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Corte di Giustizia Tributaria II grado della Sicilia sez. XV, 31/07/2025, n. 5454

Massima

Qualora l’Agenzia delle Entrate eccepisca l’applicazione della prescrizione decennale del giudicato per un credito tributario, sostenendo che l’iscrizione a ruolo sia fondata su una sentenza passata in giudicato, sull’Ufficio appellante e sull’agente della riscossione incombe l’onere di fornire la prova adeguata sia della sussistenza del giudicato, sia del collegamento della cartella di pagamento alla sentenza della CTR.

Supporto alla lettura

PRESCRIZIONE E DECADENZA CREDITI TRIBUTARI

In materia tributaria la normativa individua frequentemente termini di decadenza, mentre raramente menziona la prescrizione, per la quale valgono in generale le regole civilistiche.

Generalmente, in ambito tributario si parla di decadenza con riferimento a:

  • potere di acquisto;
  • potere di liquidazione;
  • potere di iscrizione a ruolo;
  • diritto al rimborso da parte del contribuente.

L’”infruttuoso decorso del termine”, idoneo a determinare la decadenza, può consistere o nella mancata conclusione di un procedimento, se si tratta dell’Amministrazione finanziaria, o nella omissione di un comportamento attivo, qualora si tratti del contribuente. In entrambi i casi, l’applicazione di questa particolare sanzione prevista dall’ordinamento deve conseguire ad un accertamento.

Mentre sarà soggetto a prescrizione il diritto di credito già definitivamente sorto e non ancora attuato per l’inadempimento del debitore (sia esso privato contribuente, sia l’Amministrazione finanziaria). In via generale può affermarsi che la prescrizione non può essere rilevata d’ufficio, e ad essa si applicano gli istituti della sospensione e interruzione dell’ordinaria disciplina civilistica. Per quanto riguarda i termini, questi, variano da tributo a tributo, decorrono dalla data di notifica della cartella di pagamento o dal momento in cui l’avviso di accertamento è divenuto definitivo.

Ambito oggettivo di applicazione

FATTO E DIRITTO

L’Agenzia delle Entrate ha proposto appello nei confronti della società (omissis) srl e di Agenzia Entrate Riscossione, non costituitasi in giudizio seppure ritualmente e tempestivamente citata, avverso la sentenza n. 1824/2024 della Corte di Giustizia Tributaria di I grado di Catania, con cui era stato accolto il ricorso presentato con atto notificato il 26.10.2022 dalla citata società, già dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Catania dell’8.07.2021, avverso l’estratto di ruolo n. 476 del 14.07.2020 relativo a recupero dei crediti di imposta erariali (irpef ed iva) per incremento dell’occupazione inerenti all’anno di
imposta 2002 oltre accessori sotteso alla cartella di pagamento n. (omissis), estratto del quale era venuta a conoscenza mediante la domanda dell’agente della riscossione del 27.07.2022 di insinuazione al passivo del fallimento di detta società fondata sull’estratto di ruolo suindicato, avendo il primo giudice ritenuto che nella specie era maturata la prescrizione decennale decorrente dall’anno di imposta 2002 fino al momento della notificazione della cartella di pagamento citata effettuata dall’agente della riscossione l’8.11.2022.

Va subito notato che la costituzione nel presente giudizio da parte di Agenzia Entrate Riscossione è del tutto inammissibile, in quanto è stata eseguita mediante atto di controdeduzioni depositato il 3.04.2025, ben dopo che il presente giudizio era stato
posto in decisione all’udienza di trattazione del 12.09.2024 e, di conseguenza, è assolutamente inutilizzabile la documentazione prodotta in allegato all’atto di controdeduzioni citato.

L’appello è infondato e va rigettato.

Devesi innanzi tutto osservare che, contrariamente a quanto dedotto dall’Ufficio appellante, correttamente è stata ritenuta dal primo giudice la ammissibilità del ricorso introduttivo presentato dalla società (omissis) srl seppure già dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Catania dell’8.07.2021 ed inoltre proposto avverso il suindicato estratto di ruolo in considerazione della inapplicabilità al presente giudizio della disciplina di cui all’art. 3 bis comma 4 bis del D.L. n. 146/2021, convertito con modifiche con L. n. 214/2021, con la quale è stata sancita la non impugnabilità dell’estratto di ruolo.

Ed, invero, sotto il primo dei due suindicati profili di inammissibilità eccepiti dall’Agenzia delle Entrate, deve rilevarsi che la detta società, seppure già dichiarata fallita, era legittimata alla proposizione del ricorso introduttivo in applicazione del principio affermato nella giurisprudenza di legittimità (v. Cass., sez. unite, n. 11287/2023), dal quale non c’è motivo alcuno per discostarsi, per cui “in caso di rapporto d’imposta i cui presupposti si siano formati prima della dichiarazione di fallimento, il contribuente dichiarato fallito a cui sia stato notificato l’atto impositivo lo può impugnare, ex art. 43 l.fall., a condizione che il curatore si sia astenuto dall’impugnazione e che, cioè, quest’ultimo abbia assunto un comportamento oggettivo di pura e semplice inerzia, indipendentemente dalla consapevolezza e volontà che l’abbiano determinato”.

E, nella specie, per come risulta chiaramente dalle risultanze processuali acquisite in atti, è avvenuto che il curatore fallimentare ha formalmente stabilito di non procedere all’impugnazione della cartella di pagamento suindicata con istanza presentata al giudice delegato, il quale, con proprio visto, ha disposto la comunicazione alla società fallita del suddetto atto proprio in funzione della valutazione della opportunità, o meno, della proposizione del ricorso e, quindi, non c’è dubbio alcuno che era pienamente sussistente il presupposto della inerzia del curatore che legittimava la società fallita alla presentazione del ricorso introduttivo.

Con riferimento poi al secondo dei suindicati profili di inammissibilità denunciati dall’Agenzia delle Entrate, va detto che parimenti correttamente il primo giudice ha ritenuto la inapplicabilità al presente giudizio della disciplina di cui all’art. 3 bis
comma 4 bis del D.L. n. 146/2021, convertito con modifiche con L. n. 214/2021, con la quale era stata sancita la non impugnabilità dell’estratto di ruolo.

Ed, invero, devesi osservare che va fatta applicazione del principio affermato nella giurisprudenza di legittimità (Cass., sez. unite, n. 26283/2022), dal quale non c’è motivo alcuno per discostarsi, per cui “la norma sopravvenuta non è applicabile nel fallimento perché non si discute di tutela immediata a fronte di un atto della riscossione non notificato; nel fallimento non si prospetta alcun atto successivo alla cartella posto che la riscossione è esclusa dalla esecuzione concorsuale in atto e l’interesse, che è quello a opporsi alla ammissione al passivo, è in re ipsa”.

Nello specifico va notato che ai sensi dell’art. 87 D.P.R. 602/1973 comma secondo (così come modificato dal D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 16) è previsto che “se il debitore, a seguito del ricorso di cui al comma 10 su iniziativa di altri creditori, è dichiarato fallito, ovvero sottoposto a liquidazione coatta amministrativa, il concessionario chiede, sulla base del ruolo, per conto dell’Agenzia delle Entrate, l’ammissione al passivo alla procedura” e nello stesso modo dispone l’art. 33 D.lgs. 112/1999 con riferimento ai crediti di natura non erariale.

E, quindi, non c’è dubbio che l’estratto di ruolo è sufficiente a fondare la domanda dell’agente della riscossione di ammissione al passivo fallimentare anche in mancanza della cartella di pagamento e nella specie la società appellata era venuta a conoscenza del suddetto estratto di ruolo a seguito della presentazione in data 27.07.2022 da parte dell’agente della riscossione della domanda di insinuazione al passivo fallimentare.

Ciò premesso, deve ritenersi che la società appellata era titolare di un interesse giuridicamente protetto ad impugnare l’estratto di ruolo in questione che non può essere ritenuto per ciò solo irrilevante, rappresentando invece – nella conclamata inerzia della curatela fallimentare esposta in precedenza ed avuto riguardo al summenzionato particolare contesto normativo applicabile nelle procedure fallimentari – l’unico strumento giuridico utilizzabile al fine di assicurare sia la tutela degli interessi della massa dei creditori concorsuali sia la tutela dell’interesse personale della società fallita una volta tornata in bonis, interessi che altrimenti sarebbero stati entrambi gravemente pregiudicati dal momento che i creditori concorsuali sarebbero stati costretti a subire il concorso di ragioni creditorie eventualmente – in tutto ovvero solo in parte – illegittime e che in ordine alle suindicate ragioni creditorie la società appellata, una volta tornata in bonis, sarebbe stata eventualmente chiamata a rispondere.

Di conseguenza in materia fallimentare deve ritenersi che, nel caso di crediti insinuati al passivo derivanti dal mancato pagamento di imposte o tasse che il curatore nell’espletamento dei suoi compiti istituzionali o, nella sua inerzia, il fallito
personalmente intendono contestare in tutto o solo in parte nell’interesse della massa dei creditori e/o personale del fallito, posto che l’accertamento dei suddetti crediti insinuati è riservato al giudice tributario, è ammissibile la impugnazione dell’estratto di ruolo legittimamente posto dall’agente della riscossione a fondamento della domanda di insinuazione al passivo (anche in mancanza di cartella di pagamento) dinanzi alle Corti di Giustizia Tributaria nel termine previsto dalla legge decorrente dalla data in cui essi hanno avuto conoscenza legale della pretesa creditoria e, dunque, dalla data in cui è stata presentata la domanda di ammissione al passivo.

Ora nel caso in esame la detta domanda di insinuazione è stata presentata il 27.07.2022, per cui il ricorso introduttivo notificato il 26.10.2022 è tempestivo.

Occorre a questo punto passare alla disamina del motivo di gravame formulato dall’Agenzia delle Entrate in ordine alla prescrizione decennale delle imposte erariali ed accessori dovuti per l’anno 2002 dalla società appellata (omissis) srl, che il primo giudice ha ritenuto essere già intervenuta – in mancanza di atti interruttivi – al momento della notificazione in data 8.11.2022 della suindicata cartella di pagamento.

Al riguardo è stato dedotto dall’Ufficio appellante che la iscrizione a ruolo di cui alla cartella di pagamento citata aveva fatto seguito ed era fondata sulla sentenza della CTR Sicilia n. 1352/2020 depositata il 26.02.2020 passata in giudicato e quindi era
soggetta alla prescrizione decennale decorrente dalla formazione del giudicato suddetto, che non era maturata alla data dell’8.11.2022 .

Devesi però osservare che difetta in atti la prova adeguata, il cui onere incombeva sull’Agenzia delle Entrate e sull’agente della riscossione, relativamente sia alla sussistenza del giudicato summenzionato sia al collegamento della cartella di pagamento citata alla sentenza della CTR Sicilia n. 1352/2020.

Ed, invero, va notato che non risulta il versamento in atti né della cartella di pagamento n. (omissis) né della sentenza della CTR Sicilia n. 1352/2020, cui la citata cartella di pagamento avrebbe fatto riferimento, né tanto meno vi è in atti una formale attestazione del passaggio in giudicato della detta sentenza, mentre nessuna indicazione sul punto è dato rinvenire in seno all’estratto di ruolo opposto e prodotto in allegato al ricorso introduttivo.

Le risultanze processuali al riguardo valorizzate dall’Ufficio appellante si appalesano del tutto insufficienti al fine di integrare la prova suesposta, posto che il documento “dettaglio partita di ruolo” – ritualmente prodotto (contrariamente a quanto eccepito
dalla società appellata) in appello dall’Agenzia delle Entrate ai sensi della norma transitoria di cui all’art. 79 comma 1 del d. lgs. n. 220/2023 – è un atto meramente interno all’Amministrazione Finanziaria ininfluente sul piano probatorio nella sede
giudiziale.

Del tutto irrilevante appare, poi, la trascrizione effettuata dall’Agenzia delle Entrate in seno all’atto di controdeduzioni depositato in primo grado di un estratto della cartella di pagamento in questione, nel quale – tra le note in cartella – si fa menzione di una “iscrizione a ruolo come da sentenza CTR n. 1352/2020 depositata il 26.02.2020”, trattandosi di una affermazione unilaterale meramente labialedi una parte del giudizio assolutamente insufficiente – in mancanza di un opportuno supporto documentale – a fornire la prova summenzionata.

E, comunque, devesi notare che in ogni caso, pur volendo prescindere dalla inadeguatezza – peraltro insuperabile – dei suesposti elementi probatori, rimane del tutto sconosciuto nel presente giudizio il contenuto della citata sentenza della CTR Sicilia n. 1352/2020 e ciò rende assolutamente impossibile alla Corte ogni valutazione in ordine al collegamento della citata sentenza con la imposizione tributaria relativa ai tributi erariali dovuti dalla società appellata per l’anno di imposta 2002 di cui all’estratto di ruolo opposto ed alla cartella di pagamento notificata l’8.11.2022, che invece si appalesa assolutamente necessario al fine di potere fare applicazione nel caso in esame, non già della prescrizione decennale dei tributi erariali relativi all’anno 2002 ritenuta dal primo giudice, ma della prescrizione decennale del giudicato invocata dall’Ufficio appellante.

Ciò posto, non è in alcun modo dubitabile che alla suindicata data dell’8.11.2022 era ampiamente intervenuta – peraltro già in epoca antecedente alla sentenza dichiarativa di fallimento della società (omissis) srl dell’8.07.2021 – la prescrizione decennale dei tributi erariali dovuti dalla società appellata per l’anno 2002 a seguito del recupero dei crediti di imposta per l’incremento della occupazione e – di riflesso – era maturata pure la prescrizione quinquennale degli accessori richiesti, pur tenendo conto della sospensione del corso dei termini di prescrizione per il periodo 1.01.2014/15.06.2014 ai sensi dell’art. 1 comma 623 della L. n. 147/2013 come modificato dall’art. 2 comma 1 lettera d) del D.L. n. 16/2014 convertito in L. n. 68/2014 e di quella per covid con decorrenza dall’8.3.2020.

Pertanto la sentenza impugnata va confermata.

Le spese giudiziali di II grado seguono la soccombenza nel rapporto tra l’Agenzia delle Entrate appellante e la società appellata (omissis) srl liquidate come in dispositivo in base al valore della lite pari alla somma di euro 35.959,16, mentre sussistono giusti motivi per dichiarare irripetibili quelle anticipate dall’Ufficio appellante nei confronti di Agenzia Entrate Riscossione.

L’istanza di sospensione presentata dall’Agenzia delle Entrate appellante è assorbita dalla pronuncia di merito di cui alla presente sentenza.

P.Q.M.

La Corte di Giustizia Tributaria rigetta l’appello proposto dalla Agenzia delle Entrate e conferma la sentenza impugnata. Dichiara irripetibili le spese giudiziali di II grado anticipate dall’Ufficio appellante nei confronti di Agenzia Entrate Riscossione.

Condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese giudiziali di II grado, che liquida in favore del procuratore distrattario della società appellata avv. (omissis) nella somma di euro 4.000,00 per compensi oltre spese generali, iva e cpa come per legge. Dichiara assorbita l’istanza di sospensione.

Catania 12.09.2024

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