativo alla luce della situazione descritta e della applicazione ad essa dei criteri desumibili dalla sentenza della Corte di giustizia n. 328/2011”.
A ben vedere, proprio tale dictum giudiziale depone in senso opposto alle tesi di parte ricorrente, laddove afferma: “Dalla ricognizione della normativa in materia risulta che il provvedimento impugnato […] in primo grado ha le sue basi giuridiche in un organico, coerente e assai evoluto quadro normativo costituito da norme comunitarie e nazionali fortemente integrate, che conferiscono alla autorità amministrativa non solo i poteri ma anche il dovere di agire in fase di controllo, quale che sia stata la precedente procedura autorizzativa, nonché di adottare una vasta gamma di prescrizioni a tutela della sicurezza alimentare tra cui rientrano certamente anche quelle adottate nel caso in esame. Il provvedimento impugnato, pertanto, è in linea con i compiti attributi all’autorità amministrativa prescrivendo alla società appellante: a) di sospendere immediatamente la vendita self-service del pane sfuso, privo di involucri di protezione, interdicendo la zona ad esso dedicata; b) che il pane allo stato sfuso deve essere manipolato esclusivamente dal personale dipendente addetto alla vendita, nel rispetto delle norme di buona prassi igienica e fornito della necessaria documentazione sanitaria; c) di proteggere la zona vendita pane non confezionato nei confronti degli avventori”.
Sotto altro profilo, non sembra pertinente il richiamo al precedente di questo Tribunale (sentenza n. 1166 del 5 luglio 2019), giacché, in quel caso, la società distributrice di prodotti alimentari, nel tentativo di ottemperare alle prescrizioni impartite dalla A.S.L., aveva provveduto a sostituire il proprio sistema di vendita self-service del pane e dei prodotti da forno, che non impediva la reimmissione del prodotto, con altro sistema che invece impediva tale reimmissione.
Detta sentenza, peraltro, ha affrontato il tema della vendita di pane parzialmente cotto sotto lo specifico profilo della illogicità e contraddittorietà del provvedimento con cui veniva revocato il divieto di vendita dei prodotti da forno e si confermava l’inibitoria alla vendita del pane, per la rilevata medesimezza delle situazioni di vendita relative ad entrambe le tipologie di prodotto.
5. Con il quarto motivo di ricorso (omissis) S.r.l. ha, infine, censurato il provvedimento impugnato, in quanto la A.S.L. avrebbe “ingiustificatamente disposto l’immediata sospensione della vendita del pane precotto” fino alla adozione delle misure di adeguamento, mentre – a suo dire – in base alla normativa di settore avrebbe dovuto assegnare un termine per l’adeguamento stesso e disporre la sospensione parziale della vendita del solo pane precotto “soltanto laddove l’adeguamento richiesto non fosse stato attuato” nei termini assegnati.
In particolare, parte ricorrente cita, a sostegno delle proprie tesi, il Regolamento (UE) n. 625/2017, nonché la norma applicativa di cui all’art. 6, comma 7, del D. Lgs. 193/2007, nella parte in cui prevedono che il procedimento si articoli in due passaggi successivi, e, in particolare, con l’assegnazione di un congruo termine all’operatore per adottare misure di adeguamento, consentendo, in tal modo, ai fini dell’applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria, che l’operatore possa porre rimedio per tempo alle eventuali irregolarità.
Anche tale censura è priva di fondamento, giacché l’art. 138 Reg. (UE) 2017/625, sulla cui base è stato adottato il provvedimento in oggetto, legittima misure sospensive, come quella in esame, disponendo testualmente: “Se il caso di non conformità è accertato, le autorità competenti: […] b) adottano le misure opportune per assicurare che l’operatore interessato ponga rimedio ai casi di non conformità e ne impedisca il ripetersi”.
Inoltre, la Deliberazione della Giunta Regionale per la Puglia del 12 settembre 2017, n. 2194 – emanata in applicazione dell’art. 54 Regolamento (CE) n. 882/2004 del 29 aprile 2004, relativo ai controlli di conformità alla normativa in materia di mangimi e di alimenti – prevede espressamente, che “I provvedimenti amministrativi con carattere d’urgenza, limitativi e/o restrittivi dell’attività (es. sospensione delle operazioni in toto o in parte o la chiusura in toto o in parte dell’azienda interessata per un appropriato periodo di tempo), sono solitamente adottati nel caso di riscontro di non conformità relative ai requisiti igienico-sanitari e/o inerenti ai sistemi e/o procedure messi in atto dall’OSA per garantire la sicurezza alimentare (associati o meno a carenze documentali) che comportano pericolo per la salute e non consentono l’ulteriore prosecuzione dell’attività, in tutto o in parte” (v. procedura operativa n. 2 – “Provvedimenti amministrativi con carattere di urgenza”).
6. Alla stregua delle considerazioni sopra riportate, il ricorso va dunque respinto.
Le spese processuali seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia – Lecce, Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna la ricorrente (omissis) S.r.l. alla rifusione in favore della Amministrazione resistente delle spese di lite, che liquida nella complessiva somma di € 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Lecce nella camera di consiglio del giorno 30 giugno 2020, tenutasi mediante collegamento da remoto in videoconferenza, secondo quanto previsto dall’art. 84, comma 6, del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, convertito in legge 24 aprile 2020, n. 27, e dal decreto del Presidente del Consiglio di Stato n. 134 del 22 maggio 2020, con l’intervento dei magistrati:
(omissis)
