SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 548 del 2021, proposto da:
(omissis) s.n.c. di (omissis) e (omissis), rappresentata e difesa dagli avv. (omissis) e (omissis), con domicilio digitale come da p.e.c. dei registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio dei medesimi difensori in Genova, via (omissis);
contro
Comune di Genova, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. (omissis) e (omissis), con domicilio digitale come da p.e.c. dei registri di giustizia e domicilio eletto presso l’Ufficio Legale del Comune in Genova, via (omissis);
per l’annullamento
dell’ordinanza dirigenziale di sospensione del titolo abilitativo per pubblico esercizio prot. n. 18/06/2021.0222653.U del Comune di Genova – Direzione Sviluppo del Commercio, notificata via p.e.c. in data 18/6/2021, avente ad oggetto sospensione dell’attività per giorni 30 dalla data di notifica del pubblico esercizio denominato “(omissis)” con successiva riapertura per i sei mesi successivi sino alle ore 21 di ogni giorno;
nonché di ogni atto preparatorio, presupposto, consequenziale e/o comunque connesso, ancorché allo stato sconosciuto e, in particolare, delle presupposte e sconosciute relazioni della Polizia Locale.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Genova;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 febbraio 2022 il dott. (omissis) e uditi i difensori intervenuti per le parti, come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La Società ricorrente è titolare di un bar ubicato nel centro storico genovese con orario di apertura autorizzato fino alle 3.00.
Con ricorso notificato e depositato il 16 luglio 2021, essa ha impugnato l’ordinanza dirigenziale meglio indicata in epigrafe, con cui il Comune di Genova aveva sospeso per un periodo di trenta giorni l’efficacia del titolo autorizzativo relativo all’esercizio predetto e disposto che, per i successivi sei mesi, la chiusura del locale sarebbe stata anticipata alle ore 21.00.
Premessi riferimenti ai disagi cagionati dal fenomeno della cosiddetta “movida” notturna, la motivazione di tale atto, adottato ai sensi dell’art. 10 del r.d. 18 giugno 1931, n. 773 (“t.u.l.p.s.”), richiama i rilievi fonometrici che avrebbero fatto registrare, in tutta la zona, emissioni sonore superiori alla soglia massima prevista per le rispettive fasce orarie nonché le riprese video e fotografiche che dimostrerebbero la maggior presenza di assembramenti di persone nel tratto della pubblica via che comprende l’esercizio della ricorrente.
Sono richiamati anche due verbali di accertamento della polizia locale per infrazioni relative all’esposizione dell’insegna del locale e della tabella dei prezzi, recanti la stessa data dell’ordinanza impugnata, ed una sanzione amministrativa irrogata alcuni mesi prima per la violazione delle disposizioni regolamentari in tema di gestione dei rifiuti urbani.
La ricorrente deduce i seguenti motivi di gravame:
I) “Incompetenza. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 107 e dell’art. 50, commi 7 e 7-bis, del d.lgs. n. 267/2000 (TUEL). Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 5, comma 1, e 9 del Regolamento di polizia annonaria per la convivenza tra le funzioni residenziali e commerciali e le attività di svago nella città di Genova (D.C.C. n. 36/2015 s.m.i.). Difetto di presupposti, di istruttoria e conseguente difetto di motivazione”.
L’adozione della contestata ordinanza sarebbe spettata alla competenza del Sindaco e non del Dirigente comunale.
II) “Eccesso di potere per difetto di presupposti e manifesto sviamento. Violazione e/o falsa applicazione dei principi di buon andamento, efficacia e imparzialità dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 10 e 14 del r.d. n. 773/1931 e dell’art. 10, comma 1, della D.C.C. n. 36/2015 s.m.i. Difetto di istruttoria e illogicità della motivazione. Disparità di trattamento”.
Non risultando che il Comune di Genova abbia adottato misure di carattere generale per contrastare il fenomeno della “movida” nel centro storico, la chiusura di singoli esercizi non sarebbe idonea a determinare alcun effetto favorevole, provocando anzi il paradossale risultato di una maggiore concentrazione di avventori nei locali contigui ancora aperti.
III) “Violazione e/o falsa applicazione dei principi di buon andamento, imparzialità dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost. sotto altro profilo. Violazione dei canoni di ragionevolezza e proporzionalità e dell’art. 21-quater, l. n. 241/1990. Difetto di istruttoria e illogicità della motivazione. Sviamento ed ingiustizia sotto altro profilo”.
L’imposizione della chiusura alle ore 21.00 dimostrerebbe che non sono stati in alcun modo considerati gli interessi della ricorrente la quale gestisce un cocktail bar, ossia un locale “post cena” che apre alle ore 19.00, e, pertanto, non avrebbe alcuna utilità a proseguire l’attività per due ore al giorno. Peraltro, nessuna responsabilità potrebbe essere addebitata al gestore per gli assembramenti di persone negli spazi pubblici esterni al locale né lo stesso potrebbe disporre di strumenti per impedire i fenomeni che avvengono in tale contesto spaziale.
IV) “Carenza di presupposti e illogicità della motivazione. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 5, 7, 9 e 10 del Regolamento di polizia annonaria per la convivenza tra le funzioni residenziali e commerciali e le attività di svago nella città di Genova (D.C.C. n. 36/2015 s.m.i). Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 10 e 14 del r.d. n. 773/1931 e dell’art. 21-quater, l. n. 241/1990. Manifesto sviamento”.
Le violazioni richiamate nel contesto dell’impugnata ordinanza non varrebbero di per sé a giustificare la sospensione della licenza.
V) “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 7, l. n. 241/1990 e dell’art. 159 del Regolamento comunale in materia di commercio e polizia annonaria (D.C.C. n. 57/2010 s.m.i). Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 97 Cost. sotto altro profilo. Violazione del contraddittorio procedimentale. Difetto di presupposti e illogicità della motivazione”.
Si contesta la mancata comunicazione di avvio del procedimento in quanto, a fronte della risalenza nel tempo del fenomeno della “movida”, non sarebbe configurabile alcuna condizione di urgenza atta a giustificare la relativa omissione.
In conclusione, la ricorrente propone anche una domanda di risarcimento dei danni, che si riserva di quantificare in corso di causa, cagionati dalla chiusura dell’attività con la conseguente perdita di fatturato.
Con il decreto monocratico n. 176 del 16 luglio 2021, l’istanza di tutela cautelare provvisoria è stata accolta limitatamente alla sospensione della licenza.
Costituitosi in resistenza, il Comune di Genova controdeduce ai motivi di impugnazione, concludendo per il rigetto del ricorso e dell’istanza risarcitoria.
Parte ricorrente ha depositato una memoria con la quale quantifica i danni da risarcire nell’importo complessivo di € 7.500,00, di cui € 6.000,00 rappresentati dai ricavi non conseguiti nei trenta giorni di chiusura del locale ed € 1.500,00 dalla perdita di fatturato nei quindici giorni di apertura a orario ridotto; in subordine, chiede che il danno sia quantificato in via equitativa.
L’istanza cautelare accedente al ricorso è stata accolta con l’ordinanza n. 202 del 30 luglio 2021 che, in punto fumus boni iuris, evidenzia come il provvedimento impugnato non contenga “elementi atti a ricollegare in modo univoco al locale della ricorrente i fenomeni di disturbo della quiete pubblica ivi descritti o ad evidenziare specifiche responsabilità dei gestori”, posto che “i rilievi fonometrici cui si fa generico riferimento nella motivazione dell’atto … hanno interessato una zona comprendente numerosi esercizi di somministrazione che non risulterebbero essere stati interessati da analoghe misure di limitazione dell’attività”.
Le parti in causa hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza di trattazione.
Parte ricorrente conferma che permane l’interesse all’accertamento dell’illegittimità dell’atto impugnato in funzione risarcitoria. L’Amministrazione resistente eccepisce che il ricorso sarebbe divenuto improcedibile in quanto, nelle more del giudizio, l’atto impugnato è stato sostituito dalla nuova ordinanza dirigenziale del 26 novembre 2021 che, facendo applicazione dell’art. 9 t.u.l.p.s., prescrive provvisoriamente la chiusura del locale della ricorrente alle ore 23.30; la difesa comunale rileva, altresì, che la domanda risarcitoria non sarebbe accoglibile in ragione della mancata dimostrazione dei pregiudizi economici cagionati dal provvedimento impugnato, in particolare a causa dell’omessa considerazione dei costi che la titolare dell’autorizzazione avrebbe dovuto sopportare nel caso di regolare apertura dell’esercizio.
Il ricorso, infine, è stato chiamato alla pubblica udienza del 16 febbraio 2022 e trattenuto in decisione.
DIRITTO
E’ contestata la legittimità del provvedimento ex art. 10 t.u.l.p.s. con cui il Comune di Genova ha disposto la sospensione per giorni trenta del titolo autorizzativo relativo al pubblico esercizio della ricorrente e la chiusura anticipata alle ore 21.00 per i sei mesi successivi.
Come anticipato in premessa, tale provvedimento era dichiaratamente inteso a contrastare i disagi provocati dal fenomeno della “movida” nel centro storico genovese, con assembramenti di persone che, stazionando nella pubblica via antistante i locali della zona, provocavano disturbo alla quiete pubblica fino a tarda ora.
In via preliminare, va disattesa l’eccezione di improcedibilità del ricorso sollevata dalla difesa comunale la quale rileva che il provvedimento impugnato è stato sostituito da una nuova ordinanza dirigenziale adottata nel corso del giudizio e, comunque, avrebbe esaurito la propria efficacia temporale.
Parte ricorrente, tuttavia, ha proposto in questo giudizio anche la domanda di risarcimento dei danni da provvedimento illegittimo, sicché l’interesse all’accertamento dell’illegittimità della gravata ordinanza dirigenziale, qualora ormai deprivata di attitudine concretamente lesiva, permarrebbe comunque in funzione risarcitoria.
Nel merito, è infondata la censura di incompetenza sollevata con il primo motivo di gravame, secondo cui l’adozione della contestata ordinanza di sospensione del titolo autorizzativo e successiva riduzione dell’orario del locale della ricorrente sarebbe spettata al Sindaco, nell’esercizio dei suoi poteri di regolazione degli orari dei pubblici esercizi, anziché al Dirigente comunale.
Il provvedimento in questione, infatti, è stato dichiaratamente adottato ai sensi dell’art. 10 t.u.l.p.s. che prevede la possibilità di revoca o sospensione delle autorizzazioni di polizia nel caso di abuso della persona autorizzata.
Si tratta, quindi, di un atto a carattere sanzionatorio che, costituendo tipica espressione di poteri gestionali, appartiene alla competenza dei dirigenti dell’ente locale in forza del principio di separazione tra funzioni di indirizzo politico e funzioni gestionali sancito dall’art. 107 del d.lgs. 8 agosto 2000, n. 267, a nulla rilevando l’esistenza di margini di discrezionalità.
Né possono rilevare in senso contrario le disposizioni regolamentari del Comune di Genova indicate dalla ricorrente in quanto inidonee a modificare il regime delle competenze stabilito dalla fonte primaria.
E’ fondata e assorbente, per le ragioni già parzialmente anticipate in sede cautelare, la censura sollevata con il terzo motivo di gravame relativamente alla mancata indicazione di profili di responsabilità del gestore del locale atti a giustificare la sospensione del relativo titolo autorizzativo.
Come già precisato, infatti, la regola generale di cui all’art. 10 t.u.l.p.s. prevede che l’abuso delle autorizzazioni di polizia da parte della persona autorizzata possa comportarne la revoca o la sospensione.
L’esercizio del potere in questione, pertanto, implica l’accertamento in ordine a violazioni delle norme primarie di settore ovvero delle modalità di svolgimento del servizio determinate dalle fonti sub-primarie che, sulla base di valutazioni discrezionali afferenti la gravità o la reiterazione della condotta, siano ritenute idonee a configurare un uso anomalo del titolo e, quindi, un abuso da parte del titolare dell’autorizzazione di polizia.
Va mantenuta ferma, quindi, la linea di confine tra il potere di sospensione ex art. 10 t.u.l.p.s., che può essere esercitato dai Comuni nelle ipotesi di abuso dell’autorizzazione, e l’analogo potere attribuito al Questore dall’art. 100 t.u.l.p.s. nel caso in cui il pubblico esercizio, anche indipendentemente dalla violazione delle norme di settore, diventi causa oppure occasione di fenomeni pericolosi per l’ordine pubblico o la sicurezza dei consociati.
Nel caso in esame, come dedotto con il quarto motivo di ricorso, le infrazioni amministrative richiamate nel contesto dell’atto non costituiscono presupposto delle misure applicate nei confronti della titolare dell’autorizzazione: come rileva in modo inequivoco la motivazione dell’impugnata ordinanza, essa è volta a contrastare il fenomeno della “movida” notturna, descritto come concentrazione di un elevato numero di persone in zone circoscritte che, anche a causa dell’abuso di bevande alcoliche, disturbano il riposo degli abitanti fino tarda ora, e persegue l’obiettivo di “contribuire, con altre misure di controllo e presidio del territorio, a diminuire gli assembramenti indiscriminati, molesti ed incivili”.
I riferimenti a specifiche violazioni, pertanto, assolvono una funzione essenzialmente descrittiva e non costituiscono il perno della motivazione dell’impugnato provvedimento, la cui ratio si identifica con l’esigenza di contrastare gli assembramenti e gli schiamazzi notturni.
In caso contrario, tali riferimenti non risulterebbero comunque idonei a giustificare la sospensione dell’autorizzazione di polizia, considerando che si tratta di violazioni non reiterate né connotate ictu oculi da particolare gravità e, comunque, perché la motivazione dell’atto non spende alcun argomento per ricondurre le condotte contestate all’ipotesi di abuso del titolo.
Tutto ciò premesso, si rileva come l’Amministrazione procedente si sia limitata a descrivere gli inconvenienti cagionati dal fenomeno della “movida” notturna che la presenza del locale della ricorrente, insieme agli altri esercizi della zona, contribuirebbe a favorire, senza evidenziare responsabilità del gestore al riguardo, poiché non è stata indicata l’esistenza di fonti di disturbo all’interno del locale o negli spazi esterni di eventuale pertinenza dello stesso, ma esclusivamente nella pubblica via antistante tale esercizio, ossia in un contesto spaziale estraneo al dovere di vigilanza del gestore.
A tale riguardo, la difesa comunale richiama l’art. 32, comma 2, del regolamento di polizia urbana, in forza del quale è fatto obbligo ai titolari ed ai gestori degli esercizi pubblici di somministrazione “di vigilare affinché all’uscita dei locali i frequentatori evitino comportamenti dai quali possano derivare rumori e disturbi alle persone nelle fasce orarie” notturne, ma tale previsione non può comportare anche l’obbligo (né la legittimazione) del gestore ad intervenire nei confronti delle persone, provenienti o meno dal suo locale, che stazionino nella pubblica via.
Occorre anche precisare che il precedente giurisprudenziale richiamato dalla difesa comunale (Cons. Stato, sez. I, parere 19 luglio 2021, n. 1245) non è conferente in quanto concerne il caso, del tutto diverso, di un’ordinanza sindacale contingibile e urgente adottata ai sensi dell’art. 9 della legge n. 447/1995 con cui, sulla base di rilievi fonometrici eseguiti all’interno delle abitazioni sovrastanti il locale interessato, era stato anticipato l’orario di chiusura di un bar, ubicato in un’area cittadina non interessata da fenomeni di aggregazione notturna, che effettuava piccoli intrattenimenti musicali.
Nel caso in esame, invece, la motivazione dell’atto impugnato richiama genericamente elementi istruttori (segnalazioni di residenti, rilievi fonometrici, riprese video e fotografiche) che riguardano l’intera zona, sicché risulta impossibile individuare i criteri sulla base dei quali, tra i vari locali ivi ubicati, siano stati “selezionati” quelli ritenuti meritevoli di temporanea chiusura e riduzione dell’orario.
Per tali ragioni, assorbite le ulteriori censure dedotte dalla ricorrente, il provvedimento impugnato è illegittimo e deve essere annullato.
Sussistono, altresì, i presupposti per l’accoglimento della domanda di risarcimento dei danni.
Infatti, una volta acclarata l’illegittimità dell’impugnato provvedimento, è innegabile il nesso eziologico fra il provvedimento medesimo e il danno lamentato dalla ricorrente, rappresentato dalla perdita di ricavi nel periodo di chiusura dell’esercizio e di riduzione dell’orario, poiché non risultano altri fattori causali assorbenti o concorrenti che avrebbero eventualmente impedito di proseguire regolarmente l’attività commerciale.
Peraltro, trattandosi di un “cocktail bar”, ossia di un locale che opera nelle ore serali e notturne, non può convenirsi con la prospettazione della difesa comunale secondo cui la ricorrente avrebbe potuto contenere il danno cagionato dalla riduzione dell’orario di chiusura attraverso la corrispondente anticipazione dell’orario di apertura, poiché tale soluzione avrebbe implicato una radicale trasformazione della tipologia di attività commerciale.
Per quanto concerne l’elemento soggettivo, in assenza di profili di incertezza del quadro normativo di riferimento e di contrasti giurisprudenziali in materia, non si ravvisano circostanze idonee a rendere scusabile l’operato dell’Amministrazione.
Parte ricorrente, infine, ha fornito un principio di prova in ordine al quantum del pregiudizio sofferto, dimostrando che, sulla base dei dati emergenti dal registro IVA dei corrispettivi del mese di giugno 2021, i ricavi medi giornalieri ammontavano alla somma di € 200,00 e quelli orari alla somma di € 25,00: in tesi, pertanto, il lucro cessante andrebbe determinato nell’importo di € 6.000,00 per i trenta giorni di chiusura dell’esercizio commerciale e di € 1.500,00 per le sessanta ore di chiusura anticipata, per un ammontare complessivo di € 7.500,00 di cui si chiede il risarcimento.
Peraltro, stante l’estrema difficoltà di calcolare le minori spese per l’acquisto di materie prime e per i consumi che andrebbero defalcate dai ricavi, non risulta possibile pervenire ad un’esatta quantificazione, cosicché il danno può essere valutato in via equitativa ex art. 1226 c.c. e prudenzialmente liquidato nell’importo di € 4.500,00, pari al 60% dei ricavi conseguibili nel periodo di chiusura dell’esercizio.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono equitativamente liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.
Accoglie la domanda di risarcimento dei danni e, per l’effetto, condanna il Comune resistente al pagamento, in favore della ricorrente, della somma complessiva di € 4.500,00 (quattromilacinquecento euro), oltre interessi dal deposito della presente sentenza al soddisfo.
Condanna il Comune di Genova al pagamento delle spese di giudizio che liquida in favore della ricorrente nell’importo complessivo di € 2.000,00 (duemila euro), oltre accessori come per legge e refusione del contributo unificato.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Genova nella camera di consiglio del giorno 16 febbraio 2022 con l’intervento dei magistrati:
(omissis)
