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Corte di Giustizia Tributaria II grado del Piemonte sez. III, 30/04/2025, n. 331

Massima

In tema di frode carosello, qualora il meccanismo fraudolento sia caratterizzato da operazioni circolari e meramente fittizie (assimilabili a quelle oggettivamente inesistenti, in quanto il bene non compie un vero trasferimento economico ma ha funzione solo cartolare per l’evasione IVA), è legittimo il disconoscimento del diritto alla detrazione IVA e dello status di esportatore abituale.

Supporto alla lettura

OPERAZIONI INESISTENTI

Sono operazioni inesistenti quelle operazioni prive, in tutto o in parte, di riscontro nella realtà commerciale.

Sul piano tributario, il costo derivante da tali operazioni è indeducibile e l’IVA è indetraibile a causa della carenza del requisito della certezza. Con riferimento alle ipotesi di fatture relative a operazioni inesistenti è onere dell’Amministrazione finanziaria provare che l’operazione oggetto della fattura non è mai stata posta in essere, anche avvalendosi delle presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti.

Dal punto di vista penale la dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, nonchè l’emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti costituiscono reati tributari perseguiti, rispettivamente, ai sensi degli artt. 2 e 8 del D. Lgs. n. 74/2000.

Ambito oggettivo di applicazione

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La presente controversia ha ad oggetto l’avviso di accertamento impugnato n. ——/2019,relativo all’anno 2015, nonché il separato atto di irrogazione sanzione (atto n. ——/2019), fondati sull’assunta illegittima detrazione dell’IVA pagata a fornitori e dichiarazione di imposta inferiore a quella dovuta.

A fondamento della ripresa, in estrema sintesi, un articolato sistema di frode “carosello” in cui erano coinvolte varie società: la società fornitrice cedeva merce alla società esportatrice (tra cui l’odierna resistente A S s.r.l.) che, a sua volta, la cedeva alla società estera che, di fatto, riceveva direttamente i beni dal primo fornitore. La stessa merce, quindi, attraverso plurime cessioni rientrava in Italia per poi ripetere il medesimo giro e, in definitiva, creare artificiosi crediti IVA (il penultimo anello della catena, infatti, era una società cartiera che non provvedeva al versamento dell’IVA).

L’individuazione del fornitore e del cliente estero, della tipologia della merce e del prezzo da fatturare erano stabiliti esclusivamente dai membri dell’organizzazione criminale: l’odierna resistente non doveva preoccuparsi di nulla, se non di emettere e ricevere le fatture, di effettuare i pagamenti e di predisporre i documenti di trasporto di propria competenza.

Le società innesco (tra cui A S S.r.l.) non avevano alcuna disponibilità della merce fatturata, che rimaneva sempre in giacenza presso appositi depositi logistici, ma ricavavano in tali operazioni fittizie una percentuale di ricarico garantita (6%), nonché, ricevendo la merce da un fornitore italiano (imponibile a fini IVA) e cedendola a soggetto estero (non imponibile a fini IVA), potevano abbattere il proprio debito IVA verso l’Erario, mediate creazione di un credito a fronte di un’operazione fittizia.

L’Ufficio, pertanto, disconosceva non solo il diritto alla detrazione IVA sulle fatture d’acquisto ricevute dai fornitori nazionali (filtri), in ragione del coinvolgimento – quantomeno colpevole – di A S nella frode, ma anche lo status di esportatrice abituale della contribuente, con conseguente recupero dell’IVA in considerazione dell’indebito utilizzo del plafond.

Inoltre, in ragione del carattere circolare dei trasferimenti, l’Ufficio ha ritenuto fittizi sia gli acquisti di A S dai fornitori italiani (filtri) sia le cessioni ai clienti esteri, irrogando la sanzione prevista dall’art. 8, comma 2, D.L. n. 16/2012.

La sentenza di primo grado accoglieva il ricorso introduttivo sull’assunto difetto di prova della consapevolezza, in capo alla A S s.r.l., di partecipare ad un’attività fraudolenta: in particolare, dopo aver analizzato analiticamente la documentazione in atti, la sentenza di primo grado ha concluso affermando che “l’Ufficio non ha allegato specifici, idonei e sufficienti elementi, neppure presuntivi, della sussistenza dell’accordo simulatorio di A S S.r.l. con la fornitrice e le varie società estere cessionarie, limitandosi a valorizzare sul piano oggettivo il rapporto negoziale della ricorrente con alcune società del gruppo di operatori collegati al sistema fraudolento, varato da un’organizzazione criminale”.

Appella l’Agenzia contestando la sentenza in punto diritto laddove non ha ritenuto sufficiente la mera conoscibilità della frode sulla base dell’ordinaria diligenza, peraltro riconoscendo, in fatto, la negligenza della resistente.

Rileva l’Agenzia come l’avviso di accertamento e l’atto di irrogazione sanzioni si fondino su motivazioni differenti: mentre il primo poggia sulla consapevole partecipazione alla frode Iva, l’atto sanzionatorio richiede l’inesistenza oggettiva delle operazioni (da cui deriva la negazione dello status di esportatore abituale). In ogni caso, rileva l’Agenzia, il descritto meccanismo operativo dimostrerebbe la fittizietà delle operazioni economiche poste in essere, in ciò distinguendosi dall’ordinario schema della frode carosello (dove le operazioni sono solo soggettivamente inesistenti).

Con il terzo motivo di appello l’Ufficio censura la sentenza per aver escluso la rilevanza di numerosi elementi, analiticamente riportati nell’atto di appello, che l’Ufficio aveva posto a base della mancanza di buona fede.

Con il quarto motivo di appello l’Ufficio censura la sentenza in relazione all’illegittimo utilizzo del plafond IVA, sull’assunto che la qualifica di esportatore abituale sarebbe stata acquisita solo con la colpevole partecipazione alla frode IVA e, pertanto, avrebbe dovuto essere negata.

Con il quinto motivo (erroneamente indicato come terzo nell’atto di appello) l’Ufficio insiste sul concetto di inesistenza giuridica delle operazioni contestuali di acquisto/rivendita: in sostanza, trattandosi di una catena di operazioni circolari finalizzate esclusivamente all’evasione IVA, secondo l’Ufficio si tratterebbe di operazioni meramente simulate.

Con il sesto motivo l’Ufficio censura la sentenza per non aver riconosciuto l’inesistenza materiale delle operazioni, rammentando i dubbi sollevati sull’attendibilità della documentazione di trasporto e dei vettori.

Resiste la A S prendendo puntuale posizione su tutte le argomentazioni proposte dall’Ufficio; propone appello incidentale in relazione alle eccezioni proposte in primo grado e respinte dalla sentenza impugnata.

In particolare, la società eccepisce:

1) La nullità derivata dell’avviso di accertamento n. ——/2019 per violazione delle regole sostanziali e procedurali sulle verifiche fiscali in sede di accesso e verifica, in particolare sotto il profilo della mancata redazione dei verbali giornalieri delle attività di verifica compiute tra il 09.05.2016, data del primo accesso ispettivo, e il 27.09.2018, data di redazione del P.V.V. dell’Agenzia delle Dogane e Monopoli, e della mancata autorizzazione alla prosecuzione delle
attività di verifica oltre l’anno 2016;

2) Nullità dell’avviso per motivazione contraddittoria in ordine ai presupposti di fatto e di diritto della pretesa sanzionatoria per incerta o perplessa qualificazione, da parte dell’Ufficio, della condotta di A S;

3) Erroneità della sentenza laddove ha ritenuto non diligente la condotta della A S nell’affidarsi al sig. P;

4) Illegittima compensazione delle spese di primo grado.

Da ultimo, la difesa resistente ha riproposto i motivi del ricorso introduttivo rimasti assorbiti, ed in particolare:

5) Infondatezza nel merito della pretesa portata dall’avviso di accertamento n. ——/2019, con specifico riferimento al recupero sull’utilizzo del plafond Iva;

6) Nullità dell’avviso di accertamento n. ——/2019 per omessa, carente e/o apparente motivazione, sotto il profilo della mancata allegazione dello stato soggettivo dell’amministratore della A S S.R.L. in ordine alla conoscenza o conoscibilità delle presunte ‘frodi carosello’ commesse da soggetti terzi, destinatari delle indagini fiscali;

7) Infondatezza nel merito della pretesa portata dall’avviso di accertamento n. ——/2019: né i verificatori in sede di P.V.V., né l’Agenzia delle Entrate in sede di avviso di accertamento hanno allegato prove dell’effettiva conoscenza o conoscibilità delle eventuali irregolarità fiscali di soggetti terzi (frode carosello), scoperte ad anni di distanza dal fatto all’esito di una complessa indagine internazionale;

8) Errata applicazione delle sanzioni tributarie in assenza dell’elemento soggettivo della colpa, stante la comprovata buona fede dell’amministratore della A S S.R.L., a cui non è rimproverabile la mancata conoscenza di eventuali irregolarità fiscali successivamente accertate in capo a terzi;

9) Errata applicazione della sanzione tributaria prevista dall’art. 8, co. 1-2, , conv. D.L. n. 16/2012 Con modificazioni nella Legge n. 44/2012, per carenza dei presupposti.

All’udienza del 8 aprile 2025 le parti discutevano la causa richiamando le conclusioni dei rispettivi atti introduttivi; all’esito, il Collegio tratteneva la causa in decisione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. L’appello principale merita accoglimento.

2. Occorre premettere che la fattispecie in esame, descritta come frode “carosello”, si caratterizza per evidenti peculiarità.

2.1 In particolare, mentre la frode carosello si fonda, normalmente, sull’utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti (attesa l’effettività dell’operazione economica), la fattispecie in esame (come descritta dai PVC prodotti in primo grado e accertata dalla sentenza impugnata) si caratterizza per la circolarità delle operazioni involgenti il medesimo bene, così da avvicinarsi sensibilmente alle caratteristiche delle operazioni oggettivamente inesistenti.

In sostanza, nel momento in cui il medesimo bene compie un percorso circolare per essere reimmesso nel medesimo meccanismo fraudolento (A vende a B che a sua volta vende alla società estera C il medesimo bene che poi, attraverso plurime cessioni, ritorna a percorrere il medesimo giro Italia – estero), si deve ritenere l’operazione economica sottesa meramente fittizia, in un certo modo avvicinabile ad un’operazione oggettivamente inesistente.

2.2 Poiché, secondo la tesi dell’Ufficio, l’operazione di compravendita sarebbe priva di sostanza economica, ne conseguirebbe la sanzione prevista dall’art. 8, comma 2, D.L. n. 16/2012 (“non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica i componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati …. In tal caso si applica la sanzione amministrativa dal 25 al 50 per cento dell’ammontare delle spese o altri componenti negativi”).

2.3 Da ciò consegue che la ricostruzione dell’onere probatorio effettuata dai giudici di prime cure non appare aderente alla fattispecie in esame, così come quanto affermato in termini di apparente contraddittorietà delle contestazioni sollevate dall’Ufficio.

Infatti, contrariamente a quanto affermato, l’avviso di accertamento si fonda sulla partecipazione della A S s.r.l. alla frode all’IVA, rispetto alla quale appare sufficiente la mera conoscibilità della stessa secondo i criteri di ordinaria diligenza (da ultimo, Cass. n. 15369/2020).

Non vi è alcuna contraddittorietà con l’atto di irrogazione sanzioni che, come sopra ricordato, si fonda, invece, sul diniego di sostanza ed effettività delle operazioni poste in essere: aver fondato l’avviso sulla conoscibilità della frode ha rappresentato, presumibilmente, una scelta strategica prudenziale, ritenendo più agevole la prova della negligenza della A S s.r.l.

Cionondimeno, non si contraddice con tale scelta la prospettazione dell’inesistenza oggettiva delle operazioni, che, in disparte la condivisibilità giuridica, risulta comunque fondata su una diversa lettura dello stesso articolato meccanismo fraudolento posto in essere, tale da sostenere la pretesa sanzionatoria.

3. Venendo all’esame della fattispecie concreta, occorre in primo luogo rilevare che l’esistenza di un’articolata frode carosello risulta non solo accertata dalla sentenza di primo grado ma anche no contestata dalle parti: la stessa difesa della società resistente, infatti, nella propria comparsa di costituzione afferma che la “A S non ha mai avuto rapporti con le società “cartiere” che non provvedevano al versamento dell’IVA. Al contrario aveva rapporti solo con società buffer o filtro, che apparivano assolutamente regolari, frapposte dagli organizzatori della frode proprio al fine di evitare che A S potesse avere sospetti”.

In sostanza, è la stessa società resistente ad ammettere l’esistenza di una frode, affermando, tuttavia, di essere sempre rimasta del tutto estranea alla stessa.

3.1 Sempre in via preliminare, va ricordato che, in ordine alla ripartizione dell’onere probatorio, è ormai granitico (e, pare evidente, pacifico tra le parti) l’orientamento della giurisprudenza di legittimità e di merito: “in tema di IVA, qualora l’Amministrazione finanziaria contesti che la fatturazione attiene ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, incombe sulla stessa l’onere di provare la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi specifici, che il contribuente fosse a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto incombente istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto” (Cass. n. 15369/2020 cit.; Cass. n. 21104/2018).

Come si può notare, non occorre l’esistenza di presunzioni gravi, precise e concordanti, essendo sufficienti meri indizi: l’Amministrazione “ha l’onere di provare ed allegare gli elementi probatori su cui si fondi la contestazione, tra i quali possono rilevare, in via indiziaria, quali elementi sintomatici della mancata esecuzione della prestazione dal fatturante, l’assenza della minima dotazione personale e strumentale, l’immediatezza dei rapporti (cedente/prestatore fatturante interposto e cessionario/ committente), una conclamata inidoneità allo svolgimento dell’attività economica e la non corrispondenza tra i cedenti e la società coinvolta nell’operazione” (Cass. n. 967/2016).

4. Ciò premesso, ritiene il Collegio che i giudici di prime cure non abbiano seguito nel modo corretto le indicazioni della Suprema Corte, non valorizzando adeguatamente i singoli elementi di fatto all’interno del quadro complessivo della frode in essere.

4.1 In ordine a tali elementi, va ricordato che “il processo verbale di constatazione assume un valore probatorio diverso a seconda della natura dei fatti da esso attestati, potendosi distinguere al riguardo un triplice livello di attendibilità:

a) il verbale è assistito da fede privilegiata, ai sensi dell’ , relativamente ai art. 2700 c.c. fatti attestati dal pubblico ufficiale come da lui compiuti o avvenuti in sua presenza o che abbia potuto conoscere senza alcun margine di apprezzamento o di percezione sensoriale, nonché quanto alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni a lui rese;

b) quanto alla veridicità sostanziale delle dichiarazioni a lui rese dalle parti o da terzi – e dunque anche del contenuto di documenti formati dalla stessa parte e/o da terzi – esso fa fede fino a prova contraria, che può essere fornita qualora la specifica indicazione delle fonti di conoscenza consenta al giudice ed alle parti l’eventuale controllo e valutazione del contenuto delle dichiarazioni;

c) in mancanza della indicazione specifica dei soggetti le cui dichiarazioni vengono riportate nel verbale, esso costituisce comunque elemento di prova, che il giudice deve in ogni caso valutare, in concorso con gli altri elementi, potendo essere disatteso solo in caso di sua motivata intrinseca inattendibilità o di contrasto con altri elementi acquisiti nel giudizio, attesa la certezza, fino a querela di falso, che quei documenti sono comunque stati esaminati dall’agente verificatore” (Cass. n. 24461/2018).

4.2 Occorre, pertanto, considerare, sulla base del PVV Agenzia delle Dogane 27.09.2018, degli ulteriori PVC emessi nei confronti delle singole società coinvolte e dei fatti ritenuti provati dalla sentenza di primo grado, il quadro complessivo in cui si è mossa la A S s.r.l.

Questa società, in estrema sintesi, nel dicembre 2014 avrebbe stipulato un accordo con un certo sig. A P (accordo che il legale rappresentante della A S s.r.l. si riservava di produrre ma, invero, mai produceva), sedicente procacciatore d’affari. Nel dettaglio, lo stesso legale rappresentante della resistente dichiarava che “Tale proposta nasceva dall’esigenza che avevano fornitori di sua conoscenza (ndr del P ) di vendere all’estero non avendo disponibilità finanziarie di acquistare con IVA e di cedere senza IVA. Tengo a precisare che prima di effettuare tali cessioni richiedevamo lettera di presentazione dell’azienda partner, visura camerale e bilancio dell’anno.

Il sig. P mi indicava il cliente e il fornitore”.

Il sig. P , a sua volta, dichiarava che “sono società mie clienti alle quali ho chiesto il favore di vendere la merce alle società estere…. Si sono solo prestate a cedere la merce all’estero alla società che mi era stata indicata …. Le società a cui ho chiesto di esportare la merce guadagnavano circa il 4%”.

Dunque, la A S iniziava a intrattenere rapporti di compravendita con società fornitrici a lei sconosciute ed in favore di società estere parimenti sconosciute, senza interloquire con queste, senza incidere sulla determinazione del prezzo (che gli veniva comunicato dal P ) e senza mai ricevere la merce oggetto di transazione, merce che passava da un magazzino deposito ad un altro, con fatture di acquisto e rivendita spesso a distanza di pochissimi giorni.

4.3 E’ evidente, quindi, non solo la circostanza che si trattava di operazioni soggettivamente inesistenti ma che la A S si prestava, chiaramente, a ricoprire il ruolo di mero intermediario nelle fatturazioni.

A parere del Collegio non si tratta di valutare la diligenza o meno della società ma di prendere atto, molto banalmente, che la società si è consapevolmente prestata al meccanismo fraudolento. La società, in altri termini, sapeva di non svolgere alcun ruolo economicamente effettivo se non quello di mero intermediario nel passaggio tra due diversi soggetti economici, ricevendo un compenso per tale interposizione.

Ma anche a voler ragionare in termini di diligenza (che qui, si ribadisce, è in radice insussistente trattandosi di diretta partecipazione alla frode), certamente non può ritenersi sufficiente la richiesta di un bilancio o di una lettera di presentazione per sostenere di aver correttamente verificato l’effettività dell’acquirente straniero.

4.4 Non solo il ruolo astrattamente ricoperto era già, di per sé, illecito, ma anche gli elementi concreti delle singole operazioni confermavano pienamente la consapevolezza (o la volontaria colpevole ignoranza) della società resistente.

Infatti, le circostanze che la società si limitasse a ricevere le fatture di acquisto ed emettere quelle di vendita per la medesima merce, senza intrattenere contatti diretti con i partecipanti all’operazione, che neppure verificasse la quantità e la qualità della merce acquistata, non entrando mai nella disponibilità dei beni, che non partecipasse alle trattative sul prezzo, che i clienti pagassero in anticipo le forniture (pur non avendo pregressi rapporti commerciali con la A S ), che l’oggetto sociale delle società acquirenti non comprendesse il commercio di prodotti informatici (alcune società estere avevano ad oggetto la gestione immobiliare), che i pagamenti avvenissero da istituti bancari collocati in paesi esteri diversi da quelli delle società acquirenti (circostanza che non si giustifica assolutamente con le ragioni addotte dalla resistente), che la merce venisse destinata ad un paese diverso da quello della società acquirente (compravendita con la 1 P T ), l’elevato importo delle transazioni con fornitori e clienti del tutto sconosciuti con cui mai più sono stati intrattenuti rapporti commerciali, sono tutti elementi che, oltre a comprovare l’esistenza di operazioni fortemente dubbie, non potevano non essere colti e univocamente valutati da un operatore commerciale di normale diligenza.

Diligenza e buona fede che, certamente, non possono configurarsi grazie alla richiesta di un bilancio o di una lettera di presentazione, adempimenti meramente formali evidentemente posti in essere nella fallace convinzione di precostituirsi una posizione di garanzia.

4.5 D’altra parte, anche i giudici di primo grado, pur accogliendo il ricorso, hanno riconosciuto una scarsa diligenza e accortezza nella condotta imprenditoriale della A S S.r.l. che, di fatto, delegava a P A (senza alcun accordo scritto di dettaglio) l’attività commerciale per la cessione all’estero di prodotti acquisiti da fornitori nazionali, affermando che la “scelta imprenditoriale di affidarsi ampiamente al ruolo commerciale assegnato al procacciatore” poteva considerarsi “imprudente”.

Alla luce di quanto esposto, deve ritenersi assolutamente pacifica la consapevolezza della A S di partecipare ad un meccanismo fraudolento, con conseguente fondatezza dell’avviso di accertamento quanto all’indebita detrazione IVA.

5. Parimenti, va confermato il diniego dello status di esportatore abituale, avendo la società resistente conseguito tale qualifica in modo fraudolento: “non è contrario al diritto dell’Unione esigere che un operatore agisca in buona fede e adotti tutte le misure che gli si possono ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che l’operazione effettuata non lo conduca a partecipare a una frode fiscale.

Nell’ipotesi in cui il soggetto passivo di cui trattasi sapesse o avrebbe dovuto sapere che l’operazione da esso effettuata rientrava in una frode posta in essere dall’acquirente e non avesse adottato tutte le misure ragionevoli a sua disposizione per evitare la frode medesima, dovrebbe essergli negato il beneficio dell’esenzione” (Cass. n. 5152/2021 e sentenze della Corte di Giustizia ivi richiamate).

La consapevolezza (o colpevole ignoranza) della partecipazione ad una frode non può giustificare il conseguimento dello status di esportatore abituale con i relativi benefici Iva.

6. Va accolto l’appello dell’Agenzia anche quanto all’atto di irrogazione sanzione n. ——/2019 con cui l’Ufficio ha applicato la sanzione prevista dall’ , secondo cui “non concorrono art. 8, comma 2, D.L. n. 16/2012 alla formazione del reddito oggetto di rettifica i componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati …. In tal caso si applica la sanzione amministrativa dal 25 al 50 per cento dell’ammontare delle spese o altri componenti negativi”.

In effetti, pur ammettendo un formale trasferimento di beni, ciò è avvenuto al solo al fine di perseguire un risultato illecito e non economicamente rilevante.

Induce a tale conclusione la circostanza che l’avvenuta fatturazione, il trasferimento ed il pagamento della merce non valgono certo a connotare come effettiva un ‘operazione che ha una funzione solo cartolare, destinata a realizzare l’abbattimento dell’Iva, ma che non opera un vero trasferimento del bene compravenduto in quanto già destinato alla rivendita quasi immediata perché funzionale soltanto al vantaggio fiscale.

7. Passando all’esame dei motivi di appello incidentale, il primo di questi attiene alla nullità derivata dell’avviso di accertamento n. ——/2019 per violazione delle regole sostanziali e procedurali sulle verifiche fiscali in sede di accesso e verifica, in particolare sotto il profilo della mancata redazione dei verbali giornalieri delle attività di verifica compiute tra il 09.05.2016, data del primo accesso ispettivo, e il 27.09.2018, data di redazione del P.V.V. dell’Agenzia delle Dogane e Monopoli, e della mancata autorizzazione alla prosecuzione delle attività di verifica oltre l’anno 2016.

Assume la difesa che tale condotta, difformemente da quanto sostenuto nella sentenza impugnata, avrebbe determinato una lesione del diritto di difesa.

Ritiene il Collegio che la contestazione sia infondata, per le argomentazioni puntualmente svolte dai giudici di prime cure cui, per brevità, si rinvia. La redazione posticipata dei verbali, infatti, non ha determinato alcuna compressione del diritto di difesa atteso che, chiaramente, la qualificazione giuridica dei fatti è stata operata dall’Ufficio solo con il Processo verbale finale. Rispetto ai verbali delle operazioni compiute, pertanto, la società controllata (che, come riconosciuto nell’impugnata sentenza, ha sempre partecipato collaborativamente alle operazioni dei verificatori) non avrebbe potuto articolare alcun tipo di difesa nel merito, non essendo ancora elevata alcuna ricostruzione a carico della A S . Né, d’altra parte, la difesa ha sollevato contestazioni specifiche sulle modalità di svolgimento delle attività ispettive.

Quanto alla mancanza di autorizzazione alla prosecuzione delle indagini, si tratta di una previsione contenuta in una circolare amministrativa e, chiaramente, non assistita da sanzione di nullità.

7.1 Infondato anche il secondo motivo di appello, relativo alla presunta contraddittorietà della ricostruzione operata dall’Ufficio e posta a base dell’avviso di accertamento e dell’atto di irrogazione sanzione.

Sul punto, si rinvia a quanto sopra esposto.

7.3 Anche con riguardo al terzo motivo di appello, con cui la parte ha contestato la sentenza laddove ha ritenuto la scarsa diligenza della A S s.r.l., si rinvia a quanto sopra esposto.

8. Vanno ora esaminati i motivi del ricorso in primo grado rimasti assorbiti ed espressamente riproposti dalla parte, come numerati da 5 a 9 nella parte in fatti.

8.1 In ordine al recupero del plafond IVA (motivo sub 5) si rimanda a quanto sopra esposto in relazione alla perdita dello status di esportatore abituale in quanto acquisito fraudolentemente.

8.2 Va invece esclusa l’eccepita nullità dell’avviso di accertamento n. ——/2019 (motivo sub 6) per omessa, carente e/o apparente motivazione, sotto il profilo della mancata allegazione dello stato soggettivo dell’amministratore della A S S.R.L. in ordine alla conoscenza o conoscibilità delle presunte ‘frodi carosello’.

La difesa, sul punto, sembra sovrapporre l’onere motivazionale dell’avviso con la prova dei fatti fondanti la ripresa dell’Ufficio. L’avviso, sotto il profilo motivazionale, appare assolutamente completo, tanto è vero che la contribuente ha potuto articolare una difesa di oltre 100 pagine, così dimostrando di aver adeguatamente compreso le ragioni della ripresa.

Altro e diverso aspetto, che non determina assolutamente la nullità dell’avviso, è la successiva prova in giudizio della contestazione dell’Ufficio: se l’Ufficio contesta la partecipazione ad una frode carosello (motivo dell’avviso) avrà poi l’onere di provare i fatti fondanti, tra cui la conoscenza o conoscibilità della frode (senza che la motivazione debba indicare tale specifico aspetto).

8.3 Infondato anche il motivo sub 7, relativo all’asserita mancanza di prova dell’effettiva conoscenza o conoscibilità delle eventuali irregolarità fiscali di soggetti terzi.

Come sopra ricostruito, ritiene il Collegio che la fattispecie in esame configurasse una chiara interposizione fittizia soggettiva, fattispecie che un imprenditore oculato doveva necessariamente cogliere. Si rimanda, pertanto, agli elementi sopra descritti.

8.4 Conseguentemente, va respinto anche il motivo sub 8, afferente il difetto dell’elemento soggettivo a sostegno delle sanzioni accessorie contenute nell’avviso di accertamento.

8.5 Il motivo sub 9 resta assorbito stante il rigetto dell’appello principale in relazione all’atto sanzionatorio n. ——/2019

9. Da ultimo, le spese di lite seguono la soccombenza e vanno poste a carico della A S s.r.l. (così respingendo lo specifico motivo di appello incidentale sul punto).

P.Q.M.

Accoglie l’appello principale dell’Agenzia e, per l’effetto, dichiara legittimi l’avviso di accertamento n. ——/2019 e l’atto
sanzionatorio n. ——/2019.

Condanna A S s.r.l. al pagamento delle spese di lite in favore dell’Agenzia, spese liquidate in euro 10.500,00, oltre spese generali (15%), per il primo grado di giudizio ed in euro 9.300,00, oltre spese generali (15%), per il presente grado di appello.

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