In tale loro qualità, hanno impugnato l’ordinanza epigrafata del Comune di Aglientu avente ad oggetto “accertamento esecuzione opere abusive su terreno sito in località Rena Majore, catastalmente censito al foglio (omissis) mappale (omissis). Proprietaria: sig. (omissis) e più. Ordinanza di demolizione ai sensi dell’art. 6 della L.R. n. 23/1985“.
Detta ordinanza richiama l’attività svolta dal Servizio di Polizia Locale del 30 marzo 2021, non indicando precisamente le opere oggetto della demolizione, che considera abusive per mancanza del permesso di costruire nonché dell’autorizzazione paesaggistica, stante la localizzazione in area dichiarata di notevole interesse pubblico ex L. 23 giugno 1939 n. 1497, con D.M. 22 ottobre 1964. Dall’estratto della relazione della Polizia Locale, allegato all’ordinanza, il riferimento è alla “realizzazione di un invaso artificiale utilizzato come riserva idrica e attività sportive in adiacenza alla spiaggia in località Rena Majore“.
2. Tale atto è impugnato per i seguenti motivi di diritto:
2.1. Con un primo motivo, i ricorrenti evidenziano come, in forza della disciplina di cui agli artt. 53 e ss. del D.lgs. n. 152/2006 e degli artt. 1 e ss. della L.R. n. 19/2006, nonché soprattutto della disciplina specifica degli artt. 8, 14 e 30 ter delle Norme di attuazione del Piano stralcio per l’assetto idrogeologico regionale (PAI), l’ordinanza non possa essere eseguita, in quanto il corso d’acqua “104002_FUME_107787” del sub-bacino 04 Liscia, così censito al catasto dell’Agenzia del Distretto Idrografico della Sardegna, e il bacino nel quale confluisce (anch’esso mappato e raffigurato in tutta la cartografia nazionale, regionale e comunale: IGM, Geoportale, PAI, PUC), non possono in alcun modo essere modificati in ragione del divieto conseguente alle superiori previsioni sopra richiamate. Dalla compresenza di plurimi interessi pubblici coinvolti, i ricorrenti deducono anche il difetto di istruttoria e motivazione del Comune, che avrebbe dovuto svolgere un procedimento articolato per accertare la compatibilità dell’interesse pubblico primario con quelli secondari.
2.2. Con un secondo motivo, sostengono che dalle riproduzioni aero-fotografiche regionali si evince la presenza del bacino in data antecedente al 1 settembre 1967, di talché l’ordinanza è illegittima per carenza del suo pur dichiarato presupposto (opere realizzate in assenza di permesso di costruire); data di realizzazione che il Comune non ha comunque proceduto ad accertare, nonostante la risalenza nel tempo del bacino. Peraltro, è priva di fondamento la circostanza citata per cui il bacino sarebbe utilizzato come riserva idrica e per attività sportive, posto che, come tutt’intorno, per diversi ettari, non vi è altro se non vegetazione.
2.3. Con un terzo motivo, i ricorrenti censurano la dedotta mancanza di autorizzazione paesaggistica, in quanto, in primo luogo, non risultano decreti del Ministro della Pubblica Istruzione del 22.10.1964 impositivi del vincolo sull’area in questione. In ogni caso, come detto, il bacino risale a data antecedente al 1964, cosicché non era affatto necessaria l’acquisizione dell’autorizzazione ex art. 7 del R.D. n. 1497/1939.
2.4. Infine, con un quarto motivo di ricorso, evidenziano come, avendo in passato i ricorrenti accertato la realizzazione ad opera di terzi di un prefabbricato ad uso abitativo che utilizzava il bacino quale riserva/cisterna idrica di approvvigionamento, gli stessi avevano già proceduto ad adire il Tribunale di Tempio Pausania e la Corte d’Appello di Cagliari che, accogliendo la domanda, ne avevano ordinato la rimozione agli esecutori.
Di tal che, l’ordinanza è illegittima, nella parte in cui dispone l’ablazione dell’area in caso di mancata ottemperanza all’ordinanza, in quanto: i ricorrenti (e i loro danti causa) non sono pacificamente gli esecutori; hanno adito le sedi giudiziarie per la condanna degli esecutori alla rimozione di quanto realizzato nel compendio senza la loro autorizzazione (prefabbricato e utilizzo del bacino quale cisterna/riserva idrica); degli abusi non c’è più traccia da svariati decenni: il prefabbricato è stato rimosso e, di conseguenza, è venuto meno l’utilizzo del bacino quale cisterna/riserva.
3. Resiste il Comune di Aglientu, che ha richiesto il rigetto del ricorso siccome infondato.
4. A seguito dell’acquisizione della relazione integrale della Polizia Municipale richiesta dal Collegio in sede cautelare, è stata adottata l’ordinanza cautelare n. 384 del 23.12.2021, con cui è stata respinta la domanda di sospensione dell’efficacia del provvedimento sulla scorta della seguente articolata motivazione: “esaminato il contenuto di tale Relazione (depositata il 17.12.2021 dalla difesa del Comune, allegata alla nota del 30.3.20121, doc. 3), compiuta a seguito di sopralluogo, ove è stata evidenziata, a seguito dell’avvenuta tracimazione dell’invaso artificiale, una pesante modifica della spiaggia a seguito della creazione di un rilevante solco, per il deflusso delle acque tracimate verso il mare, con impatto negativo del sistema dunale e intollerabile situazione di pericolo;
esaminata la descrizione, anche fotografica, compiuta nel verbale di sopralluogo, ove è stato stimato (e transennato per evitare il transito di pedoni) il canale che si era creato, con una ampiezza di 5 metri, profondità 3 metri e una lunghezza di 20 metri di (cfr. foto a pag. 2), con scarico dal bacino artificiale al mare;
considerato che la realizzazione dell’invaso artificiale (caratterizzazione pacifica tra le parti) non appartiene, per sua natura, al genus dei bacini “naturali”;
considerato che la risalente realizzazione nel tempo dell’opera (con finalità riserva d’acqua di una vicina lottizzazione Rena Majore, e per scopi ludici-natatori da parte degli stessi utenti) non può legittimare la conservazione dell’opera senza necessità di titoli edilizi-paesaggistici-idrici;
considerato che l’opera, dalla ricostruzione e sequenza delle aerofotogrammetrie, risulta assente nel 1955 e presente nel 1968 e 1977-78;
tenuto conto, allo stato, che non vi sono elementi di certezza probatoria che attesti l’avvenuta realizzazione ante L. Ponte 765/1967;
considerato che in questo caso non si tratta, comunque, di sanzionare e imporre la rimozione di un’opera realizzata in contrasto ad aspetti “meramente edilizi”, bensì di un manufatto artificiale che implica effetti non esclusivamente “statici” (rispetto al territorio e l’ambiente circostante), ma si inserisce, con imponenti effetti dinamici, sul sistema territoriale e delle acque, con profondi mutamenti e con creazione (anche), di riconosciute situazioni di pericolo, con radicali effetti modificatori sul sistema dunale e sulla spiaggia a causa di deflussi da tracimazione ;
ritenuta irrilevante (ai fini della legittimazione alla sua persistente conservazione) l’inserimento dell’opera “realizzata” (e non “naturale”) nella Mappatura della situazione degli invasi esistenti;
ritenuta del pari irrilevante, ai fini del possibile riconoscimento della tutela, la risalente data di realizzazione del manufatto, senza titoli, da parte dei danti causa dei ricorrenti, trattandosi di opera che appartiene agli attuali titolari delle aree;
ritenuto che il contenzioso civile, in passato, intrapreso dai proprietari nei confronti di soggetti terzi, ritenuti autori di abusi, aveva per oggetto elementi diversi, in particolare (solo):
– la rimozione di un prefabbricato (che è stato poi demolito);
– ed il divieto di “utilizzo” dell’invaso (e non la sua eliminazione), al fine di poter mantenere la proprietà dell’invaso e la sua “fruizione esclusiva” da parte degli odierni ricorrenti, dotati di titolo petitorio;
considerato che, ai fini dell’impossibilità di imposizione della rimozione, non può assumere rilevanza esimente l’indicata “gestione da parte dell’Ente Foreste” (menzionata a pag. 3 della Relazione PM), non risultando, da parte dei ricorrenti, azioni o dichiarazioni di dismissione della proprietà dell’area e/o dell’opera;
considerato che l’invaso artificiale costituisce un serio pericolo, che persiste, come evidenziato dall’Amministrazione, a causa degli effetti che si possono determinare (e che si sono effettivamente determinati) a causa della tracimazione a seguito di importanti piogge.
Un’ultima precisazione risulta necessaria ed imprescindibile al fine della corretta individuazione del termine (di 90 giorni) imposto per l’adempimento della particolare ordinanza di demolizione (peculiare sia per oggetto che per effetti scaturenti dalle “modalità” di esecuzione in concreto).
In considerazione del rilevante impatto per l’ambiente circostante, a causa delle modalità di deflusso delle acque “a mare” (da svuotamento e, se necessario, successivo riempimento inerti), l’individuazione del dies a quo per la realizzazione dell’eliminazione dell’invaso artificiale potrà decorrere solo dopo aver ricevuto le idonee autorizzazioni (da concordare con l’autorità comunale).
coinvolgendo l’opera di rimozione valutazioni e prescrizioni appartenenti alle competenze delle diversificate Autorità di settore.
I ricorrenti dovranno presentare, nell’immediatezza, idonea richiesta agli organi competenti alla gestione delle acque e alle altre Autorità competenti, entro il termine (già) imposto dal Comune.
Con successiva decorrenza del termine, integro, dopo l’acquisizione di titoli, modalità e prescrizioni attinenti l’esecuzione della rimozione dell’opera oggetto dell’ordinanza, il cui adempimento implica delicati (e pesanti) effetti ambientali, necessariamente da valutarsi previamente, nell’interesse pubblico. Non trattandosi di rimozione di un abuso confinato alle aree di proprietà, ma che implica un articolato studio dello svuotamento del bacino con individuazione delle modalità esecutive e di destinazione delle acque“.
A seguito di appello cautelare, il Consiglio di Stato, Sez. II, con ordinanza n. 1112/2022, lo ha accolto ai soli fini della sollecita fissazione dell’udienza di merito.
5. Con ordinanza istruttoria n. 503/2022, il Collegio ha disposto che gli enti coinvolti nella vicenda per cui è causa (Genio Civile di Sassari; Agenzia del Distretto Idraulico della Sardegna; Servizio Valutazioni Impatti e Incidenze Ambientali della Regione Sardegna; Servizio Tutela del paesaggio della Regione Sardegna; Corpo Forestale della Regione Sardegna) “depositeranno presso la Segreteria di questa Sezione una relazione, corredata da eventuale documentazione, nella quale rappresentino la sussistenza di interessi pubblici da essi tutelati che possano essere coinvolti nella vicenda per cui è causa e, in particolare, dall’ordinanza di demolizione impugnata del Comune di Aglientu e dalla sua esecuzione, rappresentando il possibile impatto su tali interessi e le valutazioni che ciascuno di essi ritiene di dover svolgere in merito“; l’ordinanza è stata adempiuta con deposito delle relazioni.
6. All’udienza pubblica del 6 dicembre 2022, in vista della quale le parti hanno depositato memorie e repliche, la causa è stata trattenuta in decisione.
7. Per ragioni di comodità espositiva, conviene muovere dapprima dalle censure che investono la legittimità dell’ordinanza di demolizione in relazione alla non necessità di un titolo abilitativo per la realizzazione della piscina siccome realizzata ante 1967 e dell’autorizzazione paesaggistica, nonché relativamente all’insussistenza di responsabilità dell’abuso da parte dei ricorrenti, riservando all’esito dell’esame di tali motivi la valutazione della dedotta ineseguibilità della demolizione in ragione delle norme che impongono vincoli di natura ambientale e in particolare idrogeologica, nonché del difetto di istruttoria e motivazione stante la pluralità di interessi pubblici coinvolti.
8. Orbene, come già evidenziato in sede cautelare, deve ritenersi che i ricorrenti non abbiano provato che l’opera – che, pacificamente, ha natura artificiale – sia stata realizzata in data antecedente al 1967 e, come tale, non avrebbe necessitato di un titolo edilizio.
In tal senso, il principio di diritto applicabile è quello, noto, per cui “grava esclusivamente sul privato l’onere della prova in ordine alla data della realizzazione dell’opera edilizia al fine di poter escludere al riguardo la necessità di rilascio del titolo edilizio per essere stata l’opera medesima realizzata secondo il regime originariamente previsto dall’art. 31, primo comma, della l. n. 1150 del 1942, ossia prima della novella introdotta dall’art. 10 della c.d. “legge ponte” n. 765 del 1967. Tale onere discende attualmente, in linea di principio, dagli artt. 63, comma 1, e 64, comma 1, c.p.a. in forza dei quali spetta al ricorrente l’onere della prova in ordine a circostanze che rientrano nella sua disponibilità” (T.A.R. Sardegna, Sez. I, 26 gennaio 2022, n. 52; Cons. Stato sez. II, 8 maggio 2020, n. 2906; Cons. Stato, Sez. VI, 6 febbraio 2019, n. 903).
Nel caso di specie, pur essendo vero che la relazione della Polizia Municipale del Comune Aglientu manifesta dubbi circa la possibile realizzazione dell’opera “prima dell’entrata in vigore della legge ponte n. 765 del 1967“, tale dubitativo assunto non risulta suffragato dagli elementi documentali versati in giudizio.
Invero, dalle stesse foto aree depositate dai ricorrenti, risulta con certezza che la piscina fosse già realizzata nel 1968, mentre non è presente nel 1955 (doc. 7), non essendo perciò tali indicazioni fotografiche idonee a comprovare, in realtà neppure sotto un profilo indiziario, che l’opera sussistesse già prima del 1967.
9. Ma, in relazione comunque al difetto di titolo, quand’anche si dovesse dubitare della necessità del titolo edilizio, risulta comunque l’assenza dell’autorizzazione ex art. 7 del R.D. n. 1497/1939, necessaria siccome il sito è stato dichiarato di interesse pubblico paesaggistico con D.M. 29.10.1964 (erroneamente indicato nel provvedimento come D.M. 22.10.1964).
Se così è, risulta ancor più assente la prova circa la realizzazione dell’opera anche in data antecedente il 1964, che è circostanza solo genericamente allegata dai ricorrenti, che fanno riferimento ad una realizzazione “nei primi anni ’60 del secolo scorso“.
Né risulta decisiva, in senso contrario, la relazione depositata dalla Direzione Generale della Pianificazione Urbanistica Territoriale e della Vigilanza Edilizia, in adempimento all’ordinanza collegiale istruttoria – peraltro non relativa a tale profilo – la quale conferma unicamente quanto risultante dalle foto depositate dai ricorrenti per cui l’opera non fosse presente nel 1955 mentre risulti realizzata nel 1968.
Come tuttavia dedotto dal Comune, nel caso di specie, risultano indici per ritenere che l’opera sia stata realizzata dopo quantomeno il 1964, se non proprio nel 1968, alla luce del fatto che la lottizzazione era stata sottoposta al vaglio comunale nel 1972 e dall’ortofoto del 1968 si coglie la novità che caratterizza il bacino realizzato; ritenuti sussistenti tali indici, i ricorrenti avrebbero allora dovuto provare la datazione anteriore.
10. Alla luce di tali considerazioni, l’invaso artificiale realizzato deve essere considerato abusivo siccome realizzato senza titolo edilizio o, quantomeno, senza autorizzazione ex art. 7 R.D. n. 1497/1939, non risultando provata la sua realizzazione in data antecedente al 1967 o, comunque, al 1964.
11. Quanto al profilo inerente agli autori dell’abuso, pur essendo rimasto provato che l’opera in questione non sia stata realizzata dai ricorrenti, ad ogni modo l’ordine di demolizione della stessa e di acquisizione dell’area in caso di inottemperanza risulta correttamente rivolto nei confronti dei ricorrenti, siccome proprietari dell’area.
In tal senso e a tutto voler concedere, controvertendosi in questa sede, come è naturale, unicamente sulla legittimità dell’ordinanza impugnata, deve allora ricordarsi, oltre a quanto già evidenziato in sede cautelare, che “l’ordine di demolizione ex art. 31 comma 2 del DPR 380/2001 ha come destinatari sia il proprietario dell’immobile dove sono state realizzate le opere abusive, sia l’autore dell’abuso. L’equiparazione di questi soggetti rende evidente che la misura ripristinatoria ha carattere oggettivo, essendo diretta a reintegrare immediatamente l’ordine urbanistico. Il proprietario non può quindi liberarsi dall’obbligo di rimessione in pristino eccependo l’estraneità all’abuso, o la buona fede circa il comportamento degli esecutori materiali dei lavori;” e che “l’estraneità all’abuso o la buona fede diventano rilevanti solo quando si passa dal comma 2 al comma 3 dell’art. 31 del DPR 380/2001, ossia quando è necessario valutare in che modo l’ordine di demolizione possa essere ottemperato. È nella fase dell’ottemperanza che il proprietario può distinguere la sua posizione da quella dell’autore dell’abuso, evitando la responsabilità solidale con quest’ultimo e le relative conseguenze” (T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. II, 1 febbraio 2022, n. 79).
E d’altronde, si è altresì rilevato in giurisprudenza che “non par dubbio che il proprietario possa essere coinvolto nel procedimento successivo all’accertamento dell’inottemperanza all’ordine di demolizione (in particolare, nel sub-procedimento relativo all’acquisizione al patrimonio comunale del bene e dell’area di sedime), a prescindere da una sua diretta responsabilità nell’illecito edilizio. La giurisprudenza amministrativa ha avuto peraltro agio di affermare che tale sistema non presenta profili di criticità sul piano del rispetto dei principi costituzionali (in tali ricomprendendo anche quelli desumibili dalle disposizioni sovranazionali che trovano applicazione nel nostro ordinamento, quali norme interposte, in base all’art. 117 Cost.). E ciò per la dirimente ragione che si tratta di sanzioni in senso improprio, non aventi carattere “personale” ma reale, essendo adottate in funzione di accrescere la deterrenza rispetto all’inerzia conseguente all’ordine demolitorio e di assicurare ad un tempo la effettività del provvedimento di ripristino dello stato dei luoghi e la soddisfazione del prevalente interesse pubblico all’ordinato assetto del territorio” (Consiglio di Stato, Sez. IV, 10 luglio 2017 n. 3366; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. II, 19 agosto 2021, n. 5561).
11.1. Peraltro, le circostanze descritte dai ricorrenti in relazione al contenzioso civile intrapreso lungo tempo addietro nei confronti del responsabile dell’abuso per la rimozione delle opere, non pare possano considerarsi quelle iniziative richieste dalla stessa giurisprudenza citata da parte ricorrente per escludere la sussistenza dell’obbligo di ottemperanza all’ordine di demolizione (rectius: escludere l’effetto ablatorio), in quanto tale giurisprudenza afferma che “il proprietario incolpevole di abuso edilizio commesso da altri, che voglia sfuggire all’effetto sanzionatorio di cui all’art. 31 del testo unico dell’edilizia della demolizione o dell’acquisizione come effetto della inottemperanza all’ordine di demolizione, deve provare la intrapresa di iniziative che, oltre a rendere palese la sua estraneità all’abuso, siano però anche idonee a costringere il responsabile dell’attività illecita a ripristinare lo stato dei luoghi nei sensi e nei modi richiesti dall’autorità amministrativa” (Cons. Stato, 4 maggio 2015, n. 221).
Come si vede, in linea con quanto già esposto, le iniziative devono essere attivate dopo l’ingiunzione a demolire e proprio perché tali attività volte a evitare l’effetto acquisitivo dell’ordinanza ineriscono la sola fase dell’ottemperanza all’ordine di demolizione, e potranno riguardare perciò il provvedimento di accertamento dell’inottemperanza alla demolizione e acquisizione dell’area, ma non la legittimità dell’ordine di demolizione, che legittimamente è perciò rivolto nei confronti del proprietario.
Conseguentemente, anche il quarto motivo di ricorso non può essere accolto.
12. Venendo ora alla questione posta con il primo motivo di ricorso, ritiene il Collegio, ad un compiuto esame degli atti e dell’integrazione istruttoria intervenuta, che il provvedimento impugnato, pur correttamente rilevando, per le ragioni sopra esposte, l’abusività dell’opera, risulti però carente sotto il profilo istruttorio, in relazione all’acquisizione di tutti gli elementi rilevanti al fine di adottare il provvedimento più opportuno rispetto al complesso degli interessi pubblici ad esso sottesi.
13. In merito, le relazioni istruttorie acquisite, per quanto qui rilevante, evidenziano:
– il Servizio Territoriale Ispettorato Ripartimentale e del Corpo Forestale e di Vigilanza Ambientale di Tempio della Regione Sardegna, ha affermato che “eseguire la “demolizione” dell’invaso significherebbe abbassare la duna, che nella parte dell’invaso prospiciente il mare, crea lo sbarramento naturale; inoltre si dovrebbe realizzare opere per il normale deflusso delle acque e per la ricolmatura della depressione del terreno.
Tali lavori sarebbero comunque da realizzare a seguito di apposita progettazione e pianificazione fatta da ingegnere idraulico o geologo e approvati dai vari enti statali e regionali, compreso il CFVA per quanto di propria competenza, per garantire un adeguato livello di sicurezza.
Tutto quanto premesso, questo Ufficio ritiene che il mantenimento dell’invaso sia assolutamente compatibile con le finalità di tutela idrogeologica del sito“;
– il Servizio del Genio Civile di Sassari della Regione Sardegna, ha affermato che “lo scrivente Servizio non rileva la presenza di alcun interesse pubblico correlato all’assetto idrogeologico del territorio che giustifichi il mantenimento delle opere, evidenziando viceversa la necessità di procedere alla celere demolizione delle stesse sia per ripristinare il normale deflusso del corso d’acqua ed il regolare sbocco a mare, sia per eliminare il potenziale stato di pericolo per l’incolumità di persone e cose, nonché al fine di procedere al ripristino ambientale dell’area oggetto di intervento.
Il ripristino dello stato dei luoghi dovrà evidentemente essere condotto sulla base di un progetto teso a contemperare l’esigenza di garantire la mitigazione del rischio idraulico con la conservazione del sistema naturale circostante fortemente alterato per la realizzazione delle opere che si inseriscono come un corpo rigido entro un sistema in costante fluttuazione quale quello dunale.
Nelle more della messa in sicurezza, si ritiene comunque improcrastinabile la necessità di adottare misure transitorie di Protezione Civile, in particolare ogni qualvolta vi siano eventi meteorici anche ordinari, finalizzati a tutelare la sicurezza dell’incolumità pubblica“;
– l’Agenzia regionale del distretto idrografico della Sardegna, premesso che “il bacino d’invaso in esame risulta localizzato nel comune di Aglientu in località spiaggia Rena Majore e risulta alimentato da un elemento idrico (con il nome “104002_FIUME_107787”) facente parte del reticolo idrografico di riferimento ai fini del Piano di assetto idrogeologico (PAI)“, ha affermato che “per quanto di competenza dell’ADIS, si evidenzia che tali interventi di demolizione sono ammissibili a termini dell’articolo 23 delle Norme del Piano di assetto idrogeologico e, quindi, non sussistono divieti in tal senso da parte del PAI che, anzi, fornisce indirizzi (si veda al riguardo, ad esempio, l’articolo 48 delle NA) volti ad orientare, ove possibile, al ripristino delle condizioni di naturalità dei corpi idrici, ancor di più laddove tali opere siano, dagli organi competenti, dichiarate abusive e/o riconosciute in condizioni di criticità strutturale (si veda, ad esempio, l’art. 27 comma 1 lett. d), e)).
Atteso quanto sopra, in relazione al caso concreto, in caso di demolizione, il soggetto obbligato avrà cura che la stessa sia realizzata, verificando preliminarmente, mediante opportuni studi di compatibilità idrogeologica secondo le norme del PAI, che non vengano incrementate le situazioni di rischio idrogeologico a valle.
Peraltro, qualora la medesima demolizione fosse riconosciuta dai competenti organi di protezione civile quale opera urgente di cui al comma 1 lettera e) dell’articolo 27 delle Norme PAI, ai sensi del comma 6 del medesimo articolo, per la medesima non sarebbe richiesta la redazione del citato studio di compatibilità.
Laddove la presenza del bacino d’invaso attualmente presente e le relative opere che lo hanno realizzato, possano determinare situazioni di rischio idrogeologico, è necessario da parte dei Soggetti competenti, adottare urgentemente adeguate misure di Protezione Civile, volte a tutelare la sicurezza pubblica“;
– il Servizio Valutazione Impatti e Incidenze Ambientali della Regione Sardegna ha affermato che “data l’elevata valenza ambientale ed il regime vincolistico del contesto territoriale di riferimento, i potenziali impatti dell’eventuale progetto di dismissione potranno essere esaminati soltanto a seguito della predisposizione di uno studio preliminare ambientale che, in particolare, analizzi e valuti gli effetti che la dismissione dell’invaso avrà sulla biodiversità, sul regime idraulico, sulla morfologia costiera, con particolare riguardo al sistema spiaggia-duna. Va inoltre rilevato che la dismissione dell’invaso comporterà l’instaurarsi di condizioni di deflusso che, seppur, presumibilmente, tendenti a ripristinare le condizioni preesistenti alla costruzione della struttura di accumulo, dovranno essere anch’esse valutate, in quanto, nel frattempo, è profondamente mutato il contesto di riferimento. Sarà perciò necessario valutare, di concerto con gli Enti competenti in materia, la necessità di predisporre uno studio di compatibilità idraulica, anche al fine di individuare eventuali misure di mitigazione (quali, a titolo di esempio, diverse modalità di fruizione dell’arenile), da valutare nell’ambito del procedimento di Verifica. (…) si ritiene che lo specchio acqueo costituisca attualmente un importante elemento ambientale per la conservazione della biodiversità in termini di varietà di habitat e di specie animali. La sua eliminazione potrebbe per contro generare incidenze dirette, indirette e/o cumulative, su habitat e specie e sull’integrità del sito Natura 2000 in questione, la cui significatività dovrà essere valutata nell’ambito dell’iter procedurale sopra indicato“.
14. Orbene, acquisiti tali elementi istruttori, ad avviso del Collegio è rimasta provata la deduzione attorea per cui nell’area in esame e in relazione all’intervento di demolizione ordinato con il provvedimento impugnato, sussistono diversi interessi pubblici coinvolti, rilevanti per l’esercizio del potere da parte del Comune di Aglientu, che non aveva provveduto ad acquisirne conoscenza nello svolgimento dell’attività procedimentale prodromica all’adozione dell’ordinanza di demolizione.
Se è pur vero peraltro che il Genio Civile e l’Agenzia del Distretto idrografico, come sopra esposto, ritengono compatibile lo stato dei luoghi con la demolizione dell’opera, essendosi espressi in senso conservativo invece il Corpo Forestale e il Servizio Valutazione Impatti e Incidenze Ambientali della Regione, comunque essi stessi rilevano la necessità di ulteriori attività procedimentali, che coinvolgono anche altri e diversi organi della pubblica amministrazione, che devono precedere la demolizione, facendosi riferimento a studi o comunque misure, anche di Protezione civile, come rilevanti e necessarie al fine di mitigare il rischio idraulico e idrogeologico.
E l’Agenzia del Distretto Idrografico ha escluso la necessità di uno studio di compatibilità solo laddove l’opera sia ritenuta “dai competenti organi di protezione civile quale opera urgente di cui al comma 1 lettera e) dell’articolo 27 delle Norme PAI (…)“, indicando evidentemente la necessità comunque del compimento di ulteriori attività procedimentali con enti pubblici da compiersi in merito.
15. Ad avviso del Comune di Aglientu tali questioni dovrebbero essere derubricate unicamente come questioni di natura esecutiva dell’ordine di demolizione.
La tesi non può però essere accolta, per l’assorbente ragione che l’ordinanza di demolizione impugnata non descrive in alcuna misura le modalità esecutive della stessa, ordinando, sic et simpliciter, ai destinatari, la demolizione dell’invaso artificiale abusivo.
Di tal che, non può predicarsi oggi come sussistente l’obbligo per i ricorrenti di attivare qualsivoglia attività, non già di natura strettamente esecutiva dell’ordine di demolizione, bensì di natura amministrativa, relativa all’esecuzione dell’ordinanza di demolizione che non sia in essa contemplata e prevista.
In altre parole, dall’istruttoria è emersa l’abusività dell’opera, siccome realizzata sine titulo, ma, in relazione alla quale, stante la particolare situazione dello stato dei luoghi venutasi a creare, si confrontano oggi anche diversi interessi pubblici e rischi, di natura idraulica e idrogeologica, che verrebbero inverati dall’esecuzione, da parte dei ricorrenti, del provvedimento semplicemente demolitorio che è stato adottato.
Nello stesso senso, non può neppure essere rimesso alla parte privata l’onere – ma allo stesso tempo la facoltà – di individuare gli enti pubblici con cui risulta necessario confrontarsi al fine di dare esecuzione all’ordinanza di demolizione, senza cagionare pregiudizio alla pubblica incolumità, stanti i rischi rilevanti rappresentati dagli enti coinvolti nell’istruttoria svolta in questo giudizio.
Risulta infatti necessario valutare, da parte degli enti pubblici e, in particolare, da parte del Comune di Aglientu, non solo la possibilità stessa di demolire il bacino, che può anche essere senz’altro la conclusione a cui giunge il procedimento; ma, anche qualora la pubblica amministrazione concludesse per la necessità di demolizione, tale ordine deve necessariamente essere corredato di tutti gli oneri procedimentali che i privati devono osservare affinché la demolizione sia eseguita nel rispetto di tutti gli interessi pubblici rilevanti, oltre a quello, sotteso all’ordinanza di demolizione, al ripristino del corretto assetto urbanistico del territorio.
16. Conseguentemente, a fronte dell’accertata abusività dell’opera, il Comune di Aglientu ha l’onere di attivare un procedimento amministrativo che coinvolga tutti gli enti i cui interessi pubblici risultano coinvolti, poiché, in caso contrario, l’ordinanza di demolizione risulta senz’altro viziata per difetto di istruttoria; tale attività non può che essere prodromica rispetto all’ordine di demolizione rivolto ai privati, poiché questi ultimi non godono di autonomia – né, in fondo, sono legittimati – a determinare quale attività procedimentale seguire per dare esecuzione all’ordinanza di demolizione che nulla in proposito preveda.
L’ottemperanza ad un ordinanza di demolizione si realizza, con attività sufficiente ma allo stesso tempo imposta, con la demolizione dell’opera, non essendo al contrario attività di ottemperanza ad un’ordinanza di demolizione quella inerente alla verifica di interessi pubblici coinvolti; in altre parole, da un lato non può essere rimesso ai privati destinatari dell’ordinanza determinare quali attività procedimentali svolgere previa demolizione, dall’altro ciò non può neppure considerarsi imposto dall’ordinanza di demolizione qui impugnata.
Gli elementi istruttori devono dunque essere acquisiti dall’amministrazione procedente, quale il Comune di Aglientu, prima di adottare il provvedimento confacente all’opera abusiva di che trattasi al fine di determinare compiutamente l’eventuale attività esecutiva dell’ordine da impartire ai privati.
17. In conclusione, pur accertata l’abusività dell’opera, con rigetto dei motivi di ricorso volti a contestarla, deve invece ritenersi fondata la censura di difetto di istruttoria in relazione all’acquisizione di tutti gli elementi e interessi pubblici coinvolti nella fattispecie.
Di tal che, il Comune di Aglientu, a fronte dell’abusività dell’opera, dovrà necessariamente attivare un procedimento volto a determinare la sorte dell’opera abusiva, eventualmente anche di demolizione della stessa, determinando, in tal caso, gli obblighi dei destinatari.
D’altronde, come emerge dalle stesse relazioni anche del Genio Civile e dell’Agenzia del Distretto idrografico, “nelle more della messa in sicurezza, si ritiene comunque improcrastinabile la necessità di adottare misure transitorie di Protezione Civile, in particolare ogni qualvolta vi siano eventi meteorici anche ordinari, finalizzati a tutelare la sicurezza dell’incolumità pubblica” e che “laddove la presenza del bacino d’invaso attualmente presente e le relative opere che lo hanno realizzato, possano determinare situazioni di rischio idrogeologico, è necessario da parte dei Soggetti competenti, adottare urgentemente adeguate misure di Protezione Civile, volte a tutelare la sicurezza pubblica“.
18. In conclusione, il ricorso è fondato nei soli limiti sopra esposti e, per l’effetto, devono essere annullati gli atti impugnati.
Le spese del giudizio, stante la assoluta complessità fattuale e giuridica della vicenda sottesa alla controversia, possono essere integralmente compensate tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Cagliari nella camera di consiglio del giorno 6 dicembre 2022 con l’intervento dei magistrati:
(omissis), Presidente
(omissis), Consigliere
(omissis), Referendario, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 19 DIC. 2022.