(omissis)
FATTO e DIRITTO
1. La ricorrente – la quale presta la propria attività lavorativa alle dipendenze della struttura Sociosanitaria R.S.S.A. (omissis), con la qualifica di infermiera, iscritta all’Albo OPI al (omissis) – ha impugnato la delibera prot. (omissis) del 13.7.21 dell’Ordine delle Professioni Infermieristiche della Provincia di Brindisi, avente ad oggetto la sospensione dall’esercizio professionale, per mancata sottoposizione alla vaccinazione anti Sars-CoV-2.
A sostegno del ricorso, ella ha articolato i seguenti motivi di gravame, appresso sintetizzati: 1) violazione dell’art. 4 d.l. n. 44/21 e s.m.i; illogicità manifesta; eccesso di potere; 2) illegittimità costituzionale, e/o incompatibilità comunitaria, dell’art. 4 d.l. n. 44/21.
Ha chiesto pertanto l’annullamento dell’atto impugnato, con ulteriore condanna delle Amministrazioni resistenti al risarcimento del danno non patrimoniale da lei subito nella vicenda in esame. Il tutto con vittoria delle spese di lite.
Costituitosi in giudizio, l’Ordine delle Professioni Infermieristiche di Brindisi ha chiesto il rigetto del ricorso, con vittoria delle spese di lite.
L’ASL Brindisi non si è costituita in giudizio.
All’udienza pubblica del 24.5.2022 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
2. Con i vari motivi di gravame, che possono essere esaminati congiuntamente, per comunanza delle relative censure, la ricorrente deduce l’illegittimità dell’atto impugnato, per avere l’Amministrazione disposto tout court la sua sospensione dall’Albo, senza valutare se le mansioni da lei concretamente espletate implicassero o meno contatti interpersonali con gli utenti.
In secondo luogo, la ricorrente lamenta che la ASL resistente “avrebbe dovuto approfondire il quadro clinico della lavoratrice per meglio comprendere le rispettive posizioni ed addivenire concordemente ad una soluzione”, e ciò in forza della previsione di cui all’art. 4 co. 2 d.l. n. 44/21, che esenta dalla vaccinazione il personale a ciò tenuto, “… in caso di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale” (cfr. ricorso, p. 7).
Da ultimo, la ricorrente lamenta l’illegittimità costituzionale della previsione di cui al citato art. 4 d.l. n. 44/21, per contrasto con l’art. 32 Cost, nonché la sua incompatibilità con il Regolamento UE 2021/953.
Le censure sono infondate.
3. Quanto al primo ordine di censure, è di tutta evidenza che lo svolgimento della professione infermieristica implica stretti contatti interpersonali con i pazienti ricoverati presso i nosocomi e/o RSSA, essendo l’infermiere il fondamentale trait d’union tra il medico – che effettua la diagnosi sul paziente, e ne prescrive la cura – e il paziente stesso.
Per tali ragioni, l’infermiere è il terminale necessario per la somministrazione dei farmaci al paziente, e in genere, per il costante monitoraggio delle sue condizioni di salute, e ciò per tutto il tempo in cui quest’ultimo permanga all’interno della struttura ospedaliera, ovvero della RSSA.
Per tali ragioni, la sussistenza di contatti interpersonali con i pazienti deve riteneri in re ipsa, in quanto ontologicamente connaturata allo svolgimento delle prestazioni infermieristiche.
Ne consegue il rigetto della relativa censura.
4. Per quel che attiene poi al secondo ordine di censure (verifica dello stato di salute della ricorrente), rileva anzitutto il Collegio che, ai sensi dell’art. 4 co. 2 d.l. n. 44/21 e s.m.i: “Solo in caso di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal proprio medico curante di medicina generale ovvero dal medico vaccinatore, nel rispetto delle circolari del Ministero della salute in materia di esenzione dalla vaccinazione anti SARS-CoV-2, non sussiste l’obbligo di cui ai commi 1 e 1-bis e la vaccinazione può essere omessa o differita”.
Tanto premesso, si legge nell’atto impugnato che la ricorrente, “… è stata invitata a vaccinarsi in data 5.6.2021. Convocata presso il centro vaccinale di Ostuni (BR) per sottoporsi a vaccinazione. Pur tuttavia, anche in questa occasione la Stessa non risulta essersi sottoposta alla somministrazione del vaccino anti Sars-CoV-2;
ad oggi, non sono pervenute evidenze di specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal Medico di medicina Generale, così come previsto dal comma 2, art. 4, d.l. n. 44/2021, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 2021, n. 76”.
Emerge pertanto da tale ricostruzione fattuale (il cui contenuto, essendo attestato in un atto pubblico, deve ritenersi fidefacente sino a querela di falso) che la ricorrente da un lato ha rifiutato di sottoporsi alla prescritta vaccinazione anti Sars-CoV-2, e sotto altro profilo, non ha documentato alcun “accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal proprio medico curante di medicina generale ovvero dal medico vaccinatore” (art. 4 co. 2 d.l. n. 44/21 cit.).
Per tali ragioni, nessun vulnus alle prerogative della ricorrente risulta essersi verificato nel caso di specie.
Ne consegue il rigetto delle relative censure.
5. Venendo ora alla dedotta questione di illegittimità costituzionale dell’art. 4 co. 1 d.l. n. 44/21 e s.m.i, per contrasto con l’art. 32 Cost, la stessa è manifestamente infondata.
5.1. Come condivisibilmente chiarito dal Consiglio di Stato nella sentenza 20.10.2021, n. 7045: “la commercializzazione del vaccino, secondo la vigente normativa dell’Unione europea, passa attraverso una raccomandazione da parte della competente Agenzia europea per i medicinali (EMA), che valuta la sicurezza, l’efficacia e la qualità del vaccino, sulla cui base la Commissione europea può procedere ad autorizzare la commercializzazione nel mercato dell’Unione, dopo avere consultato gli Stati membri che debbono esprimersi favorevolmente a maggioranza qualificata.
La normativa dell’Unione – in particolare l’art. 14-bis del Reg. CE 726/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio e dal Reg. CE 507/2006 della Commissione – prevede uno strumento normativo specifico per consentire la rapida messa a disposizione di medicinali, da utilizzare in situazioni di emergenza, poiché in tali situazioni la procedura di “immissione in commercio condizionata” (CMA, Conditional marketing authorisation) è specificamente concepita al fine di consentire una autorizzazione il più rapidamente possibile, non appena siano disponibili dati sufficienti, pur fornendo un solido quadro per la sicurezza, le garanzie e i controlli post-autorizzazione.
In questa procedura … si ha una parziale sovrapposizione delle fasi di sperimentazione clinica, che nella procedura ordinaria sono sequenziali, che prende il nome di “partial overlap” e che prevede l’avvio della fase successiva a poca distanza dall’avvio della fase precedente.
La leggera sfasatura nell’avvio delle fasi di sperimentazione riduce i rischi connessi ad una sovrapposizione delle fasi e accelera i normali tempi di svolgimento delle sperimentazioni, anche se fornisce dati meno completi rispetto alla procedura ordinaria di autorizzazione.
E tuttavia, si badi, l’autorizzazione all’immissione in commercio condizionata non è una scorciatoia incerta e pericolosa escogitata ad hoc per fronteggiare irrazionalmente una emergenza sanitaria come quella attuale, ma una procedura di carattere generale, idonea ad essere applicata – e concretamente applicata negli anni passati, anche recenti, soprattutto in campo oncologico – anche al di fuori della situazione pandemica, a fronte di necessità contingenti (non a caso la lotta contro i tumori ne è il terreno elettivo), e costituisce una sottocategoria del procedimento inteso ad autorizzare l’immissione in commercio ordinaria perché viene rilasciata sulla base di dati che sono, sì, meno completi rispetto a quelli ordinari – cfr. 4° Considerando del Reg. CE 507/2006 – ma è appunto presidiata da particolari garanzie e condizionata a specifici obblighi in capo al richiedente.
Una volta adempiuti gli obblighi prescritti e forniti i dati mancanti, l’autorizzazione all’immissione in commercio condizionata viene infatti convertita – ciò che diverse volte si è verificato in passato – in un’autorizzazione non condizionata.
Il bilanciamento, rispetto alla maggior completezza dei dati ottenuti nella procedura ordinaria di autorizzazione, è imposto e assicurato, nella previsione dell’art. 4 del Reg. (CE) n. 507/2006, da quattro rigorosi requisiti:
a) che il rapporto rischio/beneficio del medicinale risulti positivo;
b) che sia probabile che il richiedente possa in seguito fornire dati clinici completi;
c) che il medicinale risponda a specifiche esigenze mediche insoddisfatte;
d) che i benefici per la salute pubblica derivanti dalla disponibilità immediata sul mercato del medicinale in questione superino il rischio dovuto al fatto che sono tuttora necessari dati supplementari.
Per quanto riguarda i vaccini contro la diffusione del virus Sars-CoV-2, l’autorizzazione all’immissione in commercio condizionata segue, a giudizio della Commissione, un quadro solido e controllato e fornisce valide garanzie di un elevato livello di protezione dei cittadini nel corso della campagna vaccinale, costituendo una componente essenziale della strategia dell’Unione in materia di vaccini, garanzie che distinguono nettamente questa ipotesi dalla c.d. “autorizzazione all’uso d’emergenza”, istituto diverso che, in alcuni Paesi (come gli Stati Uniti e l’Inghilterra) non autorizza un vaccino, ma l’uso temporaneo, per ragioni di emergenza, di un vaccino non autorizzato.
Tutti gli Stati membri dell’Unione hanno formalmente sottoscritto la strategia sui vaccini proposta dalla Commissione e hanno convenuto sulla necessità di applicare la procedura di autorizzazione all’immissione in commercio condizionata attraverso l’EMA per i vaccini contro il Sars-CoV-2”.
5.2. E ancora: “Il carattere condizionato dell’autorizzazione non incide sui profili di sicurezza del farmaco (nel sito dell’ISS, che richiama a sua volta quello dell’EMA, si ricorda <<una autorizzazione condizionata garantisce che il vaccino approvato soddisfi i rigorosi criteri Ue di sicurezza, efficacia e qualità, e che sia prodotto e controllato in stabilimenti approvati e certificati in linea con gli standard farmaceutici compatibili con una commercializzazione su larga scala>>) né comporta che la stessa debba essere considerata un minus dal punto di vista del valore giuridico, ma impone unicamente al titolare di <<completare gli studi in corso o a condurre nuovi studi al fine di confermare che il rapporto rischio/beneficio è favorevole>>”.
5.3. In definitiva: “In fase emergenziale, di fronte al bisogno pressante, drammatico, indifferibile di tutelare la salute pubblica contro il dilagare del contagio, il principio di precauzione, che trova applicazione anche in ambito sanitario, opera in modo inverso rispetto all’ordinario e, per così dire, controintuitivo, perché richiede al decisore pubblico di consentire o, addirittura, imporre l’utilizzo di terapie che, pur sulla base di dati non completi (come è nella procedura di autorizzazione condizionata, che però ha seguito – va ribadito – tutte le quattro fasi della sperimentazione richieste dalla procedura di autorizzazione), assicurino più benefici che rischi, in quanto il potenziale rischio di un evento avverso per un singolo individuo, con l’utilizzo di quel farmaco, è di gran lunga inferiore del reale nocumento per una intera società, senza l’utilizzo di quel farmaco. La vaccinazione obbligatoria selettiva introdotta dall’art. 4 d.l. n. 44 del 2021 per il personale medico e, più in generale, di interesse sanitario risponde ad una chiara finalità di tutela non solo – e anzitutto – di questo personale sui luoghi di lavoro e, dunque, a beneficio della persona, secondo il già richiamato principio personalista, ma a tutela degli stessi pazienti e degli utenti della sanità, pubblica e privata, secondo il pure richiamato principio di solidarietà, che anima anch’esso la Costituzione, e più in particolare delle categorie più fragili e dei soggetti più vulnerabili (per l’esistenza di pregresse morbilità, anche gravi, come i tumori o le cardiopatie, o per l’avanzato stato di età), che sono bisognosi di cura ed assistenza, spesso urgenti, e proprio per questo sono di frequente o di continuo a contatto con il personale sanitario o sociosanitario nei luoghi di cura e assistenza. La ratio di questa specifica previsione si rinviene non solo nelle premesse del d.l. n. 44 del 2021, laddove si evidenzia «la straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni per garantire in maniera omogenea sul territorio nazionale le attività dirette al contenimento dell’epidemia e alla riduzione dei rischi per la salute pubblica, con riferimento soprattutto alle categorie più fragili, anche alla luce dei dati e delle conoscenze medico -scientifiche acquisite per fronteggiare l’epidemia da COVID-19 e degli impegni assunti, anche in sede internazionale, in termini di profilassi e di copertura vaccinale», ma nello stesso testo normativo dell’art. 4, quando nel comma 4 richiama espressamente il «fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza» o precisa ancora, nel comma 6, che «l’adozione dell’atto di accertamento da parte dell’azienda sanitaria locale determina la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2». Nel bilanciamento tra i due valori, quello dell’autodeterminazione individuale e quello della tutela della salute pubblica, compiuto dal legislatore con la previsione dell’obbligo vaccinale nei confronti del solo personale sanitario, non vi è dunque legittimo spazio né diritto di cittadinanza in questa fase di emergenza contro il virus Sars-CoV 2 per la c.d. esitazione vaccinale” (C.d.S, III, 20.10.2021, n. 7045, cit.).
5.4. Pertanto, alla luce di tale condiviso arresto giurisdizionale, reputa il Collegio che, nel bilanciamento tra il diritto alla salute, visto nella sua dimensione individuale (il diritto del sanitario di non sottoporsi ad un vaccinazione ritenuta, a torto o a ragione, pericolosa per la propria salute), e quello alla salute, visto questa volta nella sua dimensione collettiva (l’interesse della collettività ad evitare l’aggravarsi di focolai pandemici in luoghi di cura e assistenza, in cui sono ospitati soggetti fragili per definizione), quest’ultimo debba senz’altro ritenersi prevalente.
5.5. La circostanza, poi, che – come sopra detto – il legislatore (art. 4 co. 2 d.l. n. 44/21) abbia previsto un’ipotesi di esonero dall’obbligo vaccinale del personale sanitario, “in caso di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal proprio medico curante di medicina generale ovvero dal medico vaccinatore”, consente di rafforzare il giudizio di ragionevole bilanciamento tra le due esigenze di salute sopra evidenziate, e di concludere, pertanto, nel senso che nessun significativo vulnus al diritto alla salute di cui all’art. 32 Cost. (nella versione individuale sopra illustrata) possa ritenersi verificato nel caso di specie.
5.6. Ne consegue la declaratoria di manifesta infondatezza della dedotta questione di legittimità costituzionale dell’art. 44 co. 1 d.l. n. 44/21 e s.m.i.
6. Venendo infine al dedotto contrasto con il Reg. UE 2021/953, rileva il Collegio che, ai sensi dell’art. 1: “Il presente regolamento stabilisce un quadro per il rilascio, la verifica e l’accettazione di certificati COVID-19 interoperabili relativi alla vaccinazione, ai test e alla guarigione (certificato COVID digitale dell’UE) con lo scopo di agevolare l’esercizio del diritto di libera circolazione durante la pandemia di COVID-19 da parte dei loro titolari. Il presente regolamento contribuisce inoltre ad agevolare la revoca graduale delle restrizioni alla libera circolazione poste in essere dagli Stati membri, in conformità del diritto dell’Unione, per limitare la diffusione del SARS-CoV-2 in modo coordinato.
Esso fornisce la base giuridica per il trattamento dei dati personali necessari per rilasciare tali certificati e per il trattamento delle informazioni necessarie per verificare e comprovare l’autenticità e la validità di tali certificati nel pieno rispetto del regolamento (UE) 2016/679”.
All’evidenza, tale Regolamento prevede disposizioni finalizzate alla creazione di un quadro comune per il rilascio di certificazioni relative alla vaccinazione anti Covid-19, e ciò allo scopo di agevolare l’esercizio del diritto di circolazione garantito in ambito eurounitario.
Per tali ragioni, esso non può in alcun modo essere assunto a parametro di verifica della compatibilità eurounitaria della cennata previsione di cui all’art. 4 co. 1 d.l. n. 44/21, disciplinando detto Regolamento una fattispecie del tutto differente da quella regolata della suddetta normativa nazionale.
Per tali ragioni, la dedotta questione di compatibilità è del tutto inconferente ai fini in esame, e va pertanto dichiarata inammissibile.
7. Alla luce di tali considerazioni, il ricorso è infondato.
Ne consegue il suo rigetto, ivi inclusa l’ulteriore domanda risarcitoria proposta dalla ricorrente.
8. Sussistono giusti motivi – rappresentati dalla novità delle questioni esaminate, fonte di orientamenti giurisprudenziali non sempre univoci – per la compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce – Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Compensa le spese di lite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la persona della ricorrente.
Così deciso in Lecce, nella camera di consiglio del giorno 24 maggio 2022, con l’intervento dei magistrati:
(omissis)
