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Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sez. I, 06/05/2025, n. 52854/18

Massima

La coesistenza tra attività industriale e sviluppo residenziale impone allo Stato l’obbligo di proteggere efficacemente la vita privata e la salute dei cittadini, garantendo un bilanciamento di interessi che non tolleri un onere sproporzionato di inquinamento.

Supporto alla lettura

INQUINAMENTO AMBIENTALE E DIRITTI UMANI

Anche se non è menzionato tra i diritti fondamentali riconosciuti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), l’ambiente costituisce un valore fondamentale che la giurisprudenza delle Corte EDU riconosce come caratterizzante i singoli diritti, quali, in particolare, quello al domicilio e alla vita privata e familiare (art. 8) e quello alla vita (art. 2).

Tale mancanza si spiega con il fatto che l’approvazione della Convenzione risale agli anni Cinquanta dove, la consapevolezza della necessità di proteggere i diritti ambientali dell’uomo, non era ancora emersa nella coscienza collettiva. Consapevolezza poi maturata e che ha trovato riscontro, a livello di individuazione dei principi fondamentali del diritto eurounitario, nell’art. 37 della Carta europea dei diritti fondamentali (CDFUE), secondo cui: “un livello elevato di tutela dell’ambiente e il miglioramento della sua qualità devono essere integrati nelle politiche dell’Unione e garantiti conformemente al principio dello sviluppo sostenibile“.

Per cui il riconoscimento del valore ambientale è presente, all’interno del sistema dei diritti fondamentali garantiti dalla CEDU, in una duplice prospettiva:

  • il diritto alla vita, riconosciuto dall’art. 2, è stato ritenuto leso soltanto in occasioni eccezionali, in presenza di gravi eventi di disastro ambientale che avevano causato la morte di persone;
  • il diritto al domicilio e alla vita privata e familiare, garantito dall’art. 8, è stato caratterizzato da numerose decisioni della Corte EDU, in quanto la sua violazione rileva sotto vari profili, ma è importante evidenziare come la violazione dell’impegno degli Stati contraenti a tutelare questo e gli altri diritti non riguardi soltanto comportamenti riconducibili direttamente alle istituzioni pubbliche, ma anche quelli posti in essere da privati laddove risulti che essi sono stati resi possibili da ngeligenze od omissioni da parte dello Stato (inteso come “Stato-apparato”).

Ambito oggettivo di applicazione

STRASBURGO

6 maggio 2025

La presente sentenza diventerà definitiva alle condizioni stabilite dall’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.

Nella causa L.F. e altri c. Italia,

la Corte europea dei diritti dell’uomo (Prima Sezione), riunita in una Camera composta da:

(omissis),

visto il ricorso (n. 52854/18) presentato nei confronti della Repubblica italiana con il quale, in data 3 novembre 2018, 153 cittadini italiani (“i ricorrenti” – si veda l’appendice) hanno adito la Corte ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”);

vista la decisione di comunicare al Governo italiano (“il Governo”) le doglianze relative agli articoli 2, 8 e 13 della Convenzione e di dichiarare il ricorso irricevibile per il resto;

vista la decisione di non divulgare i nomi dei ricorrenti;

viste le osservazioni delle parti;

dopo avere deliberato in camera di consiglio in data 25 marzo 2025,

pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

INTRODUZIONE

1. La questione principale nel caso di specie è stabilire se le autorità non abbiano adottato misure di protezione al fine di minimizzare o eliminare gli effetti dell’inquinamento asseritamente causato dal continuo esercizio di una fonderia in prossimità delle abitazioni dei ricorrenti nel Comune di Salerno, in violazione dei loro diritti di cui agli articoli 2 e 8 della Convenzione.

IN FATTO

2. Gli estremi dei ricorrenti figurano nell’appendice. Essi sono stati rappresentati dall’avvocato A. Saccucci, del Foro di Roma.

3. Il Governo è stato rappresentato dal suo Agente, Sig. (omissis), Avvocato dello Stato.

4. I fatti della causa possono essere riassunti come segue.

I. LA FONDERIE PISANO & C. S.P.A.

5. La Fonderie Pisano (“la società”) gestisce una fonderia di seconda fusione di metalli ferrosi con una capacità produttiva pari a fino 300 tonnellate al giorno (“l’impianto” o “la fonderia”).

6. L’impianto, in funzione dal 1960, è ubicato nella zona nord del Comune di Salerno (Campania).

7. Nel piano regolatore generale del 1963, l’area fu classificata come industriale, con divieto di sviluppo residenziale.

8. Un piano urbanistico approvato in data 16 novembre 2006 (Piano Urbanistico Comunale – “il PUC del 2006”) ritenne l’impianto “assolutamente incompatibile” con il circostante contesto urbanizzato (come affermato nella relazione ambientale allegata al PUC del 2006) e classificò l’area come una zona di trasformazione a destinazione residenziale, subordinatamente alla delocalizzazione delle attività produttive e alla conservazione dei posti di lavoro.

9. Successivamente all’adozione del PUC del 2006, nonostante non fosse stato intrapreso alcun tentativo di delocalizzazione, iniziò lo sviluppo residenziale dell’area.

10. Secondo le ultime osservazioni dei ricorrenti, pervenute alla Corte in data 12 luglio 2024, l’impianto è ancora in funzione. Il Governo non ha contestato ciò.

II. LA SITUAZIONE DEI RICORRENTI E LO STUDIO EPIDEMIOLOGICO

11. I ricorrenti vivono nei Comuni di Salerno, Pellezzano e Baronissi (Campania), un’area situata nella Valle dell’Irno. Secondo la documentazione presentata da essi e non contestata dal Governo, essi risiedono tutti entro sei chilometri dall’impianto, a eccezione dei ricorrenti elencati nell’appendice con i numeri 23 e 67, che vivono notevolmente più lontano.

12. Nel 2016 un gruppo dei ricorrenti, insieme ad altri residenti, costituì un’associazione, Salute e Vita, che rappresentasse i loro interessi collettivi in materia di protezione ambientale e sanitaria. Gli altri ricorrenti aderirono in varie date. L’associazione prese diverse iniziative amministrative e giudiziarie per affrontare l’inquinamento ambientale derivante dall’impianto.

13. In data 28 gennaio 2017 sia la società che Salute e Vita firmarono un Protocollo d’intesa per collaborare con le autorità sanitarie nel biomonitoraggio della popolazione locale.

14. L’impatto delle emissioni dell’impianto sulla salute della popolazione locale fu oggetto di uno studio epidemiologico (Studio di Esposizione nella Popolazione Suscettibile – in prosieguo “studio SPES” o “studio epidemiologico”) svolto nel territorio della Regione Campania dalle autorità sanitarie locali e nazionali (tra cui l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno, l’Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori “G. Pascale” e l’Istituto Superiore di Sanità).

15. Come dichiarato nella relazione preliminare del 27 marzo 2018, lo studio SPES individuò due specifici cluster nel territorio dei comuni di Salerno, Pellezzano e Baronissi entro un raggio di tre chilometri dall’impianto (“Valle dell’Irno 1” e “Valle dell’Irno 2”).

16. Un gruppo di 400 residenti compresi nella fascia di età tra i 20 e i 49 anni (su circa 9.000) partecipò allo studio epidemiologico, tra cui i ricorrenti (omissis), (omissis), (omissis) e (omissis).

17. Nel 2021 la Regione Campania pubblicò la relazione finale (dell’aprile 2021) dello studio SPES, che collocava i cluster della Valle dell’Irno in un’area di medio impatto per pressione ambientale. Lo studio precisò che tali cluster erano compresi in una macro-area che presentava criticità dovute alla “presenza di impianti industriali che contribuivano in modo significativo alla diffusione di metalli pesanti e idrocarburi aromatici policiclici”.

18. L’analisi dei metalli pesanti nei campioni sierici prelevati a volontari nei cluster della Valle dell’Irno rivelò che i livelli medi sierici di mercurio erano circa cinque volte maggiori di quelli dell’intera popolazione valutata. I cluster della Valle dell’Irno erano associati anche a livelli più elevati di altri metalli pesanti, tra cui litio, cadmio, arsenico, cromo, antimonio e zinco, e a “una costante significatività statistica” di composti organici, vale a dire diossine e furani, DL-PCB (policlorobifenili diossina simili) e NDL-PCB (policlorobifenili non-diossina simili).

19. Lo studio SPES precisò inoltre che i dati ottenuti dalle analisi dei biomarcatori di esposizione erano stati confermati dalle analisi dei biomarcatori di effetto. In particolare, in aree di medio impatto come i cluster della Valle dell’Irno, lo studio epidemiologico aveva dimostrato “un interessante aumento nella segnalazione di estrogeni c di percorsi di ormoni tiroidei, nonché [nel percorso] di endocrino resistenza”. Tali risultati erano stati considerati compatibili con gli elevati livelli di composti organici rilevati nei cluster e avevano dimostrato un “arricchimento dei geni coinvolti nei percorsi metabolici e tumorali (…) nonché tumore del seno, tumore gastrico, tumore polmonare a piccole cellule e non, melanoma, ciclo cellulare e segnalazione di p53”.

20. L’impatto delle emissioni dell’impianto sull’ambiente e sulla salute della popolazione locale fu successivamente analizzato da periti nominati dalle autorità nazionali nell’ambito dei procedimenti penali (si vedano i paragrafi 77-87 infra).

III. LE MISURE E I PROCEDIMENTI AMMINISTRATIVI

A. Le autorizzazioni ambientali rilasciate prima del 2012

21. Negli anni 1998 e 1999 fu rilasciata alla società un’autorizzazione provvisoria per le emissioni in atmosfera (delibera della Regione Campania n. 9983 del 31 dicembre 1998) e un’autorizzazione per lo scarico di acque di dilavamento nel fiume Irno (delibera della provincia di Salerno n. 4529 del 29 aprile 1999). Fu avviata una procedura per il rilascio di un’autorizzazione definitiva per le emissioni in atmosfera, successivamente sospesa e mai ripresa. Nel 2008 la Provincia di Salerno rilasciò un’autorizzazione per lo scarico delle acque reflue nel fiume Irno (delibera n. 35 del 27 febbraio 2008). La validità e la portata di tali autorizzazioni furono contestate in diversi procedimenti penali (si vedano i paragrafi 57, 61 e 65 infra).

B. L’autorizzazione integrata ambientale del 26 luglio 2012

22. Con decreto n. 149 del 26 luglio 2012, la Regione Campania rilasciò un’Autorizzazione Integrata Ambientale (“l’AIA del 2012”), che comprendeva un piano di attività di monitoraggio periodico, le “migliori tecniche disponibili” applicabili (in prosieguo “BAT”) per l’esercizio dell’impianto e un elenco delle emissioni in atmosfera e in acqua autorizzate.

23. La validità dell’AIA del 2012 fu contestata in un procedimento penale (si veda il paragrafo 65 infra).

24. Su richiesta delle autorità giudiziarie, l’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Campania (“ARPAC”) svolse un’ispezione straordinaria. Nella sua relazione del 12 novembre 2015, constatò numerose gravi violazioni nella gestione dell’impianto, citando una “totale assenza delle misure richieste dalle BAT”, comprese quelle relative alla riduzione delle emissioni, in ordine alle quali era stato constatato che erano state “rilasciate nell’ambiente, recando molestie ai residenti nelle immediate vicinanze dell’impianto”. L’ARPAC segnalò anche la scarsa manutenzione dei sistemi di trattamento delle emissioni in atmosfera e l’assenza di azioni per fare fronte ai significativi eccessi di emissioni segnalati nei risultati delle attività di autocontrollo. L’ARPAC rilevò anche che l’AIA del 2012 era “caratterizzata da carenze e contraddizioni” e che le autorità amministrative non avevano “utilizzato la procedura dell’AIA per imporre alla società un notevole miglioramento delle prestazioni ambientali”.

25. In data 19 febbraio 2016 la Regione Campania sospese le attività dell’impianto, che ripresero in data 9 marzo 2016. Fu chiesto alla società di attuare diverse misure e attività di monitoraggio per minimizzare gli effetti dell’inquinamento sull’ambiente e sulla salute umana.

26. In data 26 aprile 2016 un’ulteriore relazione dell’ARPAC rivelò nuovamente violazioni della pertinente normativa in materia di tutela ambientale, tra cui il fatto che l’impianto aveva sversato illecitamente acque reflue nel fiume Irno, che presentavano emissioni di idrocarburi superiori ai limiti legali. In ordine alle emissioni in atmosfera, le analisi dell’ARPAC in data 12 e 19 aprile 2016 indicarono livelli di monossido di carbonio significativamente superiori ai limiti fissati dall’AIA del 2012, nonché la presenza di idrocarburi aromatici e non metanici.

27. In data 13 maggio 2016 l’ARPAC confermò i risultati delle summenzionate analisi, precisando che le analisi svolte verso la sorgente non indicavano alcun superamento dei limiti legali per l’inquinamento, mentre le analisi effettuate lungo la corrente e alla foce del fiume avevano rivelato livelli di cadmio, piombo, rame, stagno, zinco, e idrocarburi pesanti significativamente superiori ai valori limite. Le analisi avevano dimostrato anche il superamento dei limiti legali per il ferro e i solidi sospesi e che metalli come l’alluminio, il manganese e il piombo erano stati riscontrati in concentrazioni più elevate a valle rispetto che a monte dell’emissario.

28. Le attività dell’impianto furono nuovamente sospese e ripresero in data 13 giugno 2016, dopo che la società aveva adempiuto alle misure provvisorie prescritte delle autorità amministrative.

C. Il primo riesame dell’AIA del 2012

29. Sulla base delle conclusioni delle ispezioni dell’ARPAC, in data 24 marzo 2016 la Regione Campania stabilì che l’AIA del 2012 dovesse essere rivista. Ritenne, in particolare, che l’impianto dovesse essere sottoposto a un importante ammodernamento, comprese sostanziali modifiche strutturali e una riconsiderazione del suo impatto ambientale, data la sua ubicazione in una zona residenziale densamente popolata. La società impugnò la decisione del 24 marzo 2016 dinanzi al Tribunale amministrativo regionale della Campania, Sezione di Salerno (“TAR”) nella misura in cui subordinava il riesame dell’AIA del 2012 a una previa valutazione di impatto ambientale (Valutazione di impatto ambientale – “VIA”) integrata da una valutazione di incidenza (Valutazione di incidenza – “VI”). Salute e Vita si costituì nel procedimento.

30. La società presentò inoltre alla Regione Campania una domanda di riesame dell’AIA del 2012 basata su un progetto di ammodernamento della fonderia. Dopo una complessa procedura amministrativa, durante la quale la società presentò un secondo progetto di ammodernamento della fonderia e diverse integrazioni e osservazioni, la Regione Campania emise un parere negativo sull’impatto ambientale del secondo progetto (decreto n. 1 del 12 febbraio 2018), dispose la chiusura della procedura di riesame (decreto n. 2 del 20 febbraio 2018), revocò l’AIA del 2012 e dispose la cessazione delle attività dell’impianto, ritenendo la fonderia inadeguata a garantire elevati livelli di tutela ambientale (decreto n. 3 del 22 febbraio 2018). La società impugnò tali decisioni dinanzi al TAR, e Salute e Vita si costituì nuovamente nel procedimento.

31. In data 9 marzo 2018 la società presentò alla Regione Campania un terzo progetto di ammodernamento della fonderia. In risposta a una richiesta depositata dalla società durante il procedimento giudiziario pendente, il TAR emise un provvedimento, confermato dal Consiglio di Stato, di sospensione degli effetti delle decisioni della Regione Campania quale misura cautelativa. La Regione Campania riaprì conseguentemente la procedura di riesame per valutare il terzo progetto della società e continuò a controllare l’osservanza dell’AIA del 2012 da parte dell’impianto.

32. Dopo nuove ispezioni svolte dall’ARPAC tra il luglio e l’ottobre 2018, che segnalarono che vi era ancora un rischio di danno ambientale connesso alle violazioni delle BAT, la Regione Campania ingiunse alla società di osservare le condizioni indicate nell’AIA del 2012 e sospese le attività dell’impianto (decisione n. 621819 del 4 ottobre 2018). La società impugnò tale decisione dinanzi al TAR, il quale, quale misura cautelativa, ordinò alla Regione Campania di individuare le misure specifiche che la società avrebbe dovuto attuare per riprendere le attività.

33. In data 17 gennaio 2019, dopo che la società aveva adottato le misure organizzative transitorie per migliorare la prestazione ambientale dell’impianto, la Regione Campania la autorizzò a riprendere le attività.

34. Le ispezioni dell’ARPAC svolte nel luglio e nell’ottobre 2019 rilevarono che le misure transitorie erano state ampiamente osservate, in particolare perché l’impianto aveva ridotto gradualmente i suoi livelli di produzione per ridurre le emissioni, operando a una capacità inferiore. Inoltre, non erano stati superati i limiti di emissione autorizzati (relazione del 14 novembre 2019). L’ARPAC precisò, tuttavia, che “dato il contesto in cui era ubicato l’impianto, era ragionevole dedurre che anche se le emissioni rispettavano i limiti fissati per ciascun parametro, il loro ammontare complessivo non era marginale e contribuiva, insieme ad altre emissioni esistenti, a creare le condizioni che causavano le molestie segnalate nelle numerose denunce (per esempio odori e polveri)”.

35. Nell’ambito della valutazione del terzo progetto della società, la Regione Campania annunciò sul suo sito internet ufficiale la riapertura della procedura di riesame. Una copia del nuovo progetto fu resa disponibile al pubblico per trenta giorni presso il competente ufficio locale.

36. La Regione Campania decise che il Progetto dovesse essere soggetto a una VI (decisione n. 35439 del 17 gennaio 2019). La società e Salute e Vita impugnarono tale decisione dinanzi al TAR.

37. Con sentenza n. 2254 del 24 dicembre 2019, il TAR riunì i loro ricorsi e accolse in parte le doglianze sollevate dalla società. Osservò che la decisione della Regione Campania di riesaminare l’AIA del 2012 era legittima in quanto basata sulla relazione del 12 novembre 2015 mediante la quale l’ARPAC aveva ritenuto l’AIA del 2012 inadeguata a garantire un’effettiva tutela ambientale. Ritenne inoltre, tuttavia, che nell’avviare la procedura di riesame, la Regione Campania avesse deciso illegittimamente che qualsiasi progetto presentato dalla società a tal fine avrebbe dovuto essere sottoposto a una VIA integrata da una VI. Il TAR osservò, a tale riguardo, che ai sensi del quadro giuridico pertinente, il progetto avrebbe dovuto essere verificato per valutare se le modifiche dell’impianto esistente proposte avrebbero potuto comportare un significativo impatto ambientale negativo e, soltanto in caso affermativo, esso avrebbe dovuto essere sottoposto a una VIA integrata da una VI.

38. Il TAR precisò che, in ogni caso, l’oggetto della VIA e della VI non sarebbe stato l’impianto nella sua forma attuale, bensì l’impianto che sarebbe risultato a seguito delle modifiche proposte. In ordine ai possibili esiti della valutazione di compatibilità ambientale, il TAR ritenne che dovesse essere conseguito un punto di equilibrio tra gli interessi contrastanti della prosecuzione dell’attività commerciale e quelli della tutela ambientale. In particolare, le autorità amministrative erano chiamate a individuare le migliori soluzioni disponibili per attenuare l’impatto ambientale. Al medesimo tempo, le legittime aspettative della società impedivano alle autorità amministrative di imporre la delocalizzazione dell’impianto. Il TAR dichiarò anche che non poteva essere imposto alla società di rispettare i vincoli di tutela ambientale introdotti quando l’impianto già esisteva.

39. Riguardo al fatto che, successivamente alla creazione dell’impianto, l’area circostante fosse stata aperta allo sviluppo residenziale, il TAR ammise che “stupisca non poco” che “in un ordinamento giuridico moderno e complesso che prevedeva diversi strumenti giuridici per conciliare gli interessi contrastanti del bene produttivo e perseguire l’ordinato e armonioso sviluppo del territorio” abbia potuto effettivamente avere luogo l’urbanizzazione di un’area industriale.

40. Il TAR ribadì, tuttavia, che non poteva essere imposta alla società la delocalizzazione dell’impianto, in quanto la cosiddetta “opzione zero” (vale a dire la decisione di non realizzare un progetto) era disponibile solo per la valutazione di nuovi impianti da parte delle autorità amministrative. Aggiunse che, conseguentemente, un parere negativo sulla valutazione di compatibilità ambientale poteva essere legittimo soltanto se “proponeva, in modo chiaro, le soluzioni più idonee ad armonizzare l’impianto esistente con l’ambiente circostante”. Per tali motivi, il TAR annullò il parere negativo relativo all’impatto ambientale del secondo progetto (decreto n. 1 del 12 febbraio 2018) e ai connessi Decreti nn. 2 del 20 febbraio 2018 e 3 del 22 febbraio 2018 (si veda il paragrafo 30 supra).

41. In ordine alla valutazione del terzo progetto della società, il TAR rigettò le doglianze della società relative alla decisione della Regione Campania di sottoporre il progetto a una VI, ritenendo tale decisione legittimamente basata sulla valutazione che la fonderia, con una capacità produttiva pari a fino 300 tonnellate di materiale ferroso al giorno, avrebbe potuto incidere effettivamente sull’ecosistema dell’area protetta circostante il fiume Irno.

42. In ordine alle doglianze della società relative alle decisioni della Regione Campania di ordinarle di rispettare le condizioni indicate nell’AIA del 2012 e sospendere l’attività dell’impianto, il TAR annullò tali decisioni (si veda il paragrafo 32 supra) nella misura in cui esse non dichiaravano chiaramente le misure specifiche che la società doveva attuare per ripristinare l’attività dell’impianto.

D. Il riesame del 2020 dell’AIA del 2012

43. A seguito della sentenza del TAR n. 2254/2019 (si vedano i paragrafi 37-42 supra), la Regione Campania: i) espresse un parere favorevole sulla VI, subordinatamente alla modifica del terzo progetto per osservare alcuni requisiti tecnici (decreto del 16 gennaio 2020), e ii) richiese alla società di includere nel piano di monitoraggio delle attività le emissioni odorose (decisione del 25 febbraio 2020).

44. La Regione Campania ritenne che la società avesse apportato al progetto i necessari miglioramenti e, con decreto n. 85 del 20 aprile 2020, lo approvò e autorizzò il proseguimento delle attività dell’impianto per dodici anni. Il decreto n. 85/2020 comprendeva, inter alia, un programma dei lavori di ammodernamento, un piano delle attività di monitoraggio (Piano di Monitoraggio e Controllo – “PMeC”), le BAT applicabili e un elenco delle emissioni autorizzate in atmosfera e in acqua. Stabilì che il monitoraggio specifico delle acque freatiche e del suolo dovesse essere effettuato, rispettivamente, entro cinque e dieci anni dalla sua emissione. Precisò anche che, al completamento dei lavori di ammodernamento, l’AIA del 2012 sarebbe stata revocata e che, nel frattempo, si sarebbe applicato un periodo transitorio durante il quale l’impianto avrebbe dovuto funzionare nel rispetto del PMeC.

45. Successivamente all’emissione del decreto n. 85/2020, un ricorso presentato dalla Regione Campania avverso la sentenza del TAR n. 2254/2019 fu dichiarato inammissibile per carenza di interesse (sentenza n. 2669 del Consiglio di Stato del 30 marzo 2021).

46. Salute e Vita presentò un nuovo ricorso al TAR avverso il decreto n. 85/2020.

47. Con sentenza n. 157/2022, il TAR ritenne che le doglianze dell’associazione relative alle asserite carenze nel progetto di ammodernamento approvato per la fonderia fossero generiche, in quanto essa non aveva fornito prove sufficienti per contestare gli accertamenti tecnici svolti dalle autorità amministrative. Rigettò anche le doglianze dell’associazione relative alla conformità del progetto alle norme urbanistiche e al principio di precauzione.

48. Salute e Vita impugnò la sentenza n. 157/2022 del TAR dinanzi al Consiglio di Stato.

49. Con sentenza n. 9166 del 27 ottobre 2022, il Consiglio di Stato rigettò il ricorso. Con particolare riguardo allo studio SPES, dichiarò che le conclusioni non attribuivano specificamente al funzionamento dell’impianto i livelli di contaminazione nella Valle dell’Irno e i correlati rischi per la salute della popolazione locale. Non era pertanto possibile trarre da tale studio alcun argomento per censurare il fatto che il progetto non fosse stato sottoposto a una VIA. Inoltre, il Consiglio di Stato dichiarò che la VIA si applicava soltanto ai nuovi impianti, mentre il caso in esame concerneva interventi di minore importanza e, in particolare, un adeguamento tecnico che avrebbe dovuto comportare miglioramenti in termini di impatto ambientale. Il Consiglio di Stato rigettò il rilievo dell’associazione secondo il quale era necessario un progetto di ammodernamento più radicale per autorizzare l’esercizio dell’impianto, invocando le conclusioni delle autorità amministrative secondo le quali tale ammodernamento non era necessario. In ordine agli effetti dell’inquinamento derivante dalla fonderia, il Consiglio di Stato ritenne che non vi fossero prove che dimostravano che le sostanze inquinanti eccedevano palesemente i limiti legali e ritenne che l’ARPAC avrebbe continuato a monitorare la situazione. Il Consiglio di Stato si basò anche sul fatto che i dirigenti dell’impianto “erano stati sempre assolti dalle accuse relative a reati ambientali”. Osservò, tuttavia, che “si valutava la possibilità di delocalizzare la fonderia, dato che essa era attualmente ubicata in una zona residenziale, a differenza di quando era stata edificata”.

E. L’esercizio dell’impianto dopo il 2020

50. Le parti dissentivano sulla questione di sapere se le carenze ambientali nell’esercizio dell’impianto fossero state risolte successivamente all’emissione del decreto n. 85/2020.

51. Secondo il Governo, negli anni 2018-2021 l’impianto aveva operato a una capacità inferiore al fine di ridurre le emissioni e le ispezioni dell’ARPAC avevano dimostrato che non erano stati superati i limiti legali per le emissioni industriali. I ricorrenti contestano fermamente tale affermazione. I risultati delle ispezioni dell’ARPAC per il 2019 sono descritti in precedenza nella presente sentenza (si veda il paragrafo 34 supra).

52. Nella sua relazione del 7 agosto 2020 l’ARPAC segnalò che la società non aveva ancora iniziato i lavori necessari per realizzare il progetto approvato dal decreto n. 85/2020. Le ispezioni svolte nel giugno e nel luglio 2020 erano pertanto ancora finalizzate a verificare il rispetto delle prescrizioni e delle attività di monitoraggio previste per il periodo transitorio in attesa dell’ultimazione dei lavori di ammodernamento. L’ARPAC ritenne che l’impianto avesse ampiamente osservato tali misure e che le emissioni non avessero ecceduto i limiti autorizzati. L’ARPAC segnalò inoltre che, a scopo conoscitivo, aveva incluso il mercurio quale parametro nella verifica delle emissioni di un forno fusorio, nonostante il fatto che esso non fosse stato incluso nel PMeC o nelle BAT approvati dall’AIA del 2012. La relazione precisò che i risultati di tale verifica erano inaffidabili a causa dello sversamento accidentale del campione durante il trasporto e ritenne che dovessero essere svolte ulteriori verifiche in futuro.

53. Secondo il Governo, le ispezioni svolte nel maggio 2021 dimostravano che erano stati rispettati i limiti delle emissioni, a eccezione di quelli relativi al rumore.

54. In una relazione datata 18 luglio 2022 l’ARPAC dichiarò che, dopo numerose denunce da parte di residenti, le ispezioni svolte in data 1° luglio 2022 avevano confermato la presenza di emissioni fugaci maleodoranti e di fumo provenienti dall’area di carico del forno e visibili dall’autostrada. Tali emissioni, che non erano state originate da punti di emissione sottoposti ad attività di filtraggio o di monitoraggio, dimostravano che le BAT non erano state rispettate e che erano necessarie nuove misure organizzative per migliorare la prestazione ambientale. L’ARPAC segnalò anche che dal novembre 2021 all’aprile 2022 la società non aveva svolto attività di monitoraggio delle emissioni di cobalto. L’ARPAC ritenne che “in relazione alle numerose denunce relative alle emissioni di fumi, come confermato anche dall’ispezione del 1° luglio 2022, la società, tenuto conto anche della vetustà dell’impianto [e] dell’attuale ubicazione in un’area densamente urbanizzata, caratterizzata da una combinazione di edifici industriali e residenziali, opererà nel pieno rispetto delle autorizzazioni e porrà in essere ogni procedura o misura tecnica utile a evitare problematiche ambientali che possano avere ripercussioni sulla popolazione locale”.

55. In data 20 luglio 2022 la Regione Campania intimò alla società di sanare entro trenta giorni le carenze individuate nella relazione dell’ARPAC del 18 luglio 2022.

56. Dopo il provvedimento del 20 luglio 2022, i residenti e Salute e Vita continuarono a segnalare alle autorità nazionali emissioni e fumi maleodoranti provenienti dall’impianto, sostenendo che questi causavano alla popolazione locale bruciore agli occhi e alla gola.

IV. I PROCEDIMENTI PENALI

A. Il procedimento penale n. 7997/2004

57. Successivamente a segnalazioni del Nucleo per la tutela ambientale e la salute dei Carabinieri di Salerno e della Provincia di Salerno, nonché di denunce sporte dai residenti, tra cui il ricorrente (omissis), il rappresentante legale dell’impianto fu accusato di abbandono di rifiuti, sversamento di acque industriali nel fiume Irno senza la necessaria autorizzazione e in violazione dei limiti legali di emissione per piombo, rame e zinco, di sversamento delle acque reflue sul suolo e di emissioni non autorizzate di gas e polveri, che avevano interessato la popolazione locale.

58. In data 12 novembre 2004 il giudice per le indagini preliminari (“il GIP”) del Tribunale di Salerno accolse una richiesta del pubblico ministero di sequestro preventivo dell’impianto.

59. Con sentenza definitiva del 19 marzo 2007, il Tribunale di Salerno prese atto del patteggiamento con il quale il pubblico ministero e l’imputato avevano chiesto al giudice l’applicazione di una pena (applicazione della pena su richiesta delle parti) in relazione alle summenzionate accuse – relative all’inquinamento prodotto dall’impianto ancora in corso alla data della sentenza – e inflisse una sanzione pecuniaria pari a 6.375 euro (EUR).

B. Il procedimento penale n. 5449/2007

60. In data 19 aprile 2011 il GIP del Tribunale di Salerno accolse una nuova richiesta del pubblico ministero di sequestro preventivo dell’impianto.

61. In data 12 settembre 2013 il pubblico ministero di Salerno chiese il rinvio a giudizio dell’amministratore dell’impianto, inter alia, per emissioni in atmosfera non autorizzate di particolato a base di piombo e cadmio, composti organici e sostanze maleodoranti, che avevano avuto ripercussioni per la popolazione locale allarmandola per danni per la salute, imbrattando le loro abitazioni e peggiorando la qualità della loro vita.

62. Diversi residenti, tra cui i ricorrenti M.C., L.F., Y.G., si costituirono nel procedimento.

63. Con sentenza definitiva del 18 febbraio 2015, il Tribunale di Salerno prese atto del patteggiamento tra il pubblico ministero e l’imputato in relazione alle summenzionate accuse, relative a fatti che avevano avuto luogo fino al 7 maggio 2011 – e inflisse una sanzione pecuniaria pari a EUR 800.

C. Il procedimento penale n. 2191/2014

64. In data 5 luglio 2016 il GIP del Tribunale di Salerno accolse una nuova richiesta del pubblico ministero di sequestro preventivo dell’impianto. In data 15 maggio 2018 tale decisione fu revocata dal Tribunale di Salerno, l’organo giudiziario competente a riesaminare le misure cautelari (tribunale del riesame), a seguito del ricorso dei dirigenti della fonderia.

65. In data 14 giugno 2018 il pubblico ministero di Salerno accusò i dirigenti dell’impianto di: i) gestire la fonderia dal 1999 senza le necessarie autorizzazioni ambientali, ii) violazione della pertinente normativa in materia di protezione ambientale mediante lo scarico di acque reflue nel fiume Irno e la produzione di emissioni nell’atmosfera eccedenti i limiti legali, e iii) gestione e smaltimento illeciti di rifiuti speciali. Il pubblico ministero contestò anche i reati di falsità e abuso d’ufficio ai funzionari dell’ARPAC che avevano autorizzato l’esercizio dell’impianto mediante l’AIA del 2012.

66. Salute e Vita e un gruppo di residenti, tra cui diversi ricorrenti, si costituirono nel procedimento.

67. Con sentenza n. 391 del 6 novembre 2020, il Tribunale di Salerno assolse gli imputati da tutte le accuse a eccezione di quelle connesse al deposito incontrollato di rifiuti speciali. Ritenne che la fonderia avesse valide autorizzazioni ambientali (si veda il paragrafo 21 supra). In aggiunta, ritenne che l’urbanizzazione dell’area successivamente al PUC del 2006 e i vincoli ambientali introdotti successivamente alla creazione dell’impianto non potessero interferire con la sua attività, in quanto la fonderia era anteriore a tali modifiche. Pertanto, non erano state necessarie né una VIA né una VI per emettere l’AIA, in quanto tali strumenti erano applicabili soltanto a progetti relativi a nuovi impianti o a sostanziali modifiche di impianti esistenti. Sulla base di tali conclusioni, il tribunale assolse inoltre i funzionari dell’ARPAC dai reati di falso e abuso d’ufficio relativi all’emissione dell’AIA del 2012.

68. In ordine alle accuse di violazione della normativa in materia di tutela ambientale (dal 2013 al 2020), il tribunale chiarì che esse non dovevano essere valutate sulla base dell’asserita assenza delle necessarie autorizzazioni ambientali, bensì piuttosto soltanto nella misura in cui riguardavano asserite violazioni delle condizioni previste nell’AIA del 2012 o erano per se illegali. Con particolare riguardo all’inquinamento derivante dallo sversamento di acque reflue nel fiume Irno, il tribunale ritenne che le autorizzazioni rilasciate all’impianto comprendessero tale attività. In ordine al riscontro di eccessive sostanze inquinanti nelle emissioni in acqua e in atmosfera, il tribunale sottolineò che, nel procedimento penale, l’accusa doveva provare l’illegalità della condotta “oltre ogni ragionevole dubbio”, nel senso che eventuali incertezze tecniche o metodologiche avrebbero favorito l’imputato. Su tale base, il tribunale ritenne che la difesa avesse sollevato numerosi dubbi sulla metodologia utilizzata nelle relazioni dell’ARPAC. In particolare, le relazioni non avevano quantificato gli idrocarburi aromatici e non metanici, impedendo di trarre conclusioni circa l’eventuale superamento dei limiti legali. In ordine alla presenza di particolato atmosferico, il tribunale ritenne inaffidabili le attività di monitoraggio dell’ARPAC in quanto non avevano specificato i metodi tecnici utilizzati per tali attività, i cui risultati contrastavano con altre analisi svolte tra il 2016 e il 2018. In ordine alla presenza di emissioni maleodoranti, il tribunale ritenne che, all’epoca dei fatti, le emissioni odorose non fossero disciplinate da limiti legali quantitativi e dovessero pertanto essere valutare sulla base delle dichiarazioni testimoniali. Tuttavia, le numerose denunce presentate dai residenti non erano state sufficientemente documentate dai funzionari delle forze dell’ordine intervenuti nell’immediatezza dei fatti. Data l’assenza di dati tecnici incontrovertibili, il tribunale assolse i dirigenti dell’impianto perché il fatto non sussisteva. Il tribunale riscontrò soltanto prove sufficienti del deposito incontrollato di rifiuti speciali e conseguentemente condannò i dirigenti dell’impianto per tale imputazione.

69. A seguito dell’appello del pubblico ministero, la Corte di appello di Salerno, con sentenza definitiva dell’11 ottobre 2022 (n. 1386), confermò la sentenza del Tribunale di Salerno in relazione alle accuse di sversamento illecito di acque reflue e di emissioni in atmosfera. Dichiarò, inter alia, che i reati relativi ad asserite eccessive sostanze inquinanti nelle emissioni in acqua e in atmosfera erano prescritti. In aggiunta, rilevò che i risultati delle indagini dell’ARPAC, che avevano costituito la base delle accuse, erano inattendibili a causa di diverse carenze metodologiche e tecniche. In ordine all’accusa di gestione non autorizzata di rifiuti, la Corte di appello di Salerno archiviò il procedimento per prescrizione.

D. Il procedimento penale n. 9906/2016

1. La prima richiesta di archiviazione del procedimento

70. In data 15 ottobre 2016 fu avviato un nuovo procedimento penale nei confronti dei dirigenti dell’impianto.

71. In data 30 giugno 2017 i ricorrenti (omissis), (omissis), (omissis), (omissis), (omissis) e (omissis) presentarono una denuncia nei confronti degli indagati per omicidio colposo e lesioni personali colpose. Chiesero che le autorità nazionali valutassero l’esistenza di un nesso causale tra le varie patologie contratte da essi o da loro stretti congiunti e l’inquinamento ambientale proveniente dall’impianto.

72. Anche Salute e Vita si costituì nel procedimento e depositò un elenco di 215 persone che avevano contratto patologie che esse sostenevano fossero connesse all’esposizione all’inquinamento ambientale proveniente dall’impianto.

73. In data 23 luglio 2018 il pubblico ministero di Salerno chiese l’archiviazione del procedimento, citando una perizia che, dopo avere esaminato l’anamnesi di quarantuno persone – affette da gravi patologie respiratorie, del capo e del collo, poiché le altre patologie erano state considerate non connesse all’esposizione alle emissioni – concluse che tali patologie non fossero “incontrovertibilmente attribuibili all’inalazione di fumi e di particolato provenienti dall’impianto”, dato che la maggior parte dei pazienti erano o erano stati dei fumatori.

74. In data 13 giugno 2019 il GIP del Tribunale di Salerno rigettò la richiesta del pubblico ministero a seguito dell’opposizione delle parti lese. Osservò, inter alia, che il fascicolo conteneva prove dell’inquinamento proveniente dall’impianto sotto forma di particolato e di fumi, che rendevano necessari ulteriori accertamenti per valutare la gravità e la tossicità di tale inquinamento.

2. La richiesta di incidente probatorio

75. In data 19 settembre 2019 il pubblico ministero presentò una richiesta di incidente probatorio.

76. Con provvedimento del 29 ottobre 2019 il GIP del Tribunale di Salerno accolse la richiesta e, in data 13 novembre 2019, nominò dei periti per valutare l’esistenza di un nesso causale tra le patologie contratte da cinquanta persone – tra cui il ricorrente (omissis) e i congiunti dei ricorrenti (omissis), (omissis), (omissis), (omissis), (omissis), (omissis), (omissis), (omissis) e (omissis) – e l’inquinamento ambientale proveniente dall’impianto. I periti furono incaricati di: i) determinare quando erano iniziati i depositi di polveri provenienti dalla fonderia, se superavano i limiti di emissione e se erano pericolosi per la salute umana; ii) valutare se l’esposizione alle emissioni potesse avere causato o aggravato le patologie, anche in concomitanza con il fumo. Fu loro richiesto anche di: iii) definire la portata dell’inquinamento e il relativo arco temporale e iv) di svolgere uno studio epidemiologico per valutare le condizioni di salute delle persone residenti nell’area circostanze l’impianto e l’esistenza di un nesso causale tra qualsiasi tipo di patologia e le emissioni provenienti dall’impianto.

(a) La prima perizia

77. In una prima perizia medico-legale, datata 17 dicembre 2021, i periti nominati dal GIP del Tribunale di Salerno rilevarono che era “estremamente difficile ricondurre a posteriori la genesi delle neoplasie a un’unica, specifica causa”. Conseguentemente, essi potevano valutare l’esistenza di un eventuale nesso causale tra le patologie in questione e l’esposizione all’inquinamento “soltanto in termini di mera possibilità, concreta compatibilità e ragionevole certezza”. In particolare, esclusero del tutto tale nesso causale in sei casi; ritennero che vi fosse una mera possibilità di bassa incidenza causale in cinque casi (tra cui quelli del ricorrente (omissis) e dei congiunti dei ricorrenti (omissis)e (omissis)); una concreta compatibilità di un rilevante nesso causale in trentacinque casi (tra cui quelli dei congiunti dei ricorrenti (omissis), (omissis), (omissis), (omissis) e (omissis)); e una ragionevole certezza in quattro casi relativi alla penetrazione dell’amianto nell’apparato respiratorio (tra cui quelli dei congiunti dei ricorrenti (omissis) e (omissis)).

78. Nel corso di un’udienza in data 8 marzo 2022, i periti chiarirono che era impossibile stabilire “in termini di certezza e oltre ogni ragionevole dubbio” l’esistenza di un nesso causale tra il contesto ambientale e lo sviluppo di patologie neoplastiche, poiché la loro origine era multifattoriale. In ordine ai quattro casi correlati all’amianto, i periti spiegarono di non disporre di informazioni sufficienti per individuare quando e come i pazienti fossero stati esposti a tale sostanza.

(b) La seconda perizia

79. In una seconda perizia, datata 31 dicembre 2021, i periti nominati dal GIP del Tribunale di Salerno analizzarono l’impatto delle emissioni dell’impianto dal 2008. Riferirono che l’area circostante l’impianto era sottoposta a una “forte pressione ambientale” e che le aree residenziali erano “molto vicine alle fonti di emissione”. Dichiararono inoltre che la coesistenza della fonderia, delle arterie di traffico e delle cave rendeva difficile distinguere i loro singoli contributi alle emissioni. Tuttavia, mentre altri fonti contribuivano alle emissioni di polveri e di ossidi di azoto, le fonderie di seconda fusione come l’impianto producevano un tipico percorso di emissioni che comprendevano metalli pesanti, PCB (policlorobifenili), diossine, furani e IPA (idrocarburi aromatici policiclici). La perizia segnalò che, dal 2008, le ispezioni dell’impianto avevano costantemente rivelato numerose carenze relative agli scarichi idrici, alla gestione dei rifiuti e alle emissioni in atmosfera, una sostanziale mancanza di informazioni e di meccanismi di monitoraggio per le emissioni convogliate, e una scarsa supervisione delle materie prime. I miglioramenti tecnici apportati nel corso degli anni e i limiti di emissione più restrittivi stabiliti dal decreto n. 85/2020 avevano contribuito a migliorare il monitoraggio e la quantità di informazioni disponibili.

80. In ordine allo studio epidemiologico richiesto dal GIP del Tribunale di Salerno, la perizia ne analizzò i risultati e condusse uno studio di coorte osservazionale (in prosieguo “lo studio di coorte”) analizzando i dati dal 2011 al 2017 relativi all’esposizione dei residenti all’inquinamento da particolato e al suo legame con diverse patologie.

81. Sulla base di quanto sopra, la perizia concluse come segue:

L’area in esame è stata interessata da un continuo inquinamento da particolato contenente residui di combustione, inclusi metalli, fin dall’inizio dell’attività della fonderia. Sulla base della documentazione disponibile dopo il 2008, l’inquinamento da particolato ha superato i limiti legali di emissione. L’area interessata dall’inquinamento ambientale (…) è limitata ad alcuni chilometri intorno all’impianto. Nell’area circostante sono presenti altri fattori di pressione ambientale (traffico autostradale a sud-est e cave a nord-est). La composizione delle sostanze inquinanti [varia] significativamente [:] prodotti della combustione e delle lavorazioni industriali della fonderia, prodotti della combustione legati al traffico provenienti da freni e pneumatici e principalmente particolato inerte prodotto dalle cave. Le emissioni provenienti dai prodotti della combustione rappresentano un grave pericolo, come dimostrato da numerosi studi scientifici.

L’analisi dei dati di biomonitoraggio rivela una grave contaminazione da metalli proveniente da fonti industriali (tra cui cromo e nichel) e da processi di combustione nelle vicinanze dell’impianto e nel quadrante nord-occidentale. La presenza di PCB – che possono contribuire al carico corporeo principalmente per ingestione ma anche per inalazione – indica che la fonte di inquinamento è specifica e, all’epoca dello studio  SPES, era l’impianto.

È possibile escludere a tale proposito altre fonti, come l’autostrada (…) e le cave, in quanto esse sono responsabili principalmente di particolato inerte. È molto probabile che l’inquinamento riscontrato all’epoca dello studio SPES forse ancora più grave in passato.

L’inquinamento atmosferico da particolato (…) ha un nesso causale con l’aumento della mortalità e della morbilità, in particolare in relazione a patologie cardiovascolari, respiratorie e neurologiche e al tumore polmonare. Gli attuali limiti legali non proteggono la popolazione dagli effetti sulla salute.

I metalli riscontrati nel sangue degli abitanti dell’area circostante l’impianto (in particolare arsenico, cadmio, nichel, mercurio [e] manganese) sono altamente tossici per la salute umana, in particolare per quanto riguarda le patologie cardiovascolari e neurologiche e i tumori. Anche i NDL‑PCB sono tossici, in particolare per il fegato e la tiroide, nonché per il sistema immunitario, riproduttivo e metabolico.

Lo studio di coorte ha sottolineato un eccesso di mortalità per cause cardiovascolari sia negli uomini che nelle donne entro un raggio di quattro e sei chilometri dall’impianto. Inoltre, lo studio ha rivelato un eccesso di tumore polmonare nelle donne entro un raggio di quattro e sei chilometri dall’impianto e un eccesso di mortalità per patologie neurologiche negli uomini entro un raggio da uno a quattro chilometri dall’impianto. Ancora, riguardo agli uomini è stato constatato un eccesso di mortalità per collasso cardiaco entro un raggio di quattro chilometri dall’impianto. I risultati sono attendibili anche (…) se l’analisi [è limitata] all’area più urbanizzata. L’area nord-occidentale circostante l’impianto sembra essere più vulnerabile delle rimanenti in relazione alle patologie cardiovascolari.

82. Su tale base, la perizia affrontò i quesiti posti dal GIP del Tribunale di Salerno (si veda il paragrafo 76 supra). In ordine a: i) quando avevano avuto inizio i depositi di polveri provenienti dalla fonderia, se essi superavano i limiti di emissione e se erano pericolosi per la salute umana, essa rilevò quanto segue:

“(…) l’inquinamento nell’area circostante l’impianto è presumibilmente iniziato con l’avvio delle attività industriali ed è stato ridotto attraverso modifiche della produzione e misure preventive negli anni 1997 e 2016. Esso riguarda la contaminazione da polveri e altri inquinanti pericolosi per la salute umana. L’esposizione potrebbe avvenire per inalazione diretta, inalazione di materiale risospeso o ingestione di alimenti contaminati. L’esposizione a tali contaminanti aumenta il rischio di contrarre patologie cardiovascolari, respiratorie, neurologiche e tumori (tumore polmonare). Le polveri contengono anche metalli tossici per il sistema nervoso e immunitario. I NDL-PCB sono tossici per la salute umana e cancerogeni.”

83. In ordine alla questione: ii) di sapere se l’esposizione alle emissioni potesse avere causato o aggravato le patologie in questione, anche in concomitanza con il fumo, la perizia concluse quanto segue:

“(…) l’esposizione ai suddetti inquinanti può causare patologie indipendentemente dall’esposizione al fumo. In alcuni casi, l’esposizione al fumo può persino esacerbare gli effetti tossici. L’esistenza di una concomitante esposizione al fumo in un individuo affetto da una patologia (cardiovascolare o da tumore polmonare) non esclude la causalità ambientale, al contrario, il rischio potrebbe addirittura essere aumentato.”

84. In ordine alla richiesta: iii) di definire la portata dell’inquinamento e il relativo arco temporale, la perizia concluse:

“(…) non vi è motivo di ritenere che l’inquinamento ambientale in prossimità dell’impianto sia limitato nel tempo. È molto probabile che sia diminuito negli ultimi anni a causa del monitoraggio ambientale e dell’azione giudiziaria. Tuttavia, l’inquinamento prolungato e cronico cui è stata esposta la popolazione residente ha causato patologie e un aumento del tasso di mortalità per alcune cause di decesso.”

85. In ordine alla richiesta di: iv) di svolgere uno studio epidemiologico per valutare le condizioni di salute delle persone residenti nell’area circostanze l’impianto e l’esistenza di un nesso causale tra qualsiasi tipo di patologia e le emissioni provenienti dall’impianto, la perizia concluse:

“(…) [lo studio SPES e lo studio di coorte] dimostrano che la contaminazione da sostanze tossiche è stata continua e ha causato danni alla salute umana misurabili nell’eccesso di patologie cerebrovascolari, neurologiche e tumori segnalati nello studio di coorte.”

86. Nel corso di un’udienza in data 6 aprile 2022, uno dei periti che avevano firmato la perizia del 31 dicembre 2021 chiarì che, sulla base della documentazione disponibile, l’impatto delle emissioni dell’impianto poteva essere accertato in un’area entro due chilometri da esso, con un impatto più significativo nella parte nord-occidentale. Lo studio SPES aveva riscontrato livelli eccessivi di diversi metalli in individui residenti in un’area di due chilometri, che si estendeva fino a quattro chilometri, in particolare nella parte nord-occidentale. In ordine allo studio di coorte, il perito chiarì che i suoi risultati erano coerenti con i dati disponibili nella letteratura circa l’esistenza di un nesso causale tra diverse patologie e l’inquinamento da particolato e da biossido di azoto, e che mentre il livello di inquinamento era stato probabilmente ancora più elevato prima del 2008, i dati esistenti dimostravano con certezza che l’inquinamento si era verificato dal 2008 al 2016.

87. Alla fine dell’udienza, il GIP del Tribunale di Salerno rinviò la causa al pubblico ministero.

3. La seconda richiesta di archiviazione del procedimento

88. In data 8 gennaio 2024 il pubblico ministero di Salerno chiese l’archiviazione del procedimento. In ordine alle conclusioni della perizia del 17 dicembre 2021, il pubblico ministero, basandosi in particolare sulla deposizione dei periti in data 8 marzo 2022 (si veda il paragrafo 78 supra), ritenne che l’esistenza di un nesso causale tra le patologie in questione e l’inquinamento ambientale non fosse stata accertata “in termini di certezza e oltre ogni ragionevole dubbio”. In particolare, secondo il pubblico ministero, i periti avevano riscontrato “un elevato grado di probabilità” soltanto in relazione ai quattro casi relativi alla penetrazione dell’amianto nell’apparato respiratorio ma non erano stati in grado di individuare quando e come fosse avvenuta l’esposizione.

89. In ordine alle conclusioni della perizia del 31 dicembre 2021, il pubblico ministero ritenne che esse dovessero essere integrate dalle conclusioni del procedimento penale n. 2191/2014 nei confronti dei medesimi indagati, come definito con sentenza n. 1386/2022 della Corte di appello di Salerno (si veda il paragrafo 69 supra). Pertanto, vista, inter alia, “l’esistenza di una sentenza di assoluzione definitiva dai reati ambientali”, il pubblico ministero ritenne che le indagini preliminari non avessero fornito elementi sufficienti per prevedere ragionevolmente una condanna nei confronti degli indagati per i reati contestati.

90. In data 30 gennaio 2024 Salute e Vita presentò opposizione alla richiesta di archiviazione, unitamente a una perizia tecnica.

91. In data 7 maggio 2024 si svolse un’udienza dinanzi al GIP del Tribunale di Salerno.

92. Alla data delle ultime osservazioni dei ricorrenti, il GIP del Tribunale di Salerno non si era ancora pronunciato sulla seconda richiesta di archiviazione del procedimento.

IL QUADRO GIURIDICO PERTINENTE

I. IL QUADRO GIURIDICO INTERNO

93. L’articolo 844 del codice civile afferma che il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni moleste derivanti dal fondo del vicino se non superano la normale tollerabilità.

94. L’articolo 2043 del codice civile prevede che qualsiasi fatto illecito che cagiona ad altri un danno ingiusto obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno.

95. A norma dell’articolo 2050 del codice civile, chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un’attività pericolosa è tenuto al risarcimento se non prova di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno.

96. A norma dell’articolo 2059 del codice civile, il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge.

97. A norma dell’articolo 700 del codice di procedura civile, chi ha fondato motivo di temere che i suoi diritti siano minacciati da un pregiudizio imminente e irreparabile può chiedere con ricorso al giudice provvedimenti d’urgenza.

98. Gli articoli 309 e 310 del decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152 (decreto legislativo n. 152/2006) prevedono la possibilità di presentare denunce e osservazioni al Ministero dell’Ambiente in caso di violazione di norme ambientali.

99. L’articolo 39 del codice penale colloca i reati in due categorie: delitti e contravvenzioni.

100. La distinzione tra tali categorie si basa sulla diversa specie delle pene prevista dall’articolo 17 del codice penale. i delitti sono punibili con l’ergastolo, la reclusione e le multe, mentre le contravvenzioni sono punibili con l’arresto e le ammende. Tra le altre differenze previste dalla legge le contravvenzioni comportano bene più lievi: l’arresto non può eccedere i tre anni e le ammende non possono eccedere EUR 10.000. Le contravvenzioni hanno anche termini di prescrizione più brevi.

101. A norma dell’articolo 674 del codice penale, chi provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo è punito con l’arresto fino a un mese o con l’ammenda fino a 206 euro.

102. L’articolo 59 del decreto legislativo 11 maggio 1999 n. 152 (decreto legislativo n. 152/1999) ha introdotto diverse contravvenzioni, tra cui lo scarico non autorizzato di acque reflue industriali in violazione dei limiti di emissione legali. Il decreto legislativo n. 152/2006 ha abrogato il decreto legislativo n. 152/1999 e ha inserito tali reati nel suo articolo 137.

103. L’articolo 279 del decreto legislativo n. 152/2006 ha istituito diverse contravvenzioni relative all’esercizio di impianti industriali in violazione della normativa e delle autorizzazioni in materia di tutela ambientale, nonché alla produzione di emissioni in atmosfera superiori ai limiti ivi stabiliti.

104. Con legge 22 maggio 2015 n. 68, il legislatore ha stabilito specifici delitti per tutelare l’ambiente, tra cui l’inquinamento ambientale, il disastro ambientale, l’impedimento delle attività di controllo e l’omessa bonifica.

II. IL QUADRO GIURIDICO INTERNAZIONALE

105. Gli strumenti internazionali pertinenti sono sintetizzati nella sentenza Verein KlimaSeniorinnen Schweiz e altre c. Svizzera ([GC], n. 53600/20, §§ 144-47 e 194-97, 9 aprile 2024).

IN DIRITTO

I. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DEGLI articolI 2 E 8 DELLA CONVENZIONE

106. Invocando gli articoli 2 e 8 della Convenzione, i ricorrenti hanno sostenuto che, i) consentendo lo sviluppo residenziale nell’area circostante la fonderia, ii) non adottando un quadro normativo adeguato e iii) non adottando le misure necessarie per minimizzare o eliminare gli effetti dell’inquinamento proveniente dall’impianto, lo Stato aveva causato gravi danni all’ambiente, messo in pericolo le loro vite e la loro salute, e compromesso il loro benessere personale. Diversi ricorrenti hanno inoltre sostenuto che il rischio per la loro salute derivante dalle emissioni dell’impianto si era manifestato mediante specifiche patologie. I ricorrenti hanno inoltre lamentato che le autorità avevano omesso di informare le persone interessate dei rischi connessi alla vita nell’area circostante l’impianto e di coinvolgerle nel processo decisionale per autorizzarne l’esercizio.

107. La Corte ribadisce che l’articolo 2 non riguarda esclusivamente i decessi derivanti dall’uso della forza da parte di agenti dello Stato ma stabilisce anche, nella prima frase del suo primo paragrafo, un obbligo positivo per gli Stati di adottare misure appropriate per salvaguardare le vite delle persone sottoposte alla loro giurisdizione. Tale obbligo deve essere interpretato come applicabile nel contesto di qualsiasi attività, pubblica o meno, in cui possa essere in gioco il diritto alla vita, comprese le attività industriali, che possono rappresentare un rischio per la vita umana a causa della loro natura intrinsecamente pericolosa (si veda Öneryıldız c. Turchia [GC], n. 48939/99, § 71, CEDU 2004-XII).

108. La Corte osserva, tuttavia, che nella maggior parte delle cause ambientali che riguardavano un’unica, individuata e circoscritta fonte di inquinamento o attività che la causava, e in un’area geografica più o meno limitata, essa ha ritenuto superfluo esaminare la doglianza ai sensi dell’articolo 2 separatamente da quella ai sensi dell’articolo 8 (si vedano Guerra e altri, sopra citata, § 62; e, più recentemente, Locascia e altri c. Italia, n. 35648/10, § 86, 19 ottobre 2023, e Cordella e altri c. Italia, 54414/13 e 54264/15, §§ 93-94, 24 gennaio 2019). Essa non ravvisa alcun motivo per discostarsi da tale approccio nel caso di specie.

109. Conseguentemente, la Corte, essendo libera di qualificare giuridicamente i fatti della causa (si veda Guerra e altri, sopra citata, § 44), ritiene opportuno esaminare le doglianze dei ricorrenti sotto il profilo del diritto al rispetto della vita privata sancito nell’articolo 8, che recita come segue:

“1.  Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.

2.   Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.”

A. Sulla ricevibilità

1. Applicabilità dell’articolo 8

(a) Le osservazioni delle parti

( i) Il Governo

110. Il Governo ha contestato la qualità di vittima dei ricorrenti, sostenendo che le loro doglianze erano di natura generale e costituivano un’actio popularis. Ha sostenuto che i ricorrenti non avevano dimostrato e provato l’esistenza e la gravità di conseguenze negative che avevano inciso loro vita privata e sulla loro salute e non avevano dimostrato un nesso causale tra tali conseguenze e l’inquinamento ambientale derivante dall’impianto. Su tale base, ha sostenuto che i ricorrenti non potevano nemmeno affermare di essere potenziali vittime delle asserite violazioni e che, in ogni caso, il loro ricorso avrebbe dovuto essere dichiarato irricevibile in quanto manifestamente infondato.

(II) I ricorrenti

111. I ricorrenti hanno contestato le osservazioni del Governo, sostenendo di essere vittime dirette dell’asserita violazione dell’articolo 8, in quanto in conseguenza del mancato rispetto da parte dello Stato dei suoi obblighi positivi ai sensi di tale disposizione, essi avevano subito per decenni le conseguenze dell’inquinamento ambientale derivante dall’impianto, sotto forma di esposizione a emissioni pericolose, a un rischio più elevato di contrarre patologie e a un generale peggioramento della qualità della loro vita.

112. Hanno inoltre affermato che, in conseguenza dell’esercizio dell’impianto, avevano subito conseguenze negative per la loro vita privata, come dimostrato dalle conclusioni delle indagini dell’ARPAC, dai procedimenti penali e dalle decisioni amministrative. In ordine alle specifiche conseguenze per le loro vite e la loro salute, hanno invocato le conclusioni dello studio SPES e le perizie del 17 e 31 dicembre 2021. Tali studi avevano dimostrato non soltanto l’esistenza di un nesso diretto tra l’esposizione all’inquinamento e un aumento del livello di morbilità e di patologie, ma anche che il rischio per la salute derivante dalle emissioni dell’impianto si era manifestato sotto forma di patologie specifiche che avevano interessato diversi di essi e loro stretti congiunti (si veda il paragrafo 77 supra).

(b) La valutazione della Corte

113. La Corte osserva in primo luogo che, nel caso di specie, il Governo non ha contestato che i ricorrenti avessero vissuto per decenni in un’area interessata dalle emissioni dell’impianto (si raffronti e si contrapponga Locascia e altri, sopra citata, § 88). Essa osserva, tuttavia, che il grado di molestie causato dalla fonderia e gli effetti dell’inquinamento sui ricorrenti sono stati contestati dalle parti. Mentre i ricorrenti hanno insistito che l’inquinamento aveva danneggiato gravemente la loro vita privata, il Governo ha affermato che i ricorrenti non avevano subito alcun danno sufficientemente grave da sollevare una questione ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione.

114. Sulla base dei loro rilievi, la Corte ritiene che, nonostante il fatto che il Governo abbia invocato l’articolo 34 della Convenzione e abbia sostenuto che il ricorso era manifestamente infondato, la sua eccezione dovrebbe in realtà essere considerata rivolta all’applicabilità dell’articolo 8 e sarà conseguentemente esaminata sotto tale profilo.

115. La Corte ribadisce che, per rientrare nell’ambito di applicazione dell’articolo 8 della Convenzione, le doglianze relative alle molestie ambientali devono dimostrare in primo luogo che vi sia stata un’effettiva ingerenza nella sfera privata del ricorrente, e, in secondo luogo, che sia stato raggiunto un livello minimo di gravità; in altre parole, se l’asserito inquinamento fosse sufficientemente grave da incidere negativamente, in misura sufficiente, sulle vite familiari e private dei ricorrenti e sul loro godimento delle loro abitazioni (si vedano Fadeyeva c. Russia, n. 55723/00, § 70, CEDU 2005-IV (con ulteriori rinvii), e Çiçek e altri c. Turchia (dec.), n. 44837/07, §§ 29-30, 4 febbraio 2020). La valutazione di tale livello minimo è relativa e dipende da tutte le circostanze del caso, quali l’intensità e la durata della molestia e i suoi effetti fisici o mentali sulla salute o sulla qualità della vita dell’individuo (si veda Dubetska e altri c. Ucraina, n. 30499/03, § 105, 10 febbraio 2011, con ulteriori rinvii). Sebbene non vi sia alcun dubbio che l’inquinamento industriale possa influire negativamente sulla salute pubblica in generale e peggiorare la qualità della vita di un individuo, è spesso impossibile quantificarne gli effetti in ogni singolo caso. Per quanto riguarda il deterioramento della salute, per esempio, è difficile distinguere l’effetto dei rischi ambientali dall’influenza di altri fattori rilevanti, come l’età, la professione e lo stile di vita personale. La “qualità della vita”, a sua volta, è una caratteristica soggettiva che si presta difficilmente a una definizione precisa (si vedano Kotov e altri c. Russia, nn. 6142/18 e altri 12, § 101, 11 ottobre 2022, e Dubetska e altri, sopra citata, § 106).

116. In considerazione delle difficoltà probatorie solitamente presentate dalle cause riguardanti l’ambiente, la Corte ha tenuto conto particolarmente conto, sebbene non esclusivamente, delle conclusioni dei giudici nazionali e di altre autorità competenti nell’accertamento delle circostanze fattuali del caso, analizzando le disposizioni del diritto interno che determinano i livelli di inquinamento pericolosi e gli studi ambientali commissionati dalle autorità (ibid., § 107). Ha inoltre ritenuto di non potersi basare ciecamente sulle decisioni delle autorità interne, soprattutto quando sono palesemente incoerenti o si contraddicono tra loro. In tale situazione, essa deve valutare le prove nella loro interezza. Ulteriori fonti di prova da esaminare oltre ai resoconti personali degli eventi da parte del ricorrente, comprenderanno, per esempio, i suoi certificati medici e le relazioni, le dichiarazioni o gli studi pertinenti elaborati da enti privati (si vedano Kotov e altri, § 102, e Dubetska e altri, § 107, entrambe sopra citate).

117. La Corte ribadisce inoltre che, nel valutare le prove, il principio generale è stato quello di applicare il criterio della prova “oltre ogni ragionevole dubbio”. Tale prova può derivare dalla coesistenza di inferenze sufficientemente forti, chiare e concordanti o di analoghe presunzioni di fatto inconfutate. Deve essere inoltre osservato che la Corte ha sempre adottato la prassi di consentire elasticità a tale riguardo, tenendo conto della natura del diritto sostanziale in gioco e delle eventuali difficoltà probatorie coinvolte. In alcuni casi, soltanto il Governo convenuto ha accesso a informazioni in grado di corroborare o di confutare le affermazioni del ricorrente; conseguentemente, è impossibile un’applicazione rigorosa del principio affirmanti, non neganti, incumbit probatio (si veda Fadeyeva, sopra citata, § 79).

118. Passando ai fatti del caso di specie, la Corte osserva che un gruppo di ricorrenti ha lamentato che la loro salute era peggiorata a causa del fatto che vivevano in prossimità dell’impianto. Gli unici documenti medici presentati a sostegno di tale affermazione erano delle relazioni che non dimostravano alcun nesso causale tra l’inquinamento ambientale e le loro patologie. La Corte ritiene pertanto che, in ragione della mancanza di prove mediche, non si possa affermare che l’inquinamento proveniente dall’impianto abbia necessariamente danneggiato la salute dei ricorrenti. Essa valuterà pertanto se vivere in prossimità dell’impianto abbia reso i ricorrenti più vulnerabili a varie patologie o abbia influito sul loro benessere in modo tale da incidere negativamente sulla loro vita privata (si veda, per un ragionamento analogo, Locascia e altri, sopra citata, §§ 130-31).

119. I ricorrenti hanno sostenuto di essere stati esposti a un inquinamento prolungato e grave in violazione delle norme di sicurezza applicabili. La Corte osserva che diversi documenti ufficiali confermano che, dal 2004 (anno in cui è stato avviato il primo procedimento penale nei confronti dei dirigenti dell’impianto), la fonderia aveva prodotto emissioni illecite che avevano interessato la popolazione locale, e aveva operato con meccanismi di monitoraggio inadeguati e in violazione delle BAT (si veda, per esempio, l’esito dei procedimenti penali nn. 7997/2004 e 5449/2007, paragrafi 59 e 63 supra; le relazioni dell’ARPAC per gli anni 2015-2018 e 2022, paragrafi 24-28, 32 e 54 supra; e la perizia del 31 dicembre 2021, paragrafi 79‑85 supra).

120. La Corte osserva, d’altra parte, che nel procedimento penale 2191/2014 (si vedano i paragrafi 67-69 supra) i dirigenti dell’impianto erano stati assolti dalle accuse di emissioni illecite di sostanze inquinanti per gli anni 2013-2020 in quanto i fatti non sussistevano (procedimento penale n. 2191/2014; si vedano i paragrafi 68-69 supra). La Corte osserva che tale esito è stato il risultato dell’applicazione di un criterio probatorio penale e non è determinante in ordine al differente fine dell’accertamento dell’esistenza di un’ingerenza nei diritti di cui all’articolo 8. Inoltre, un fattore decisivo nel ragionamento del tribunale penale è stato il fatto che i risultati delle indagini dell’ARPAC sulle emissioni inquinanti erano inaffidabili, in quanto viziati da diverse carenze metodologiche e tecniche che hanno giocato a favore degli imputati. La Corte ritiene che le carenze nelle indagini dell’ARPAC sui livelli delle emissioni non pregiudicheranno necessariamente la capacità dei ricorrenti di provare l’esistenza di un’ingerenza nei loro diritti di cui all’articolo 8 e che le prove a tale riguardo possano derivare dalla coesistenza di inferenze sufficientemente forti, chiare e concordanti o di analoghe presunzioni di fatto inconfutate.

121. La Corte osserva che lo studio SPES (si veda il paragrafo 18 supra) ha rilevato livelli più elevati di diversi metalli pesanti nei campioni sierici prelevati a volontari nei cluster della Valle dell’Irno, tra cui livelli di mercurio circa cinque volte superiori a quelli dell’intera popolazione valutata. Tali conclusioni sono state confermate dai risultati delle analisi dei biomarcatori di effetto, che hanno misurato effetti statisticamente significativi sull’organismo dei volontari compatibili con l’esposizione a diversi tipi di sostanze inquinanti e collegati a diversi percorsi di patologie (si vedano i paragrafi 18 e 19 supra). Sebbene la Corte osservi che, secondo la sentenza n. 9166/2022 del Consiglio di Stato, lo studio SPES non aveva specificamente attribuito all’impianto la summenzionata contaminazione e i relativi rischi per la salute della popolazione locale (si veda il paragrafo 49 supra), non si può ignorare che i cluster della Valle dell’Irno erano l’obiettivo specifico di una valutazione dell’impatto della fonderia sulle persone che vivevano nell’area circostante. Ciò è stato dichiarato nel Protocollo d’intesa del 28 gennaio 2017 (si veda il paragrafo 13 supra) ed è stato confermato nella relazione preliminare dello studio, che ha definito i cluster entro un raggio di tre chilometri dall’impianto (si veda il paragrafo 15 supra), e successivamente nelle conclusioni dello studio SPES (a pagina 116), in cui la fonderia era l’unico impianto industriale ubicato nella Valle dell’Irno specificamente menzionato. In assenza di spiegazioni alternative da parte delle autorità nazionali in merito ai risultati del biomonitoraggio della popolazione residente in prossimità dell’impianto, la Corte ritiene che dallo studio SPES si possa dedurre che gli effetti dell’esposizione della popolazione all’inquinamento ambientale indicati in esso derivassero, almeno in una certa misura, dall’attività della fonderia. Nel pervenire a tale conclusione, la Corte rinvia anche alla relazione del 31 dicembre 2021, redatta da periti nominati dall’autorità giudiziaria, i cui risultati non sono stati contestati dal Governo. Tale relazione ha chiarito che, sebbene fossero presenti altri fattori di pressione ambientale in prossimità dell’impianto, come il traffico e le cave, era possibile distinguere la composizione delle sostanze inquinanti specificamente connesse alle attività di combustione e di lavorazione industriale della fonderia (si vedano i paragrafi 79, 81, 86 supra). La Corte ritiene pertanto che l’esercizio dell’impianto abbia costituito un’effettiva ingerenza nella sfera privata dei ricorrenti.

122. Nel decidere se il danno (o il rischio di danno) subito dai ricorrenti nel caso di specie fosse tale da comportare le garanzie dell’articolo 8, la Corte tiene anche conto del fatto che, già nel 2006, le autorità comunali avevano segnalato che l’impianto era “assolutamente incompatibile” con il contesto urbano in cui era ubicato e ne avevano considerato la delocalizzazione come condizione per la trasformazione dell’area a uso residenziale. La Corte ritiene che, nonostante la società potesse legittimamente aspettarsi di continuare le proprie attività produttive nello stesso luogo in cui operava dal 1960, e nonostante il fatto che i ricorrenti si fossero stabiliti volontariamente nell’area e fossero a conoscenza del fatto che l’impianto era in funzione da decenni, è possibile che all’epoca essi non fossero stati in grado di effettuare una scelta consapevole e che possano avere legittimamente fatto affidamento sull’aspettativa che la delocalizzazione sarebbe stata effettivamente effettuata come previsto nel PUC del 2006. La Corte osserva, a tale riguardo, che il Governo non ha contestato la legittimità dell’insediamento dei ricorrenti nell’area ai sensi della pertinente normativa urbanistica, né ha sostenuto che le autorità nazionali avessero in alcun modo dissuaso da tale insediamento. Non si può pertanto sostenere che i ricorrenti stessi avessero creato la situazione lamentata o ne fossero stati in qualche modo responsabili (si veda, mutatis mutandis, Jugheli e altri c. Georgia, n. 38342/05, § 72, 13 luglio 2017).

123. In ordine al livello di gravità raggiunto, la Corte osserva che la perizia del 31 dicembre 2021 aveva ritenuto che le sostanze riscontrate nei corpi dei residenti in prossimità dell’impianto fossero particolarmente tossiche per la salute umana (si veda il paragrafo 81 supra) e che lo studio di coorte aveva rivelato che il rischio di mortalità associato a diverse patologie legate all’inquinamento ambientale era più elevato in un’area compresa in un raggio da quattro a sei chilometri dall’impianto che nella popolazione non esposta (si vedano i paragrafi 81 e 85 supra).

124. Sulla base di quanto sopra, la Corte ritiene che la forte combinazione di prove indirette e presunzioni permetta di concludere che l’esposizione all’inquinamento aveva reso i ricorrenti che vivono nel raggio di sei chilometri dall’impianto più vulnerabili a varie patologie. Inoltre, non può esservi alcun dubbio che ciò avesse influito negativamente sulla qualità della loro vita. La Corte ammette pertanto che l’ingerenza nella loro vita privata avesse raggiunto un livello di gravità sufficiente a farli rientrare nel campo di applicazione dell’articolo 8 della Convenzione.

125. In ordine ai ricorrenti che vivono a una distanza significativamente superiore a sei chilometri dall’impianto (elencati nell’appendice con i nn. 23 e 67), la Corte osserva che essi non hanno presentato prove sufficienti a dimostrare che l’ingerenza nella loro vita privata abbia raggiunto un livello sufficiente a farli rientrare nel campo di applicazione dell’articolo 8.

126. La Corte accoglie pertanto l’eccezione del Governo in relazione a tali ricorrenti e la rigetta in relazione agli altri. Ogni riferimento ai “ricorrenti” nel resto della presente sentenza deve essere inteso come riferito ai rimanenti ricorrenti.

127. Conseguentemente, in ordine ai ricorrenti elencati con i nn. 23 e 67, la presente doglianza è incompatibile ratione materiae con le disposizioni della Convenzione ai sensi dell’articolo 35 § 3, lettera a) e deve essere rigettata in applicazione dell’articolo 35 § 4.

2. Il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne e l’osservanza della regola del termine semestrale

(a) Le osservazioni delle parti

(i) Il Governo

128. Il Governo ha sostenuto che i ricorrenti non avevano esaurito le vie di ricorso interne.

129. In primo luogo, invocando gli articoli 844, 2043, 2050 e 2059 del codice civile (si vedano i paragrafi 93-96 supra), ha sostenuto che i ricorrenti avrebbero potuto intentare un’azione nei confronti della fonderia, chiedendo ai tribunali civili di disporre la cessazione delle emissioni nocive e il risarcimento dei danni. Ha inoltre sostenuto che i ricorrenti avrebbero potuto anche presentare una richiesta di provvedimento d’urgenza ai sensi dell’articolo 700 del codice di procedura civile (si veda il paragrafo 97 supra) o intentare un’azione collettiva nei confronti delle autorità pubbliche ai sensi del decreto legislativo 20 dicembre 2009 n. 198.

130. Il Governo ha inoltre sostenuto che i ricorrenti avrebbero potuto presentare una denuncia (inter alia, per inquinamento ambientale o disastro ambientale ai sensi degli articoli 452-bis o 452-quater del codice penale, rispettivamente) e successivamente costituirsi nel procedimento quali parti civili.

131. Il Governo ha inoltre sostenuto che, ai sensi degli articoli 309 e 310 del decreto legislativo n. 152/2006 (si veda il paragrafo 98 supra), i ricorrenti avrebbero potuto presentare una denuncia al Ministero dell’Ambiente.

132. Inoltre, il Governo ha sostenuto che le persone e gli organi che rappresentavano i loro interessi potevano adire i tribunali amministrativi per contestare gli atti amministrativi relativi all’esercizio dell’attività industriale. Ha affermato che si trattava di un rimedio universalmente accessibile ed efficace, che consentiva alle persone di influenzare gli atti amministrativi per proteggere il loro diritto alla salute e a vivere in un ambiente sano.

133. Il Governo ha ribadito che, se i ricorrenti avessero ritenuto che non vi fosse alcun ricorso effettivo, avrebbero dovuto presentare il loro ricorso entro sei mesi dalla data dei fatti o delle misure lamentati. Invece, essi avevano vissuto per decenni nelle zone interessate dalle emissioni della fonderia prima di adire la Corte con il loro ricorso.

(ii) I ricorrenti

134. I ricorrenti hanno sostenuto che i rimedi civili e l’azione collettiva menzionati dal Governo non erano in grado di affrontare il merito delle relative doglianze ai sensi della Convenzione e di fornire un risarcimento adeguato. Inoltre, non avevano alcuna reale prospettiva di successo, come dimostrato dal fatto che, nelle sue osservazioni alla Corte, il Governo non aveva fornito alcun esempio di giurisprudenza nazionale pertinente che disponesse misure volte a limitare le emissioni inquinanti e imponesse una bonifica ambientale.

135. In ordine ai rimedi penali, i ricorrenti hanno sostenuto di avere presentato diverse denunce alle autorità nazionali, che si erano dimostrate tutte inefficaci a impedire che l’impianto operasse in violazione della pertinente normativa in materia di tutela ambientale. Inoltre, la costituzione di parte civile nel procedimento penale avrebbe potuto teoricamente comportare un risarcimento, ma non avrebbe tutelato la loro salute e la loro vita privata dagli effetti nocivi dell’inquinamento ambientale.

136. In ordine ai rimedi amministrativi, i ricorrenti hanno sottolineato di avere contestato infruttuosamente, tramite l’associazione Salute e Vita (si veda il paragrafo 12 supra), la legittimità degli atti amministrativi relativi all’esercizio dell’impianto. Avevano pertanto esperito normalmente i rimedi a loro disposizione, finalizzati a contestare i medesimi fatti lamentati dinanzi alla Corte.

137. In ordine agli articoli 309 e 310 del decreto legislativo n. 152/2006, i ricorrenti hanno sostenuto che, ai sensi di tali disposizioni, le autorità nazionali erano soltanto tenute a rispondere a una richiesta di misure di precauzione, di prevenzione o di contenimento del danno ambientale, fermo restando che esse rimanevano libere di accettare o di respingere la richiesta. Hanno inoltre sostenuto che il Governo non aveva fornito alcun esempio di giurisprudenza interna pertinente che aveva comportato l’emissione di misure di tutela ambientale o sanitaria.

138. In ordine all’osservanza della regola del termine semestrale, i ricorrenti hanno sostenuto che le violazioni lamentate costituivano una situazione continuativa che non era ancora cessata. A loro avviso, pertanto, il termine semestrale non aveva ancora iniziato a decorrere.

(b) La valutazione della Corte

139. La Corte osserva che i principi generali relativi all’esaurimento delle vie di ricorso interne sono stati ribaditi nelle sentenze Vučković e altri c. Serbia ((eccezione preliminare) [GC], nn. 17153/11 e altri 29, §§ 69‑77, 25 marzo 2014) e Communauté genevoise d’action syndicale (CGAS) c. Svizzera ([GC], n. 21881/20, §138-44, 27 novembre 2023).

140. Essa osserva inoltre che in termini di onere della prova, spetta al Governo che afferma il mancato esaurimento dimostrare alla Corte che il ricorso fosse effettivo, disponibile in teoria in pratica al momento pertinente. Una volta soddisfatto tale onere, il ricorrente deve dimostrare che il ricorso indicato dal Governo sia stato effettivamente esaurito o era per qualche motivo inadeguato e inefficace nelle particolari circostanze del caso, o che esistevano circostanze particolari che lo esoneravano da tale obbligo (si vedano Vučković e altri, § 77, e Communauté genevoise d’action syndicale (CGAS), 143, entrambe sopra citate).

141. È altresì consolidato che l’articolo 35 § 1 debba essere applicato con un certo grado di elasticità e senza eccessivo formalismo. La regola dell’esaurimento delle vie di ricorso interne non è assoluta, né applicabile automaticamente; nel verificare se la regola sia stata rispettata, è essenziale tenere conto delle circostanze specifiche del singolo caso (, §140).

142. Il Governo ha sostenuto che un ricorso dinanzi ai tribunali amministrativi per contestare atti amministrativi relativi all’esercizio dell’attività industriale costituiva un ricorso effettivo disponibile anche per gli organismi che rappresentano interessi collettivi. Sebbene i ricorrenti non abbiano esperito tale rimedio individualmente, la Corte ritiene che ciò non significhi necessariamente che essi non abbiano esaurito le vie di ricorso interne. Ciò che importa in tale contesto è che la doglianza o le doglianze relative a un’asserita violazione della Convenzione che i ricorrenti intendono sottoporre alla Corte siano state precedentemente presentate alle autorità nazionali. La Corte osserva che Salute e Vita, l’associazione della quale i ricorrenti erano soci e che essi avevano costituito al fine specifico di difendere i loro interessi, ha contestato dinanzi ai tribunali amministrativi gli atti amministrativi che consentivano all’impianto di continuare a funzionare (si raffrontino Thibaut c. Francia (dec.), n. 41892/19 e 41893/19, §26-30, 14 giugno 2022; e Gorraiz Lizarraga e altri c. Spagna, n. 62543/00, § 38, CEDU 2004-III). Ha lamentato, in particolare, l’incompatibilità delle attività industriali con l’ubicazione dell’impianto in un’area residenziale densamente popolata e che le autorità amministrative non avessero adottato misure sufficienti per minimizzare o eliminare gli effetti dell’inquinamento proveniente dall’impianto. Sia il TAR che il Consiglio di Stato hanno riconosciuto la legittimazione ad agire dell’associazione per difendere gli interessi dei residenti rappresentati da essa contro l’esercizio dell’impianto. Le decisioni definitive di rigetto dei ricorsi sono state adottate dal Consiglio di Stato in data 30 marzo 2021 e 27 ottobre 2022 (si veda il paragrafo 49 supra), successivamente al deposito del loro ricorso da parte dei ricorrenti, ma prima che ne fosse stata determinata la ricevibilità.

143. La Corte accoglie pertanto il rilievo dei ricorrenti secondo il quale essi avrebbero esaurito uno dei ricorsi amministrativi suggeriti dal Governo tramite l’associazione costituita da essi per difendere i loro interessi (si veda il paragrafo 12 supra). Nel pervenire a tale conclusione, essa ribadisce che, nell’odierna società civile, le associazioni svolgono un ruolo importante, in particolare nel settore della tutela ambientale, e che il ricorso a strutture collettive quali le associazioni è talvolta l’unico mezzo a disposizione degli individui per difendere efficacemente le proprie cause. Ciò avviene particolarmente nel settore ambientale, nel quale gli individui possono trovarsi di fronte a questioni complesse che non sono in grado di risolvere da soli (si veda Verein KlimaSeniorinnen Schweiz e altre, sopra citata, § 602).

144. Secondo il Governo, i ricorrenti avrebbero anche potuto chiedere protezione contro l’inquinamento ambientale dinanzi ai tribunali penali. La Corte ribadisce che qualora vi siano diversi ricorsi che un individuo può esperire, tale persona ha il diritto di scegliere, al fine di adempiere all’obbligo dell’esaurimento delle vie di ricorso interne, il ricorso che affronta la sua doglianza essenziale. In altre parole, quando è stato esperito un ricorso, non è necessario utilizzare un altro ricorso che ha essenzialmente il medesimo obiettivo (Nicolae Virgiliu Tănase c. Romania [GC], n. 41720/13, § 177, 25 giugno 2019). In aggiunta osserva che sia Salute e Vita che diversi singoli ricorrenti hanno presentato denunce e si sono costituiti nel procedimento penale concernente gli effetti dell’esercizio della fonderia sull’ambiente e sulla salute dei residenti. Mentre, secondo le ultime osservazioni delle parti, alcuni di tali procedimenti sono ancora pendenti (si veda il paragrafo 92 supra), altri si sono conclusi prima che i ricorrenti presentassero il loro ricorso (si vedano i paragrafi 59 e 63 supra) o prima che ne fosse determinata la ricevibilità (si veda il paragrafo 69 supra).

145. Date le circostanze, la Corte non può criticare i ricorrenti per non avere atteso la conclusione di tutti i procedimenti penali prima di presentarle le loro doglianze di violazione dell’articolo 8 della Convenzione.

146. Ne consegue che le eccezioni preliminari del Governo relative al mancato esaurimento delle vie di ricorso interne e all’osservanza della regola del termine semestrale devono essere rigettate.

3. Altri motivi di irricevibilità

147. La Corte osserva che la presente doglianza non è manifestamente infondata e non incorre in alcun altro motivo di irricevibilità elencato nell’articolo 35 della Convenzione. Deve pertanto essere dichiarata ricevibile.

B. Sul merito

1. Le osservazioni delle parti

(a) I ricorrenti

148. I ricorrenti hanno sostenuto che lo Stato non aveva predisposto un quadro legislativo adeguato per prevenire il grave inquinamento ambientale derivante dalla fonderia.

149. I ricorrenti hanno inoltre sostenuto che nel 2006 le autorità nazionali avevano aperto l’area circostante la fonderia allo sviluppo residenziale e non avevano adottato misure di protezione per minimizzare o eliminare gli effetti di un’esposizione prolungata a un inquinamento che interessava l’ambiente e metteva in pericolo la loro salute. In ordine al periodo 2008-2018, hanno sostenuto che il superamento dei limiti di emissione era stato dimostrato dai risultati delle indagini dell’ARPAC. In ordine al periodo successivo al 2019, hanno contestato l’attendibilità delle conclusioni dell’ARPAC. A tale riguardo, hanno presentato una perizia datata 5 luglio 2022 che analizzava i risultati delle ispezioni dell’ARPAC svolte durante il 2020. Secondo tale perizia, l’ARPAC aveva verificato la conformità delle emissioni dell’impianto misurandole in relazione ai livelli stabiliti dalla legge per le zone industriali. I ricorrenti hanno sostenuto che la misurazione delle emissioni dell’impianto in relazione ai livelli stabiliti dalla legge per le zone industriali fosse del tutto inadeguata dato che l’impianto era ubicato in un’area densamente popolata classificata come residenziale dal 2006. I ricorrenti hanno inoltre sostenuto che le conclusioni dell’ARPAC si basavano in definitiva sull’esercizio dell’impianto a livelli di produzione ridotti durante un periodo transitorio. Dato che le emissioni tossiche superiori ai limiti di legge erano state rilevate quando l’impianto aveva funzionato a piena capacità, non si poteva escludere che i limiti legali di emissione sarebbero stati superati una volta che l’impianto avesse ripreso a funzionare alla capacità massima.

150. I ricorrenti hanno inoltre lamentato che lo Stato convenuto non aveva assolto il suo obbligo di informare le persone interessate dei rischi di vivere nell’area circostante la fonderia e di consentire loro di contribuire al processo decisionale per autorizzarne l’esercizio.

(b) Il Governo

151. Il Governo ha sostenuto che, in materia ambientale, gli obblighi positivi di cui all’articolo 8 della Convenzione imponevano un dovere di diligenza e non un dovere di risultato. Ha dichiarato che, nel caso di specie, i numerosi procedimenti penali e amministrativi instaurati per verificare il rispetto della normativa di protezione ambientale, unitamente alle attività istruttorie svolte dalle autorità amministrative, dimostravano che esse avevano adottato misure idonee a salvaguardare l’ambiente e la salute della popolazione locale.

152. Inoltre, ha sostenuto che negli anni 2018-2021 l’impianto aveva operato a capacità inferiore al fine di ridurre il rumore e le emissioni, e che le indagini dell’ARPAC svolte dal 2019 al 2021 avevano rilevato che non erano stati superati i limiti legali per le emissioni industriali. Ha aggiunto che, visti gli effetti cumulativi delle emissioni dell’impianto e altre esteriorità negative prodotte dal traffico e dall’inquinamento nell’area, le doglianze dei residenti erano state “fisiologiche, dato che l’impianto era ubicato in un’area urbanizzata e densamente popolata, con tutto ciò che comportava in termini di inferiori livelli di qualità dell’aria”.

2. La valutazione della Corte

(a) I principi generali

153. La Corte ribadisce che i principi applicabili alla valutazione della responsabilità dello Stato ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione in cause ambientali sono sostanzialmente simili, indipendentemente dal fatto che il caso sia analizzato in termini di ingerenza diretta o di dovere positivo di regolamentare le attività private. In entrambi i contesti si deve tenere conto del giusto equilibrio che deve essere raggiunto tra gli interessi contrastanti dell’individuo e della comunità nel suo complesso e, in ogni caso, lo Stato gode di un certo margine di discrezionalità (si vedano López Ostra c. Spagna, 9 dicembre 1994, § 51, Serie A n. 303-C; Guerra e altri, sopra citata, § 58; e Cordella e altri, sopra citata, § 158).

154. Nel contesto di attività pericolose in particolare, gli Stati hanno l’obbligo di emanare normative adeguate alle caratteristiche specifiche dell’attività in questione, in particolare per quanto riguarda il livello di rischio potenzialmente connesso. Essi devono disciplinare il rilascio delle licenze, l’avvio, l’esercizio, la sicurezza e la supervisione dell’attività e devono rendere obbligatoria per tutti gli interessati l’adozione di misure concrete per garantire l’effettiva protezione dei cittadini le cui vite potrebbero essere messe in pericolo dai rischi inerenti (si vedano, mutatis mutandis, Öneryıldız c. Turchia [GC], n. 48939/99, § 90, CEDU 2004‑XII; Di Sarno e altri, n. 30765/08, § 106, 10 gennaio 2012; Cordella e altri, sopra citata, § 159; e Locascia e altri, sopra citata, § 124).

155. In ordine agli obblighi procedurali ai sensi dell’articolo 8, nelle cause ambientali la Corte ha frequentemente riesaminato il processo decisionale interno, tenendo conto del fatto che le garanzie procedurali a disposizione dell’individuo saranno particolarmente rilevanti nel determinare se lo Stato convenuto sia rimasto entro il suo margine di discrezionalità (si veda, per esempio, Flamenbaum e altri c. Francia,3675/04 e 23264/04, § 137, 13 dicembre 2012). In tale contesto, la Corte attribuisce particolare importanza, inter alia, al coinvolgimento di indagini e studi adeguati nel processo decisionale, all’accesso del pubblico alle informazioni per consentirgli di valutare i rischi cui è esposto e alla possibilità per gli individui di proteggere i loro interessi nel processo decisionale in materia ambientale (si veda Verein KlimaSeniorinnen Schweiz e altre, sopra citata, § 539).

(b) L’applicazione dei summenzionati principi nel caso di specie

156. La Corte osserva che la situazione lamentata è sorta quando l’area industriale in cui era situato l’impianto dal 1960 è stata destinata a uso residenziale. Essa rileva inoltre che, al momento dell’emissione del PUC del 2006, la società poteva legittimamente aspettarsi di proseguire le sue attività industriali, mentre le autorità nazionali erano già consapevoli del fatto che la trasformazione dell’area per l’uso residenziale avrebbe potuto comportare problemi ambientali a tali attività preesistenti. Il PUC del 2006 ha proposto la delocalizzazione dell’impianto come condizione per l’attuazione della nuova destinazione d’uso del terreno (si veda il paragrafo 8 supra). La Corte è colpita dal fatto che, nonostante tale condizione iniziale, non sia avvenuta alcuna delocalizzazione, e l’area sia rimasta aperta allo sviluppo residenziale (si veda il paragrafo 9 supra). La Corte prende atto dell’opinione dei tribunali nazionali secondo cui l’urbanizzazione dell’area “stupisca non poco” (si veda il paragrafo 39 supra).

157. Alla luce di tale contesto fattuale, la Corte ritiene che le doglianze sollevate dai ricorrenti non dovrebbero essere analizzate sotto il profilo dell’asserita assenza di un adeguato quadro giuridico, bensì sotto quello delle misure di protezione adottate dalle autorità nelle specifiche circostanze del caso.

158. La Corte ribadisce che non è suo compito determinare esattamente cosa si sarebbe dovuto fare nel caso di specie per affrontare ed eventualmente ridurre l’inquinamento derivante dall’impianto nel suo nuovo contesto urbanizzato. Tuttavia, rientra certamente nella sua competenza valutare se il Governo abbia affrontato il problema con la dovuta diligenza e abbia tenuto conto di tutti gli interessi contrastanti. A tale riguardo, la Corte ribadisce che spetta allo Stato giustificare, utilizzando dati dettagliati e rigorosi, una situazione in cui alcuni individui sopportano un pesante onere per conto del resto della comunità. Esaminando il caso di specie da questa prospettiva, la Corte rileva i seguenti punti (si vedano Fadeyeva, § 128; Cordella e altri, § 161; e Locascia e altri, § 140, tutte sopra citate).

159. La documentazione presentata dalle parti dimostra che, dal 2008 al 2016, la fonderia ha causato un grave inquinamento ambientale senza che fossero fornite informazioni chiare alle persone interessate, compresi i ricorrenti, sui potenziali rischi cui erano esposte continuando a vivere a pochi chilometri dall’impianto. La perizia del 31 dicembre 2021 ha segnalato che l’area circostante l’impianto era sottoposta a “forte pressione ambientale” e che le aree residenziali erano situate “molto vicino alle fonti di emissione”. Secondo la perizia, sebbene il livello di inquinamento fosse probabilmente ancora più elevato prima del 2008, i dati esistenti dimostravano con certezza che l’inquinamento si era verificato dal 2008 al 2016 e, in particolare, che le emissioni di particolato avevano superato i limiti massimi consentiti, stabiliti dalla legislazione nazionale. La perizia aveva inoltre rilevato che, dal 2008, le ispezioni dell’impianto avevano costantemente rivelato numerose carenze relative agli scarichi idrici, alla gestione dei rifiuti e alle emissioni in atmosfera, la sostanziale mancanza di informazioni e di meccanismi di monitoraggio per le emissioni convogliate, e una scarsa supervisione delle materie prime. tali conclusioni sono coerenti con l’esito dei procedimenti penali e amministrativi. Tali conclusioni sono coerenti con l’esito dei procedimenti penali e amministrativi. I procedimenti penali nn. 7997/2004 e 5449/2007 si sono conclusi con un patteggiamento in relazione alle accuse che, dal 2004 al 2011, la fonderia aveva prodotto emissioni illecite che avevano interessato la popolazione locale. È stato inoltre accertato che la fonderia aveva operato con meccanismi di monitoraggio inadeguati e in violazione delle BAT. La Corte osserva che, ai sensi del quadro giuridico nazionale vigente all’epoca, i reati ambientali erano contravvenzioni punite con pene più lievi e soggette a termini di prescrizione più brevi (si vedano i paragrafi 99-103 supra). Senza procedere a una valutazione in abstracto di tale quadro, la Corte rileva che, alla luce delle modeste sanzioni pecuniarie inflitte ai dirigenti dell’impianto, emergono dubbi circa l’efficacia di tale quadro normativo nel prevenire i reati ambientali, almeno fino alla promulgazione della legge n. 68 nel maggio 2015.

160. La Corte osserva inoltre che le indagini svolte dall’ARPAC successivamente all’emissione dell’AIA del 2012 avevano ripetutamente riscontrato gravi carenze nella gestione dell’impianto e avevano persino concluso che l’autorizzazione stessa fosse “caratterizzata da carenze e contraddizioni” e che le autorità amministrative “utilizzato la procedura dell’AIA per imporre alla società un notevole miglioramento delle prestazioni ambientali” (si veda il paragrafo 24 supra). Sulla base di tali conclusioni, i tribunali amministrativi avevano ritenuto che la Regione Campania avesse legittimamente deciso in data 24 marzo 2016 che l’AIA del 2012 dovesse essere rivista al fine di migliorare le prestazioni ambientali dell’impianto e ridurne le emissioni inquinanti (si veda il paragrafo 37 supra).

161. In ordine all’accesso alle informazioni sui possibili effetti nocivi dell’esposizione all’inquinamento, la Corte osserva che nel 2017 le autorità nazionali avevano iniziato il biomonitoraggio della popolazione residente in prossimità dell’impianto (paragrafo 16) ma non avevano reso pubblici i risultati pertinenti fino al 2021, vale a dire rispettivamente 10 e 14 anni dopo l’apertura dell’area allo sviluppo residenziale e quando essa era già densamente popolata (si vedano i paragrafi 15, 54 e 151 supra).

162. Alla luce di quanto sopra, la Corte ritiene che, dopo aver consentito lo sviluppo residenziale dell’area circostante la fonderia, le autorità nazionali non avevano adottato tutte le misure necessarie per garantire l’effettiva tutela del diritto al rispetto della vita privata delle persone interessate, almeno per il periodo dal 2008 al 2016.

163. In ordine al periodo dal 24 marzo 2016, quando la Regione Campania aveva deciso di riesaminare l’AIA del 2012 e aveva stabilito che l’impianto necessitava di un importante ammodernamento, comprese sostanziali modifiche strutturali, la Corte osserva che le autorità avevano ideato e pianificato diverse misure finalizzate a minimizzare gli effetti nocivi delle attività della fonderia sull’ambiente e sulla salute della popolazione locale. Dovrebbe essere osservato, per esempio, che nell’ambito della procedura di riesame, la Regione Campania aveva valutato diversi progetti presentati dalla società, respingendone uno in quanto inadeguato a garantire elevati livelli di tutela ambientale, e imponendo modifiche e integrazioni a un terzo, che è stato infine approvato con decreto n. 85/2020 (si veda il paragrafo 44 supra). Inoltre, le autorità amministrative controllavano regolarmente l’esercizio dell’impianto e imponevano diverse misure per porre rimedio alle carenze riscontrate durante le ispezioni, tra cui la sospensione dell’attività dell’impianto e l’individuazione delle misure specifiche che la società avrebbe dovuto attuare per conformarsi alle BAT.

164. La Corte osserva che i risultati di tali misure erano tangibili, come dimostrato dal fatto che le ispezioni dell’ARPAC svolte negli anni 2019‑2021 avevano constatato che non era stati superati i limiti di emissione autorizzati. Inoltre, la perizia del 31 dicembre 2021 aveva ritenuto che i miglioramenti tecnici apportati nel corso degli anni e i limiti di emissione più restrittivi stabiliti dal decreto n. 85/2020 avessero contribuito a migliorare il monitoraggio e la quantità di informazioni disponibili. Ha inoltre ritenuto molto probabile che l’inquinamento fosse diminuito in conseguenza del monitoraggio ambientale e dell’azione giudiziaria (si vedano i paragrafi 79 e 84 supra). La Corte osserva inoltre che, durante tale periodo, i ricorrenti hanno avuto la possibilità di partecipare al processo decisionale per il riesame dell’AIA del 2012 prendendo parte al procedimento amministrativo e impugnando le decisioni pertinenti dinanzi ai tribunali amministrativi.

165. Nonostante tali sforzi, la Corte osserva con preoccupazione che, nell’autorizzare la prosecuzione dell’attività dell’impianto e nel fissare i nuovi requisiti ambientali e le attività di monitoraggio che la società deve rispettare, le autorità nazionali non avevano attribuito importanza al fatto che la popolazione locale era già stata esposta a significativi effetti nocivi derivanti dall’esposizione prolungata all’inquinamento. La Corte osserva che i risultati dello studio SPES e dello studio di coorte hanno rivelato che le persone che vivevano nelle vicinanze dell’impianto presentavano livelli più elevati di metalli pesanti e composti organici nel loro organismo, nonché tassi di morbilità più elevati per patologie cardiovascolari, respiratorie e neurologiche (si vedano i paragrafi 18-19 e 81 supra). A tale riguardo, la Corte osserva con particolare preoccupazione che i dati di biomonitoraggio hanno rivelato che i livelli medi di mercurio nel siero dei volontari provenienti dai cluster della Valle dell’Irno erano circa cinque volte superiori a quelli dell’intera popolazione valutata. Tuttavia, secondo la relazione dell’ARPAC del 7 agosto 2020, né il PMeC né le BAT descritte nell’AIA del 2012 imponevano che le emissioni dell’impianto fossero testate in relazione a tale parametro (si veda il paragrafo 52 supra).

166. La Corte rileva inoltre che, sebbene i ricorrenti abbiano invocato i risultati dello studio SPES nel procedimento avverso il decreto n. 85/2020 dinanzi ai tribunali amministrativi, la sentenza n. 9166/2022 del Consiglio di Stato aveva ritenuto che tali risultati non attribuissero specificamente al funzionamento dell’impianto i livelli di contaminazione della Valle dell’Irno e i correlati rischi per la salute della popolazione locale e fossero pertanto irrilevanti nel caso di specie. La Corte ha già osservato che i cluster della Valle dell’Irno erano l’obiettivo specifico di una valutazione dell’impatto della fonderia sulle persone che vivevano nell’area circostante e che, in assenza di spiegazioni alternative da parte delle autorità nazionali, si può dedurre che gli effetti dell’esposizione della popolazione all’inquinamento ambientale indicati in esso derivassero, almeno in una certa misura, dall’attività della fonderia (si veda il paragrafo 121 supra). La Corte osserva inoltre che una maggiore vulnerabilità alle patologie derivante dall’esposizione all’inquinamento era un fattore rilevante di cui le autorità nazionali avrebbero dovuto tenere conto nel valutare le conseguenze dell’attività dell’impianto sulla salute e la qualità della vita dei ricorrenti. La Corte pertanto non è convinta che, a tale riguardo, il Governo abbia tenuto debitamente conto di tutti gli interessi contrastanti nell’affrontare il problema delle emissioni inquinanti dell’impianto.

167. Inoltre, la Corte osserva che, successivamente all’emissione del decreto n. 85/2020, i ricorrenti hanno continuato a segnalare alle autorità locali emissioni maleodoranti e fumi provenienti dall’impianto e che tali inconvenienti sono stati confermati in una relazione del 18 luglio 2022, in cui l’ARPAC ha segnalato la presenza di emissioni provenienti dal processo produttivo che avevano completamente bypassato le attività di filtraggio e di monitoraggio. Sebbene siano state immediatamente disposte misure tecniche per porre rimedio a tali specifiche problematiche, la Corte osserva con preoccupazione che, nella medesima relazione, l’esistenza di problematiche ambientali che interessavano la popolazione locale non era necessariamente collegata a specifiche carenze tecniche ma era trattata piuttosto come un evento potenzialmente ordinario, tenuto conto della vetustà dell’impianto e della sua attuale ubicazione in un’area densamente popolata (si veda il paragrafo 54 supra). Nelle sue ultime osservazioni alla Corte, il Governo ha espresso anche l’opinione che le doglianze dei residenti fossero “fisiologiche, dato che l’impianto era ubicato in un’area urbanizzata e densamente popolata, con tutto ciò che comportava in termini di inferiori livelli di qualità dell’aria”.

168. La Corte osserva che il fatto che l’ARPAC abbia rinviato alla vetustà dell’impianto come fattore che incideva sulle sue prestazioni ambientali contrasta con l’obiettivo principale del provvedimento del 24 marzo 2016 di imporre alla fonderia un ammodernamento significativo, comprendente modifiche strutturali sostanziali. Il decreto n. 85/2020 ha infatti riesaminato l’AIA del 2012 sulla base di un progetto che avrebbe dovuto porre rimedio alle carenze individuate nel precedente regime di autorizzazione e minimizzare l’impatto ambientale dell’impianto. A tale riguardo, la Corte è altresì colpita dal fatto che la sentenza n. 9166/2022 del Consiglio di Stato abbia ritenuto che il progetto approvato riguardasse soltanto “interventi di minore importanza e, in particolare, un adeguamento tecnico che avrebbe dovuto comportare miglioramenti in termini di impatto ambientale”.

169. In ordine all’ubicazione dell’impianto in un’area densamente popolata, la Corte prende atto del rilievo dei ricorrenti (non contestato dal Governo) secondo il quale le attività di monitoraggio svolte a seguito del dell’emissione del decreto n. 85/2020 rinviavano ai limiti legali per le zone industriali e non ai livelli stabiliti dal diritto nazionale per le aree residenziali.

170. Considerati tutti questi fattori nel loro insieme, la Corte non è convinta che, anche successivamente all’emissione del decreto n. 85/2020, sia stato conseguito un giusto equilibrio tra l’interesse dei ricorrenti a non subire gravi danni ambientali che avrebbero potuto compromettere la loro vita privata, da una parte, e l’interesse della società nel suo complesso, dall’altra.

171. Alla luce di quanto sopra, la Corte ritiene che, nonostante il margine di discrezionalità lasciato allo Stato convenuto, le autorità siano venute meno al loro obbligo positivo di adottare tutte le misure necessarie per garantire l’effettiva tutela del diritto dei ricorrenti al rispetto della loro vita privata.

172. Vi è pertanto stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione.

II. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’articolo 13 DELLA CONVENZIONE

173. Invocando l’articolo 13 della Convenzione, i ricorrenti hanno lamentato di non avere avuto a disposizione ricorsi interni effettivi in relazione alle summenzionate doglianze, dato che i diversi procedimenti penali e amministrativi ai quali avevano partecipato non erano stati in grado di fare cessare le violazioni lamentate. L’articolo 13 recita come segue:

“Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali.”

174. La Corte rinvia alle sue conclusioni relative all’esistenza di ricorsi adeguati ed effettivi per le doglianze dei ricorrenti concernenti gli effetti dell’attività della fonderia sull’ambiente e sulla salute (si vedano i paragrafi 30-146 supra). Da tali conclusioni discende che i ricorrenti avevano la possibilità di esigere che la fonderia fosse gestita in modo tale da minimizzare gli effetti dell’inquinamento prodotto dall’impianto. La Corte ribadisce che l’efficacia di un ricorso ai sensi dell’articolo 13 non dipende dalla certezza di un esito favorevole per il ricorrente (si vedano Kotov e altri, sopra citata, § 92, e Ananyev e altri c. Russia, nn. 42525/07 e 60800/08, § 96, 10 gennaio 2012).

175. Alla luce di quanto sopra, la Corte ritiene che la doglianza ai sensi dell’articolo 13 della Convenzione sia manifestamente infondata.

176. È pertanto irricevibile ai sensi dell’articolo 35 § 3, lettera a) della Convenzione e deve essere rigettata in applicazione del suo articolo 35 § 4.

III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 46 DELLA CONVENZIONE

177. L’articolo 46 della Convenzione prevede, per quanto pertinente, quanto segue:

“1. Le Alte Parti contraenti si impegnano a conformarsi alle sentenze definitive della Corte sulle controversie nelle quali sono parti.

2. La sentenza definitiva della Corte è trasmessa al Comitato dei Ministri che ne controlla l’esecuzione (…)”

178. Ai sensi di tale disposizione, i ricorrenti hanno chiesto alla Corte di indicare delle misure generali per porre rimedio alla situazione. In particolare hanno chiesto che le autorità nazionali siano tenute a monitorare l’esercizio dell’impianto a piena capacità e a subordinare l’esercizio all’esito positivo di una valutazione di impatto ambientale e sanitario. Hanno inoltre chiesto che sia predisposto un piano per ridurre le emissioni e bonificare le aree circostanti la fonderia.

179. Rinviando al numero di residenti interessati dall’inquinamento proveniente dall’impianto, hanno chiesto alla Corte di adottare una sentenza pilota ai sensi dell’articolo 61 del Regolamento della Corte.

180. Una sentenza con cui la Corte constata la violazione della Convenzione pone in capo allo Stato convenuto l’obbligo giuridico non soltanto di versare agli interessati le somme accordate a titolo di equa soddisfazione, ma anche di scegliere, sotto il controllo del Comitato dei Ministri, le misure generali da adottare nel proprio ordinamento giuridico interno per porre fine alla violazione constatata dalla Corte e ripararne per quanto possibile gli effetti. Spetta in primo luogo allo Stato interessato scegliere, sotto il controllo del Comitato dei Ministri i mezzi da utilizzare nel proprio ordinamento giuridico interno per adempiere all’obbligo di cui all’articolo 46 della Convenzione. Tuttavia, al fine di aiutare lo Stato convenuto ad adempiere a tale obbligo, la Corte può eccezionalmente indicare il tipo di misure generali che potrebbero essere adottate per porre fine alla situazione della quale essa ha constatato l’esistenza (si vedano Broniowski c. Polonia [GC], n. 31443/96, § 194, CEDU 2004-V; Varga e altri c. Ungheria, nn. 14097/12 e altri 5, §§ 101-102, 10 marzo 2015; e Sukachov c. Ucraina, n. 14057/17, § 144, 30 gennaio 2020).

181. Alla luce di tali principi, tenuto conto di tutte le circostanze del caso di specie, la Corte ritiene superfluo indicare al Governo le misure particolareggiate cui hanno rinviato i ricorrenti e applicare la procedura di sentenza pilota (si raffronti, mutatis mutandis, con Cordella e altri, sopra citata, § 180).

182. Lo Stato convenuto rimane libero, sotto il controllo del Comitato dei Ministri, di scegliere i mezzi con cui adempiere al proprio obbligo di mettere i ricorrenti, per quanto possibile, nella situazione in cui si sarebbero trovati se non fossero stati violati i requisiti della Convenzione, a condizione che tali mezzi siano compatibili con le conclusioni esposte nella sentenza della Corte.

183. In tale contesto, la Corte osserva che le doglianze dei ricorrenti ai sensi dell’articolo 8 potrebbero essere riparate non soltanto affrontando adeguatamente i rischi ambientali in modo che l’impatto ambientale della fonderia diventi pienamente compatibile con la sua ubicazione in un’area residenziale, ma anche delocalizzando l’impianto, come originariamente previsto nel PUC del 2006. A tale riguardo, la Corte osserva che, nella sentenza n. 9166/2022, il Consiglio di Stato ha affermato che tale possibilità era ancora all’esame delle autorità nazionali (si veda il paragrafo 49 supra). La Corte osserva inoltre che, al fine di conseguire tali obiettivi, le autorità nazionali rimangono libere di avvalersi di qualsiasi potere coercitivo disponibile ai sensi del diritto interno o di negoziare una soluzione mutualmente concordata con la società.

IV. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

184. L’articolo 41 della Convenzione prevede:

“Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.”

A. Il danno

185. I ricorrenti hanno chiesto 20.000 euro (EUR) ciascuno per il danno non patrimoniale.

186. Il Governo si è opposto.

187. Date le circostanze del caso di specie, la Corte ritiene che la violazione della Convenzione da essa constatata costituisca una sufficiente equa soddisfazione dell’eventuale danno non patrimoniale (si raffrontino, Locascia e altri, § 167; Cordella e altri, 187, entrambe sopra citate).

B. Le spese

188. I ricorrenti hanno chiesto in primo luogo che l’eventuale risarcimento accordato a tale titolo sia versato direttamente sul conto bancario del loro rappresentante legale.

189. Hanno chiesto EUR 1.700 per le spese sostenute dinanzi ai tribunali interni ed EUR 27.475,20 per quelle sostenute dinanzi alla Corte, come dettagliato in una nota spese contenente una distinta delle ore impiegate dal loro difensore per il caso. Ciò comprendeva un totale di 49 ore di lavoro per il difensore principale e 63 ore per il co-difensore, a tariffe orarie di EUR 175 ed EUR 125, rispettivamente. Il difensore ha dichiarato di aver concordato con i ricorrenti di essere pagato a rate, sulla base della suddetta tariffa oraria, subordinatamente a un esito positivo dinanzi alla Corte, e che essi avevano già versato un anticipo pari a EUR 3.762,73 per tali onorari.

190. Il Governo ha sostenuto che “tutte le somme richieste non sono comprovate da alcun documento giustificativo” e che in ogni caso la somma di EUR 27.475,20 è chiaramente un importo eccessivo.”

191. Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente ha diritto al rimborso delle spese soltanto nella misura in cui ne siano accertate la realtà e la necessità e il loro importo sia ragionevole. Nel caso di specie, vista la documentazione di cui è in possesso e i criteri di cui sopra, la Corte accoglie la richiesta relativa alle spese sostenute nei procedimenti interni per EUR 1.700. Ritiene anche ragionevole accordare la somma di EUR 7.000 per il procedimento dinanzi alla Corte, oltre l’importo eventualmente dovuto dai ricorrenti a titolo di imposta. Tali importi dovranno essere versati direttamente sul conto bancario del rappresentante dei ricorrenti.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE,

1. Dichiara, all’unanimità, irricevibile il ricorso in relazione ai ricorrenti elencati con i nn. 23 e 67 dell’appendice;

2. Dichiara, a maggioranza, ricevibili le rimanenti doglianze dei ricorrenti relative all’articolo 8 della Convenzione e il ricorso irricevibile per il resto;

3. Ritiene all’unanimità, che vi sia stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione;

4. Ritiene, con sei voti contro uno, che la constatazione di violazione costituisca di per sé una sufficiente equa soddisfazione del danno non patrimoniale subito dai ricorrenti;

5. Ritiene, all’unanimità,

(a) che lo Stato convenuto debba versare ai ricorrenti, congiuntamente, entro tre mesi dalla data in cui la sentenza sarà diventata definitiva in applicazione dell’articolo 44 § 2 della

Convenzione:

(i) EUR 1.700 (millesettecento euro), oltre l’importo eventualmente dovuto da essi a titolo di imposta, per le spese sostenute dinanzi ai tribunali interni, da versare direttamente sul conto bancario del rappresentante legale dei ricorrenti;

(ii) EUR 7.000 (settemila euro), oltre l’importo eventualmente dovuto dai ricorrenti a titolo di imposta, per le spese sostenute dinanzi alla Corte, da versare direttamente sul conto bancario del rappresentante legale dei ricorrenti;

(b) che a decorrere dalla scadenza dei summenzionati tre mesi e fino al versamento, tale importo dovrà essere maggiorato di un interesse semplice a un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della banca centrale europea durante tale periodo, maggiorato di tre punti percentuali;

6. Respinge, con sei voti contro uno, la domanda di equa soddisfazione formulata dai ricorrenti per il resto.

Fatta in inglese e notificata per iscritto in data 6 maggio 2025, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del Regolamento della Corte.

 

 

In conformità all’articolo 45 § 2 della Convenzione e all’articolo 74 § 2 del Regolamento della Corte, è allegata alla presente sentenza l’opinione parzialmente dissenziente del Giudice Serghides.

OPINIONE PARZIALMENTE DISSENZIENTE DEL GIUDICE SERGHIDES

1. Il caso di specie riguarda la mancata adozione da parte delle autorità di misure di protezione finalizzate a minimizzare o eliminare gli effetti dell’inquinamento asseritamente causato dal proseguimento dell’attività di una fonderia in prossimità delle abitazioni dei ricorrenti nel comune di Salerno, in violazione dei loro diritti ai sensi degli articoli 2, 8 e 13 della Convenzione. In particolare, invocando gli articoli 2 e 8 della Convenzione, i ricorrenti hanno sostenuto che: i) consentendo lo sviluppo residenziale nell’area circostante la fonderia, ii) non avendo adottato un quadro normativo adeguato e iii) non avendo adottato le misure necessarie per minimizzare o eliminare gli effetti dell’inquinamento dell’impianto, lo Stato aveva causato gravi danni all’ambiente, messo in pericolo le loro vite e la loro salute, e compromesso il loro benessere personale. Diversi ricorrenti hanno inoltre sostenuto che i rischi per la loro salute derivanti dalle emissioni dell’impianto si erano manifestati sotto forma di specifiche patologie. I ricorrenti hanno inoltre lamentato che le autorità avevano trascurato di informarli sui rischi di vivere nelle zone circostanti l’impianto o di coinvolgerli nel processo decisionale per autorizzarne l’esercizio.

2. Nei paragrafi 108-109 della sentenza, è affermato quanto segue:

“108.  La Corte osserva (…) che nella maggior parte delle cause ambientali che riguardavano un’unica, individuata e circoscritta fonte di inquinamento o attività che lo causava, e in un’area geografica più o meno limitata, essa ha ritenuto superfluo esaminare la doglianza ai sensi dell’articolo 2 separatamente da quella ai sensi dell’articolo 8 (si vedano Guerra e altri, sopra citata, § 62; e più recentemente, Locascia e altri c. Italia, n. 35648/10, § 86, 19 ottobre 2023, e Cordella e altri c. Italia, nn. 54414/13 e 54264/15, §§ 93-94, 24 gennaio 2019). Essa non ravvisa alcun motivo per discostarsi da tale approccio nel caso di specie.

109.  Conseguentemente, la Corte, essendo libera di qualificare giuridicamente i fatti della causa (si veda Guerra e altri, sopra citata, § 44), ritiene opportuno esaminare le doglianze dei ricorrenti sotto il profilo del diritto al rispetto della vita privata sancito nell’articolo 8 (…)”

3. La sentenza ha ritenuto irricevibile la doglianza ai sensi dell’articolo 13 (si vedano i paragrafi 173-176) e concordo con tale conclusione.

4. Concordo con il punto 1 del dispositivo della sentenza secondo cui il ricorso nei confronti dei ricorrenti indicati con i nn. 23 e 67 nell’appendice è irricevibile in quanto tali due ricorrenti risiedevano a una distanza notevolmente superiore a sei chilometri dall’impianto (si veda il paragrafo 125 della sentenza).

5. Dissento dalla sentenza riguardo al mancato esame della doglianza ai sensi dell’articolo 2 della Convenzione (si veda il paragrafo 109 della sentenza, sopra citato). In particolare, nel paragrafo 108 della sentenza (sopra citato) la Corte ha ritenuto superfluo esaminare la doglianza ai sensi dell’articolo 2 separatamente da quella ai sensi dell’articolo 8 in quanto la presente causa ambientale riguardava un’unica, identificata, circoscritta fonte di inquinamento o attività che lo causava, e un’area geografica più o meno limitata, il che probabilmente significa che la fonte delle doglianze ai sensi dell’articolo 2 e dell’articolo 8 era la stessa.

6. A mio modesto avviso, tuttavia, una cosa è interpretare una disposizione della Convenzione in armonia con un’altra – interpretazione che costituisce un aspetto o una dimensione del principio di effettività – e un’altra ben diversa è ritenere superfluo esaminare un ricorso ai sensi di un articolo della Convenzione semplicemente perché la Corte ha affrontato un’altra doglianza o una doglianza simile ai sensi di una disposizione diversa, come ha fatto la Corte nel caso di specie. Ciò è particolarmente problematico quando la doglianza non esaminata concerne l’articolo 2, che garantisce il diritto più fondamentale ai sensi della Convenzione: il diritto alla vita. Senza tale diritto, non può essere esercitato o goduto alcun altro diritto. Ritengo che nessun diritto previsto dalla Convenzione possa sostituirsi a un altro, né un diritto può assorbire o prevalere su un altro al punto di renderlo privo di significato o di estinguerlo. Un simile approccio contraddirebbe non soltanto il testo delle disposizioni della Convenzione, ma anche l’intenzione dei redattori della Convenzione, il cui obiettivo era garantire che tutti i diritti sanciti da essa coesistessero e fossero pienamente effettivi. In effetti, ogni diritto ha un proprio valore, contenuto e fine distinti nell’ambito del quadro normativo dei diritti umani, e il principio di effettività esige che ogni disposizione sia interpretata in modo da conferire un effetto pratico e tangibile alle sue garanzie. Ridurre un diritto a un mero accessorio di un altro compromette la protezione olistica che la Convenzione è finalizzata a garantire.

7. Avendo premesso ciò, ci si può chiedere: importa veramente che la presente causa ambientale riguardasse “un’unica, identificata, circoscritta fonte di inquinamento o attività che lo causava, e un’area geografica più o meno limitata” (si veda il paragrafo 108 della sentenza)? Il fatto che le asserite violazioni di diversi articoli della Convenzione derivino da una fonte fattuale comune non può di per sé giustificare l’esame delle doglianze esclusivamente ai sensi di un’unica disposizione. Né può costituire una valida risposta al rilievo che ho esposto sopra.

8. In ordine al mio dissenso dalla decisione della Corte di non esaminare la doglianza ai sensi dell’articolo 2, che è in effetti una doglianza molto grave, desidero ribadire che in precedenza mi sono opposto alla prassi della Corte di esaminare soltanto una doglianza – lasciando le altre senza risposta – in diverse opinioni separate: i) le opinioni parzialmente dissenzienti nelle sentenze Adamčo c. Slovacchia (n. 2), 55792/20, 35253/21 e 41955/22, 12 dicembre 2024, §§ 2-8; Italgomme Pneumatici S.r.l. e altri c. Italia, n. 36617/18 e altri 12, 6 febbraio 2025, §§ 6-7; Grande Oriente d’Italia c. Italia, n. 29550/17, 19 dicembre 2024, § 3; M.I. c. Svizzera, n. 56390/21, 12 novembre 2024, §§ 6-7; Zarema Musayeva e altri c. Russia, n. 4573/22, 28 maggio 2024, §§ 7-8; Mandev e altri c. Bulgaria, nn. 57002/11 e altri 4, 21 maggio 2024, §§ 4-8; Thanza c. Albania, n. 41047/19, 4 luglio 2023; Gashi e Gina c. Albania, n. 29943/18, 4 aprile 2023, §§ 2-3; e Podchasov c. Russia, n. 33696/19, 13 febbraio 2024, §§ 4-5; e ii) le opinioni parzialmente concordanti e parzialmente dissenzienti nelle sentenze A.M.A c. Paesi Bassi, n. 23048/19, 24 ottobre 2023, §§ 13-18, e Stanevi c. Bulgaria, n. 56352/14, 30 maggio 2023, §§ 4-15.

9. Pertanto, sulla base di quanto sopra, esaminerei la doglianza ai sensi dell’articolo 2 e constaterai la violazione dell’articolo 2 in relazione a tutti i 151 ricorrenti residenti entro un raggio di sei chilometri dall’impianto. La perizia redatta su richiesta del Tribunale di Salerno, parte della quale è menzionata nel paragrafo 8 della sentenza, sarebbe utile ai fini dell’esame della doglianza ai sensi dell’articolo 2 e nel constatare la violazione di tale articolo.

10. Concordo che vi sia stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione, ma ciononostante ho votato contro il punto 2 del dispositivo. Questo perché il punto 2 non separa la conclusione secondo cui la doglianza ai sensi dell’articolo 8 è ricevibile dalla dichiarazione di irricevibilità del ricorso per il resto. Il “ricorso per il resto” comprende non soltanto la doglianza ai sensi dell’articolo 13 bensì anche la doglianza ai sensi dell’articolo 2, dato che non esiste una disposizione distinta che la affronta. Come ho già detto, dissento dalla sentenza nel non esaminare separatamente la doglianza ai sensi dell’articolo 2 e nel dichiararla in definitiva irricevibile, se effettivamente lo fa, tacitamente o indirettamente ai sensi del punto 2 del dispositivo.

11. Concordo con il punto 5 relativo alle spese del procedimento dinanzi al giudice nazionale e dinanzi alla Corte.

12. Un ulteriore punto con cui non concordo è il punto 4, che stabilisce che la constatazione di violazione costituisce di per sé un’equa soddisfazione sufficiente per l’eventuale danno non patrimoniale subito dai ricorrenti. Ogni ricorrente ha chiesto 20.000 euro (EUR) per il danno non patrimoniale (si veda il paragrafo 176 della sentenza). Tuttavia, nel paragrafo 187 la Corte ha ritenuto che, date le circostanze del caso di specie, la violazione della Convenzione da essa constatata costituisse un’equa soddisfazione sufficiente per l’eventuale danno non patrimoniale subito dai ricorrenti. Ciò si rispecchiava anche nel punto 4 del dispositivo. Non posso accettare che la sofferenza e l’ansia dei ricorrenti derivanti dal continuo e grave inquinamento e dai rischi subiti non giustifichino un risarcimento monetario del danno non patrimoniale.

13. Infine, dissento dal punto 6 del dispositivo, che respinge la rimanente parte della domanda di equa soddisfazione dei ricorrenti, in quanto il risarcimento del danno non patrimoniale avrebbe dovuto essere accordato ai ricorrenti sia in relazione alla loro doglianza ai sensi dell’articolo 8 che alla loro doglianza ai sensi dell’articolo 2.

APPENDICE

Elenco dei ricorrenti:

Ricorso n. 52854/18 (è stato concesso l’anonimato)

N.Nome del ricorrenteAnno di nascitaCittadinanzaLuogo di residenza
1.(omissis)1973ItalianaSalerno
2.(omissis)1955ItalianaPellezzano
3.(omissis)1947ItalianaSalerno
4.(omissis)1971ItalianaSalerno
5.(omissis)1975ItalianaSalerno
6.(omissis)1955ItalianaSalerno
7.(omissis)1971ItalianaSalerno
8.(omissis)1983ItalianaSalerno
9.(omissis)1982ItalianaSalerno
10.(omissis)1981ItalianaSalerno
11.(omissis)1978ItalianaSalerno
12.(omissis)1988ItalianaBaronissi
13.(omissis)1975ItalianaBaronissi
14.(omissis)1968ItalianaSalerno
15.(omissis)1971ItalianaPellezzano
16.(omissis)1950ItalianaSalerno
17.(omissis)1976ItalianaSalerno
18.(omissis)1956ItalianaSalerno
19.(omissis)1943ItalianaSalerno
20.(omissis)1986ItalianaSalerno
21.(omissis)1975ItalianaSalerno
22.(omissis)1976ItalianaSalerno
23.(omissis)1966ItalianaSalerno
24.(omissis)1940ItalianaSalerno
25.(omissis)1970ItalianaPellezzano
26.(omissis)1943ItalianaSalerno
27.(omissis)1966ItalianaPellezzano
28.(omissis)1968ItalianaSalerno
29.(omissis)1979ItalianaSalerno
30.(omissis)1984ItalianaSalerno
31.(omissis)1952ItalianaSalerno
32.(omissis)1950ItalianaSalerno
33.(omissis)1945ItalianaPellezzano
34.(omissis)1976ItalianaSalerno
35.(omissis)1977ItalianaSalerno
36.(omissis)1947ItalianaPellezzano
37.(omissis)1978ItalianaPellezzano
38.(omissis)1991ItalianaBaronissi
39.(omissis)1967ItalianaSalerno
40.(omissis)1946ItalianaSalerno
41.(omissis)1977ItalianaSalerno
42.(omissis)1977ItalianaSalerno
43.(omissis)1954ItalianaPellezzano
44.(omissis)1965ItalianaPellezzano
45.(omissis)1971ItalianaSalerno
46.(omissis)1969ItalianaPellezzano
47.(omissis)1953ItalianaPellezzano
48.(omissis)1964ItalianaSalerno
49.(omissis)1971ItalianaSalerno
50.(omissis)1949ItalianaSalerno
51.(omissis)1971ItalianaBaronissi
52.(omissis)1970ItalianaSalerno
53.(omissis)1983ItalianaPellezzano
54.(omissis)1945ItalianaPellezzano
55.(omissis)1975ItalianaSalerno
56.(omissis)1959ItalianaBaronissi
57.(omissis)1997ItalianaSalerno
58.(omissis)1979ItalianaSalerno
59.(omissis)1942ItalianaSalerno
60.(omissis)1964ItalianaSalerno
61.(omissis)1973ItalianaPellezzano
62.(omissis)1948ItalianaPellezzano
63.(omissis)1959ItalianaSalerno
64.(omissis)1996ItalianaSalerno
65.(omissis)1978ItalianaBaronissi
66.(omissis)1977ItalianaBaronissi
67.(omissis)1963ItalianaSalerno
68.(omissis)1971ItalianaSalerno
69.(omissis)1969ItalianaSalerno
70.(omissis)1970ItalianaSalerno
71.(omissis)1966ItalianaSalerno
72.(omissis)1960ItalianaBaronissi
73.(omissis)1965ItalianaSalerno
74.(omissis)1981ItalianaPellezzano
75.(omissis)1989ItalianaBaronissi
76.(omissis)1969ItalianaSalerno
77.(omissis)1981ItalianaPellezzano
78.(omissis)1973ItalianaPellezzano
79.(omissis)1942ItalianaPellezzano
80.(omissis)1984ItalianaSalerno
81.(omissis)1979ItalianaSalerno
82.(omissis)1969ItalianaSalerno
83.(omissis)1975ItalianaSalerno
84.(omissis)1979ItalianaSalerno
85.(omissis)1981ItalianaSalerno
86.(omissis)1952ItalianaSalerno
87.(omissis)1957ItalianaPellezzano
88.(omissis)1970ItalianaPellezzano
89.(omissis)1947ItalianaSalerno
90.(omissis)1971ItalianaSalerno
91.(omissis)1961ItalianaSalerno
92.(omissis)1945ItalianaSalerno
93.(omissis)1975ItalianaBaronissi
94.(omissis)1965ItalianaPellezzano
95.(omissis)1967ItalianaSalerno
96.(omissis)1970ItalianaSalerno
97.(omissis)1964ItalianaSalerno
98.(omissis)1977ItalianaSalerno
99.(omissis)1948ItalianaPellezzano
100.(omissis)1965ItalianaBaronissi
101.(omissis)1964ItalianaSalerno
102.(omissis)1972ItalianaSalerno
103.(omissis)1975ItalianaSalerno
104.(omissis)1988ItalianaSalerno
105.(omissis)1986ItalianaSalerno
106.(omissis)1940ItalianaSalerno
107.(omissis)1957ItalianaPellezzano
108.(omissis)1954ItalianaPellezzano
109.(omissis)1956ItalianaPellezzano
110.(omissis)1946ItalianaSalerno
111.(omissis)1955ItalianaPellezzano
112.(omissis)1947ItalianaPellezzano
113.(omissis)1972ItalianaSalerno
114.(omissis)1957ItalianaSalerno
115.(omissis)1982ItalianaSalerno
116.(omissis)1976ItalianaSalerno
117.(omissis)1939ItalianaSalerno
118.(omissis)1977ItalianaSalerno
119.(omissis)1973ItalianaSalerno
120.(omissis)1982ItalianaSalerno
121.(omissis)1966ItalianaBaronissi
122.(omissis)1946ItalianaSalerno
123.(omissis)1981ItalianaSalerno
124.(omissis)1960ItalianaSalerno
125.(omissis)1952ItalianaSalerno
126.(omissis)1975ItalianaSalerno
127.(omissis)1958ItalianaBaronissi
128.(omissis)1972ItalianaPellezzano (fraz. Cologna)
129.(omissis)1974ItalianaSalerno
130.(omissis)1959ItalianaSalerno
131.(omissis)1974ItalianaSalerno
132.(omissis)1953ItalianaPellezzano
133.(omissis)1947ItalianaPellezzano
134.(omissis)1968ItalianaSalerno
135.(omissis)1960ItalianaSalerno
136.(omissis)1978ItalianaSalerno
137.(omissis)1947ItalianaSalerno
138.(omissis)1976ItalianaSalerno
139.(omissis)1980ItalianaBaronissi
140.(omissis)1965ItalianaSalerno
141.(omissis)1978ItalianaSalerno
142.(omissis)1975ItalianaPellezzano
143.(omissis)1960ItalianaSalerno
144.(omissis)1972ItalianaBaronissi
145.(omissis)1948ItalianaSalerno
146.(omissis)1957ItalianaSalerno
147.(omissis)1965ItalianaSalerno
148.(omissis)1985ItalianaPellezzano
149.(omissis)1969ItalianaSalerno
150.(omissis)1963ItalianaSalerno
151.(omissis)1975ItalianaSalerno
152.(omissis)1993ItalianaSalerno
153.(omissis)1949ItalianaSalerno

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