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Corte di Giustizia Tributaria II grado della Toscana sez. III, 28/04/2025, n. 535

Massima

In tema di accertamento fiscale e contenzioso tributario per una società a responsabilità limitata e i suoi soci, è legittima la ripresa a tassazione dell’indeducibilità di una svalutazione crediti che ecceda il limite del 0,50% del loro valore nominale o di acquisizione esistente a bilancio.

Supporto alla lettura

ACCERTAMENTO TRIBUTARIO

L’accertamento tributario (o fiscale) è il complesso degli atti della pubblica amministrazione volti ad assicurare l’attuazione delle norme impositive.

L’attività di accertamento delle imposte da parte degli uffici finanziari ha carattere meramente eventuale, essendo prevista nel nostro sistema l’autoliquidazione dei tributi più importanti da parte del contribuente stesso, tramite l’istituto della dichiarazione. Gli uffici intervengono quindi soltanto per rettificare le dichiarazioni risultate irregolari o nel caso di omessa presentazione delle stesse.

A seconda del metodo di accertamento utilizzato, questo può essere:

  • analitico: attraverso l’analisi della documentazione contabile e fiscale;
  • analitico-induttivo: cioè misto, basato su un esame documentale e presunzioni, di norma fondate su elementi gravi, precisi e concordanti, salvo in caso di omessa dichiarazione o di contabilità inattendibile/omessa;
  • induttivo: attraverso l’utilizzo esclusivo di presunzioni che possono essere anche esclusivamente semplici;
  • sintetico: fondato su coefficienti ministeriali.

Ambito oggettivo di applicazione

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

A seguito di verifica fiscale relativa agli anni d’imposta 2014, 2015 e 2016 condotta dall’Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale di Pisa, Ufficio Controlli, e conclusasi con PVC notificato alla società P. srl in data 28/08/2019 l’Ufficio emetteva:

a. gli avvisi di accertamento n. —— e n. —— notificati alla società con cui venivano recuperati ad imposizione maggiori imponibili rispettivamente ai fini Ires e Irap;

b. gli avvisi di accertamento ——/2020 e ——/2018, con cui l’Ufficio recuperava in capo ai signori T. M. e F. S., quali soci della anzidetta società, maggiori redditi di lavoro dipendente a seguito di diversa qualificazione di alcune prestazioni di servizi d’opera rese dai soci medesimi alla società. In particolare, a fronte del valore individuato per le prestazioni d’opera per il 2014, ossia u20AC 144.000,00, l’Agenzia rilevava che ad entrambi i soci sarebbero state erogate somme per un totale di u20AC 81.794,00;

c. infine, l’avviso di accertamento Ires 2014 n. —— per credito di imposta indebitamente usato in compensazione.

Con il provvedimento n. —— emesso nei confronti della società nello specifico si è contesta l’indeducibilità fiscale di alcuni componenti negativi di reddito, in particolare:

a) l’indeducibilità, nel periodo di imposta 2014, di una svalutazione di un credito nei confronti della società controllata F. T. Srl per un importo pari a 182.745,82 euro, sul presupposto che le svalutazioni su crediti, in quanto presunte, sono deducibili solo nel limite del 5 per mille dell’importo di tutti i crediti esistenti in bilancio a fine anno;

Sono state, inoltre, constatate altre operazioni che non hanno determinato un recupero a imposizione di maggiori oneri o proventi, ma una diversa collocazione temporale di oneri o proventi tra periodi di imposta, in virtù dell’applicazione del principio di competenza economica di cui all’ art. 109 del D.P.R. n. 917/1986. In questi casi, lo spostamento di un onere o provento a un diverso periodo di imposta ha determinato il riconoscimento di una corrispondente variazione di segno opposto nell’originario periodo di imposta al fine di eliminare l’effetto reddituale del componente spostato.

Nello specifico si è trattato:

1) dell’annullamento degli effetti dello stanziamento di ricavi non ancora maturati per fatture di emettere per un importo di 49.500,00 euro, il quale ha interessato il periodo di imposta 2014, con una variazione in diminuzione, e il periodo di imposta 2016, con una variazione in aumento;

2) dell’annullamento di alcune registrazioni contabili sottese agli effetti di un accordo transattivo con una società cliente dell’importo netto di 10.000,00 euro, il quale ha interessato il periodo di imposta 2014, con una variazione netta in diminuzione, e il periodo di imposta 2015, con una variazione in aumento. Si è parlato di variazione netta in diminuzione in quanto effetto di due diverse variazioni di segno opposto, una in diminuzione, dell’importo di 21.569,00 euro; l’altra, in aumento, di 11.569,00 euro (v. sezione 3.1.6 del menzionato verbale di constatazione);

3) dell’eliminazione degli effetti reddituali degli interessi attivi di mora non ancora incassati, la quale ha comportato una variazione in diminuzione di 7.492,00 euro nel periodo di imposta 2014, e una paritetica variazione in aumento nel periodo di imposta 2016. In più, una variazione in diminuzione di 13.281,00 nel periodo di imposta 2016, conseguente all’addebito a una società cliente di ulteriori interessi attivi di mora.

In riferimento a queste constatazioni, la parte ha comunicato di aver annotato nella contabilità dell’anno 2019 delle scritture contabili con le quali ha inteso eliminare gli effetti contabili prodotti da tutte queste operazioni, affermando che esse sono state eseguite in accoglimento delle risultanze delle osservazioni dei verificatori, e di esplicare effetti fiscali sul periodo di imposta 2019.

Valutate le scritture contabili citate, contenute anche nell’allegato B.3 del verbale di constatazione, l’ufficio ha formulato le seguenti precisazioni:

1) le scritture contabili rettificative annotate in contabilità dalla parte non possono avere riflessi fiscali in quanto violano il principio di competenza economica di cui all’ . Sono art. 109 del D.P.R. n. 917/1986 state tutte quante annotate nel periodo di imposta 2019, mentre i periodi di imposta cui esse vanno riferite sono quelli indicati nel verbale di constatazione: si spazia dal periodo di imposta 2014 al periodo di imposta 2016;

2) le rettifiche, per quanto riguarda il profilo fiscale, possono essere introdotte nei periodi di imposta di competenza solo attraverso la presentazione di dichiarazioni integrative dell’anno cui si riferiscono; per quanto riguarda il profilo contabile, si devono applicare i dettami del principio contabile n. 29 dell’OIC;

3) le scritture contabili rettificative della parte che sono indirizzate alle operazioni trattate nei precedenti punti A), B) e C) non sono scritture che le annullano, in quanto non determinano l’emersione di maggiori componenti reddituali positivi. Ciò perché le scritture contabili rettificative della parte presentano tutte un’ulteriore scrittura contabile (sempre le ultime due movimentazioni) che introducono dei componenti negativi che sembra abbiano l’unico fine di azzerare i componenti positivi che emergono dall’annullamento delle operazioni contestate. Si deve ricordare che tutte quante le operazioni trattate ai precedenti punti A), B) e C) hanno determinato, nei rispettivi periodi di imposta, la deduzione fiscale di costi per importi superiori rispetto a quelli dovuti. Pertanto, l’unico modo per eliminare questi effetti, è l’emersione di componenti positivi di reddito che annullino i maggior costi dedotti. Una tale operazione deve avvenire soltanto con riferimento all’annualità in cui i maggiori costi sono stati indebitamente dedotti, e non con riferimento all’annualità in corso. Così facendo verrebbe violato il principio fiscale di competenza economica.

Si è, poi, contestata l’indeducibilità parziale di alcune prestazioni di servizi d’opera dei soci valutate alla stregua di uno strumento finanziario. Nello specifico, i due soci M. T. e S. F. si impegnavano a prestare le proprie attività lavorative alla società P. Srl, per gli importi indicati nella sottostante tabella 1 per gli anni 2014, 2015, 2016 e 2017, qualificando tali prestazioni come date a titolo di finanziamento, e ricevendo in cambio, a titolo di pegno, un titolo obbligazionario emesso dalla società controllata F. T. Srl, del valore nominale uguale al valore delle prestazioni d’opera, che incorporava una cedola semestrale dell’importo pari agli interessi calcolati al tasso dell’1,5 per cento sul valore globale delle prestazioni d’opera.

Ancora si è sottolineata l’inefficacia del regime tassazione del consolidato fiscale. Ed infatti, tenuto conto della rilevanza sostanziale della comunicazione di opzione per il passaggio al regime di tassazione del consolidato fiscale ai fini dell’operatività del regime, e accertato, come illustrato nella sezione 3.3 del menzionato verbale di constatazione, che nessuna valida comunicazione di opzione è stata presentata dalla società P. Srl per gli anni 2014, 2015 e 2016, il regime di tassazione da applicare è stato ritenuto quello ordinario e non quello del consolidato nazionale.

Quanto, poi, all’affermazione della parte che il controllo formale della dichiarazione dei redditi di cui all’art. 36-bis del D.P.R. n. 600/1972, degli anni 2014 e 2015, aveva riconosciuto la spettanza del credito di imposta sulla ricerca scientifica, e quindi, implicitamente, l’operatività del regime di tassazione del consolidato nazionale, l’Ufficio ha evidenziato che un tale controllo esula dalle attribuzioni proprie del controllo formale, essendo infatti quello sulla validità del regime di consolidato un controllo sostanziale demandato ad altre fasi dell’attività di controllo delle dichiarazioni dei redditi.

Il provvedimento n. ——/2019 riguarda l’anno d’imposta 2014, è stato notificato a P. e ripropone il contenuto del provvedimento n. T8P080602133 notificato al sig. M. T. in qualità di rappresentante legale dell’ente.

Con il provvedimento N. ——/2020 notificato al socio T. si contesta, invece, che tra società P. SRL e i suoi soci sia stato pattuito un apporto di servizi d’opera da parte dei soci del valore di 192.450,00 euro all’anno, per quattro anni, a decorrere dall’anno 2014, consistenti nello svolgimento dell’attività di direttore tecnico e di amministratore delegato per il socio T., e di responsabile dell’amministrazione, della contabilità, e dell’ufficio gare e contratti per il socio F..

L’apporto è stato qualificato a titolo di finanziamento, e ai soci sono state assegnate, a titolo di pegno, obbligazioni del valore pari a quello delle prestazioni rese, remunerate da una cedola, al tasso del 3 per cento annuo. La società si è dedotta il valore delle prestazioni rese, i soci non hanno incassato la cedola, né il valore di rimborso del prestito obbligazionario, ma delle somme di denaro per un valore inferiore a quello delle prestazioni rese, le quali somme non sono state considerate reddito per i soci percettori. La valutazione dell’accordo contrattuale tra soci e società, nonché delle sue modalità di esecuzione, ha attestato che il rapporto non poteva qualificarsi come prestato a titolo di finanziamento, e che le obbligazioni assegnate ai soci erano titoli giuridicamente inesistenti perché il prestito obbligazionario non era stato sottoscritto da chicchessia;

anzi, l’attribuzione ai soci di somme di denaro, determinava la riqualificazione del rapporto come dato a titolo di lavoro
dipendente o assimilato fino a concorrenza delle somme di denaro percepite, e come prestazione accessorie offerte a titolo gratuito per la parte rimanente fino al raggiungimento del valore dichiarato delle prestazioni rese. Tutto questo, quale riflesso, del più generale principio fiscale, per cui ciò che è un costo deducibile per un soggetto, deve essere anche un provento imponibile per la controparte, salvo che specifiche norme di legge non prevedono forme di esonero o agevolazioni di varia natura.

In estrema sintesi, quindi, l’Agenzia delle Entrate emetteva avvisi di accertamento per l’anno di imposta 2014 rilevando l’indeducibilità di una svalutazione di un credito P. nei confronti della società controllata “F. T. s.r.l.”, per un importo di u20AC 182.742,00; ciò sul presupposto che la svalutazione dei crediti è deducibile solo nel limite del 5 per mille dell’importo del credito esistente nel bilancio di fine anno.

Con lo stesso avviso venivano contestate anche altre operazioni che pur non determinando un recupero, avevano una diversa collocazione temporale, in virtù del principio di competenza economica di cui all’art. 109 D.P.R. 917/86 con conseguente spostamento del provento o dell’onere ad altro periodo di imposta.

Per quanto riguardava anche i soci T. e Fogli, l’Ufficio rilevava che gli stessi si erano impegnati a prestare la propria attività lavorativa presso la P. per gli anni 2014, 2015, 2016 e 2017, qualificando tale prestazione come finanziamento soci e ricevendo in cambio, come pegno, un titolo obbligazionario emesso da F. T. s.r.l. del valore nominale uguale al valore indicato delle prestazioni d’opera. La società P. portava in deduzione, anno per anno, l’importo delle prestazioni d’opera riportate nel conto finanziamento soci. Questi ultimi non incassavano alla scadenza né la cedola per gli interessi maturati né ricevevano tutto il valore delle prestazioni rese, ma una parte dello stesso che veniva prelevato dai conti della società. Questi importi venivano considerati rimborsi del finanziamento che sarebbe stato attuato mediante le prestazioni d’opera e, quindi, non venivano considerati reddito imponibile dai percettori.

Ne conseguiva che, avuto riguardo alla società, l’Ufficio riteneva deducibile i costi solo per la parte di corrispettivo effettivamente pagati ai soci qualificando invece come indeducibili i costi dichiarati ma non effettivamente sostenuti.

Con tempestivo ricorso, la società e i soci, impugnavano gli atti prima indicati lamentando la violazione dell’art. 109, nonché la violazione dell’art. D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 109, c. 2 lett. b) D.P.R. 917/1986 e dell’art. 1 D.P.R. 10 novembre 1997, n. 442 e, avuto riguardo agli avvisi notificati ai soci, lamentavano, in via principale, la violazione dell’art. 2467 c.c. e, in via subordinata, l’erronea classificazione del reddito asseritamente percepito dai ricorrenti.

I primi giudici respingevano il ricorso osservando preliminarmente che gli avvisi di accertamento impugnati dovevano ritenersi congruamente motivati, ai sensi dell’art. 42 D.P.R. 600/73. Sosteneva, poi, il giudice di prime cure, riprendendo un orientamento espresso dalla Corte di Cassazione, avuto riguardo alle lamentele della ricorrente circa l’impossibilità dell’Agenzia delle Entrate di verificare e rettificare gli elementi indicati in bilancio a fini fiscali, che le riprese dell’Ufficio dovevano ritenersi comunque fondate in quanto la ricorrente non poteva portare in detrazione nel 2020 ciò che avrebbe dovuto portare in detrazione nel 2014, poiché l’art. 109 TUIR prevede espressamente che “i ricavi e le spese e gli altri componenti positivi e negativi …..concorrono a formare il reddito nell’anno di competenza”.

Inoltre, l’art. 106 TUIR prescrive che “la svalutazione dei crediti risultanti dal bilancio …. che derivano dalla cessione di beni e dalle prestazioni di servizio indicate nel comma 1 dell’art. 85, sono deducibili in ciascun esercizio nel limite dello 0,50 % del valore nominale o di acquisizione dei crediti stessi”.

L’operato dell’Ufficio è stato, poi, ritenuto fondato anche riguardo alle prestazioni d’opera da parte dei soci, qualificate dalla società come finanziamento soci in quanto tale rapporto non potrebbe ricondursi ad una operazione di finanziamento perché l’oggetto non è il denaro ma, appunto, una prestazione d’opera intellettuale a favore della società. Sul punto si chiarisce che la scrittura fra i due soci e la società appare inquadrabile come conferimento di capitale sociale attraverso la prestazione dell’opera intellettuale, regolato dall’art. 2064 CC., articolo che, al comma 6 prevede, la prestazione di una polizza di assicurazione o di una fideiussione bancaria, idonee a garantire l’adempimento dell’obbligo di eseguire la prestazione d’opera da parte dei soci con escussione della garanzia da parte della società conferitaria in caso di inadempimento totale o parziale dei soci dell’obbligo della prestazione o nel caso di impossibilità totale o parziale di adempiere; il tutto al fine di preservare la corretta formazione e l’integrità del capitale sociale conferito attraverso l’opera.

Nel caso di specie, nelle scritture prodotte non risulterebbe prevista alcuna garanzia a favore della società; al contrario, la stessa ha dato in pegno delle obbligazioni di una società controllata per garantire i soci del pagamento di quanto dovuto per la prestazione d’opera, senza alcuna garanzia per sé stessa in ordine all’adempimento dell’obbligo assunto dai soci. Pertanto, ritiene il giudice, che ci sia un semplice apporto d’opera alla società da parte dei soci e, quindi, i relativi costi possono essere portati in detrazione nei limiti di quanto effettivamente corrisposto agli stessi, i quali, peraltro, a loro volta, avrebbero dovuto dichiarare il conseguente reddito percepito e non sottrarlo alla tassazione, qualificandoli rimborso di un prestito alla società.

Infine, per quanto riguarda il ricorso avverso l’avviso di accertamento n. —— questo è stato dichiarato inammissibile perché dagli atti non risulta che sia seguita la costituzione in giudizio ai sensi dell’art. 22 D.P.R. 546/92.

Contro la sentenza interpongono appello M. T., in proprio e, altresì, in qualità di legale rappresentante della P. S.R.L. società di ingegneria, nonché la Sig.ra S. F. – come sopra rappresentati e difesi – per i seguenti motivi:

1) In via principale, si denuncia erronea valutazione delle risultanze istruttorie e dunque errata conclusione.

Si sottolinea che, come ammesso dalla stessa Agenzia, la ricorrente ha provveduto a rettificare l’erronea scrittura nel 2019. Vero è che la contribuente avrebbe dovuto farlo in riferimento al periodo di imposta 2014 facendo applicazione del principio di competenza, ma è altrettanto vero che, nonostante abbia errato il periodo di imposta, avrebbe provveduto a rettificare il proprio errore. Ne discende che parte appellata non può pretendere alcunché in termini di imposta. Il rilievo dell’Ufficio, si assume, potrebbe rilevare, a tutto concedere, in termini sanzionatori e non certo per quanto accertato con l’avviso impugnato, poiché, si ribadisce, l’errore commesso è stato sanato. Aggiunge l’appellante, che poiché l’art. 1 D.P.R. 10 novembre 1997, n. 442 stabilisce che l’opzione e la revoca di regimi di determinazione dell’imposta o di regimi contabili si desumono da comportamenti concludenti del contribuente o dalle modalità di tenuta delle scritture contabili, non può che concludersi per il riconoscimento del regime del consolidato nazionale, pur in assenza della comunicazione dell’opzione da parte dell’odierna ricorrente. La validità dell’opzione e della relativa revoca è, infatti, subordinata unicamente alla sua concreta attuazione sin dall’inizio dell’anno o dell’attività.

2) Quanto agli avvisi ricevuti dai soci, la disciplina delle società a responsabilità limitata (quale è la P. s.rl.) prevede una norma ad hoc per il rimborso dei finanziamenti effettuati dai soci nei confronti della società, ossia l’art. 2467 c.c., che, al fine di determinare la modalità di rimborso, si riferisce ai finanziamenti “in qualsiasi forma effettuati”. Dunque, secondo il tenore letterale della norma, che non si riferisce esclusivamente al denaro, oggetto di finanziamento potrebbe anche essere una prestazione d’opera. Non convince, pertanto, l’Agenzia nella parte in cui si limita ad asserire che una prestazione d’opera non possa essere resa a titolo di finanziamento. Parte pubblica, infatti, si riferisce al contratto di finanziamento in generale, richiamando anche il contratto di mutuo di cui all’art. 1813 c.c., senza dedicare un esame specifico ai finanziamenti dei soci in una società a responsabilità limitata, che presenta alcune peculiarità rispetto alla fattispecie richiamata dall’Agenzia. Ne discende che gli avvisi di accertamento sono illegittimi, in quanto i ricorrenti non avrebbero dovuto dichiarare i redditi loro contestati, trattandosi di somme percepite a titolo di restituzione di finanziamento soci, non soggette a tassazione in capo ai soci medesimi.

3) In via subordinata, si assume l’erronea classificazione del reddito asseritamente percepito dai soci T. e F.. Ritiene la contribuente, nella denegata ipotesi in cui il Giudice adito ritenesse di confermare la sentenza di primo grado, escludendo, pertanto, che le prestazioni d’opera dei soci siano state rese a titolo di finanziamento e, dunque, che le somme percepite dai soci siano state erogate dalla società in restituzione del finanziamento, si contesta, comunque, la ricostruzione operata dall’Agenzia.

Quest’ultima, infatti, sostiene che le somme percepite dai soci costituirebbero la remunerazione nell’ambito di un rapporto di lavoro a prestazioni corrispettive, peraltro senza individuarne i presupposti; e per la restante parte, un apporto di prestazioni d’opera a titolo gratuito, quali prestazioni accessorie oltre ai conferimenti. A parere dell’appellante, ed in via subordinata, le somme percepite dagli odierni ricorrenti dovrebbero essere, invece, qualificate quali dividendi, e dunque concorrerebbero a formare il reddito secondo quanto statuito dall’art. 59 del TUIR. Detta impostazione risulterebbe anche più convincente rispetto alla sussistenza della differenza tra il valore stabilito per le prestazioni d’opera svolte dai ricorrenti e le somme effettivamente percepite. Costituitosi in giudizio l’Ufficio controdeduce riprendendo gli argomenti già espressi fin dalla replica alle osservazioni rivolte al PVC e riproposti nei numerosi scritti difensivi.

Per la socia S. F. è pervenuta a questa Corte una memoria dell’Ufficio con la quale chiarisce che in data 28/09/2023 è stata presentata dalla contribuente sig.ra S. F., domanda di definizione lite ex art.1, comma 186, della legge 197/2022, in merito all’avviso di accertamento n. T8P010600031- 2020, e che la domanda risulta regolare. Chiede, pertanto, che la Corte dichiari l’estinzione parziale del giudizio limitatamente all’avviso di accertamento n. ——/2020 con prosecuzione dello stesso con riferimento a quanto altra forma oggetto del giudizio di appello.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Gli appelli proposti devono essere respinti; tuttavia, preliminarmente, questa Corte osserva che, limitatamente alla socia F., deve essere dichiarata l’estinzione del giudizio (avviso di accertamento n. ——/2020) avendo la stessa presentato domanda di definizione della lite ai sensi dell’art. 1, comma 186, della legge n. 197/2022.

Nel merito, avuto riguardo alla società, si osserva preliminarmente, limitatamente a quanto eccepito con il primo motivo di impugnazione, che l’attività dell’Ufficio si è svolta nel pieno rispetto dei poteri attribuiti dalle norme vigenti in tema di controlli e rettifica delle dichiarazioni attraverso l’esame della contabilità del soggetto verificato (art.39 DPR 600/1973 così come richiamato dall’art. 40 DPR 600/1973) e nell’applicazione dei principi fissati in materia di determinazione del reddito d’impresa di cui alle norme del TUIR, tra cui il principio di competenza fissato dall’art. 109.

Avuto riguardo, poi, alla riqualificazione del rapporto società e soci, si conviene con l’Ufficio che, dal punto di vista della società, il costo delle prestazioni d’opera imputato a bilancio poteva essere ritenuto fiscalmente deducibile solo per la parte che è stata remunerata ai soci, ovvero per gli importi indicati nella tabella riportata nell’atto di controdeduzioni, mentre la restante parte non poteva che essere ritenuta indeducibile e quindi ripresa a tassazione; mentre dal punto di vista dei soci, le somme da ciascuno di essi percepite non potevano che essere ricondotte ad un rapporto di lavoro a prestazioni corrispettive e quindi riprese a tassazione ai fini Irpef.

Anche relativamente alla posizione del socio M. T. l’appello deve essere ritenuto infondato e, dunque, respinto. Ed infatti, l’art. 2467 c.c. detta una disciplina per regolamentare le sorti dei finanziamenti dei soci a favore della società “in qualsiasi forma effettuati” sancendo la loro postergazione rispetto agli altri crediti di terzi. La figura del finanziamento soci va, innanzitutto, distinta dal conferimento che va ad incrementare il capitale sociale e relativamente al quale la società non assume nessun obbligo immediato di restituzione. Al contrario, i finanziamenti si caratterizzano per il fatto che la società si assume l’obbligo di rimborsarli ad una data scadenza e non vanno ad aumentare il capitale della stessa. I primi costituiscono, quindi, capitale di rischio e i secondi capitale di credito. Nelle s.r.l. ordinarie (e dunque con capitale sociale superiore a u20AC 10.000), i soci, ai sensi dell’art. 2464, comma 2, c.c., possono conferire «tutti gli elementi dell’attivo suscettibili di valutazione economica». Questi possono essere: denaro; beni in natura o crediti; prestazioni d’opera o di servizi a favore della società; qualsiasi elemento utile allo svolgimento dell’attività sociale, ad esempio anche un bene immateriale, come il know- how. Il conferimento di
prestazioni d’opera o di servizi può avvenire, a condizione che l’attività lavorativa del socio d’opera venga garantita, per l’intero valore ad essa attribuito, tramite una garanzia obbligatoria che può essere una polizza di assicurazione o una fideiussione bancaria. A questa garanzia è necessario apporre un termine di scadenza che coincida con il termine della prestazione garantita e, anche in questo caso, il socio può in qualsiasi momento sostituire la polizza o la fideiussione con un versamento alla società a titolo di cauzione del corrispondente importo in denaro, sempre se l’atto costitutivo lo prevede.

Come i conferimenti dei beni in natura, anche quelli di prestazioni d’opera o di servizi, essendo beni diversi dal denaro, devono essere eseguiti per intero prima della stipula dell’atto costitutivo e deve esserci l’integrale liberazione delle relative partecipazioni al momento della sottoscrizione. Come detto, i soci possono effettuare dei finanziamenti a favore della società, cioè dei prestiti o dei versamenti, che a differenza dei conferimenti, non vanno ad incrementare il capitale della società, ma sono caratterizzati dal fatto che la società assume l’obbligo di rimborsarli e di farlo ad una determinata scadenza, inoltre, di norma, producono un interesse la cui corresponsione non dipende dagli utili prodotti. Quanto all’ambito oggettivo, l’art. 2467 c. 2 c.c. prevede che per finanziamenti dei soci si intendono «i finanziamenti […] in qualsiasi forma effettuati», nel senso che sono comprese nella norma tutte quelle operazioni che hanno come fine il trasferimento oppure la messa a disposizione della società di una somma di denaro, con l’obbligo di rimborso e che dunque assolvano ad una causa creditizia (es. mutuo, apertura di credito, anticipazione bancaria, sconto). Secondo certa dottrina, possono rientrare nell’ambito di applicazione dell’art. 2467 c.c., poiché hanno sostanzialmente una funzione di finanziamento, forme di finanziamento indiretto quali leasing finanziario, leaseback, vendita con patto di retrocessione a termine, ecc. I finanziamenti, oltre che in denaro, possono essere realizzati in
natura oppure tramite la mancata riscossione di somme liquide ed esigibili di cui il socio risulta creditore nei confronti della società. Si pensi, ad esempio, alla mancata riscossione di dividendi già deliberati, di canoni di locazione scaduti, di compensi per prestazioni erogate alla società, o all’ottenimento nei confronti del socio creditore di dilazioni per il pagamento del prezzo che deriva da una fornitura di merci o da una prestazione di servizi da lui effettuata. Infine, i finanziamenti rientranti nell’ambito di applicazione dell’art. 2467 c.c. possono essere anche realizzati tramite la prestazione di garanzie reali o personali da parte del socio a terzi, per l’erogazione di credito effettuata da questi ultimi a favore della società.

In definitiva, stante l’amplissima formula dell’art. 2467 c.c., dal punto di vista civilistico non sembra potersi a priori escludere, come ha fatto l’Agenzia delle Entrate, che una prestazione di servizi abbia causa di finanziamento, in quanto a fronte della prestazioni ricevute la società non è tenuta a pagarne subito il corrispettivo, potendo dilazionare il pagamento allo scadere del termine del finanziamento stesso e avendo, così, a disposizione le somme che avrebbe dovuto corrispondere quale corrispettivo delle prestazioni.

Dal punto di vista fiscale, però, è evidente la differenza che intercorre tra la messa a disposizione (mutuo) di una somma di denaro, somma che poi viene restituita (residuando, se del caso una tassazione sugli interessi pattuiti quale remunerazione della messa a disposizione del denaro per un determinato periodo di tempo) e l’effettuazione di una prestazione che viene (seppur non immediatamente) pagata.

Risulta evidente, infatti, che il pagamento della prestazione deve essere naturalmente assimilato, sotto il profilo della tassazione, ad una prestazione di lavoro dipendente, esattamente come disposto dall’Agenzia delle Entrate. E ciò a prescindere dal fatto che il corrispettivo venga pagato non immediatamente, ma dopo un certo lasso di tempo (differimento che costituisce il finanziamento alla società, la quale può per un certo tempo non essere costretta a pagare il corrispettivo delle prestazioni ed avere a disposizione le relative somme). Quando, però, il corrispettivo viene pagato, lo stesso non può che essere sottoposto a tassazione, con le modalità indicate dall’Agenzia delle Entrate (ovviamente in misura proporzionale alla parte di corrispettivo effettivamente pagato dalla società ai soci).

Per le ragioni indicate, tale pagamento non può essere considerato neppure un dividendo, come sostengono, in subordine e tardivamente gli appellanti.

Le spese processuali seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara l’estinzione del giudizio ai sensi dell’art. 1, comma 186, legge n. 197/2022 per la socia, sig.ra S. F..

Respinge l’appello proposto da P. e dal socio M. T.. Condanna i soccombenti al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio che liquida in € 10.000,00.

Così deciso in Firenze, nella Camera di Consiglio del 1 aprile 2025

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