SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8832 del 2019, proposto da (omissis), rappresentato e difeso dagli avvocati (omissis) e (omissis), con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l’annullamento
– del decreto n. (omissis) emesso dal Ministero dell’Interno in data 4 aprile 2019 e notificato all’odierno ricorrente in data 15 maggio.2019, con il quale il Ministero dell’Interno decretava il diniego dell’istanza di concessione della cittadinanza italiana in favore dell’odierno ricorrente;
– di qualsiasi altro atto che sia o possa considerarsi presupposto o conseguenza dell’atto come sopra impugnato e che con lo stesso sia comunque posto in rapporto di correlazione.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 novembre 2024 la dott.ssa (omissis) e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
I. – Il ricorrente ha presentato istanza intesa ad ottenere la concessione della cittadinanza italiana, ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f), della legge n. 91/1992, in data 21 agosto 2014.
II. – Esperita l’istruttoria di rito, con DM del 4 aprile 2019 l’Amministrazione, previa comunicazione del preavviso di rigetto, ha respinto la domanda, ritenendo che non vi fosse coincidenza tra l’interesse pubblico e quello del richiedente alla concessione della cittadinanza, essendo emersi a suo carico i seguenti elementi pregiudizievoli di carattere penale:
– 17.07.2013: segnalazione all’Autorità Giudiziaria da parte della Sottosezione Polstrada Busto Arsizio-Olgiate Olona (VA) per guida senza patente o con patente revocata o non rinnovata ex art.116, comma 15, CDS;
– 22.09.2011: segnalazione all’Autorità Giudiziaria da parte della Polizia Municipale Mazzano (BS) per falsità materiale commessa da pubblico ufficiale in certificato o autorizzazioni ex art. 477 c.p., falsità materiale commessa dal privato ex art.482 c.p., falsità in scrittura privata ex art. 485 c.p., guida senza patente o con patente revocata o non rinnovata ex art. 116, comma 13, CDS.
III. – Avverso il diniego adottato insorge il ricorrente, chiedendone l’annullamento dell’efficacia con il presente mezzo di gravame, affidato ad un unico motivo di censura: Violazione di legge ed eccesso di potere, in quanto la p.a., disattendendo le osservazioni formulate dall’interessato in sede di riscontro alla comunicazione del preavviso di rigetto ex art. 10-bis della legge n. 241/1990, avrebbe negato la cittadinanza sulla base di due segnalazione, che non hanno avuto alcuno sviluppo sul piano processuale, senza effettuare una valutazione globale della persona.
IV. – Il Ministero dell’interno, costituito in giudizio per resistere al ricorso, ha depositato documenti del fascicolo del procedimento e una relazione difensiva, contestando nel merito le censure ex adverso svolte e concludendo per il rigetto della domanda di annullamento del diniego impugnato.
V. – Approssimandosi l’udienza pubblica, parte ricorrente ha depositato una memoria e documenti, volti a dimostrare il livello di integrazione raggiunto, anche alla luce della cittadinanza medio tempore acquisita dalla moglie e dai figli, insistendo per l’accoglimento del ricorso.
VI. – All’udienza pubblica del 13 novembre 2024, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
I. – Il ricorso è infondato.
II. – Parte ricorrente censura il provvedimento, asseritamente viziato da violazione di legge e eccesso di potere, non ritenendo sufficiente a sorreggere il diniego dello status la contestazione di due notizie di reato, rimaste senza conseguenze sul piano processuale penale, come rappresentato in sede di riscontro alla comunicazione del preavviso di rigetto del 26 giugno 2018.
Il Collegio reputa utile una premessa di carattere teorico in ordine al potere attribuito all’amministrazione in materia, all’interesse pubblico protetto e alla natura del relativo provvedimento (vedi, da ultimo, TAR Lazio, sez. V bis, n. 2943, 2944, 2945, 3018 e 3471/2022).
L’acquisizione dello status di cittadino italiano per naturalizzazione è oggetto di un provvedimento di concessione, che presuppone l’esplicarsi di un’amplissima discrezionalità in capo all’Amministrazione. Ciò si desume, ictu oculi, dalla norma attributiva del potere, l’art. 9, comma 1, della legge n. 91/1992, a tenore del quale la cittadinanza “può” – e non “deve” – essere concessa.
La dilatata discrezionalità in questo procedimento si estrinseca attraverso l’esercizio di un potere valutativo che si traduce in un apprezzamento di opportunità in ordine al definitivo inserimento dell’istante all’interno della comunità nazionale, apprezzamento influenzato e conformato dalla circostanza che al conferimento dello status civitatis è collegata una capacità giuridica speciale, propria del cittadino, che comporta non solo diritti – consistenti, sostanzialmente, oltre nel diritto di incolato, nei “diritti politici” di elettorato attivo e passivo (che consentono, mediante l’espressione del voto alle elezioni politiche, la partecipazione all’autodeterminazione della vita del Paese di cui si entra a far parte e la possibilità di assunzione di cariche pubbliche) – ma anche doveri nei confronti dello Stato-comunità – consistente nel dovere di difenderla anche a costo della propria vita in caso di guerra (“il sacro dovere di difendere la Patria” sancito, a carico dei soli cittadini, dall’art. 52 della Costituzione), nonché, in tempo di pace, nell’adempimento dei “doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”, consistenti nell’apportare il proprio attivo contributo alla Comunità di cui entra a far parte (art. 2 e 53 Cost.).
A differenza dei normali procedimenti concessori, che esplicano i loro effetti esclusivamente sul piano di uno specifico rapporto Amministrazione/Amministrato, l’ammissione di un nuovo componente nell’elemento costitutivo dello Stato (Popolo), incide sul rapporto individuo/Stato-Comunità, con implicazioni d’ordine politico-amministrativo; si tratta, pertanto, di determinazioni che rappresentano un’esplicazione del potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini (vedi, da ultimo, Consiglio di Stato, sez. III, 7.1.2022 n. 104; cfr. Cons. Stato, AG, n. 9/1999; sez. IV n. 798/1999; n. 4460/2000; n. 195/2005; sez, I, n. 1796/2008; sez. VI, n. 3006/2011; Sez. III, n. 6374/2018; n. 1390/2019, n. 4121/2021; TAR Lazio, Sez. II quater, n. 10588 e 10590 del 2012; n. 3920/2013; 4199/2013).
È stato, in proposito, anche osservato che il provvedimento di concessione della cittadinanza refluisce nel novero degli atti di alta amministrazione, che sottende una valutazione di opportunità politico-amministrativa, caratterizzata da un altissimo grado di discrezionalità nella valutazione dei fatti accertati e acquisiti al procedimento: l’interesse dell’istante ad ottenere la cittadinanza deve necessariamente coniugarsi con l’interesse pubblico ad inserire lo stesso a pieno titolo nella comunità nazionale.
E se si considera il particolare atteggiarsi di siffatto interesse pubblico, avente natura “composita”, in quanto coevamente teso alla tutela della sicurezza, della stabilità economico-sociale, del rispetto dell’identità nazionale, è facile comprendere il significativo condizionamento che ne deriva sul piano dell’agere del soggetto alla cui cura lo stesso è affidato.
In questo quadro, pertanto, l’amministrazione ha il compito di verificare che nel soggetto istante risiedano e si concentrino le qualità ritenute necessarie per ottenere la cittadinanza, quali l’assenza di precedenti penali, la sussistenza di redditi sufficienti a sostenersi, una condotta di vita che esprime integrazione sociale e rispetto dei valori di convivenza civile.
La concessione della cittadinanza deve rappresentare il suggello sul piano giuridico di un processo di integrazione che nei fatti sia già stato portato a compimento, la formalizzazione di una preesistente situazione di “cittadinanza sostanziale” che giustifica l’attribuzione dello status giuridico (in proposito, Tar Lazio, Sez. II quater, sent. n. 621/2016: “concessione che costituisce l’effetto della compiuta appartenenza alla comunità nazionale e non causa della stessa”).
In altre parole, si tratta di valutare il possesso di ogni requisito atto ad assicurare l’inserimento in modo duraturo nella comunità, mediante un giudizio prognostico che escluda che il richiedente possa successivamente creare problemi all’ordine e alla sicurezza nazionale, disattendere le regole di civile convivenza ovvero violare i valori identitari dello Stato, gravare sulla finanza pubblica (cfr. ex multis, Tar Lazio, Roma, Sez. I ter, n. 3227 e n. 12006 del 2021 e sez. II quater, n. 12568/ 2009; Cons. Stato, sez. III, n. 104/2022; n. 4121/2021; n. 7036 e n. 8233 del 2020; n. 1930, n. 7122 e n. 2131 del 2019; n. 657/2017; n. 2601/2015; sez. VI, n. 3103/2006; n.798/1999).
III. – Se, dunque, il potere dell’Amministrazione ha natura discrezionale, il sindacato giurisdizionale sulla valutazione dell’effettiva e compiuta integrazione nella comunità nazionale deve essere contenuto entro i ristretti argini del controllo estrinseco e formale, esaurendosi nello scrutinio del vizio di eccesso di potere, nelle particolari figure sintomatiche dell’inadeguatezza del procedimento istruttorio, illogicità, contraddittorietà, ingiustizia manifesta, arbitrarietà, irragionevolezza della scelta adottata o difetto di motivazione, con preclusione di un’autonoma valutazione delle circostanze di fatto e di diritto oggetto del giudizio di idoneità richiesto per l’acquisizione dello status di cui è causa; il vaglio giurisdizionale non deve sconfinare nell’esame del merito della scelta adottata, riservata all’autonoma valutazione discrezionale dell’Amministrazione (ex multis, Cons. Stato, sez. III, 7.1.2022 n. 104; Sez. IV, n. 6473/2021; Sez. VI, n. 5913/2011; n. 4862/2010; n. 3456/2006; Tar Lazio, Sez. I ter, n. 3226/2021, Sez. II quater, n. 5665/2012).
IV. – Alla luce del quadro ricostruito, è possibile ritenere prive di pregio le censure formulate da parte attrice, dovendosi ritenere corretto l’operato dell’amministrazione resistente che, nel rispetto del principio del contraddittorio con il richiedente, ha formulato un giudizio di mancata integrazione nella comunità nazionale sulla base degli elementi di controindicazione di carattere penale emersi sul conto del ricorrente e precisamente in ragione di quanto segue:
– 17.07.2013: segnalazione all’Autorità Giudiziaria da parte della Sottosezione Polstrada Busto Arsizio-Olgiate Olona (VA) per guida senza patente o con patente revocata o non rinnovata ex art.116, comma 15, CDS;
– 22.09.2011: segnalazione all’Autorità Giudiziaria da parte della Polizia Municipale Mazzano (BS) per falsità materiale commessa da pubblico ufficiale in certificato o autorizzazioni ex art. 477 c.p., falsità materiale commessa dal privato ex art.482 c.p., falsità in scrittura privata art. 485 c.p., guida senza patente o con patente revocata o non rinnovata ex art.116, comma 13, CDS.
Nel corso dell’attività istruttoria è emersa, dunque, la riconducibilità all’interessato di due notizie di reato, collocate temporalmente nel decennio antecedente la domanda, presentata nel 2014, che, prescindendo dalle conseguenze sul piano penale, hanno finito non irragionevolmente per riflettersi in maniera negativa sul giudizio prognostico di idoneità dell’aspirante cittadino formulato dall’amministrazione, chiamata a contemperare l’interesse pubblico composito da tutelare, come in premessa individuato, e l’interesse vantato dal richiedente, risultato incline a violare le norme poste a fondamento del nostro sistema giuridico.
Come già ripetutamente chiarito da questa Sezione, tale giudizio prognostico è frutto di una valutazione complessa, in cui l’Autorità chiamata a formularlo non si limita a considerare in modo atomistico i singoli precedenti, ma li valuta nel complesso insieme dei loro reciproci rapporti, nella periodicità e reiteratività, nella loro natura: si tratta, appunto, di “indicatori”, cioè di “elementi di fatto” che sono apprezzati, sotto il profilo della loro valenza significativa dell’indole del richiedente, in modo “globale”, trattandosi di esprimere un giudizio “sintetico”, che ha natura di valutazione “d’impatto” (TAR Lazio, sez. V bis, n. n. 3527/2022, 5113/2022, 5348/2022, 6941/22, 7206/22,8206/22, 8127/22, 8131 e 32, 8189/22, 8932/22, 9291/22).
V. – In particolare, con specifico riferimento alla rilevanza della guida senza patente, commessa in violazione dell’art. 116 del codice della strada, secondo l’avviso costantemente espresso dalla giurisprudenza, si tratta di una condotta che provoca un forte allarme sociale ed è connotata da un particolare disvalore rispetto ai principi fondamentali della convivenza all’interno dello Stato, anche perché si tratta di una fattispecie posta a presidio della sicurezza pubblica e la sua depenalizzazione è irrilevante, perché non elide la gravità del fatto, e il disvalore che esso assume nell’ottica della valutazione complessiva del comportamento del ricorrente. Inoltre, tale valutazione non può che rientrare nel potere discrezionale dell’Amministrazione circa il completo inserimento dello straniero nella comunità nazionale (cfr. TAR Lazio, sez. V bis, n. 4702/2022 sulla rilevanza, ai fini della concessione della cittadinanza, della guida senza patente, in quanto comportamento che mette a rischio l’integrità fisica; TAR Lazio, sez. V bis, n. 8006/2022: “[p]er quanto riguarda la rilevanza delle condotte addebitate va ricordato che, nonostante la “tenuità” sotto il profilo penale della violazione di norme finalizzate ad assicurare la sicurezza della circolazione stradale, la giurisprudenza ha da tempo avvertito che, a prescindere dalla natura contravvenzionale o meno, dall’eventuale intervenuta depenalizzazione, dall’entità della pena erogata e/o dall’esito del giudizio penale (estinzione/prescrizione etc.), può essere diversamente valutata ai fini della concessione della cittadinanza: in un’ottica di tutela avanzata, il potenziale rischio di lesione di beni giuridici di rilevanza costituzionale, quali la salute e l’incolumità fisica della persona dei passanti può ragionevolmente essere preso in considerazione al fine di stabilire la “gravità” della condotta in funzione della valutazione del grado di integrazione dei valori della comunità e del giudizio prognostico sull’inserimento del nuovo membro nella collettività nazionale”; vedi, da ultimo, TAR Lazio, sez. v bis, n. 8046/2022, ove si precisa che “la sua depenalizzazione è irrilevante, perché non elide la gravità del fatto, e il disvalore che esso assume nell’ottica della valutazione complessiva del comportamento del ricorrente. L’affermazione poi che “tale episodio, in ogni caso, non assume alcun rilievo in termini di pericolosità sociale”, è semplicemente falsa, perché la guida senza patente, cioè senza l’accertata perizia e competenza che il suo rilascio attesta, è fonte di gravissimo pericolo perfino per la pubblica incolumità”; cfr. Cons. Stato, Sez. I, parere n 653/2022 nel senso che “Proprio per il particolare rigore che caratterizza la concessione della cittadinanza, in quanto si determina l’acquisizione in via definitiva del nuovo “status”, grava sull’Amministrazione l’obbligo di una completa rappresentazione della realtà tramite un’accurata ed estesa istruttoria”).
Quindi, anche la guida senza patente, benché depenalizzata, non oblitera la capacità valutativa dell’Amministrazione in sede di accertamento, prognostico e complessivo, dei presupposti di concessione della cittadinanza, soprattutto in considerazione nel caso di specie della reiterazione nel tempo della medesima condotta pericolosa, e in ogni caso nel corso del c.d. “periodo di osservazione” – il decennio antecedente la domanda, in cui devono essere maturati i requisiti per l’acquisizione dello status, ivi compreso quello della irreprensibilità della condotta – nonché contestazione all’istante anche di altri comportamenti penalmente rilevanti, integranti gli estremi di reati di falso, che ragionevolmente hanno fatto dubitare dell’attitudine del richiedente a rispettare i valori fondamentali della comunità di cui aspira a divenire parte essenziale con piena partecipazione all’autodeterminazione delle scelte di natura politica.
VI .- In questa prospettiva non appare in grado di offrire elementi a sostegno della posizione del richiedente tale da assumere valore determinante nella formazione del giudizio di idoneità al conseguimento del beneficio richiesto, l’argomento principe della difesa attorea che mira a far leva sulla mancanza di sviluppi sul piano processuale penale dei comportamenti contestati, cui nelle premesse motivazionali si fa cenno in ogni caso cenno, nel dar conto delle osservazioni formulate dall’interessato in riscontro alla comunicazione del preavviso di rigetto effettuata ai sensi della previsione di cui all’art. 10-bis della legge n. 241/1990.
Il diniego, conseguenza dell’esito negativo del giudizio prognostico di idoneità del richiedente di inserirsi in modo duraturo nella comunità, appare ragionevole ed esente dai vizi formulati nel ricorso, vista l’adozione di comportamenti contrari ai valori fondanti dello Stato non vetusti (anche se non hanno condotto a pronunce di accertamento e condanna in sede penale), rispetto a cui la mancanza di sviluppi processuali non rappresentano elementi in grado di eliderne il disvalore.
La parte peraltro non tiene conto dell’insegnamento costante della giurisprudenza, secondo cui le valutazioni finalizzate all’accertamento di una responsabilità penale si pongono su un piano assolutamente differente ed autonomo rispetto alla valutazione del medesimo fatto ai fini dell’adozione di un provvedimento amministrativo, con possibilità di valutare sfavorevolmente, in sede amministrativa, le risultanze fattuali oggetto delle vicende penali, a prescindere dagli esiti processuali definitivi e anche dall’eventuale intervenuta estinzione e/o riabilitazione.
Ed invero nella vicenda in esame non emerge tanto un giudizio di pericolosità, che potrebbe comportare anche la revoca del titolo di soggiorno, ma una valutazione di non adeguatezza del ricorrente ad uno stabile inserimento nella comunità nazionale, non avendo potuto vantare una condotta irreprensibile, bensì fonte di allarme sociale quale è la ripetuta e grave violazione di norme poste a presidio della tenuta dell’ordinamento.
D’altronde la mera archiviazione o prescrizione delle notizie di reato è una circostanza che non è in grado ex se di elidere il disvalore della condotta, non conforme alle leggi e alle regole di civile convivenza, riconducibile all’interessato.
Difatti, sul piano amministrativo, visto che la valutazione che l’Amministrazione è chiamata a compiere per concedere lo status di cittadino ha riguardo principalmente all’interesse pubblico alla tutela dell’ordinamento, la condotta comunque addossata all’istante rileva per il particolare valore sintomatico che può assumere in quel procedimento (Consiglio di Stato, Sez. III, 14 febbraio 2022, n. 1057; id. 28 maggio 2021, n. 4122; id., 16 novembre 2020, n. 7036; id., 23 dicembre 2019, n. 8734; id., 21 ottobre 2019, n. 7122; id., 14 maggio 2019, n. 3121; sez. IV, n. 1788/2009, n. 4862/2010; T.A.R. Lazio sez. V bis, nn. 2944, 4469 e 4651 del 2022; sez. II quater, n. 10590/12; 10678/2013), specie se, come nel caso all’esame, non è isolata e ricade nel decennio antecedente la domanda.
Invero, il riconoscimento della cittadinanza, per sua natura irrevocabile, presuppone, altresì, che “nessun dubbio, nessuna ombra di inaffidabilità del richiedente sussista, anche con valutazione prognostica per il futuro, circa la piena adesione ai valori costituzionali su cui Repubblica Italiana si fonda” (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 14 febbraio 2017, n. 657; n. 1390/19; n. 3121/2019; n. 7122/19; n 7036/20; sez. VI, n. 3106/2006; TAR Lazio, sez. I ter, n. 5917/2021; sez. II quater, n. 12568/2009).
Ebbene nel caso che ci occupa, l’emersione di due pregiudizi penali sul conto del ricorrente cronologicamente distanti l’uno dall’altro ma in ogni caso inscrivibili nel c.d. “periodo di osservazione” e quindi prossimi al procedimento concessorio, in cui viene scandagliato il contegno complessivo del richiedente durante la sua permanenza sul territorio nazionale, hanno fornito un quadro personale del ricorrente che non dava garanzia di un suo proficuo stabile inserimento nell’ambito della comunità nazionale, tale da escludere per il futuro inconvenienti o, addirittura, la commissione di fatti di rilievo penale (cfr. Tar Lazio, sez. II quater, n. 12568 del 2009).
È chiaro dunque che, ai fini della valutazione della significatività dei comportamenti addebitati al richiedente ha inciso anche l’elemento del tempus commissi delicti, in quanto collocati nel decennio antecedente la domanda, il frangente temporale rilevante nell’ambito del procedimento concessorio, in cui devono essere maturati e conservati i requisiti per la cittadinanza, ai sensi dell’art. 9 legge n. 91 del 1992, inclusi quelli dell’irreprensibilità della condotta, salvo che ci si trovi al cospetto di fattispecie di particolare gravità che possono essere apprezzate nel loro particolare valore “sintomatico”, in quanto indicative di tendenze caratteriali, anche oltre il decennio (Consiglio di Stato sez. VI n. 52/2011, Consiglio di Stato sez. III n. 1726/2019, 5271/2019, 4122/2021; TAR Lazio, sez. II quater, n. 10678/13, 5615/2015, 5917/21; cfr. TAR Lazio, sez. V bis, n. 2643, 2644, 2945, 2946, 4469, 4618, 4621, 4623, 11286 e 11026 del 2022, nonché, da ultimo, n. 10363/2024: «il requisito della residenza legale da almeno di 10 anni nel territorio della Repubblica prescritto dal comma 1 lett. f) della richiamata disposizione va inteso non solo nel senso “quantitativo” della “durata minima del soggiorno” che legittima la presentazione dell’istanza, in quanto indicativo del “legame” che si è venuto a instaurato con il Paese di accoglienza, ma anche nel senso “qualitativo” del “periodo di osservazione” in cui chi aspira ad essere ammesso in una Comunità politica, per determinarne le sorti, assumendo diritti politici ed esercitato funzioni pubbliche, deve dare prova di saper mantenere – per lo meno nell’arco dell’ultimo decennio – un “comportamento senza mende” in modo da dimostrare di aver conseguito un adeguato grado di assimilazione dei valori fondanti per la nostra Comunità»). A ciò si aggiunga, seguendo l’ormai consolidata giurisprudenza in materia (vedi, in tal senso, già in tempo risalente Cons. Stato, n. 3907/2008, TAR Lazio, II quater, n. 292/2010), che il valore sintomatico che è tanto maggiore quanto più il fatto riprovevole è temporalmente vicino alla presentazione della domanda di cittadinanza [cfr., ex plurimis, Tar Lazio, V bis, sent. n. 9037/2022: “La prossimità temporale del comportamento antigiuridico … evidenzia invero la mancata acquisizione del senso di consapevolezza e desiderio che deve caratterizzare la richiesta di cittadinanza italiana”; sent. n. 8854/2024: “deve riconoscersi particolare rilevanza alla “prossimità temporale del comportamento antigiuridico” posto in essere “a ridosso” (in pendenza o in prossimità) della presentazione della domanda, dato che il valore sintomatico della condotta “è tanto maggiore quanto più a ridosso della domanda di cittadinanza” (Cons. Stato, sez. I par. 305/2023; TAR Lazio, sez. V bis, n. 6609/2022, 9037/2022, 13766/2022, da ultimo, TAR Lazio, sez. V bis, n. 2022/2023, 3673/2023; 3919/2023, 4263/2023, 11068/2023; 10883/2023)”]; e nel caso che ci occupa le due condotte illecite contestate all’istante, in quanto poste in essere rispettivamente nel 2011 e nel 2013, risalgono a soli tre anni prima e un anno prima dell’istanza, presentata il 21 agosto 2014.
VII. – Alla luce delle argomentazioni svolte, il provvedimento, adottato sulla base delle risultanze istruttorie emerse al momento dell’adozione dello stesso, appare posarsi su un adeguato sostrato istruttorio e motivazionale – ciò che rende l’operato dell’amministrazione immune da censure in questa sede, tenuto conto dei limiti che incontra il sindacato di questo organo giudicante, ut supra descritti – vista la contestazione di condotte, poste in essere nel periodo di osservazione, lesive di interessi fondamentali dell’ordinamento e fonte di allarme sociale, atteso l’inevitabile negativo riflesso che una simile circostanza finisce per avere nella formulazione del giudizio prognostico di idoneità e di capacità di rispettare le regole di civile convivenza e i valori identitari dello Stato, ad onta, come nel caso di specie, della dedotta avvenuta integrazione dello straniero nella comunità nazionale.
Sul punto questa Sezione, peraltro, ha più volte chiarito che lo stabile inserimento socio-economico non rappresenta un elemento degno di speciale merito, in grado di far venir meno i constatati motivi ostativi alla concessione dello status anelato, esso è solo il prerequisito della richiesta di cittadinanza, in quanto presupposto minimo per conservare il titolo di soggiorno, che autorizza la permanenza dello straniero sul territorio nazionale (ex multis, Tar Lazio, Sez. V bis, nn. 2945 e 4295 del 2022).
In altri termini il fatto che il ricorrente sia dotato di stabile occupazione, non sia socialmente pericoloso e sia integrato nella società locale costituisce il percorso “normale” che ci si attende dallo straniero regolarmente soggiornante, trattandosi di requisiti necessari per entrare e risiedere legalmente nel Paese, a tal fine prescritti dall’art. 4 co. 3 e 5 co 5 T.U.I. per il rilascio ed il rinnovo del permesso di soggiorno.
Si tratta, pertanto, di circostanze del tutto ordinarie, che, per quanto riguarda il (diverso) procedimento di naturalizzazione, costituiscono solo le condizioni minime, che devono essere necessariamente soddisfatte per poter di presentare la domanda di cittadinanza ai sensi dell’art. 9 della legge n. 91/1992.
L’inserimento sociale e professionale dell’istante rappresenta un elemento sintomatico di una raggiunta situazione di normalità che consente la permanenza dello straniero in Italia, ma non consiste in una particolare benemerenza tale da indurre la Pubblica Amministrazione a ritenere l’interesse pubblico ad integrare nella comunità nazionale un elemento se ha dimostrato di non condividerne i fondamentali valori di solidarietà e sicurezza.
In altre parole, si richiede che l’istante sia non solo materialmente in condizioni di effettivo inserimento nella società italiana, ma che sul piano dei valori mostri, indefettibilmente, una convinta adesione ai valori fondamentali dell’ordinamento di cui egli chiede di far parte con il riconoscimento della cittadinanza.
VIII. – In ogni caso, a favore della posizione del ricorrente, il Collegio ritiene opportuno rammentare che il diniego della cittadinanza non preclude all’interessato di ripresentare l’istanza nel futuro e che dunque le conseguenze discendenti dal provvedimento negativo sono solo temporanee e non comportano alcuna “interferenza nella vita privata e familiare del ricorrente” (art. 8 CEDU, art. 7 Patto internazionale diritti civili e politici), dato che l’interessato può continuare a rimanere in Italia ed a condurvi la propria esistenza alle medesime condizioni di prima.
Peraltro, tenuto conto del conseguimento della cittadinanza da parte della moglie, intervenuto nelle more del giudizio, il ricorrente potrà richiedere la cittadinanza iure matrimonii ai sensi dell’art. 5 della legge n. 91/1992, che riconosce un vero e proprio diritto soggettivo al richiedente (al fine di tutelare l’unità familiare del cittadino italiano) con la previsione di una disciplina di maggior favore.
IX. – Il Collegio, ritenendo, alla luce di tutto quanto osservato, il provvedimento impugnato immune dai vizi dedotti dalla parte, respinge il ricorso, in quanto infondato.
X. – Sussistono giustificate ragioni, tenuto conto della specificità della fattispecie trattata, per disporre la compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Quinta Bis), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 novembre 2024 con l’intervento dei magistrati:
(omissis)