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Corte di Giustizia Tributaria I grado di Udine sez. III, 10/06/2025, n. 113

Massima

Nel processo tributario, l’ammissibilità del ricorso contro il rifiuto tacito di un’istanza di annullamento in autotutela è espressamente prevista, ma limitata ai soli casi di “errore sul presupposto d’imposta” ai sensi dell’art. 10-quater dello Statuto dei Diritti del Contribuente.

Supporto alla lettura

PROCESSO TRIBUTARIO

Il Processo Tributario è un procedimento giurisdizionale che ha ad oggetto le controversie di natura tributaria tra il contribuente e l’amministrazione finanziaria, è disciplinato nel d.lgs. 546/1992 e non è incluso in nessuna delle giurisdizioni indicate dalla Costituzione, rappresenta quindi un’eccezione giustificata dal grande tecnicismo della materia.

Il 03 gennaio 2024 è stato pubblicato in G.U. il d.lgs. 220/2023 recante disposizioni in materia di contenzioso tributario, le quali vanno a modificare il d.lgs. 546/1992, e sono da collocare in attuazione della L. 111/2023, con la quale è stata conferita delega al Governo per la riforma fiscale.

Ambito oggettivo di applicazione

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

N. B. ha proposto ricorso contro il rifiuto tacito dell’istanza di annullamento in autotutela di due avvisi di accertamento di imposte, relativi agli anni 2017 e 2018 e scaturiti dal diniego dei presupposti per beneficiare del trattamento fiscale agevolato previsto per gli “incaricati alla vendite a domicilio” dall’art. 25-bis, comma 6, del d.P.R. n. 600 del 1973.

Il ricorrente sostiene che gli avvisi di accertamento sarebbero frutto di un “errore sul presupposto d’imposta”, ai sensi dell’art. 10-quater, comma 1, lett. e, dello Statuto dei Diritti del Contribuente (d.lgs. n. 212 del 2000), con conseguente applicabilità dell’art. 19, comma 1, lett. g-bis, del d.lgs. n. 546 del 1992, che rende autonomamente impugnabile il rifiuto tacito della relativa istanza di autotutela.

L’Agenzia delle Entrate si è difesa con controdeduzioni, negando l’ammissibilità del ricorso contro il silenzio rifiuto tacito (negando, in particolare, che si tratti di un caso di “errore sul presupposto d’imposta”) e ribadendo, anche nel merito, la fondatezza degli avvisi di accertamento.

Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa e le parti hanno discusso la causa in pubblica udienza, dopo di che la Corte si è riservata il deposito del dispositivo nel termine di legge.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso, sebbene ammissibile, è tuttavia infondato e deve, pertanto, essere respinto.

L’ammissibilità è collegata al fatto che il novellato d.lgs. n. 546 del 1992 prevede espressamente la possibilità di presentare ricorso alla Corte di Giustizia tributaria contro “il rifiuto espresso o tacito sull’istanza di autotutela nei casi previsti dall’articolo 10-quater della legge 27 luglio 2000, n. 212”; l’infondatezza discende tuttavia dalla valutazione che, nel caso di specie, il ricorrente attribuisce agli avvisi di accertamento vizi di merito che non possono essere fatti rientrare nel concetto di “errore sul presupposto d’imposta”.

Non è in discussione il fatto che i due avvisi di accertamento furono notificati al contribuente a mezzo PEC e che il contribuente non provvide a presentare ricorso nel termine di legge, senza che venga allegata alcuna anomalia del procedimento notificatorio che giustifichi l’omessa impugnazione.

Ciò premesso, il ricorrente ha chiesto, tuttavia, l’annullamento in autotutela degli avvisi di accertamento e ora impugna il rigetto tacito dell’istanza, non condividendo il giudizio espresso dall’Agenzia delle Entrate sulla natura dell’attività da lui svolta quale “Lyconet Marketer”, giudizio che considera giuridicamente errato, anche perché avrebbe tratto spunto soprattutto da un provvedimento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), a sua volta ritenuto non condivisibile e già impugnato davanti al giudice amministrativo, che ne ha anche disposto la sospensione.

Ebbene, l’autotutela obbligatoria di cui all’art. 10-quater dello Statuto dei Diritti del Contribuente presuppone un “errore sul presupposto d’imposta”, che non può essere fatto coincidere con la (ritenuta) infondatezza dell’accertamento, perché, se così fosse, perderebbe qualsiasi significato la norma – tuttora vigente – che prevede un termine perentorio entro il quale il contribuente può impugnare davanti all’autorità giudiziaria gli atti a lui notificati (art. 21 d.lgs. n. 546 del 1992). Deve quindi trattarsi di un errore di percezione su un presupposto di fatto della pretesa impositiva, come si desume anche dal confronto con gli altri omologhi casi esplicitati nell’art. 10-quater (errore di persona; errore di calcolo; errore sull’individuazione del tributo; errore materiale del contribuente, facilmente riconoscibile dall’amministrazione finanziaria; mancata considerazione di pagamenti di imposta regolarmente eseguiti; mancanza di documentazione successivamente sanata, non oltre i termini ove previsti a pena di decadenza).

Dunque, si deve trattare errori di percezione dei fatti e non sulla valutazione giuridica della fattispecie. Quest’ultima – laddove errata – comporta una mera infondatezza della pretesa impositiva, la quale può essere normalmente sindacata soltanto mediante una tempestiva impugnazione degli atti della amministrazione finanziaria.

Del resto, la “infondatezza dell’atto o dell’imposizione” costituisce l’esplicito presupposto per l’eventuale esercizio del diverso potere di “autotutela facoltativa”, ora previsto e disciplinato dall’art. 10-quinquies dello Statuto, che può essere a sua volta sollecitato da un’istanza del contribuente, ma con ammissibilità del ricorso giudiziario soltanto nei confronti del “rifiuto espresso” (art. 19, comma 1, lett. g-ter, d.lgs. n. 546 del 1992).

In definitiva, il ricorrente non ha allegato l’esistenza di un errore di percezione dell’Agenzia delle Entrate, ma ha formulato una critica alle valutazioni in fatto e in diritto poste a base degli accertamenti, che non possono più essere sindacate in questa sede.

Rigettato il ricorso, le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte: rigetta il ricorso;

condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore dell’Agenzia delle Entrate, liquidate in € 2.000.

Allegati

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