Sentenza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali (GU 2016, L 65, pag. 1), nonché dell’articolo 47, secondo comma, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»).
2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di un procedimento penale a carico di KP, al quale viene addebitato di aver detenuto e spacciato sostanze stupefacenti.
Contesto normativo
Diritto dell’Unione
3 I considerando 22 e 23 della direttiva 2016/343 così recitano:
«(22) L’onere della prova della colpevolezza di indagati e imputati incombe alla pubblica accusa e qualsiasi dubbio dovrebbe valere in favore dell’indagato o imputato. La presunzione di innocenza risulterebbe violata qualora l’onere della prova fosse trasferito dalla pubblica accusa alla difesa, fatti salvi eventuali poteri di accertamento dei fatti esercitati d’ufficio dal giudice, la sua indipendenza nel valutare la colpevolezza dell’indagato o imputato e il ricorso a presunzioni di fatto o di diritto riguardanti la responsabilità penale di un indagato o un imputato. Tali presunzioni dovrebbero essere confinate entro limiti ragionevoli, tenendo conto dell’importanza degli interessi in gioco e preservando i diritti della difesa, e i mezzi impiegati dovrebbero essere ragionevolmente proporzionati allo scopo legittimo perseguito. Le presunzioni dovrebbero essere confutabili e, in ogni caso, si dovrebbe farvi ricorso solo nel rispetto dei diritti della difesa.
(23) In diversi Stati membri, non solo la pubblica accusa ma anche i giudici e i tribunali competenti sono incaricati della ricerca delle prove a carico e a discarico. Gli Stati membri che non hanno un sistema accusatorio dovrebbero poter mantenere l’attuale sistema purché sia conforme alla presente direttiva e alle altre pertinenti norme del diritto dell’Unione e internazionale».
4 L’articolo 3 di tale direttiva, intitolato «Presunzione di innocenza» è così formulato:
«Gli Stati membri assicurano che agli indagati e imputati sia riconosciuta la presunzione di innocenza fino a quando non ne sia stata legalmente provata la colpevolezza».
5 L’articolo 6 di detta direttiva, intitolato «Onere della prova», così dispone:
«1. Gli Stati membri assicurano che l’onere di provare la colpevolezza degli indagati e imputati incomba alla pubblica accusa, fatti salvi l’eventuale obbligo per il giudice o il tribunale competente di ricercare le prove sia a carico sia a discarico e il diritto della difesa di produrre prove in conformità del diritto nazionale applicabile.
2. Gli Stati membri assicurano che ogni dubbio in merito alla colpevolezza sia valutato in favore dell’indagato o imputato, anche quando il giudice valuta se la persona in questione debba essere assolta».
Diritto bulgaro
6 Ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 1, del Nakazatelno-protsesualen kodeks (codice di procedura penale), nella versione applicabile al procedimento principale (in prosieguo: l’«NPK»):
«Il giudice adotta le proprie decisioni sulla base del proprio intimo convincimento (…)».
7 Ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 1, dell’NPK:
«A seguito del deposito da parte del pubblico ministero dell’atto di imputazione (…), il giudice assume la direzione del procedimento e statuisce su tutte le questioni della causa».
8 L’articolo 46 dell’NPK dispone quanto segue:
«(1) Il pubblico ministero avvia e sostiene l’accusa per i reati perseguiti d’ufficio.
(2) Nell’assolvere ai compiti di cui al paragrafo 1, il pubblico ministero:
(…)
3. partecipa al procedimento giudiziario nelle vesti della pubblica accusa».
(…)».
9 L’articolo 246 NPK così dispone:
«(1) Il pubblico ministero redige un atto di imputazione qualora sia persuaso della sussistenza delle prove necessarie per il deposito dell’accusa dinanzi al tribunale.
(2) La parte circostanziale dell’atto di imputazione contiene: il reato commesso dall’imputato.
(3) La parte dispositiva dell’atto di imputazione contiene: la qualificazione giuridica del fatto (…).
(…)».
10 L’articolo 293 dell’NPK è così formulato:
«La dichiarazione del pubblico ministero secondo la quale occorre porre termine al procedimento penale oppure deve essere pronunciata una sentenza di assoluzione non esonera il giudice dall’obbligo ad esso incombente di decidere sulla base del proprio intimo convincimento».
11 Ai sensi dell’articolo 301, paragrafo 1, dell’NPK:
«In sede di pronuncia della sentenza, il giudice valuta le seguenti questioni e decide sulle medesime:
1. Se sussista un reato, se sia stato commesso dall’imputato e se sia imputabile a quest’ultimo.
2. Se il fatto costituisca un reato e come debba essere qualificato sotto il profilo giuridico.
(…)».
Procedimento principale e questione pregiudiziale
12 La Sofiyska gradska prokuratura (procura della città di Sofia, Bulgaria) ha accusato KP di aver venduto a un terzo, il 21 maggio 2022, un sacchetto contenente 0,67 grammi di marijuana, e di aver detenuto in due luoghi diversi, a fini di spaccio, altri due sacchetti contenenti 1,61 grammi e 0,5 grammi di marijuana.
13 Nell’atto di imputazione, questi tre fatti sono stati qualificati da detta procura, sulla base dell’articolo 354a, paragrafo 1, del Nakazatelen kodeks (codice penale), come spaccio di sostanze stupefacenti quanto al primo fatto, e detenzione di sostanze stupefacenti a fini di spaccio quanto agli altri due fatti. Questi tre reati sono stati riuniti in un unico reato qualificato come «reiterato», previsto all’articolo 26, paragrafo 1, del codice penale, punito con una pena da due a otto anni di reclusione nonché con una sanzione pecuniaria 5 000 a 20 000 leva bulgari (BGN) (circa da EUR 2 500 a EUR 10 000).
14 Il Sofiyski gradski sad (Tribunale di Sofia, Bulgaria), al quale è stata sottoposta la causa e che è il giudice del rinvio, ha istruito la causa e ha sentito le parti in udienza nel rispetto, secondo tale giudice, del principio del contraddittorio e dei diritti della difesa. In tale contesto, KP ha dichiarato di aver detenuto i tre sacchetti di sostanze stupefacenti per uso personale e di non aver venduto tali prodotti.
15 Durante l’udienza, dopo la fase di raccolta delle prove, il pubblico ministero ha ritenuto che KP avesse detenuto i tre pacchetti di marijuana per uso personale. Pertanto, il pubblico ministero ha rinunciato a taluni elementi dell’accusa, vale a dire la vendita del primo sacchetto a un terzo e l’intenzione dello spaccio per gli altri due sacchetti. Di conseguenza, egli ha chiesto l’assoluzione dell’imputato per quanto riguarda tali elementi e la condanna di quest’ultimo per il reato previsto all’articolo 354a, paragrafo 3, del codice penale, vale a dire la detenzione di sostanze stupefacenti, punita con la reclusione da uno a sei anni e con la sanzione pecuniaria da BGN 2 000 a BGN 10 000 (circa da EUR 1 000 a EUR 5 000). L’avvocato di KP, da parte sua, ha chiesto l’assoluzione di quest’ultimo a causa delle violazioni di requisiti procedurali sostanziali che sarebbero state commesse durante la raccolta di prove nella fase preliminare del procedimento penale.
16 Il giudice del rinvio condivide la posizione del pubblico ministero per quanto riguarda il comportamento dell’imputato in relazione al secondo e al terzo sacchetto di marijuana, ma ritiene, sulla base della propria analisi delle prove raccolte, che il comportamento di KP in relazione al primo sacchetto corrisponda al reato previsto dall’articolo 354a, paragrafo 1, del codice penale, vale a dire lo spaccio di sostanze stupefacenti, dal momento che KP ha consegnato tale sacchetto a un terzo, dopo averlo acquistato di comune accordo e a spese condivise con tale persona. Pertanto, detto giudice ritiene che occorra pronunciare una condanna per tale reato.
17 Il giudice in parola spiega che la normativa bulgara, e più precisamente l’articolo 293 dell’NPK, consente una siffatta condanna, anche contro il parere del pubblico ministero espresso in udienza. Infatti il pubblico ministero esporrebbe, nell’atto di imputazione che adisce il giudice penale e che egli non potrebbe più ritirare, il contesto di fatto e di diritto di tale accusa in base al quale detto giudice deve pronunciarsi, senza potersene discostare pronunciandosi, in particolare, su fatti che non vi sono indicati. Il giudice penale dovrebbe quindi statuire sulla fondatezza dell’atto di imputazione secondo il suo intimo convincimento, senza essere vincolato dagli argomenti delle parti, eventualmente adottando d’ufficio tutte le misure necessarie per accertare i fatti menzionati in tale atto.
18 In questo contesto, il giudice del rinvio si chiede se l’articolo 6, paragrafo 1, prima frase, della direttiva 2016/343, ai sensi del quale «l’onere di provare la colpevolezza degli indagati e imputati incomb[e] alla pubblica accusa», obblighi il pubblico ministero non solo a produrre le prove a sostegno dell’accusa, ma anche ad indicare dinanzi al giudice che tale colpevolezza è stata provata. Infatti, secondo detto giudice, sarebbe dubbio che il pubblico ministero possa soddisfare l’onere della prova che gli incombe qualora non alleghi più, in udienza, che l’imputato è colpevole.
19 Detto giudice ritiene che, in tali circostanze, la prova della colpevolezza di siffatta persona provenga necessariamente dal giudice. Pertanto, esso si chiede se quest’ultimo possa ritenere di propria iniziativa, nell’ambito dell’esame d’ufficio degli elementi di prova cui si riferiscono l’articolo 6, paragrafo 1, seconda frase, nonché i considerando 22 e 23 della direttiva 2016/343, che tale colpevolezza sia stata dimostrata.
20 Peraltro, lo stesso giudice considera che è applicabile alla situazione di cui al procedimento principale, oltre a tale direttiva, la decisione quadro 2004/757/GAI del Consiglio, del 25 ottobre 2004, riguardante la fissazione di norme minime relative agli elementi costitutivi dei reati e alle sanzioni applicabili in materia di traffico illecito di stupefacenti (GU 2004, L 335, pag. 8), cosicché detta situazione rientra nell’ambito di applicazione della Carta definito all’articolo 51, paragrafo 1, di quest’ultima.
21 Di conseguenza, dal momento che devono essere soddisfatti i requisiti di un «giudice (…) imparziale», ai sensi dell’articolo 47, secondo comma, della Carta, il giudice del rinvio si chiede se possa essere considerato imparziale un giudice che, discostandosi dalla posizione comune del pubblico ministero e della difesa, dimostri da solo la colpevolezza dell’imputato, sostituendosi così al pubblico ministero per quanto riguarda taluni elementi dell’accusa.
22 A tal riguardo, il giudice del rinvio ritiene che la situazione di cui trattasi nel procedimento principale sia diversa da quella analizzata nella sentenza del 9 novembre 2023, BK (Riqualificazione del reato) (C-175/22, EU:C:2023:844, punti da 55 a 57), nella quale la Corte avrebbe ritenuto di essere in presenza di un giudice imparziale. Esso ricorda che, nel procedimento principale, il pubblico ministero ha chiaramente indicato di non sostenere più taluni elementi dell’accusa, compresi taluni elementi di fatto, mentre, nella causa sfociata in detta sentenza, oggetto di discussione era solo la riqualificazione dei fatti, in merito alla quale il pubblico ministero non aveva reso alcuna dichiarazione.
23 Infine, la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»), dovrebbe essere presa in considerazione a titolo sia del «diritto internazionale» menzionato al considerando 23 della direttiva 2016/343 sia dell’articolo 52, paragrafo 3, della Carta.
24 Orbene, la Corte europea dei diritti dell’uomo avrebbe statuito, nelle sue sentenze del 20 settembre 2016, Karelin c. Russia (CE:ECHR:2016:0920JUD000092608), e dell’8 ottobre 2019, Korneyeva c. Russia (CE:ECHR:2019:1008JUD007205117), che un tribunale non è imparziale quando il pubblico ministero è stato assente al dibattito nel corso del quale sono state esaminate nuove prove. In tale prima sentenza e in quella del 6 marzo 2018, Mikhaylova c. Ucraina (CE:ECHR:2018:0306JUD001064408), la Corte europea dei diritti dell’Uomo avrebbe altresì dichiarato che un tribunale non è imparziale quando pronuncia una sentenza di condanna in assenza del pubblico ministero, facendosi così carico dell’onere della prova della colpevolezza dell’imputato. Ne conseguirebbe che, a fortiori, un tribunale assume la funzione di sostegno dell’accusa quando condanna tale persona laddove il pubblico ministero, presente in udienza, ha rinunciato a taluni elementi dell’accusa.
25 Alla luce di tali circostanze, il Sofiyski gradski sad (Tribunale di Sofia) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
«Se l’articolo 6, paragrafo 1, in combinato disposto con i considerando 22 e 23 della direttiva [2016/343] e con l’articolo 47, paragrafo 2, della Carta, osti ad una legge nazionale ai sensi della quale la dichiarazione del pubblico ministero di non sostenere l’accusa non esonera il giudice dall’obbligo di statuire nel merito, cosicché esso pronuncia una condanna in relazione ad una parte dell’accusa non sostenuta».
Sulla questione pregiudiziale
26 Con la sua questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2016/343 e l’articolo 47, secondo comma, della Carta debbano essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale in forza della quale un giudice penale è tenuto a pronunciarsi sull’atto di imputazione secondo il suo intimo convincimento, laddove il pubblico ministero, dopo aver presentato in udienza le prove che consentono, secondo quest’ultimo giudice, di condannare l’imputato per i reati indicati in tale atto, chiede, per quanto riguarda alcuni dei fatti menzionati in detto atto, l’assoluzione di tale persona o la condanna di quest’ultima per un reato meno grave.
27 Occorre, in primo luogo, ricordare che la direttiva 2016/343 ha il solo scopo di stabilire norme minime comuni e non realizza quindi un’armonizzazione esaustiva del procedimento penale [sentenza dell’8 giugno 2023, VB (Informazione al condannato in contumacia), C-430/22 e C-468/22, EU:C:2023:458, punto 29 e giurisprudenza citata]. Stante la portata limitata dell’armonizzazione operata da detta direttiva, le questioni che non sono disciplinate da quest’ultima rientrano nel diritto nazionale [v., in tal senso, sentenza del 4 luglio 2024, FP e a. (Processo in videoconferenza), C-760/22, EU:C:2024:574, punto 28 e giurisprudenza citata].
28 L’articolo 6 di detta direttiva ha lo scopo di disciplinare la ripartizione dell’onere della prova al momento dell’adozione di decisioni giudiziarie sulla colpevolezza (v., in tal senso, sentenza del 28 novembre 2019, Spetsializirana prokuratura, C-653/19 PPU, EU:C:2019:1024, punto 33).
29 Ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, prima frase, della direttiva 2016/343, l’onere di provare la colpevolezza degli indagati e imputati incombe alla pubblica accusa. La Corte ha già dichiarato che l’articolo 6, paragrafo 1, di tale direttiva osta, come risulta dal considerando 22 di detta direttiva, a che l’onere di tale prova sia trasferito dalla pubblica accusa alla difesa [v., in tal senso, sentenza dell’8 dicembre 2022, HYA e a. (Impossibilità di esaminare testimoni a carico), C-348/21, EU:C:2022:965, punto 32].
30 Ne consegue che, in forza di tale articolo 6, paragrafo 1, prima frase, della direttiva 2016/343, la parte requirente deve raccogliere elementi di prova a sostegno dell’accusa e presentarli al giudice competente.
31 Come risulta dalla seconda frase dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2016/343, l’obbligo derivante dalla prima frase di tale paragrafo non pregiudica qualsiasi obbligo incombente al giudice o all’organo giurisdizionale competente di ricercare le prove sia a carico sia a discarico.
32 Inoltre, come risulta dal considerando 22 della direttiva 2016/343, la constatazione che la presunzione di innocenza sarebbe violata se l’onere della prova fosse trasferito dalla pubblica accusa alla difesa fa salvi eventuali poteri di accertamento dei fatti esercitati d’ufficio dal giudice, la sua indipendenza nel valutare la colpevolezza dell’indagato o imputato e il ricorso a presunzioni di fatto o di diritto riguardanti la responsabilità penale dell’indagato o imputato.
33 Ne consegue che l’obbligo gravante sulla pubblica accusa, conformemente all’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2016/343, di produrre la prova della colpevolezza dell’imputato non è idoneo ad impedire che una normativa nazionale possa prevedere che spetta al giudice o all’organo giurisdizionale competente valutare in modo indipendente la colpevolezza dell’imputato dopo aver, se del caso, ricercato essi stessi elementi di prova sia a carico sia a discarico.
34 Ciò vale a maggior ragione quando, come nel caso di specie, il giudice o l’organo giurisdizionale competente valutano la colpevolezza dell’imputato, a prescindere dalla valutazione formulata al riguardo dal pubblico ministero, sulla base dei soli elementi di prova presentati da quest’ultimo e dalla difesa.
35 Da quanto precede risulta che l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2016/343 non osta a una siffatta normativa nazionale, quand’anche il pubblico ministero, dopo aver presentato tali elementi di prova in udienza, chieda, per quanto riguarda alcuni dei fatti oggetto dell’atto di imputazione, l’assoluzione dell’imputato o la condanna di tale persona per un reato meno grave.
36 In secondo luogo, occorre ricordare che, conformemente all’articolo 51, paragrafo 1, della Carta, quando gli Stati membri attuano il diritto dell’Unione, essi devono rispettare i diritti garantiti da quest’ultima.
37 A tal riguardo, la Corte ha dichiarato che la presunzione di innocenza, cui fanno riferimento il considerando 22 e l’articolo 6 della direttiva 2016/343, presuppone che il giudice, quando esamina la responsabilità penale dell’accusato, sia immune da qualunque parzialità e pregiudizio. L’indipendenza e l’imparzialità dei giudici sono dunque condizioni essenziali affinché la presunzione di innocenza sia garantita (v., in tal senso, sentenza del 16 novembre 2021, Prokuratura Rejonowa w Minsku Mazowieckim e a., da C-748/19 a C-754/19, EU:C:2021:931, punto 88).
38 Il diritto di ogni individuo a che la sua causa sia esaminata da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge figura tra i requisiti inerenti al diritto fondamentale a un equo processo, garantito all’articolo 47, secondo comma, della Carta (v., in tal senso, sentenza del 29 luglio 2024, Breian (C-318/24 PPU, EU:C:2024:658, punto 80).
39 Occorre quindi stabilire se i requisiti di indipendenza e di imparzialità previsti all’articolo 47, secondo comma, della Carta ostino a una normativa nazionale che consente a un giudice penale, al termine del processo penale, di condannare un imputato per un reato contemplato dall’atto di imputazione, quand’anche il pubblico ministero, dopo aver presentato le prove raccolte, chieda l’assoluzione di tale persona, o la sua condanna per un reato meno grave.
40 Secondo una giurisprudenza costante, detto requisito di indipendenza implica due aspetti. Il primo aspetto, di carattere esterno, richiede che l’organo interessato eserciti le sue funzioni in piena autonomia, senza essere soggetto ad alcun vincolo gerarchico o di subordinazione nei confronti di alcuno e senza ricevere ordini o istruzioni da alcuna fonte, con la conseguenza di essere quindi tutelato dagli interventi o dalle pressioni esterni idonei a compromettere l’indipendenza di giudizio dei suoi membri e a influenzare le loro decisioni (sentenza del 19 dicembre 2024, Vivacom Bulgaria, C-369/23, EU:C:2024:1043, punto 30 e giurisprudenza citata).
41 Il secondo aspetto, di carattere interno, si ricollega alla nozione di «imparzialità» e concerne l’equidistanza dalle parti della controversia e dai loro rispettivi interessi riguardo all’oggetto di quest’ultima. Questo aspetto impone il rispetto dell’obiettività e l’assenza di qualsivoglia interesse nella soluzione da dare alla controversia all’infuori della stretta applicazione della norma giuridica (sentenza del 19 dicembre 2024, Vivacom Bulgaria, C-369/23, EU:C:2024:1043, punto 31 e giurisprudenza citata).
42 Pertanto, le garanzie di indipendenza e imparzialità richieste dal diritto dell’Unione implicano l’esistenza di disposizioni che consentano di fugare, nella mente dei singoli, qualsiasi legittimo dubbio, segnatamente, in merito alla neutralità dell’organo in questione rispetto agli interessi in conflitto (sentenza del 19 dicembre 2024, Vivacom Bulgaria, C-369/23, EU:C:2024:1043, punto 32 e giurisprudenza citata).
43 Orbene, non si può ritenere che una normativa nazionale che obbliga un giudice penale a pronunciarsi sull’atto di imputazione secondo il suo intimo convincimento, senza essere vincolato dalle valutazioni relative alla colpevolezza dell’imputato formulate dal pubblico ministero in udienza, sia contraria a tali requisiti. Infatti, una siffatta normativa, che mira a garantire che la legge penale sia pienamente applicata e che gli autori di reati siano puniti, non è tale da rimettere in discussione l’equidistanza di tale giudice dalle parti del procedimento e dai loro rispettivi interessi riguardo all’oggetto di quest’ultimo o da instillare un legittimo dubbio nei singoli al riguardo.
44 Occorre rilevare che, laddove la Carta preveda diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla CEDU, l’articolo 52, paragrafo 3, della Carta è inteso ad assicurare la necessaria coerenza tra i diritti contenuti in quest’ultima e i corrispondenti diritti garantiti dalla CEDU, senza che ciò pregiudichi l’autonomia del diritto dell’Unione. Secondo le spiegazioni relative alla Carta dei diritti fondamentali (GU 2007, C 303, pag. 17), l’articolo 47, secondo comma, della Carta corrisponde all’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU. La Corte deve, pertanto, sincerarsi che l’interpretazione da essa fornita nella presente causa assicuri un livello di protezione che non disattenda quello garantito all’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (sentenza del 19 dicembre 2024, Vivacom Bulgaria, C-369/23, EU:C:2024:1043, punto 28 e giurisprudenza citata).
45 La domanda di pronuncia pregiudiziale si riferisce alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo in forza della quale il requisito di imparzialità enucleato dall’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU osta a che un giudice penale sopporti l’onere di sostenere l’accusa pronunciando, se del caso dopo aver raccolto nuove prove su sua iniziativa, una sentenza di condanna quando il pubblico ministero è stato assente durante le udienze (Corte EDU, 20 settembre 2016, Karelin c. Russia, CE:ECHR:2016:0920JUD000092608, §§ 73 e 76, nonché Corte EDU, 6 marzo 2018, Mikhaylova c. Ucraina, CE:ECHR:2018:0306JUD001064408, § 64).
46 Tuttavia, tale giurisprudenza non è pertinente nella presente causa. Infatti, la questione pregiudiziale verte non già sulla raccolta, in udienza, di nuove prove su iniziativa dell’organo giurisdizionale giudicante in assenza del pubblico ministero o sullo svolgimento di un’udienza, sempre in assenza di quest’ultimo, circostanze sulle quali verte la suddetta giurisprudenza, bensì sull’obbligo di tale organo giurisdizionale di pronunciarsi sull’atto di imputazione secondo il suo intimo convincimento in una situazione in cui il pubblico ministero ha partecipato all’udienza, situazione la cui unica particolarità consiste nel fatto che il pubblico ministero, una volta raccolte tutte le prove, ha chiesto, per quanto riguarda alcuni dei fatti oggetto di tale atto di imputazione, l’assoluzione dell’imputato o la condanna di quest’ultimo per un reato meno grave.
47 Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alla questione sollevata dichiarando che l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2016/343 e l’articolo 47, secondo comma, della Carta devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale in forza della quale un giudice penale è tenuto a pronunciarsi sull’atto di imputazione secondo il suo intimo convincimento, sebbene il pubblico ministero, dopo aver presentato in udienza le prove che consentono, secondo tale giudice, di condannare l’imputato per i reati indicati in tale atto, chieda, per quanto riguarda alcuni dei fatti menzionati in detto atto, l’assoluzione di tale persona o la condanna di quest’ultima per un reato meno grave.
Sulle spese
48 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
P.Q.M
Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara:
L’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva (UE) 2016/343, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali, nonché l’articolo 47, secondo comma, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, devono essere interpretati nel senso che:
essi non ostano a una normativa nazionale in forza della quale un giudice penale è tenuto a pronunciarsi sull’atto di imputazione secondo il suo intimo convincimento, sebbene il pubblico ministero, dopo aver presentato in udienza le prove che consentono, secondo tale giudice, di condannare l’imputato per i reati indicati in tale atto, chieda, per quanto riguarda alcuni dei fatti menzionati in detto atto, l’assoluzione di tale persona o la condanna di quest’ultima per un reato meno grave.
