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T.A.R. Bari, (Puglia), Sez. III,12/06/2025, n. 809

Massima

In materia di immigrazione, ai fini della conversione del permesso di soggiorno da lavoro stagionale a lavoro subordinato ai sensi dell’art. 24, comma 10, del D.Lgs. n. 286/1998, il requisito dello svolgimento di regolare attività lavorativa per “almeno tre mesi” è legittimamente specificato, per il settore agricolo, da una circolare interministeriale che richiede l’effettuazione di almeno 39 giornate lavorative in un trimestre, corrispondenti a una media di 13 giorni al mese.

Supporto alla lettura

IMMIGRAZIONE

Le linee generali delle politiche pubbliche in materia di immigrazione in Italia, fissate dalla legge 40/1998 (cosiddetta “legge Turco – Napolitano”), sono state successivamente consolidate nel decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, “Testo unico sull’immigrazione e sulla condizione dello straniero”.

Il testo unico interviene in entrambi gli ambiti principali del diritto dell’immigrazione:

  • il diritto dell’immigrazione in senso stretto, concernente la gestione nel suo complesso del fenomeno migratorio: la definizione di regole di ingresso, di soggiorno, di controllo, di stabilizzazione dei migranti ed anche la repressione delle violazioni a tali regole;
  • il diritto dell’integrazione, che riguarda l’estensione, in misura più o meno ampia, ai migranti dei diritti propri dei cittadini (diritti civili, sociali, politici).

I princìpi fondamentali che sono alla base del testo unico sono essenzialmente tre:

  • la programmazione dei flussi migratori e il contrasto all’immigrazione clandestina (per quanto riguarda il diritto dell’immigrazione);
  • la concessione di una ampia serie di diritti volti all’integrazione degli stranieri regolari (diritto dell’integrazione).

Non interviene in materia di diritto di asilo la cui disciplina, in passato contenuta nel decreto-legge 416/1989 (la cosiddetta “legge Martelli”), ha avuto una regolamentazione dettagliata ad opera di provvedimenti di recepimento della normativa comunitaria.

In Italia l’immigrazione dei cittadini stranieri non appartenenti all’Unione europea è regolata secondo il principio della programmazione dei flussi. Ogni anno il Governo, sulla base della necessità di manodopera interna, stabilisce il numero di stranieri che possono entrare nel nostro Paese per motivi di lavoro. In particolare, la gestione dei flussi di immigrazione è realizzata attraverso una serie di strumenti, quali il documento programmatico triennale e il decreto annuale sui flussi.

Il secondo principio su cui si fonda la disciplina dell’immigrazione è quello del contrasto all’immigrazione clandestina. L’ingresso e il soggiorno illegale nel territorio nazionale è considerato un reato punibile con una ammenda o con l’espulsione. Gli strumenti che l’ordinamento predispone per il contrasto all’immigrazione clandestina sono numerosi e vanno dalla repressione del reato di favoreggiamento all’immigrazione clandestina, al respingimento alla frontiera, dall’espulsione come misura di sicurezza per stranieri condannati per gravi reati, all’espulsione come sanzione sostitutiva. Il principale di essi può tuttavia considerarsi l’espulsione amministrativa, che può essere eseguita con l’accompagnamento alla frontiera da parte delle forze dell’ordine, disposto dal prefetto in determinati casi (rischio di fuga, presentazione di domanda di permesso di soggiorno fraudolente ecc.).

Per quanto riguarda il terzo dei tre princìpi ispiratori della legislazione vigente, l’integrazione degli stranieri regolari, il nostro ordinamento garantisce una ampia tutela dei diritti degli stranieri e promuove l’accoglienza e l’integrazione degli immigrati.

Ambito oggettivo di applicazione

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con ricorso depositato come previsto in rito, l’istante cittadino extracomunitario impugnava il provvedimento di diniego alla conversione del permesso di soggiorno da lavoro stagionale a lavoro subordinato.

In fatto, deduceva di aver lavorato, come operaio agricolo, 42 giornate in 5 mesi, invece che 39, in 3 mesi, come invece richiesto dalla circolare interministeriale (Ministero Interno – Ministero Lavoro – Ministero Agricoltura e Turismo) del 27 ottobre 2023, n. (…), e dichiarava di continuare a svolgere attività di “bracciante agricolo”.

In diritto, lamentava la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, il difetto di istruttoria; la violazione art. 4 Cost., la violazione e falsa applicazione dell’art. 15 Carta dei diritti fondamentali UE, l’eccesso di potere per difetto di motivazione, travisamento dei presupposti di fatto e di diritto; a violazione del principio di ragionevolezza e di proporzionalità, la violazione art. 8 CEDU.

 

2. Si costituiva il Ministero, con atto formale; non veniva specificamente contestato alcunché; né erano depositati gli atti del procedimento, ai sensi dell’art. 46 c.p.a.

 

3. Alla fissata camera di consiglio, la domanda cautelare veniva accolta, ai fini del riesame della fattispecie concreta.

 

4. Alla successiva udienza pubblica, preso atto della relazione di chiarimenti dell’amministrazione, dopo breve discussione, la causa veniva introitata in decisione.

 

5. Il ricorso è infondato.

Fulcro dell’impugnativa proposta è la delibazione del requisito utile per la conversione del permesso di soggiorno da stagionale in permesso per lavoro subordinato.

L’art. 24 (Lavoro stagionale), comma 10, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (“Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”) prevede che: “Il lavoratore stagionale, che ha svolto regolare attività lavorativa sul territorio nazionale per almeno tre mesi, al quale è offerto un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato o indeterminato, può chiedere allo sportello unico per l’immigrazione la conversione del permesso di soggiorno in lavoro subordinato”.

L’extracomunitario ricorrente ha lavorato 42 giornate in 5 mesi, invece che almeno 39, in 3 mesi.

Alla stregua della sopra riferita circolare, poiché, in agricoltura, lo svolgimento dell’attività lavorativa dei c.d. “braccianti”, ossia degli operai agricoli, è discontinua e, comunque, correlata alle variabili e particolari condizioni climatiche della giornata – invero con disposizione di maggior favore – è stato richiesto che l’extracomunitario lavori perlomeno 39 giornate nel trimestre da assumere a riferimento; ossia dovrà risultare una prestazione lavorativa standard pari ad almeno 13 giorni mensili, nei tre mesi lavorativi, per una media di 39 giornate nel trimestre, coperti da regolare contribuzione previdenziale (T.A.R. Marche, sez. I, 8 novembre 2019, n. 688).

Interpellato il competente Ispettorato territoriale del lavoro, è stato indi confermato che “il lavoratore interessato non è risultato in possesso del requisito temporale di svolgimento dell’attività lavorativa di cui all’art. 24, co. 10, D.Lgs. n. 286 del 1998, poiché dall’ultimo ingresso in Italia, risalente al 9/11/2022, alla data di presentazione dell’istanza (27/03/2023) non ha raggiunto la misura minima media di 13 gg. mensili, per totali 39 giornate nel trimestre, come stabilito per tutti gli Sportelli Unici dell’Immigrazione da circolare interministeriale Ministero Interno, Ministero Lavoro e Ministero Agricoltura e Turismo del 27/10/2023 n. (…)”.

Orbene, la materia della c.d. immigrazione economica trova la propria disciplina di riferimento in dettagliate disposizioni del t. u. immigrazione di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, il quale, con peculiare riferimento ai c.d. “stagionali”, detta precisi e specifici requisiti, quanto all’ingresso, alla permanenza nel territorio italiano, alla possibilità di rinnovo, o di conversione del permesso, al rimpatrio, che sono state compitamente trattate dalla Sezione nella sentenza 16 gennaio 2025, n. 45, cui si rinvia.

L’ingresso di cittadini extracomunitari, per motivi di lavoro, nel territorio nazionale, è una forma di concessione, sottoposta alla giurisdizione del giudice amministrativo; non costituisce affatto un diritto soggettivo. L’Amministrazione dell’interno, in materia di immigrazione, può adottare provvedimenti e atti, in conformità al principio della tipicità e nominatività, che sono previsti dal D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286 e dal relativo regolamento di attuazione (D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394), esclusivamente per le fattispecie ivi contemplate.

Ciò stante, l’extracomunitario de quo non ha raggiunto il requisito utile, sancito dalla norma primaria nell’arco temporale del trimestre (art. 24, comma 10, D.Lgs. n. 286 del 1998), per come specificato, per il settore agricolo, dalla circolare interministeriale (prot. n. (…) del 27 ottobre 2023), in almeno n. 39 giornate lavorative nel predetto arco temporale.

Non hanno poi pregio i richiami ai principi sul diritto al lavoro costituzionali e da fonti sovranazionali, che hanno invero una valenza programmatica delle relative politiche pubbliche e che non hanno una implicazione atta a consentire a qualsiasi straniero di poter lavorare in Italia.

Al contrario, va evidenziato che le materie della difesa delle frontiere, della libera circolazione interna e dell’immigrazione, sono oggetto di precipua considerazione da parte del diritto UE e, pertanto, la disciplina interna dello Stato deve rispondere ai dettami della disciplina UE.

Infatti, l’art. 67, 2, TFUE stabilisce che l’UE “garantisce che non vi siano controlli sulle persone alle frontiere interne e sviluppa una politica comune in materia di asilo, immigrazione e controllo delle frontiere esterne …”; l’art. 77, 1, lett. b), TFUE prevede che l’UE: “garantisce il controllo delle persone e la sorveglianza efficace dell’attraversamento delle frontiere esterne”; l’art. 79, 1, TFUE sancisce che l’UE “… sviluppa una politica comune dell’immigrazione intesa ad assicurare, in ogni fase, la gestione efficace dei flussi migratori …”; in base al 2, sono adottate le misure che stabiliscano: “… a) condizioni di ingresso e soggiorno e norme sul rilascio da parte degli Stati membri di visti e di titoli di soggiorno di lunga durata …; b) diritti dei cittadini di paesi terzi regolarmente soggiornanti in uno Stato membro, comprese le condizioni che disciplinano la libertà di circolazione e di soggiorno negli altri Stati membri …”.

Infine, in virtù del 5, TFUE, la politica UE in materia di immigrazione “… non incide sul diritto degli Stati membri di determinare il volume di ingresso nel loro territorio dei cittadini di paesi terzi, provenienti da paesi terzi, allo scopo di cercarvi un lavoro dipendente o autonomo” (c.d. riserva di sovranità).

Ragion per cui, in ottemperanza a quanto previsto dall’art. 11 e 117 Cost., è la disciplina tracciata dal testo unico di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286 e dalle altre norme di attuazione o comunque ad esso correlate a determinare i presupposti e i requisiti utili alla concessione del permesso di soggiorno per ragioni di lavoro.

Peraltro, nel caso di specie, non risulta comprovato che la posizione del ricorrente trovi una adeguata “copertura” nei limiti posti dai c.d. flussi d’ingresso. Verifica istruttoria ultronea, una volta che sia stato acclarato che non sussisteva il requisito di base di almeno n. 39 giornate lavorative nel trimestre.

Ostando i requisiti richiesti dalla normativa e dalla prassi di maggior favore, il ricorso non può trovare accoglimento.

 

6. In conclusione, per le sopra esposte motivazioni, il ricorso va respinto.

 

7. Le spese del giudizio possono essere compensate per la peculiarità della controversia.

 

8. La domanda di gratuito patrocinio risulta inammissibile, per carenza della certificazione dei redditi prodotti all’estero, fornita dall’autorità consolare competente, ai sensi dell’art. 79, comma 2, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, o, perlomeno, della dichiarazione sostitutiva, ai sensi dell’art. 94 D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 citato e della sentenza della Corte cost. 20 luglio 2021, n. 157.

 

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (sezione terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Decreta rebus sic stantibus inammissibile la domanda di gratuito patrocinio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

 

Conclusione

Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 2 aprile 2025 con l’intervento dei magistrati (Omissis).

Allegati

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