SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L’Agenzia delle Entrate di riscossione (d’ora in avanti Ader) impugna la sentenza n. 11486/17/2023, emessa dalla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Napoli, in data 13.07.2023, e depositata il 22.08.2023, avente ad oggetto la comunicazione di presa in carico n. (omissis) relativa all’avviso di accertamento n. (omissis).
La Corte di Giustizia di primo grado ha accolto il ricorso del contribuente reputando che mancasse la prova della notifica dell’atto prodromico (l’avviso di accertamento). L’appellante lamenta l’illegittimità della pronuncia per:
a) errata interpretazione e applicazione delle norme di legge, stante la non autonoma impugnabilità della comunicazione di presa in carico;
b) omessa integrazione del contraddittorio nei confronti dell’ente impositore;
c) errata valutazione delle prove documentali in merito alla notifica dell’avviso di accertamento, comunque prodotte in questa sede in forza dell’ art. 58 d. lgs. 546/92 ;
d) l’infondatezza degli altri motivi di opposizione non esaminati in primo grado tra cui l’omessa e/o illegittima modalità del calcolo degli interessi, stante la perfetta aderenza dell’atto di riscossione ai dettami di legge inclusa l’indicazione del nominativo del responsabile del procedimento non richiesta nel caso in esame a pena di nullità. Conclude, affinchè, in riforma della sentenza venisse pronunciata declaratoria di inammissibilità in via preliminare del ricorso del contribuente e, nel merito, la sua infondatezza .
Nel costituirsi tempestivamente, l’appellato ha depositato controdeduzioni ed ha spiegato appello incidentale per omessa pronuncia sulla domanda di annullamento dell’avviso di accertamento quale atto prodromico , chiedendo la riforma parziale in parte qua e il rigetto dell’appello principale col favore delle spese All’esito della camera di consiglio, la causa è stata riservata per la decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’appello principale va respinto. Sull’impugnabilità della presa in carico, il Collegio ritiene di non condividere l’assunto dell’appellante, implicitamente disatteso dal primo giudice .
L’ art. 8, comma 12, del D.L. n. 16 del 2012 ha introdotto l’informativa di avvenuta presa in carico da parte dell’agente della riscossione, delle somme da riscuotere in ordine all’accertamento notificato. Detto articolo, modificando l’ art. 29, comma 1, del D.L. n. 78 del 2010 ha disposto che l’agente della riscossione, con raccomandata semplice spedita all’indirizzo presso il quale è stato notificato l’atto presupposto, informa il debitore di aver preso in carico le somme per la riscossione. Il contribuente ha dedotto che prima di tale comunicazione non aveva mai ricevuto l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate.
Dunque, dalla prospettazione del destinatario della comunicazione di presa in carico si evince che esso è il primo atto di cui ha avuto notizia, il quale, in quanto atto prodromico dell’esecuzione forzata in danno del contribuente, ha indubitabilmente efficacia lesiva.
Unico mezzo di tutela è dunque l’impugnativa dell’atto di presa in carico; diversamente il contribuente dovrebbe subire l’esecuzione anche in carenza di notifica dell’avviso di accertamento , atto di valore “impoesattivo”.
Sul tema, è utile il recente insegnamento di Cass., 19 luglio 2023, n. 21254 secondo cui “una armonica lettura dei principi di efficacia, efficienza ed economicità della tutela giudiziaria e di ragionevole durata del processo come distillati dalla Corte EDU, dagli organismi Euro unitari, alla luce dei principi costituzionali e dell’elaborazione processuale civilistica conduce a ritenere che l’originario elenco di atti impugnabili da tempo non costituisca più numero chiuso, ma possa essere integrato secondo due direttrici: per un verso, consentendo il ricorso avverso tutti quegli atti di natura provvedimentale capaci di modificare unilateralmente e autoritativamente le situazioni giuridiche soggettive del contribuente, sia sui profili sostanziali che processuali;
per un altro verso, consentendo (ed imponendo, a pena di decadenza), l’impugnazione di quegli atti che non appartengano alla prima categoria, ma che costituiscano il primo atto notificato o comunque pienamente conosciuto o legalmente conoscibile dalla parte contribuente, successivo ad un atto impugnabile, ma non formalmente comunicato e che, quindi, si palesa tramite la comunicazione dell’atto successivo, non autonomamente lesivo. In tal caso, l’impugnazione del secondo atto, non lesivo, è funzionale ad attrarre alla cognizione anche l’atto lesivo, ma non (fino ad allora) conosciuto” .
Quanto alla legittimazione passiva dell’Ente impositore invece del Concessionario, quest’ultimo sostiene che la Corte avrebbe dovuto autorizzare la chiamata in causa dell’Ente impositore, peraltro neanche individuato. L’ art. 39 del D. Lgs. n. 112/99, relativo proprio alla “chiamata in causa dell’ente creditore”, dispone che “il concessionario, nelle liti promosse contro di lui che non riguardano esclusivamente la regolarità o la validità degli atti esecutivi, deve chiamare in causa l’ente creditore interessato; in mancanza, risponde delle conseguenze della lite”.
Della questione si è ripetutamente occupata la giurisprudenza (cfr. Cass. civ., sez. trib., 30/03/2021 n. 8808 ), che ha fornito i seguenti chiarimenti:
– 2.1. “In linea con le direttrici ermeneutiche offerte dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 16412 del 25 luglio 2007, si è affermato l’orientamento interpretativo secondo il quale il contribuente che impugni una cartella esattoriale emessa dal concessionario della riscossione per motivi che attengono alla mancata notificazione, ovvero anche all’invalidità degli atti impositivi presupposti, può agire indifferentemente nei confronti tanto dell’ente impositore quanto del concessionario, senza che tra i due soggetti sia configurabile un litisconsorzio necessario”;
– “non di meno, nel caso in cui il contribuente svolga contestazioni involgenti il merito della pretesa impositiva, permane l’onere per l’Agente della riscossione, che voglia andare esente dalle eventuali conseguenze della lite, di chiamare in giudizio l’ente creditore in ossequio al D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 39 ( Cass. Sez. 5, ord. 28/4/2017, n. 10528 ; Cass. Sez. 5, 4/4/2018 , 8295; Cass. Sez. 5, Ord. 3/4/2019, n. 9250 ; Cass. Sez. 6-5, ord. 12/6/2019, n. 16685 )”;
– “non diversamente, deve escludersi la configurabilità di un litisconsorzio necessario qualora, come nella specie, il giudizio sia stato promosso nei confronti dell’Agente della riscossione, non assumendo alcun rilievo, a tal fine, la circostanza che la domanda abbia ad oggetto l’esistenza del credito, oltre alla validità della cartella esattoriale e della sua notificazione, dal momento che il difetto di legittimazione ad agire o a resistere in ordine all’accertamento del credito non determina la necessità di procedere all’integrazione del contraddittorio nei confronti del soggetto che ne risulti effettivamente titolare, ma comporta esclusivamente l’insorgenza di una questione di legittimazione, per la cui soluzione non è indispensabile la partecipazione al giudizio dell’ente creditore (in questi termini, ex aliis, Cass. Sez. 5, n. 9250 del 2018, cit.)”;
– “va, inoltre, ribadito che la chiamata in giudizio prevista e disciplinata dal D.Lgs. n. 112/99, art. 39 , è espressione di una facoltà riconosciuta all’Agente della riscossione al fine di rendere edotto l’ente creditore della pendenza della lite e dei motivi di ricorso, così da consentirgli, ove lo ritenga opportuno, di intervenire volontariamente nel giudizio in corso per spiegare le proprie difese in relazione ai vizi dell’atto al medesimo imputabili. Per tale ragione questa Corte, con orientamento ormai consolidato, la qualifica come litis denuntiatio, intravedendovi una prerogativa di natura sostanziale di cui l’agente della riscossione che intenda può avvalersi senza la necessità di un’autorizzazione da parte del giudice (Cass. Sez. 6-5, ord. 12/6/2019, n. 16685 , cit.) e con qualunque modalità, purché idonea a portare a conoscenza dell’ente l’esistenza della lite ( Cass. Sez. 5, 3/4/2019, n. 9250 , cit.)”;
– 2.2. “Non di meno, la previsione di una simile prerogativa sostanziale con funzione partecipativa non elide la concorrente facoltà processuale dell’Agente della riscossione – ove sia l’unico destinatario dell’impugnazione della cartella di pagamento – di chiamare in causa l’ente creditore nelle forme del D.Lgs. n. 546/92, art. 23 e dell’ art. 269 c.p.c. , implicitamente richiamato dalla prima disposizione”;
– “di conseguenza, l’Agente della riscossione che prescelga tale ultima forma di coinvolgimento dell’ente creditore deve formulare l’apposita istanza al giudice con l’atto di costituzione da depositarsi, ai sensi del D.Lgs. n. 546/92, art. 23 , entro sessanta giorni dalla notifica del ricorso ( Cass. Sez. 5, n. 6734 del 2/4/2015 )”;
– “va, inoltre, precisato che, come affermato da questa Corte, la richiesta di autorizzazione alla chiamata in causa dell’ente impositore deve essere ricondotta nel paradigma dell’ art. 106 c.p.c. , con la conseguenza che la mancata autorizzazione costituisce oggetto di una valutazione discrezionale del giudice di primo grado, incensurabile in sede d’impugnazione ( Cass. Sez. L, 4/12/2014, n. 25676 ; Cass. Sez. 1, 28/3/2014, n. 7406 ; Cass. Sez. 2, 19/1/2006, n. 984 )” (cfr. anche Id., sez. VI, 18/11/2019 n. 29798: ai sensi dell’ art. 39 del D.Lgs. n. 112/99 , nelle liti che non riguardino esclusivamente la regolarità o la validità degli atti esecutivi e che siano state promosse contro il concessionario, spetta a quest’ultimo procedere alla chiamata in causa dell’ente creditore interessato secondo lo schema di cui all’ art. 106 c.p.c.”).
Laddove quindi l’agente della riscossione non si avvalga direttamente del citato art. 39 del D.Lgs. 112/99 , potrà fare riferimento all’ art. 23, comma 3, del D.Lgs. n. 546/92 , ai sensi del quale “nelle controdeduzioni la parte resistente espone le sue difese prendendo posizione sui motivi dedotti dal ricorrente e indica le prove di cui intende valersi, proponendo altresì le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio e instando, se del caso, per la chiamata di terzi in causa”.
Nel caso di specie, non solo nelle controdeduzioni di primo grado non viene svolta alcuna istanza di chiamata in causa dell’Ente impositore rispondente, sotto il profilo contenutistico, al paradigma di cui all’art. 23 del D.Lgs. n. 546/92 e all’art. 269 c.p.c. ma la tardiva costituzione del Concessionario avvenuta l’11.7.2023 dopo la notifica del ricorso introduttivo avvenuta il 20/07/2022, avrebbe reso comunque inammissibile la richiesta La mancata prova di notifica dell’atto prodromico , anche in questo grado, conduce alla reiezione dell’appello con conferma della statuizione impugnata.
Quanto all’appello incidentale , esso va respinto. Avendo richiesto in primo grado di “annullare e comunque privare di ogni giuridico effetto l’avviso di presa in carico con il presente ricorso impugnato ed ogni atto presupposto essendo inesistenti, nulli, inefficaci e comunque illegittimi per i titoli esposti e per quanto di Giustizia” l’appellante incidentale chiede che la pronuncia relativa alla mancata notifica dell’atto presupposto si estenda anche a quest’ultimo prospettando un’inedita invalidità derivata temporalmente inversa.
La sequenza procedimentale, sul piano logico, implica che l’applicazione di tale principio operi solo in una direzione, con espansione degli effetti caducatori sugli atti successivi e non certo su quelli prodromici.
Basta osservare che nessun vizio dell’atto presupposto viene indicato ed anzi, che l’intera costruzione del contribuente sia basata proprio sull’inesistenza dell’atto (. Nel caso di specie, l’atto impugnato risulta esser il primo con cui la parte è venuta a conoscenza della pretesa ed è illegittimo per vizio riflesso da interruzione della scansione procedimentale.) di talchè non si vede come si possa annullare ciò di cui non si sia lamentato alcun vizio e che non esiste.
Non ignora il Collegio, che la questione dell’annullamento dell’atto consequenziale implica anche l’annullamento dell’atto presupposto anche se non espressamente impugnato (Cass. 35137/2021 , Cass.1144/2018) allorchè si controverta, però, in sede di ottemperanza sui limiti oggettivi del giudicato, che copre il dedotto ed il deducibile, mentre nella specie, la pronuncia domandata, soprattutto per le carenti allegazioni e doglianze circa l’atto presupposto, impedisce di pronunciare oltre il confine delimitato dalla causa petendi. La reciproca soccombenza induce a disporre la compensazione integrale delle spese di lite.
P.Q.M.
rigetta l’appello principale e rigetta quello incidentale;
– compensa le spese processuali.
Napoli lì 6 febbraio 2024