Massima

Uno Stato membro non può sottrarsi alla propria responsabilità ai sensi del diritto dell’Unione per la mancata garanzia dell’accesso alle condizioni materiali di accoglienza essenziali per i richiedenti protezione internazionale, anche qualora tale omissione derivi dall’esaurimento temporaneo delle capacità di alloggio dovuto a un afflusso ingente, improvviso, imprevedibile e ineluttabile di cittadini di paesi terzi.

Supporto alla lettura

PROTEZIONE INTERNAZIONALE

La protezione internazionale è la categoria generale delle figure del diritto di asilo, che l’art. 10 Cost. riconosce allo straniero che nel suo Paese non può esercitare le libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana.

Il nostro sistema prevede tre figure di protezione:

  • status di rifugiato: riguarda il cittadino straniero il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica, si trova fuori dal territorio del Paese di cui ha la cittadinanza e non può, o non vuole, avvalersi della protezione di tale Paese, oppure apolide che si trova fuori dal territorio nel quale aveva precedentemente la dimora abituale per le medesime ragioni sopra esposte e non può, o non vuole, farvi ritorno (nell’ambito di tali forme di persecuzione, sono state ricomprese alcune specifiche ipotesi fra cui la condizione degli omosessuali incriminati o a rischio di incriminazione perché nei loro Paesi gli atti omosessuali sono reato; la condizione delle donne a rischio di mutilazioni genitali femminili; la condizione dei fedeli di pratiche religiose proibite);
  • protezione sussidiaria:  concerne il cittadino straniero che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti sussistono fondati  motivi di ritenere che, se ritornasse nel Paese di origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel Paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe il rischio effettivo di subire un grave danno, da individuarsi nella condanna a morte o nell’esecuzione della pena di morte, oppure nella tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante oppure, infine, nella minaccia grave e individuale alla vita o alla persona derivante da violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale;
  • protezione umanitaria: non è uno status, è prevista da leggi nazionali che attuano il suggerimento europeo di proteggere persone in stato di vulnerabilità, per le quali sussistano gravi motivi umanitari (es. le ipotesi di minori non accompagnati; persone a rischio di epidemie nel proprio Paese; persone provenienti da paesi in cui vi è un conflitto armato non così grave da giustificare la protezione sussidiaria; richiedenti che, avendo in attesa della decisione sulla domanda avuto modo di inserirsi stabilmente nella società nazionale, non vanno sradicate dal nuovo contesto di vita).

Lo status di rifugiato è tendenzialmente permanente mentre la protezione sussidiaria dura cinque anni rinnovabili; entrambi possono essere revocati per seri motivi (es. commissione di reati gravi) oppure per il miglioramento radicale della situazione del Paese di origine. Il permesso di soggiorno per motivi umanitari dura di solito due anni rinnovabili ed è rilasciato dal Questore (non dal giudice o dall’organo amministrativo, che si limitano a dichiarare che ve ne sono le condizioni).

La domanda di protezione è proposta in via amministrativa alle forze di polizia ed esaminata dalle Commissioni territoriali insediate nelle sedi stabilite dalla legge. La domanda è istruita con l’ascolto del richiedente asilo (la c.d. intervista) sulla vita passata e sulle ragioni dell’emigrazione, esaminati alla luce delle informazioni sul Paese di origine, le country of origin information (Coi). Decide poi con provvedimento motivato sia rispetto alla credibilità intrinseca che ai riscontri e alle Coi disponibili. Il richiedente può impugnare il provvedimento in tutto o in parte sfavorevole davanti al tribunale del capoluogo del distretto di corte d’appello dove ha sede la commissione territoriale o la sua sezione distaccata che ha emesso il provvedimento, oppure il Cara che ospita il richiedente asilo.

Il giudice decide sul rapporto; non può annullare l’atto perché mal motivato o viziato, ma esamina il merito. Avendo pieni poteri ufficiosi, può ricercare le Coi attraverso riviste, rapporti di ONG, siti Internet specializzati (ma non deve chiedere al Paese di provenienza, il quale potrebbe fornire informazioni falsate o svolgere attività intese a perfezionare la persecuzione dedotta dal richiedente). E’ obbligatorio l’intervento del Pm.

Ambito oggettivo di applicazione

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione delle condizioni in presenza delle quali sorge la responsabilità di uno Stato membro per violazione della direttiva 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 96), e dell’articolo 1 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la “Carta”).

2. Tale domanda è stata presentata nell’ambito di due controversie che oppongono, rispettivamente, S.A. e R.J. al Minister for Children, Equality, Disability, Integration and Youth (Ministro dell’Infanzia, della Parità, della Disabilità, dell’Integrazione e della Gioventù, Irlanda; in prosieguo: il “Ministro”), e all’Attorney General (procuratore generale, Irlanda), in merito alle domande di risarcimento dei danni che sarebbero derivati dalla mancata fornitura a S.A. e a R.J. di alloggio, cibo, acqua e altre condizioni materiali di accoglienza rispondenti alle loro esigenze essenziali a seguito della presentazione di una domanda di protezione internazionale in Irlanda.

Contesto normativo

Diritto dell’Unione

3. Il considerando 11 della direttiva 2013/33 è così formulato:

“È opportuno adottare norme in materia di accoglienza dei richiedenti che siano sufficienti a garantire loro un livello di vita dignitoso e condizioni di vita analoghe in tutti gli Stati membri”.

4. L’articolo 2 di detta direttiva, intitolato “Definizioni”, così dispone:

“Ai fini della presente direttiva si intende per:

(…)

g) “condizioni materiali di accoglienza”: le condizioni di accoglienza che includono alloggio, vitto e vestiario, forniti in natura o in forma di sussidi economici o buoni, o una combinazione delle tre possibilità, nonché un sussidio per le spese giornaliere;

(…)”.

5. L’articolo 17 di questa direttiva, rubricato “Disposizioni generali relative alle condizioni materiali di accoglienza e all’assistenza sanitaria”, dispone quanto segue:

“1. Gli Stati membri provvedono a che i richiedenti abbiano accesso alle condizioni materiali d’accoglienza nel momento in cui manifestano la volontà di chiedere la protezione internazionale.

2. Gli Stati membri provvedono a che le condizioni materiali di accoglienza assicurino un’adeguata qualità di vita che garantisca il sostentamento dei richiedenti e ne tuteli la salute fisica e mentale.

Gli Stati membri provvedono a che la qualità di vita sia adeguata alla specifica situazione delle persone vulnerabili, ai sensi dell’articolo 21, nonché alla situazione delle persone che si trovano in stato di trattenimento.

3. Gli Stati membri possono subordinare la concessione di tutte le condizioni materiali d’accoglienza e dell’assistenza sanitaria, o di parte delle stesse, alla condizione che i richiedenti non dispongano di mezzi sufficienti a garantire loro una qualità della vita adeguata per la loro salute, nonché ad assicurare il loro sostentamento.

(…)

5. Qualora gli Stati membri forniscano le condizioni materiali di accoglienza in forma di sussidi economici o buoni, l’ammontare dei medesimi è fissato sulla base del livello o dei livelli stabiliti dallo Stato membro interessato, secondo la legge o la prassi, in modo da garantire una qualità di vita adeguata ai propri cittadini. Gli Stati membri possono accordare ai richiedenti un trattamento meno favorevole di quello che accordano ai loro cittadini, in particolare nei casi in cui un sostegno materiale è parzialmente fornito in natura o quando il livello o i livelli, applicati ai cittadini, sono intesi ad assicurare un tenore di vita più elevato di quello prescritto per i richiedenti ai sensi della presente direttiva”.

6. L’articolo 18 della medesima direttiva, intitolato “Modalità relative alle condizioni materiali di accoglienza”, ai paragrafi 1 e 9 così dispone:

“1. Nel caso in cui l’alloggio è fornito in natura, esso dovrebbe essere concesso in una delle seguenti forme oppure mediante una combinazione delle stesse:

a) in locali utilizzati per alloggiare i richiedenti durante l’esame della domanda di protezione internazionale presentata alla frontiera o in zone di transito;

b) in centri di accoglienza che garantiscano una qualità di vita adeguata;

c) in case private, appartamenti, alberghi o altre strutture atte a garantire un alloggio per i richiedenti.

(…)

9. In casi debitamente giustificati gli Stati membri possono stabilire in via eccezionale modalità relative alle condizioni materiali di accoglienza diverse da quelle previste nel presente articolo, per un periodo ragionevole e di durata più breve possibile, qualora:

(…)

b) le capacità di alloggio normalmente disponibili siano temporaneamente esaurite.

Siffatte diverse condizioni soddisfano comunque le esigenze essenziali”.

Diritto irlandese

7. L’articolo 1 dello European Communities (Reception Conditions) Regulations 2018 [regolamento del 2018 relativo alle Comunità europee (condizioni di accoglienza)], SI 230/2018 prevede che le condizioni materiali di accoglienza siano costituite da:

“a) alloggio, vitto e prestazioni accessorie fornite in natura,

b) il sussidio per le spese giornaliere, e

c) vestiario fornito in forma di sussidio economico (…)”.

8. Tale articolo precisa altresì che “l’espressione “indennità giornaliera” designa la parte delle condizioni materiali di accoglienza costituita da un sussidio settimanale erogato (…) a un beneficiario per consentirgli di far fronte a spese personali accessorie”.

9. L’articolo 4 di tale regolamento così dispone:

“(1) Fatte salve le disposizioni del presente regolamento, un beneficiario ha il diritto di fruire delle condizioni materiali di accoglienza qualora non disponga di mezzi sufficienti per avere un tenore di vita adeguato.

(…)

(5) Il [Ministro] può, in via eccezionale e fatto salvo il paragrafo 6, fornire le condizioni materiali di accoglienza in modo diverso da quello previsto dal presente regolamento nei seguenti casi:

a) è richiesta una valutazione delle esigenze specifiche di un beneficiario, oppure

b) le capacità di alloggio normalmente disponibili sono temporaneamente esaurite.

(6) La predisposizione delle condizioni materiali di accoglienza autorizzate dal paragrafo (5) deve:

a) avere una durata quanto più breve possibile, e

b) rispondere alle esigenze essenziali del beneficiario”.

Procedimenti principali e questioni pregiudiziali

10. S.A., cittadino afghano, e R.J., cittadino indiano, hanno presentato domande di protezione internazionale in Irlanda, rispettivamente il 15 febbraio e il 20 marzo 2023.

11. Le autorità irlandesi hanno consegnato a ciascuno un unico buono di EUR 25. Tali autorità, per contro, hanno ritenuto di non essere in grado di assegnare loro un alloggio, poiché i centri di accoglienza per richiedenti asilo erano completi, nonostante la disponibilità di alloggi individuali e temporanei in Irlanda. Non disponendo di un alloggio in un siffatto centro di accoglienza, S.A. e R.J. non potevano beneficiare, alla data in cui hanno presentato le loro domande di protezione internazionale, del sussidio per le spese giornaliere per i richiedenti protezione internazionale previsto dal diritto irlandese.

12. S.A. e R.J. hanno dormito in strada o, occasionalmente, in alloggi precari a Dublino (Irlanda). Hanno dichiarato di non aver sempre mangiato a sufficienza, di non essere stati in grado di preservare la loro igiene e di essersi trovati in una situazione di difficoltà sotto il profilo delle loro condizioni di vita e delle violenze a cui sono stati soggetti. S.A. ha peraltro potuto beneficiare di talune cure mediche d’emergenza.

13. S.A. e R.J. hanno presentato domanda alle autorità irlandesi per ottenere il riconoscimento del loro stato di vulnerabilità, senza riuscirvi. A seguito di un cambiamento delle condizioni di ammissibilità per il sussidio, S.A. e R.J. si sono visti concedere, rispettivamente il 5 aprile 2023 e il 20 aprile 2023, con effetto retroattivo alla data di presentazione della loro domanda di protezione internazionale, un sussidio di importo settimanale pari a EUR 38,80. Essi hanno inoltre potuto ottenere sussidi per soddisfare esigenze aggiuntive ad hoc.

14. S.A e R.J. hanno ottenuto un alloggio rispettivamente il 27 aprile e il 22 maggio 2023.

15. Successivamente, S.A. e R.J. hanno proposto dinanzi alla High Court (Alta Corte, Irlanda), giudice del rinvio, ricorsi contro il Ministro e il procuratore generale, diretti ad ottenere un risarcimento del danno che sarebbe derivato per ciascuno di loro dalla mancata fornitura di alloggio, cibo, acqua e altre condizioni materiali di accoglienza corrispondenti alle loro esigenze essenziali.

16. Dinanzi a tale giudice, il Ministro e il procuratore generale non contestano che si debba constatare una violazione delle norme nazionali di attuazione della direttiva 2013/33 e dell’articolo 1 della Carta, a causa della mancata fornitura di condizioni materiali di accoglienza a S.A. e a R.J. per diverse settimane.

17. Tuttavia, essi sostengono che, poiché tale violazione deriva da un caso di forza maggiore, essa non dovrebbe considerarsi “sufficientemente qualificata”, alla stregua della giurisprudenza derivante dalle sentenze del 19 novembre 1991, F. e a. (C-6/90 e C-9/90, EU:C:1991:428), nonché del 5 marzo 1996, Brasserie du pêcheur e F. (C-46/93 e C-48/93, EU:C:1996:79), per poter dar luogo a un risarcimento.

18. Senza invocare una mancanza di risorse finanziarie, il Ministro e il procuratore generale osservano che le capacità di alloggio in Irlanda dei richiedenti protezione internazionale si sono esaurite a seguito dell’arrivo improvviso in tale Stato membro di un numero senza precedenti di cittadini di paesi terzi che chiedevano protezione temporanea o internazionale. Pertanto, per un periodo di quattro mesi e mezzo, dei maschi adulti, celibi, non vulnerabili, che chiedevano protezione internazionale in detto Stato membro non hanno beneficiato di offerte di alloggio. Le autorità irlandesi avrebbero tuttavia compiuto ogni ragionevole sforzo per garantire la sistemazione di tali persone e per soddisfare altre loro esigenze di accoglienza. Pertanto, la violazione del diritto dell’Unione di cui trattasi nei procedimenti principali non sarebbe stata intenzionale.

19. S.A. e R.J. sostengono, anzitutto, che, quando le disposizioni di una direttiva, al pari delle disposizioni pertinenti della direttiva 2013/33, sono formulate in termini imperativi, il diritto dell’Unione comporta una responsabilità rigorosa dello Stato membro che viola gli obblighi enunciati in tali disposizioni. Inoltre, la forza maggiore non potrebbe essere invocata per giustificare la violazione di un diritto fondamentale assoluto. Infine, le autorità irlandesi non avrebbero, nel caso di specie, adottato tutte le misure necessarie per rispondere alle esigenze essenziali dei richiedenti protezione internazionale e avrebbero compiuto la scelta politica di concentrarsi sul reperimento globale di alloggi.

20. Il giudice del rinvio rileva che una relazione pubblicata nel 2020 aveva ritenuto che l’Irlanda dovesse prevedere l’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale tenendo conto della presentazione di circa 3 500 nuove domande all’anno. Tuttavia, a seguito dell’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione russa, tra il mese di febbraio 2022 e il mese di maggio 2023 sono arrivati in Irlanda quasi 100 000 cittadini di paesi terzi che chiedevano protezione temporanea o internazionale, di cui oltre 80 000 hanno dovuto essere alloggiati dalle autorità irlandesi. Tale giudice ritiene che, sebbene il verificarsi di tali eventi fosse certamente imprevedibile, la necessità di disporre di una capacità ricettiva supplementare permanente avrebbe cessato di esserlo dopo un certo lasso di tempo. Ci si sarebbe così potuti aspettare dalle autorità irlandesi, che disponevano di risorse economiche sufficienti, che, oltre a ricercare soluzioni ricettive collettive a medio termine, esse sviluppassero sforzi per trovare un alloggio privato alle persone interessate, mediante la concessione di buoni di pernottamento o di assistenza economica maggiore rispetto al sussidio per le spese giornaliere, o che esse istituissero ricoveri di emergenza.

21. Alla luce di tali elementi e della giurisprudenza della Corte, il giudice del rinvio si interroga sulla possibilità di invocare la forza maggiore per escludere la responsabilità dell’Irlanda nei procedimenti principali.

22. In tali circostanze, la High Court (Alta Corte) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

“1) Se, nel caso in cui l’esimente della “forza maggiore” non sia prevista da una direttiva o dal regolamento di attuazione di cui trattasi, tale esimente possa comunque essere eccepita per opporsi a una domanda di risarcimento danni fondata sulla sentenza [del 19 novembre 1991, F. e a., C-6/90 e C-9/90, EU:C:1991:428)], per violazione di un obbligo di diritto dell’Unione che conferisce ai singoli diritti derivanti dal diritto fondamentale alla dignità umana sancito dall’articolo 1 della Carta [come esimente nell’ambito della seconda parte del criterio stabilito nella sentenza del 5 marzo 1996, Brasserie du Pêcheur e F., C-46/93 e C-48/93, EU:C:1996:79] o in altro modo].

2) In caso di risposta affermativa alla prima questione, quali siano i parametri e la corretta portata di tale esimente della forza maggiore”.

Sulle questioni pregiudiziali

23. Secondo una giurisprudenza costante della Corte, nell’ambito della cooperazione tra i giudici nazionali e la Corte istituita dall’articolo 267 TFUE, quest’ultima deve fornire al giudice nazionale una risposta utile che gli consenta di dirimere la controversia sottopostagli. In tale prospettiva alla Corte incombe, se necessario, riformulare le questioni che le sono sottoposte. A tal riguardo, essa deve trarre dall’insieme degli elementi forniti dal giudice nazionale e, in particolare, dalla motivazione della decisione di rinvio gli elementi del diritto dell’Unione che richiedano un’interpretazione, tenuto conto dell’oggetto della controversia (v. sentenze del 17 luglio 1997, K., C-334/95, EU:C:1997:378, punti 22 e 23, nonché del 25 febbraio 2025, A. e a., C-233/23, EU:C:2025:110, punto 33).

24. Nel caso di specie, dalla domanda di pronuncia pregiudiziale risulta che è pacifico, nei procedimenti principali, che le autorità irlandesi, non fornendo ai ricorrenti nel procedimento principale, per diverse settimane, le condizioni materiali di accoglienza previste dalla direttiva 2013/33, hanno violato i loro obblighi derivanti da tale direttiva.

25. In tale contesto, dalle indicazioni contenute in siffatta domanda risulta che le questioni sollevate mirano esclusivamente a consentire al giudice del rinvio di pronunciarsi sull’argomento delle autorità irlandesi secondo cui la loro responsabilità al riguardo potrebbe essere esclusa, nell’ambito di un’azione di risarcimento danni, a causa del verificarsi di un caso di forza maggiore. Tali autorità sostengono infatti più precisamente che, all’epoca in cui i ricorrenti nei procedimenti principali hanno presentato le loro domande di protezione internazionale, le capacità di alloggio normalmente disponibili in Irlanda per i richiedenti protezione internazionale erano esaurite, a seguito dell’arrivo improvviso in tale Stato membro di un numero senza precedenti di cittadini di paesi terzi che chiedevano protezione temporanea o internazionale, arrivo che avrebbe presentato un carattere imprevedibile e ineluttabile. Per contro, dette autorità non sostengono di essere state oggettivamente impossibilitate a fornire condizioni materiali di accoglienza che coprissero le esigenze essenziali di tali cittadini di paesi terzi.

26. Alla luce di tali elementi, occorre considerare che, con le sue questioni, che vanno esaminate congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il diritto dell’Unione debba essere interpretato nel senso che uno Stato membro, che per varie settimane non abbia garantito l’accesso di un richiedente protezione internazionale alle condizioni materiali di accoglienza previste dalla direttiva 2013/33, possa sottrarsi alla sua responsabilità ai sensi del diritto dell’Unione invocando l’esaurimento temporaneo delle capacità di alloggio normalmente disponibili nel suo territorio per i richiedenti protezione internazionale, a causa di un afflusso di cittadini di paesi terzi richiedenti protezione temporanea o internazionale che, per il suo carattere ingente e improvviso, sarebbe stato imprevedibile e ineluttabile.

27. Secondo una costante giurisprudenza, i soggetti lesi da una violazione del diritto dell’Unione imputabile a uno Stato membro hanno diritto al risarcimento qualora siano soddisfatte tre condizioni, vale a dire che la norma giuridica dell’Unione violata sia preordinata a conferire loro diritti, che la violazione di tale norma sia sufficientemente qualificata e che esista un nesso causale diretto tra tale violazione e il danno subito da detti soggetti [v., in tal senso, sentenze del 5 marzo 1996, Brasserie du pêcheur e F., C-46/93 e C-48/93, EU:C:1996:79, punto 51, nonché del 22 dicembre 2022, Ministre de la Transition écologique e Premier ministre (Responsabilità dello Stato per l’inquinamento atmosferico), C-61/21, EU:C:2022:1015, punto 44].

28. Dalla decisione di rinvio risulta che è pacifico che le disposizioni della direttiva 2013/33 relative alle condizioni materiali di accoglienza conferiscono diritti ai richiedenti protezione internazionale da esse considerati e che le questioni sollevate non si riferiscono all’esistenza di un nesso di causalità diretto tra la violazione di tali disposizioni da parte delle autorità irlandesi e il danno che i ricorrenti nei procedimenti principali avrebbero subito. Poiché tali questioni riguardano quindi solo la seconda delle condizioni enunciate al punto precedente della presente sentenza, occorre ricordare che, per determinare se sussista una violazione sufficientemente qualificata del diritto dell’Unione, il giudice nazionale investito di una domanda di risarcimento danni deve tener conto di tutti gli elementi che caratterizzano la situazione ad esso sottoposta. Tra gli elementi che possono essere presi in considerazione al riguardo figurano, segnatamente, il grado di chiarezza e di precisione della norma violata, l’ampiezza del potere discrezionale che la norma infranta riserva alle autorità nazionali, l’intenzionalità o l’involontarietà dell’infrazione commessa o del danno causato, la scusabilità o inescusabilità di un eventuale errore di diritto nonché la circostanza che i comportamenti adottati da un’istituzione dell’Unione abbiano potuto concorrere all’adozione o al mantenimento in vigore di provvedimenti o di prassi nazionali contrari al diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenza del 29 luglio 2019, H.S.M., C-620/17, EU:C:2019:630, punto 42 e giurisprudenza citata).

29. A tal riguardo, la Corte ha precisato, in particolare, che una violazione del diritto dell’Unione è sufficientemente qualificata quando uno Stato membro ha violato in modo manifesto e grave i limiti posti ai suoi poteri e, in una situazione in cui lo Stato membro interessato disponeva di un margine di discrezionalità considerevolmente ridotto, se non addirittura inesistente, la semplice trasgressione del diritto dell’Unione può essere sufficiente per accertare l’esistenza di una tale violazione del diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenze del 23 maggio 1996, H.L., C-5/94, EU:C:1996:205, punto 28, nonché del 15 giugno 1999, R. e a., C-140/97, EU:C:1999:306, punto 50).

30. In ogni caso, una violazione del diritto dell’Unione deve essere considerata come sufficientemente qualificata allorché è intervenuta ignorando manifestamente la giurisprudenza della Corte in materia (v., in tal senso, sentenza del 29 luglio 2019, H.S.M., C-620/17, EU:C:2019:630, punto 43 e giurisprudenza citata).

31. Se, in linea di principio, spetta ai giudici nazionali valutare la sussistenza delle condizioni per l’insorgere della responsabilità di uno Stato membro per violazioni del diritto dell’Unione, la Corte può nondimeno precisare talune circostanze di cui tali giudici devono tener conto nella loro valutazione (v., in tal senso, sentenze del 26 marzo 1996, B.T., C-392/93, EU:C:1996:131, punto 41, e del 18 gennaio 2001, S.L., C-150/99, EU:C:2001:34, punto 38).

32. A tal fine, occorre rilevare che l’articolo 17, paragrafo 1, della direttiva 2013/33 dispone che gli Stati membri provvedano affinché i richiedenti protezione internazionale abbiano accesso alle condizioni materiali di accoglienza nel momento della presentazione della domanda.

33. Dall’articolo 2, lettera g), di tale direttiva risulta che le condizioni materiali di accoglienza comprendono alloggio, vitto e vestiario, forniti in natura o sotto forma di sussidi economici o buoni, o una combinazione delle tre possibilità, nonché un sussidio per le spese giornaliere.

34. Qualunque sia la modalità di fornitura di tali condizioni scelta da uno Stato membro, l’articolo 17, paragrafo 2, di detta direttiva esige che dette condizioni assicurino ai richiedenti protezione internazionale un’adeguata qualità di vita che ne garantisca il sostentamento e ne tuteli la salute fisica e mentale. L’articolo 17, paragrafo 3, della medesima direttiva consente tuttavia agli Stati membri di subordinare la concessione, in tutto o in parte, di tali condizioni e dell’assistenza sanitaria alla condizione che i richiedenti non dispongano di mezzi sufficienti a garantire loro una qualità della vita adeguata per la loro salute, nonché ad assicurare il loro sostentamento.

35. Inoltre, l’articolo 17, paragrafo 5, della direttiva 2013/33 dispone che, qualora gli Stati membri forniscano le condizioni materiali di accoglienza in forma di sussidi economici o buoni, l’ammontare dei medesimi è fissato sulla base del livello o dei livelli stabiliti dallo Stato membro interessato in modo da garantire una qualità di vita adeguata ai propri cittadini, fermo restando che il trattamento concesso ai richiedenti protezione internazionale può essere meno favorevole di quello accordato a tali cittadini. A tal riguardo, dalla giurisprudenza della Corte risulta che l’importo di tali sussidi economici o buoni deve essere sufficiente a garantire un livello di vita dignitoso e adeguato per la salute nonché per il sostentamento dei richiedenti protezione internazionale consentendo loro di disporre di un alloggio, se del caso, nell’ambito del mercato privato della locazione (v., per analogia, sentenza del 27 febbraio 2014, S. e a., C-79/13, EU:C:2014:103, punto 42).

36. Quando uno Stato membro opta per la fornitura dell’alloggio in natura, esso deve, in linea di principio, conformarsi a una serie di requisiti specifici enunciati all’articolo 18, paragrafi da 1 a 8, della direttiva 2013/33. Tuttavia, l’articolo 18, paragrafo 9, lettera b), di tale direttiva consente agli Stati membri, in casi debitamente giustificati, di stabilire in via eccezionale modalità di fornitura delle condizioni materiali di accoglienza diverse da quelle previste da tale articolo 18, per un periodo ragionevole e di durata più breve possibile, qualora le capacità di alloggio normalmente disponibili siano temporaneamente esaurite. L’articolo 18, paragrafo 9, in fine, di detta direttiva impone tuttavia che tali condizioni soddisfino comunque le esigenze essenziali delle persone interessate.

37. Indipendentemente dalle scelte operate da uno Stato membro tra le diverse possibilità previste agli articoli 17 e 18 della direttiva 2013/33, dalla giurisprudenza della Corte relativa alla direttiva 2003/9/CE del Consiglio, del 27 gennaio 2003, recante norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri (GU 2003, L 31, pag. 18), giurisprudenza i cui insegnamenti sono parimenti pertinenti, al riguardo, per la direttiva 2013/33, che costituisce la rifusione della direttiva 2003/9, risulta che l’economia generale di tali direttive nonché il rispetto dei diritti fondamentali, e segnatamente delle prescrizioni dell’articolo 1 della Carta, a norma del quale la dignità umana deve essere rispettata e tutelata, ostano a che un richiedente protezione internazionale venga privato, anche solo temporaneamente, della protezione conferita dalle norme minime dettate da tali direttive [v., in tal senso, sentenze del 27 settembre 2012, C. e G., C-179/11, EU:C:2012:594, punto 56, nonché del 27 febbraio 2014, S. e a., C-79/13, EU:C:2014:103, punto 35].

38. In particolare, la saturazione delle reti di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale non può giustificare alcuna deroga alle norme minime stabilite dal diritto dell’Unione per l’accoglienza di tali richiedenti (v., per analogia, sentenza del 27 febbraio 2014, S. e a., C-79/13, EU:C:2014:103, punto 50).

39. Dal combinato disposto delle norme così enunciate agli articoli 17 e 18 della direttiva 2013/33 risulta che, in caso di esaurimento temporaneo delle capacità di alloggio normalmente disponibili sul suo territorio per i richiedenti protezione internazionale, uno Stato membro dispone di una scelta tra due possibilità.

40. In primo luogo, e sempreché le condizioni enunciate all’articolo 18, paragrafo 9, di tale direttiva siano soddisfatte, lo Stato membro interessato può decidere di fornire un alloggio in natura, senza essere tenuto a rispettare tutti i requisiti di cui a tale articolo 18, ma soddisfacendo, in ogni caso, le esigenze essenziali delle persone interessate.

41. In secondo luogo, se tale Stato membro non intende più concedere le condizioni materiali di accoglienza in natura o non è più in grado di farlo, deve fornire tali condizioni sotto forma di sussidi economici o buoni di importo sufficiente affinché le esigenze essenziali dei richiedenti protezione internazionale, ivi compreso un livello di vita dignitoso e adeguato per la salute e per garantire il loro sostentamento, siano loro garantite (v., per analogia, sentenza del 27 febbraio 2014, S. e a., C-79/13, EU:C:2014:103, punto 48).

42. Ne consegue che, sebbene gli Stati membri dispongano di un certo margine di discrezionalità per determinare la forma e il livello preciso delle condizioni materiali di accoglienza da essi concesse, essi non possono, senza eccedere in modo grave e manifesto tale margine di discrezionalità e senza violare manifestamente la giurisprudenza della Corte, astenersi dal fornire, anche solo temporaneamente, condizioni materiali di accoglienza che coprano le esigenze essenziali di un richiedente protezione internazionale che non disponga di mezzi sufficienti per avere un tenore di vita adeguato alla sua salute e per poter assicurare il proprio sostentamento, anche per quanto riguarda il suo accesso all’alloggio.

43. Pertanto, una siffatta astensione appare tale da costituire una violazione sufficientemente qualificata del diritto dell’Unione, ai sensi della giurisprudenza ricordata al punto 27 della presente sentenza, anche qualora intervenga in una situazione in cui le capacità di alloggio normalmente disponibili per i richiedenti protezione internazionale, nel territorio dello Stato membro interessato, sono temporaneamente esaurite.

44. In tale contesto, alla luce degli interrogativi del giudice del rinvio, è tuttavia necessario stabilire se la circostanza che un siffatto esaurimento temporaneo delle capacità di alloggio derivi, come sostiene l’Irlanda, da un afflusso ingente e improvviso di cittadini di paesi terzi richiedenti protezione temporanea o internazionale, afflusso avente carattere imprevedibile e ineluttabile, sia tale da consentire allo Stato membro che ha violato i suoi obblighi ricordati al punto 42 della presente sentenza di sottrarsi alla sua responsabilità ai sensi del diritto dell’Unione.

45. A tal riguardo, occorre sottolineare, da un lato, che l’esaurimento temporaneo delle capacità di alloggio normalmente disponibili per i richiedenti protezione internazionale, qualunque ne sia la causa, non implica, in quanto tale, che la fornitura delle condizioni materiali di accoglienza sotto forma di sussidi economici o buoni, che costituisce una delle possibilità offerte agli Stati membri per conformarsi ai loro obblighi ai sensi della direttiva 2013/33, incontri difficoltà particolari o, a fortiori, risulti impossibile.

46. Dall’altro lato, qualora lo Stato membro interessato intenda fornire le condizioni materiali di accoglienza in natura, dal punto 36 della presente sentenza risulta che il legislatore dell’Unione ha istituito, all’articolo 18, paragrafo 9, lettera b), di tale direttiva, un regime derogatorio applicabile, a determinate condizioni, in caso di esaurimento temporaneo delle capacità di alloggio normalmente disponibili, disciplinando al contempo le modalità di tale deroga. Tale legislatore ha segnatamente imposto agli Stati membri un obbligo di risultato diretto ad assicurare “comunque” ai richiedenti protezione internazionale il soddisfacimento delle loro esigenze essenziali, escludendo così che gli Stati membri che attuano tale regime derogatorio possano esimersi dall’offrire le garanzie necessarie a tal fine.

47. A tal riguardo, occorre rilevare che la formulazione dell’articolo 18, paragrafo 9, lettera b), della direttiva 2013/33 non contiene alcuna indicazione da cui risulti che la sua applicazione dovrebbe essere esclusa qualora l’esaurimento temporaneo delle capacità di alloggio normalmente disponibili derivi da un afflusso ingente e improvviso di cittadini di paesi terzi richiedenti protezione temporanea o internazionale, afflusso avente carattere imprevedibile e ineluttabile.

48. Inoltre, tale disposizione prevede espressamente, da un lato, che la deroga da essa istituita può essere attuata solo “in casi debitamente giustificati” e “in via eccezionale” e, dall’altro, che le misure adottate in tale ambito devono essere applicate “per un periodo ragionevole e di durata più breve possibile”.

49. Alla luce dei requisiti cumulativi ai quali è quindi subordinata l’applicazione dell’articolo 18, paragrafo 9, lettera b), della direttiva 2013/33, si deve ritenere che il regime derogatorio istituito da tale disposizione sia applicabile qualora l’esaurimento temporaneo delle capacità di alloggio normalmente disponibili per i richiedenti protezione internazionale non potesse oggettivamente essere evitato da uno Stato membro ragionevolmente diligente. Pertanto, tale regime derogatorio trova applicazione, in particolare, come rilevato dall’avvocata generale al paragrafo 44 delle sue conclusioni, in casi in cui l’esaurimento temporaneo delle capacità di alloggio normalmente disponibili sia la conseguenza di un afflusso ingente e improvviso di cittadini di paesi terzi richiedenti protezione temporanea o internazionale, afflusso avente carattere imprevedibile e ineluttabile.

50. La Corte ha peraltro già dichiarato che, adottando l’articolo 18, paragrafo 9, della direttiva 2013/33, il legislatore dell’Unione aveva provveduto a prendere in considerazione la situazione in cui uno Stato membro debba far fronte a un aumento molto significativo del numero di domande di protezione internazionale [v., in tal senso, sentenza del 17 dicembre 2020, Commissione/Ungheria (Accoglienza dei richiedenti protezione internazionale), C-808/18, EU:C:2020:1029, punti 222 e 223], aumento che può presentare un carattere imprevedibile e ineluttabile (v., in tal senso, sentenza del 6 settembre 2017, Slovacchia e Ungheria/Consiglio, C-643/15 e C-647/15, EU:C:2017:631, punto 114).

51. Orbene, in situazioni in cui il legislatore dell’Unione ha adottato norme volte a definire un regime che impone taluni obblighi di risultato per l’ipotesi del verificarsi di eventi imprevedibili o ineluttabili o di un’altra alea, indipendentemente dalle cause di tali eventi o di tale alea, dalla giurisprudenza della Corte risulta che tali obblighi non possono essere disattesi adducendo il verificarsi di tali eventi o dell’alea considerati dal regime in questione [v., in tal senso, sentenze del 15 giugno 1999, R. e a., C-140/97, EU:C:1999:306, punti 74 e 75, nonché dell’8 giugno 2023, UFC – Que choisir e CLCV, C-407/21, EU:C:2023:449, punti 56 e 57).

52. Pertanto, non si può ammettere, salvo disattendere l’oggetto stesso del regime derogatorio stabilito all’articolo 18, paragrafo 9, lettera b), della direttiva 2013/33 e privare quest’ultimo del suo effetto utile, che uno Stato membro possa giustificare la mancata applicazione degli obblighi derivanti da tale regime derogatorio, e in particolare quello di coprire “comunque” le esigenze essenziali delle persone interessate, adducendo il verificarsi dell’evento al quale è subordinata l’applicazione di detto regime derogatorio, vale a dire l’esaurimento temporaneo delle capacità di alloggio normalmente disponibili per i richiedenti protezione internazionale, ivi compreso il caso in cui esso derivi da un afflusso ingente e improvviso di cittadini di paesi terzi richiedenti protezione temporanea o internazionale, afflusso avente carattere imprevedibile e ineluttabile.

53. Allo stesso modo, non si può ammettere che il fatto di addurre il verificarsi di un evento del genere consenta di accertare che la violazione degli obblighi previsti dalla direttiva 2013/33 non è sufficientemente qualificata per poter dare diritto al risarcimento. Infatti, una soluzione del genere, privando i richiedenti protezione internazionale di un elemento essenziale della loro tutela giurisdizionale effettiva, pregiudicherebbe l’efficacia dell’articolo 18, paragrafo 9, lettera b), di quest’ultima, e in particolare dell’obbligo di risultato quanto al soddisfacimento delle esigenze essenziali di tali richiedenti, che è previsto da tale disposizione e che mira ad assicurare il rispetto della dignità umana garantita dall’articolo 1 della Carta.

54. Nel caso di specie, è d’altronde giocoforza constatare che dalla decisione di rinvio o dal procedimento dinanzi alla Corte non risulta che l’Irlanda abbia dimostrato che non era in grado, a seguito dell’afflusso ingente di cittadini di paesi terzi richiedenti protezione temporanea o internazionale da essa menzionato, né di fornire loro un alloggio al di fuori del sistema normalmente previsto per ospitare tali cittadini di paesi terzi, eventualmente applicando la deroga prevista all’articolo 18, paragrafo 9, lettera b), della direttiva 2013/33, né, in mancanza, di concedere loro sussidi economici o buoni di importo sufficiente a garantire loro condizioni di vita dignitose.

55. A tal riguardo, il giudice del rinvio indica, al contrario, che è pacifico che le autorità irlandesi disponevano, nei procedimenti principali, di risorse sufficienti per garantire la fornitura di condizioni materiali di accoglienza ai richiedenti protezione internazionale e che in Irlanda vi erano alloggi disponibili.

56. Ne consegue che i procedimenti principali non si riferiscono a una situazione in cui sia accertato che il verificarsi di un evento imprevedibile e ineluttabile avrebbe oggettivamente impedito ad uno Stato membro di fornire condizioni materiali di accoglienza in natura, eventualmente anche a titolo del regime derogatorio previsto all’articolo 18, paragrafo 9, della direttiva 2013/33, o sotto forma di sussidi economici o di buoni, secondo le modalità ricordate ai punti 40 e 41 della presente sentenza. Non risulta quindi necessario, al fine di consentire al giudice del rinvio di dirimere le controversie principali, stabilire se tale Stato membro possa, in una situazione del genere, addurre validamente il verificarsi di un caso di forza maggiore per sottrarsi alla sua responsabilità ai sensi del diritto dell’Unione.

57. Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alle questioni sollevate dichiarando che il diritto dell’Unione deve essere interpretato nel senso che uno Stato membro, che per varie settimane non abbia garantito l’accesso di un richiedente protezione internazionale alle condizioni materiali di accoglienza previste dalla direttiva 2013/33, non può sottrarsi alla sua responsabilità ai sensi del diritto dell’Unione invocando l’esaurimento temporaneo delle capacità di alloggio normalmente disponibili nel suo territorio per i richiedenti protezione internazionale, a causa di un afflusso di cittadini di paesi terzi richiedenti protezione temporanea o internazionale che, per il suo carattere ingente e improvviso, sarebbe stato imprevedibile e ineluttabile.

Sulle spese

58. Nei confronti delle parti nei procedimenti principali la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

P.Q.M.

Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara:

Il diritto dell’Unione deve essere interpretato nel senso che uno Stato membro, che per varie settimane non abbia garantito l’accesso di un richiedente protezione internazionale alle condizioni materiali di accoglienza previste dalla direttiva 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, non può sottrarsi alla sua responsabilità ai sensi del diritto dell’Unione invocando l’esaurimento temporaneo delle capacità di alloggio normalmente disponibili nel suo territorio per i richiedenti protezione internazionale, a causa di un afflusso di cittadini di paesi terzi richiedenti protezione temporanea o internazionale che, per il suo carattere ingente e improvviso, sarebbe stato imprevedibile e ineluttabile.

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