Svolgimento del processo
1. Con ricorso notificato in data 8.4.2022 e depositato in data 21.4.2022, T.R.E. s.p.a. (d’ora in poi, T.) ha impugnato il decreto n. 21 dell’8.2.2022 del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, recante l’aggiornamento, nella misura piena di € 50.043,25 e non ridotta ai sensi dell’art. 39, co. 2, del codice della navigazione, del canone demaniale relativo alla concessione demaniale marittima del 30.6.2014 per l’occupazione di una superficie di fondo marino ricadente nella giurisdizione della Capitaneria di porto di Messina di complessivi mq 28.542, finalizzata a realizzare e a mantenere un tratto dell’elettrodotto a 380 kv denominato “Sorgente-Rizziconi”.
1.1. T. ha, tra l’altro, esposto:
– di avere promosso autonomo ricorso dinanzi a questo Tar con riferimento ad altro elettrodotto connesso a diversa concessione demaniale marittima per vedersi riconosciuto il beneficio della riduzione del canone ai sensi dell’art. 3, co. 1, lett. d), del D.L. n. 400 del 1993 e che la sentenza n. 11458 del 5.11.2020, passata in giudicato, ha ritenuto applicabile la disposizione di cui all’art. 39, co. 2, del codice della navigazione;
– di avere, dunque, richiesto, in forza di detta sentenza, all’Amministrazione “la rideterminazione del canone demaniale, sino ad allora applicato, nella misura ridotta del 10% a tutte le concessioni aventi ad oggetto l’occupazione di aree demaniali strumentali alla fornitura di energia elettrica al territorio nazionale”;
– che l’Amministrazione ha disatteso detta richiesta adottando il decreto impugnato, con cui il canone relativo all’area demaniale marittima in questione è stato calcolato in misura piena;
– che la Capitaneria di porto di Messina, con successiva nota prot. n. (…) dell’11.3.2022, ha richiesto all’odierna ricorrente il versamento del canone nella misura piena, quantificata dal decreto n. 21/2022.
1.2. Avverso il suddetto decreto la ricorrente ha articolato il seguente motivo di censura: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 39, comma 2 del Codice della navigazione, nonché degli artt. 16 e 37, comma 2 del regolamento della navigazione marittima. Violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 1, lett. d) del D.L. n. 400 del 1993 nonché dell’art. 6 del D.M. del 19 luglio 1989. Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della L. n. 241 del 1990. Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche ed in particolare per sviamento, illogicità manifesta, carenza di istruttoria, carenza di motivazione, difetto di presupposti, travisamento dei fatti, disparità di trattamento” – la concessione in questione dovrebbe ritenersi di pubblico interesse in quanto strumentale alla trasmissione e al dispacciamento dell’energia elettrica nel territorio nazionale; la ricorrente, peraltro, non ritrarrebbe alcun utile o provento dallo sfruttamento delle aree demaniali in concessione, con conseguente sussistenza dei presupposti per l’applicazione del canone cd. ricognitorio.
2. Il 22.4.2022 si sono costituiti in resistenza il Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili e la Capitaneria di Porto di Messina, con atto di stile.
3. In data 6.5.2025 l’Avvocatura generale dello Stato ha depositato memoria, insistendo per l’infondatezza del gravame, avuto riguardo alla circostanza che T. espleta un servizio di pubblica utilità “a fini commerciali” e che, pertanto, il bene demaniale concesso è strumentale all’esercizio di un’attività produttiva che comporta un introito.
4. T. ha insistito nelle proprie difese, depositando memoria e repliche.
5. Alla pubblica udienza del 10.6.2025, la causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è infondato.
2. La ricorrente invoca l’applicazione del canone cd. ricognitorio ai sensi dell’art. 39 cod. nav., il quale, dopo avere precisato al co. 1 che “la misura del canone è determinata dall’atto di concessione”, statuisce al co. 2 che “nelle concessioni a enti pubblici o privati, per fini di beneficenza o per altri fini di pubblico interesse, sono fissati canoni di mero riconoscimento del carattere demaniale dei beni”.
L’art. 37, co. 2, reg. esec. cod. nav. prevede, a sua volta, che “si intendono per concessioni che perseguono fini di pubblico interesse diverse dalla beneficenza quelle nelle quali il concessionario non ritrae dai beni demaniali alcun lucro o provento”.
Al riguardo, si può ribadire l’indirizzo secondo cui l’apparente antitesi tra le locuzioni “fini di pubblico interesse” e “alcun lucro o provento” di cui alla disposizione da ultimo citata “va risolta con l’attribuzione a quest’ultima espressione del valore di un’endiadi, con la conseguenza che i proventi ottenuti dalla gestione economica dei beni oggetto di concessione per finalità di pubblico interesse diviene incompatibile con la causa di quest’ultima se destinato a scopo di destinazione soggettiva del risultato netto della gestione, e dunque di lucro, anziché di devoluzione a finalità di interesse generale” (così, ex plurimis, Cons. Stato, sez. VII, 5.7.2024, n. 5989; id. 16.6.2023, n. 5930; 16.2.2023, n. 1642).
L’art. 37, co. 2, reg. esec. cod. nav., non integrando il dettato normativo dell’art. 39, co. 2, cod. nav., ma limitandosi, in coerenza con la sua funzione esecutiva, a chiarirne l’ambito applicativo (nel rispetto della gerarchia delle fonti del diritto), rinviene nell’assenza di lucro l’elemento legittimante la corresponsione del ridotto canone di riconoscimento, adoperando un’espressione talmente ampia da richiedere l’esclusione di qualsiasi utilità o vantaggio suscettibile di valutazione economica per il concessionario (cfr. anche Cons. Stato, sez. VII, 14.6.2023, n. 5863, cui si rinvia per una completa ricostruzione in chiave teleologica del combinato disposto delle norme in questione).
Ne deriva, dunque, “che l’applicazione del canone meramente ricognitorio postula che l’occupazione dell’area, implicante la sua sottrazione all’immediato uso pubblico, sia comunque funzionale alla stretta attuazione di una finalità pubblicistica, oppure all’esercizio di servizi di pubblica utilità privi di redditività o proventi” (Cons. Stato, sez. VII, 1.7.2024, n. 5782; cfr. anche Cons. Stato, sez. VI, 10.4.2014, n. 1716).
Viceversa, “il canone di mero riconoscimento non può essere applicato nei casi … in cui la ritrazione di utili o proventi dell’attività derivi in modo indiretto e mediato (ma pur sempre con un nesso di strumentalità necessaria) dall’impiego del bene demaniale” (Cons. Stato, Sez. VI, 10 marzo 2014, n. 1076)” (Cons. Stato, sez. VII, 13.11.2024, n. 9125), come è indubitabilmente nel caso di specie, nel quale l’allocazione degli impianti costituisce il mezzo indispensabile per conseguire un profitto dall’erogazione del servizio di fornitura di energia elettrica (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 17.11.2017, n. 5307).
Si condividono, pertanto, le argomentazioni di recente addotte dal Consiglio di Stato, che (in analogo contenzioso avviato dall’odierna ricorrente; cfr. sez. VII, n. 9125/2024, cit.), ha evidenziato che T. è una società operante sul territorio italiano in ragione di una concessione che, pur attestandone l’indiscussa rilevanza sul piano del pubblico interesse, legittima l’esercizio di un’attività commerciale di imponenti dimensioni economiche, di per sé presuntivamente comprovanti la rispondenza dell’organizzazione societaria alle logiche del lucro soggettivo.
Anche in questo caso (come nei precedenti sopra richiamati), invero, non emerge la prova (contraria) della gestione dell’attività secondo criteri di economicità sostanzialmente tendenti al cd. lucro oggettivo, ossia alla copertura dei costi nel medio-lungo periodo (Cass. civ., sez. I, 24.3.2014, n. 6835), mentre (diversamente da quanto eccepito a p. 6 della memoria di replica) non può assumere “portata dirimente la determinazione ad opera dell’ARERA della tariffa unica nazionale obbligatoria” (Cons. Stato, sez. VII, n. 9125/2024, cit.).
In sostanza, pur non essendo in discussione l’uso del bene demaniale da parte della società per l’erogazione di un servizio pubblico essenziale, resta comprovata la strumentalità dello stesso bene all’esercizio di un’attività imprenditoriale contraddistinta da una certa redditività, dipendente non soltanto dal servizio di distribuzione dell’energia elettrica complessivamente considerato, ma anche dallo sfruttamento del bene demaniale.
Se, infatti, tale bene è adoperato per collocare gli impianti di erogazione del servizio di fornitura dell’energia elettrica da cui dipende la redditività dell’attività economica esercitata dalla concessionaria, il bene stesso assolve rispetto a siffatta attività alla medesima funzione strumentale degli impianti direttamente adoperati, palesandosi, quindi, un collegamento tra il possesso del bene demaniale e il profitto o il provento scaturente dal servizio pubblico erogato.
Non può, infatti, ritenersi ininfluente sul piano della redditività dell’attività esercitata dalla ricorrente l’ubicazione degli impianti strumentali all’erogazione del servizio di fornitura dell’energia elettrica su un’area demaniale o su un’area privata, incidendo la circostanza direttamente sui costi di gestione e, quindi, sul profitto derivante dall’attività condotta.
3. Da quanto argomentato deriva l’insussistenza, nel caso di specie, dei presupposti per l’applicazione del canone di mero riconoscimento del carattere demaniale del bene concesso in uso di cui all’art. 39, co. 2, cod. nav. e all’art. 37, co. 2, reg. esec. cod. nav.
4. Il ricorso va, pertanto, respinto.
5. I profili di novità della questione, con riguardo al momento in cui il giudizio è stato introdotto, giustificano la compensazione delle spese di lite tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio (Sezione Quinta Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Conclusione
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 giugno 2025.
