Massima

In materia di occupazione sine titulo di un immobile da parte della Pubblica Amministrazione a seguito della mancata conclusione di un procedimento espropriativo, l’azione del privato volta a ottenere il risarcimento del danno può essere riqualificata d’ufficio dal giudice amministrativo come ricorso avverso il silenzio inadempimento.
Di conseguenza, sussiste in capo all’Amministrazione l’obbligo giuridico di provvedere sull’istanza del proprietario, ponendo fine alla situazione di illecito permanente entro un termine perentorio fissato dal giudice.

Supporto alla lettura

OCCUPAZIONE DI IMMOBILE

L’art. 633 c.p., rubricato “Invasione di terreni o edifici”, tutela l’inviolabilità e l’integrità della proprietà immobiliare intesa come diritto d’uso e godimento di tali beni. Per cui tale norma punisce chi si introduce arbitrariamente, in maniera non momentanea, in un terreno o in un edificio altrui, pubblico o privato, al fine di occuparlo o di trarne profitto. La natura dei mezzi utilizzati non è rilevante purchè questi non costituiscano un altro reato, in tal caso si avrebbe un concorso di reati e quindi una diversa fattispecie criminosa.

Il reato di invasione di terreni o edifici è aggravato qualora sia commesso da più di 5 persone o da persona palesemente armata, o nei confronti di promotori o organizzatori se il fatto è commesso da due o più persone.

Ambito oggettivo di applicazione

Svolgimento del processo

1. Con l’atto introduttivo, ritualmente notificato e depositato, parte ricorrente è insorta per richiedere la condanna al risarcimento del danno patito in conseguenza della illegittima occupazione, e successiva perdita del bene ad opera della procedura espropriativa iniziata dall’Amministrazione con Provv. del 20 giugno 2007 e ad oggi non terminata né con l’emissione del decreto di esproprio, né con la stipulazione dell’accordo di cessione volontaria.

Nello specifico, in relazione agli immobili di cui il ricorrente è comproprietario, il predetto rappresenta che la p.a. avrebbe iniziato e mai terminato il procedimento espropriativo, nonostante la disponibilità del ricorrente a cedere volontariamente a titolo oneroso i cespiti in suo possesso.

Riguardo a tale aspetto è stato prodotto un atto (nota prot. (…) del 03.03.15) sottoscritto dal ricorrente S.P.F., e dai fratelli S.P.M.A. e S.F., attraverso il quale questi si impegnavano a cedere alla p.a. i residui 333 millesimi dei beni riportati in catasto f.(…) part. (…) sub (…) e 2 part. (…),(…),(…) sub (…) d e (…) in loro possesso, a fronte di un corrispettivo di euro 30.000. Con la sottoscrizione del presente atto è stato richiesto di sospendere la pratica espropriativa e tale accordo è stato acquisito dal Comune al prot. N. (…) in data 03.03.2015.

Nonostante la sottoscrizione del predetto atto la p.a. non avrebbe proceduto a sottoscrivere gli atti di cessione, né a liquidare tali somme, sebbene le opere di riqualificazione del palazzo fossero ultimante.

A fronte di ciò il ricorrente ha provveduto a notificare al Comune di Sant’Arcangelo Trimonte apposito atto di significazione a mezzo pec del 11.01.2021 con cui ha contestato all’Amministrazione l’illegittima occupazione sine titulo dei propri cespiti e al contempo ha diffidato alla corresponsione della somma di euro 36.740,00, oltre interessi e rivalutazione (quale indennità di esproprio già quantificata) nonché al versamento di un’ulteriore indennità di occupazione.

A tale diffida è seguita la nota prot. n. (…) del 19.01.202 con cui l’Amministrazione ha chiesto al ricorrente un incontro finalizzato alla composizione bonaria della vicenda; essendo risultato vano ogni tentativo bonario di risoluzione, il bene ad oggi continuerebbe a permanere nella disponibilità della p.a. che lo occuperebbe senza titolo.

2. In diritto il ricorrente deduce la “Violazione e falsa applicazione del tu 327/2001 smi- eccesso di potere-violazione del giusto procedimento-violazione dell’art. 42 della costituzione- sviamento”.

Parte ricorrente deduce gli estremi dell’illecito aquiliano ravvisando il danno ingiusto nella perdurante occupazione sine titulo del cespite di sua proprietà, fatto sorretto dall’elemento psicologico della colpa e negligenza queste dimostrate dalla mancata conclusione della procedura espropriativa, anche con il trasferimento del bene a seguito dell’impegno alla cessione volontaria. A fronte di ciò, parte ricorrente richiede di condannare la p.a. al pagamento della somma pari al valore venale del bene nonché al pagamento di una somma a titolo di risarcimento per l’occupazione illegittima del bene, utilizzando il metodo di stima diretta determinata sul valore di mercato del bene, quale parametro, da moltiplicare quanto meno per un 10% per ogni anno di occupazione illegittima.

3. Il Comune intimato non si è costituito in giudizio.

4. Il Ministero intimato si è costituito in giudizio per mezzo della difesa erariale, al solo fine di sostenere la sua estraneità al giudizio e chiedere la propria estromissione dal procedimento. La difesa erariale ha, altresì, prodotto una corrispondenza avuta con il Comune con la quale “si chiede il pagamento della quota parte dell’immobile in oggetto. In merito si rappresenta che la Cessione Volontaria onerosa sottoscritta dalle parti in data 27.02.2015 e acquisita dal Comune di Sant’Arcangelo Trimonte al prot. N. (…) del 03.03.2015 ha evitato questo ufficio soggetto attuatore dell’intervento il procedimento espropriativo ai sensi dell’art. 3 comma 1.7. della Convenzione”.

In replica a quanto richiesto dal Ministero il Comune nella corrispondenza prodotta ha lamentato l’impossibilità a perfezionare il trasferimento in assenza degli atti di provenienza di parte ricorrente e in assenza del parere relativo alla congruità del prezzo da parte dell’Agenzia del Demanio.

Nello specifico si legge nella corrispondenza del 03.05.2022 che “il Comune per poter acquisire definitivamente con atto pubblico la restante quota dei 334/1000 – delle particelle sopracitate – dagli unici eredi viventi di S.L. ovvero dei germani S.P.F. (del 1941) e S. franco (del 1946)” avrebbe avuto la necessità “di essere in possesso degli atti di provenienza ovvero dei titoli giuridici che testimoniano la loro proprietà del cespite in questione per i 334/1000…..infatti essendo decedute le altre coeredi di S.L. ovvero della figlia pellegrina M.A. (morta il 09.06.2015) e della moglie S.E. (morta il 26.06.2006) non risulta agli atti di questo comune che i germani P.F. e franco abbiano mai provveduto alla obbligatoria trasmissione a quest’ente della denuncia di successione per mortis causas di E.S. e P.M.A.S. (rispettivamente madre e sorella dei germani P.F. e F.S.)”.

5. Parte ricorrente nelle memorie di replica ha depositato l’atto di provenienza dal quale discende la proprietà dei 333 millesimi condivisa con i due fratelli sottoscrittori dell’accordo di cessione volontaria.

6. All’udienza straordinaria del 10 giugno 2025 la causa è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

1. In via pregiudiziale, il Collegio accoglie l’eccezione sollevata dal Ministero resistente, affermando la sua estraneità al giudizio e, pertanto, il difetto di legittimazione passiva. Il Ministero, infatti, ha emesso alcun atto riferibile alla vicenda amministrativa dedotta né tenuto alcun comportamento lesivo degli interessi di parte ricorrente.

2. Venendo al merito, il ricorso è fondato e deve essere accolto nei termini che seguono.

2.1. Parte ricorrente con atto di significazione trasmesso a mezzo pec il giorno 11.01.2021 ha chiesto alla p.a. di porre fine al perdurare all’occupazione sine titulo del proprio immobile con contestuale richiesta di versamento dell’indennità di esproprio e dell’indennità per occupazione sine titulo.

In relazione a quanto richiesto la P.A. è rimasta in definitiva silente non avendo trovato alcuna soluzione che potesse far cessare la situazione di illegittimità da essa causata con l’occupazione sine titulo dell’immobile del ricorrente, a fronte della mancata conclusione della procedura espropriativa.

Il ricorso così presentato è volto all’ottenimento della condanna dell’Amministrazione resistente “al risarcimento del danno conseguente alla illegittima occupazione e successiva perdita del bene in conseguenza della procedura espropriativa iniziata dall’Amministrazione con Provv. del 20 giugno 2007 e ad oggi mai completata nonché al pagamento del valore venale del bene”.

Il riferimento ai sopra menzionati fatti, questo Collegio ritiene di dover convertire, ai sensi degli artt. 31 e 32 c.p.a., l’azione presentata come ricorso avverso il silenzio serbato dalla p.a., a fronte di una richiesta rispetto alla quale quest’ultima aveva l’obbligo giuridico di provvedere adottando una determinazione conclusiva del procedimento espropriativo (l’esplicita istanza in tal senso è stata formalizzata da parte ricorrente con la pec del 11.01.2021 con cui è stata contestata l’illegittima occupazione sine titulo dei propri cespiti e diffidato il Comune alla corresponsione dell’indennità di esproprio e di un’ulteriore indennità di occupazione).

In relazione alla conversione dell’azione, questo Collegio vuole dare continuità, condividendolo, all’indirizzo tracciato dal Consiglio di Stato sez. II, 19/01/2024, n.628 “Il potere di conversione dell’azione appartiene al giudice, che può sempre esercitarlo, anche in assenza di specifica domanda di parte; e ciò in coerenza con l’art. 113 c.p.c., che, nel codificare il principio iura novit curia, assegna al giudice (anche) il potere di qualificazione della domanda, alla luce dei fatti affermati dalle parti e del rapporto giuridico tra le stesse intercorrente. Tale conclusione è chiaramente validata dal testo della disposizione. Difatti, l’art. 32, comma 2, c. proc. amm. nel conferire al giudice il potere di qualificazione dell’azione esercitata, afferma che è il giudice che può “sempre” disporre la conversione”.

E in relazione all’obbligo di provvedere in capo alla p.a., il Collegio richiama, condividendola, la giurisprudenza di questo Tribunale Amministrativo Campania sez. VIII – Napoli, 28/03/2024, n. 2077 “alla stregua dell’insegnamento giurisprudenziale consolidato e condivisibile, l’obbligo della P.A. resistente di riscontrarla esplicitamente (cfr. ex multis T.A.R. Salerno, sez. II, 16/02/2024, n. 447; T.A.R. Lecce, sez. III, 26/01/2018, n. 97). In particolare, “La giurisprudenza amministrativa riconosce l’obbligo di provvedere in caso di istanza del privato diretta alla p.a. affinché avvii il procedimento di acquisizione; l’inadempimento dell’obbligo legittima colui che ha presentato l’istanza ad esperire l’azione avverso il silenzio ex artt. 31 e 117 c.p.a.” (cfr. Cons. St., Sez. IV, 15/9/2014, n. 4696). Un obbligo giuridico a pronunciarsi, positivizzato in generale dall’art. 2, della L. n. 241 del 1990, sussiste infatti ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad un’istanza ovvero debba essere iniziato d’ufficio, essendo il silenzio-rifiuto un istituto riconducibile a inadempienza dell’Amministrazione, in rapporto a un sussistente obbligo di provvedere che, in ogni caso, deve corrispondere ad una situazione soggettiva protetta, qualificata come tale dall’ordinamento, e rinvenibile anche al di là di un’espressa disposizione normativa che tipizzi il potere del privato di presentare un’istanza e, dunque, anche in tutte le fattispecie particolari nelle quali, come nella specie, ragioni di giustizia e di equità impongano l’adozione di un provvedimento (cfr. Cons. St., Sez. VI, n. 4996/2014; Id, Sez. VI, n. 4014/2015).

L’obbligo di provvedere può discendere, in sostanza, non solo da puntuali previsioni legislative o regolamentari ma anche dalla peculiarità della fattispecie, allorquando cioè emergano specifiche ragioni di giustizia e di equità che impongano l’adozione di provvedimenti espliciti, alla stregua dei generali obblighi di correttezza e di buona amministrazione gravanti in capo alla parte pubblica, cui fa da speculare contraltare il legittimo affidamento del privato all’ottenimento di una celere, chiara ed esaustiva risposta, quale che ne sia il segno (T.A.R. Napoli, sez. VI, 07/08/2023, n. 4771). L’occupazione sine titulo di beni immobili appartenenti a privati è, d’altro canto, una situazione di fatto del tutto contrastante con quella di diritto e l’amministrazione deve tempestivamente adoperarsi per ripristinare una situazione di legalità; il privato può quindi legittimamente domandare o l’emissione del provvedimento di acquisizione o, in difetto, la restituzione del fondo con la sua riduzione in pristino e la P.A. – in ossequio a ragioni di giustizia e di buona amministrazione, come detto senz’altro riscontrabili nel caso di specie – deve riscontrare siffatta richiesta, eventualmente anche soltanto per dichiararne l’insussistenza dei relativi presupposti”.

2.2. Così riqualificata la domanda come azione avverso silenzio, questo Collegio ritiene di dare seguito all’indirizzo giurisprudenziale tracciato dal Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, n. 4/2020 che, rispetto all’esito della vicenda espropriativa, lo identifica necessariamente nelle seguenti tre possibilità: la restituzione del bene, oppure il perfezionamento di un accordo bonario con il privato, oppure l’acquisizione sanante attivando lo strumento previsto dall’art. 42 bis D.P.R. n. 327 del 2010.

Su quest’ultimo aspetto si veda Consiglio di Stato sez. IV, 26/03/2013 “In linea di principio si deve ricordare che, l’intervenuta realizzazione dell’opera pubblica non fa affatto venire meno l’obbligo dell’Amministrazione o delle Amministrazioni procedenti di restituire al privato il bene illegittimamente occupato, essendo stata del tutto superata – alla stregua della convenzione europea e, in particolare, del Protocollo addizionale n. 1 – l’interpretazione che facevano derivare dalla costruzione dell’opera pubblica e dall’irreversibile trasformazione, effetti preclusivi o limitativi della tutela in forma specifica. Il privato può dunque legittimamente domandare o l’emissione del provvedimento di acquisizione o, in difetto, la restituzione del fondo con la sua riduzione in pristino (cfr. sentenza Corte EDU, 30 maggio 2000, ric. 31524/96; Cons. Stato, Sez. IV, 30 gennaio 2006, n. 290; Cons. Stato, 7 aprile 2010, n. 1983; Consiglio di Stato sez. IV 02 settembre 2011 n. 4970; Consiglio di Stato sez. IV 29 agosto 2012 n. 4650). Nell’attuale quadro normativo, le Amministrazioni hanno infatti l’obbligo giuridico di far venir meno — in ogni caso — l’occupazione “sine titulo” e, quindi, di adeguare comunque la situazione di fatto a quella di diritto. La P.A. ha due sole alternative: o restituisce i terreni ai titolari, demolendo quanto realizzato e disponendo la completa riduzione in pristino allo “status quo ante”, oppure deve attivarsi perché vi sia un legittimo titolo di acquisto dell’area. Quello che le amministrazioni non possono pensare di continuare fare è restare inerte in situazioni di illecito permanente connesso con le occupazioni usurpative. Consiglio di Stato ad. Plen. 4/2020″; Consiglio di Stato sez. IV – 27/04/2015, n. 2126 “sulla domanda degli interessati il Comune intimato aveva il dovere di provvedere, con le precisazioni necessarie in ordine contenuto ed estensione del medesimo in rapporto alle norme che vengono in rilievo. Tra queste si pone anzitutto il citato art. 2 della L. n. 241 del 1990, in base al quale ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad una istanza o consegua ad un obbligo di legge, l’amministrazione ha l’obbligo di concluderlo con un provvedimento espresso ed entro un determinato termine. Con particolare riferimento al procedimento espropriativo ed indipendentemente dalla complessità dell’iter (che peraltro nella specie non si riscontra), il termine per l’emanazione dell’atto che lo conclude (il decreto di esproprio) è rappresentato e coincide “naturaliter” con quello stabilito per la validità dalla dichiarazione di pubblica utilità, tant’è che il suo inutile decorso determina il sorgere dell’occupazione illecita sotto il profilo civilistico. Nessun termine è invece stabilito dall’art. 42- bis per emettere il provvedimento di acquisizione sanante, che porrebbe termine alla situazione di illiceità ma ciò non indica certamente che l’amministrazione conservi un potere di dilazionare ” sine die ” l’applicazione della norma, indebitamente ritardando l’esercizio dell’opzione da essa prevista, vale a dire o la restituzione dei fondi o l’emanazione del decreto di acquisizione (come richiesto dalla istanza presentata dai ricorrenti). Al contrario, non solo deve ritenersi che l’amministrazione abbia il dovere di esercitare detta scelta (anche in applicazione dei principi costituzionali di legalità e buon andamento; cfr. sentenza Corte ED., 30 maggio 2000, ric. 31524/96; Cons. Stato, Sez. IV., 30 gennaio 2006, n. 290; Cons. Stato, 7 aprile 2010, n. 1983; Consiglio di Stato sez. IV. 02 settembre 2011 n. 4970; Consiglio di Stato sez. IV. 29 agosto 2012 n. 4650) ma deve altresì affermarsi che in assenza di uno specifico termine nell’art. 42- bis (carenza di grave pregiudizio per gli interessi pubblici, poiché esposti ad un lievitare nel tempo dell’onere risarcitorio derivante dall’illecito) ed in applicazione dell’art. 2 della L. n. 241 del 1990, l’opzione (quindi non necessariamente l’acquisizione come asserito dal T.A.R.) deve avvenire nell’ordinario termine di 90 giorni per la conclusione del procedimento di carattere obbligatorio. Infatti nell’attuale quadro normativo, che al momento del deposito della sentenza vede ancora vigente l’art. 42- bis, le Amministrazioni hanno l’obbligo giuridico di far venir meno – in ogni caso – l’occupazione ” sine titulo ” e, quindi, di adeguare comunque la situazione di fatto a quella di diritto” (Cons. di Stato, sez. IV., n. 1713/2013)”.

2.3. Al riguardo, giova rammentare in termini generali come l’occupazione sine titulo di un immobile, nella quale rientra qualsiasi situazione originaria (apprensione del bene diretta da parte della P.A., senza alcuna previa attivazione di procedure ablatorie) o sopravvenuta (a seguito di declaratoria di illegittimità di procedure espropriative, ovvero di inefficacia delle stesse) di acquisizione della disponibilità materiale di immobili da parte della mano pubblica, costituisce un illecito permanente rientrante nel genus dell’art. 2043 c.c. fino a che perdura l’illecita apprensione dell’area.

Ribadita l’illegittima occupazione del fondo e la sopravvenuta inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità ex art. 13, comma 6, del D.P.R. n. 327 del 2001, va dichiarato l’obbligo per il Comune di resistente, nel termine di giorni 120 dalla comunicazione o, se anteriore, dalla notifica della presente sentenza, di valutare se acquisire o meno i suoli in questione ai sensi dell’art. 42 bis del D.P.R. n. 327 del 2001, nell’esercizio della propria discrezionalità (Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 1514/2012), fatto salvo l’eventuale acquisto iure privatorum prospettandosi, in caso di motivata decisione di non acquisizione, l’obbligo di restituzione ai titolari, previa rimessione in pristino a spese dell’amministrazione (cfr. Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 2/2016, secondo cui “la scelta che l’amministrazione è tenuta ad esprimere nell’ipotesi in cui si verifichi una delle situazioni contemplate dai primi due commi dell’art. 42-bis, non concerne l’alternativa fra l’acquisizione autoritativa e la concreta restituzione del bene, ma quella fra la sua acquisizione e la non acquisizione, in quanto la concreta restituzione rappresenta un semplice obbligo civilistico – cioè una mera conseguenza legale della decisione di non acquisire l’immobile assunta dall’amministrazione in sede procedimentale – ed essa non costituisce, né può costituire, espressione di una specifica volontà provvedimentale dell’autorità, atteso che, nell’adempiere gli obblighi di diritto comune, l’amministrazione opera alla stregua di qualsiasi altro soggetto dell’ordinamento e non agisce iure auctoritatis“).

Difatti, per le fattispecie disciplinate dall’art. 42 bis citato, l’illecito permanente viene meno nei casi da esso previsti (l’acquisizione del bene o la sua restituzione), salva la conclusione di un contratto traslativo tra le parti, di natura transattiva (Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, n. 2/2020), visto che nessuna disposizione o principio ordinamentale autorizzano l’amministrazione a permanere nel pieno ed illecito possesso del bene quantunque per fini di pubblico interesse.

3. Dall’accertamento dell’illegittimità del silenzio inadempimento serbato dal Comune intimato sull’istanza/diffida discende la condanna dello stesso, ai sensi dell’art. 117, comma 2, c.p.a., a pronunciarsi espressamente sulla predetta istanza/diffida entro il termine di giorni 120 (centoventi) dalla comunicazione in via amministrativa o, se anteriore, dalla notificazione a cura di parte della presente sentenza.

In alternativa alla restituzione e al risarcimento per l’illegittima occupazione, l’Amministrazione potrà, come detto, eventualmente attivarsi perché il possesso illegittimo si converta in possesso legittimo a seguito di un valido titolo di acquisto, che, in primo luogo, potrà essere quello previsto dall’art. 42 bis del D.P.R. n. 327 del 2001.

La dichiarazione dell’obbligo per l’amministrazione di determinarsi sulla eventuale acquisizione del bene ex art. 42 bis (ovvero, in caso contrario, di restituire il bene) si pone, in tal senso, nel solco dei principi che governano l’azione di adempimento di cui all’art. 34, comma 1, lett. c) cod. proc. amm., ai sensi del quale il giudice, nei limiti della domanda, condanna, tra l’altro, “all’adozione delle misure idonee a tutelare la situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio e dispone misure di risarcimento in forma specifica ai sensi dell’articolo 2058 del codice civile”.

Nel caso in cui il Comune ritenga di fare applicazione del citato art. 42-bis, esso dovrà ovviamente attenersi alla relativa disciplina, ma ogni questione in ordine al quantum in tal caso dovuto resta sottratta alla giurisdizione di questo Tribunale, posto che, come affermato dalla giurisprudenza (cfr., ad esempio, T.A.R. Veneto, Venezia, I, 28 novembre 2022, n. 1801; T.A.R. Campania, Salerno, I, 26 settembre 2022, n. 2465; Cass. Civ., SS. UU., 20 luglio 2021, n. 20691; 8 giugno 2021, n. 15912; Consiglio di Stato, IV, 3 settembre 2019, n. 6074; Cass. Civ., Sez. un., n. 15283/ 2016, Consiglio di Stato, IV, n. 1917/2021 e n. 4550/2017) la controversia relativa alla determinazione e corresponsione dell’indennizzo previsto per l’acquisizione sanante di cui all’art. 42-bis è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario.

4. In ragione dell’accoglimento della domanda giudiziale riqualificata come azione avverso l’inadempimento dell’obbligo a provvedere del Comune resistente, deve, pertanto, dichiararsi inammissibile, allo stato, la domanda risarcitoria. La regolarizzazione delle pendenze risarcitorie tra le parti, conseguenti all’occupazione sine titulo, seguirà le forme e i modi con i quali il Comune si determinerà a dare un esito alla vicenda espropriativa.

Si sottolinea, altresì, che la domanda di condanna risarcitoria formulata dalla ricorrente, qualora l’Amministrazione riterrà all’esito del procedimento di disporre l’acquisizione dell’area ai sensi dell’art. 42 bis del D.P.R. n. 327 del 2001, dovrà trovare soddisfazione in quella sede quando saranno assunte le valutazioni sui criteri relativi all’indennizzo calcolato sullo stesso valore venale ed eventuali controversie insorte al riguardo saranno devolute alla giurisdizione del giudice ordinario (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 30 maggio 2022, n. 4358).

5. Le spese di giudizio, liquidate come da dispositivo, devono seguire la soccombenza tra parte ricorrente e il Comune intimato. Possono, invece, trovare compensazione tra la parte ricorrente e il Ministero costituito in ragione della sua estromissione dal giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Ottava), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, previa estromissione del Ministero resistente e riqualificazione della domanda, accoglie il ricorso avverso il silenzio nei sensi e nei termini indicati in motivazione e dichiara, allo stato, inammissibile la domanda risarcitoria.

Condanna il Comune intimato al pagamento delle spese processuali in favore della parte ricorrente che liquida in € 2.000,00 (duemila/00), oltre spese generali nella misura del 15%, oltre Iva e Cpa come per legge e al rimborso del contributo unificato versato.

Spese compensate tra parte ricorrente e il Ministero resistente.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Conclusione

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 10 giugno 2025

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