Massima

Il principio della libera circolazione dei lavoratori sancito dal Trattato CEE impone agli Stati membri di garantire che le decisioni di rifiuto del riconoscimento di un diploma professionale rilasciato da un altro Stato membro siano soggette a ricorso giurisdizionale e siano adeguatamente motivate, al fine di assicurare una tutela effettiva di tale diritto fondamentale.

Supporto alla lettura

RICONOSCIMENTO ACCADEMICO

Si tratta di una procedura di valutazione analitica dei titoli accademici esteri per verificare se corrispondono per livello, anni di studi e contenuti a un titolo italiano, il cui obiettivo è quello di rilasciare un provvedimento che è analogo a un  titolo finale italiano e avente valore legale nel nostro paese.

Storicamente tale procedura è identificata con il termine di “equipollenza”, anche se la L. 148/2002 non utilizza più tale termine.

Il riconoscimento di un titolo accademico estero può essere richiesto a specifiche condizioni:

  • deve essere stato rilasciato all’estero da un’università o da un’altra istituzione di livello universitario o superiore che faccia parte ufficialmente del sistema educativo del paese;
  • deve essere un titolo finale di 3° ciclo riconosciuto in quel paese;
  • l’ordinamento didattico dell’ateneo individuato deve prevedere un corso di studio comparabile con quello svolto all’estero.

Sia i cittadini UE sia gli extraUE possono richiedere il provvedimento di riconoscimento accademico, la domanda va presentata in un ateneo a scelta e le informazioni su modalità, scadenze, moduli e documentazione da allegare vanno richieste alla segreteria dell’ateneo al quale si vuole presentare la domanda e/o individuate visitando il relativo sito web.

Un organo accademico valuterà, in autonomia e caso per caso, il contenuto degli studi e gli esami sostenuti confrontandoli con il corso di laurea italiano di riferimento. Il riconoscimento non è sempre automatico, infatti l’ateneo può richiedere, per colmare la parte di curriculum degli studi eventualmente non coperta dal titolo estero, di integrare il percorso di studi con altri esami e/o di presentare elaborati finali.

La richiesta di riconoscimento di particolari tipi di titoli accademici va inviata ad altre pubbliche amministrazioni:

  • la domanda per ottenere il provvedimento di  riconoscimento di un dottorato di ricerca va presentata, dal 1 marzo 2022 , conformemente a quanto stabilito dalla L. 15/2022, ad un ateneo a scelta che rechi nella propria offerta formativa un dottorato nella materia di quello conseguito all’estero dall’interessato (informazioni su modalità, scadenze, moduli e documentazione da allegare vanno richieste alla segreteria dell’ateneo al quale si vuole presentare la domanda e/o individuate visitando il relativo sito web);
  • la domanda per ottenere il provvedimento di riconoscimento dei titoli di Teologia e Sacra scrittura ed altri titoli oggetto di ulteriori accordi tra lo Stato italiano e la Santa Sede, rilasciati da istituzioni riconosciute dallo Stato pontificio, va inviata al Ministero dell’Università e della ricerca;
  • la domanda per ottenere il provvedimento di riconoscimento di un titolo artistico/musicale/coreutico va inviata, a partire dal 1 marzo 2022, alle istituzioni superiori operanti nel settore Artistico Coreutico e Musicale, così come previsto dalla L. 15/2022 (informazioni su modalità, scadenze, moduli e documentazione da allegare vanno richieste alla segreteria dell’istituto al quale si vuole presentare la domanda e/o individuate visitando il relativo sito web);
  • la domanda per ottenere il provvedimento di riconoscimento di un titolo abilitante all’ insegnamento o di percorsi di specializzazione post laurea per determinati insegnamenti (ad es. insegnante di sostegno) va inviata al Ministero dell’Istruzione;
  • la domanda per ottenere il riconoscimento valido per tutti i concorsi pubblici, indipendentemente da uno in particolare, della qualifica professionale di ricercatore, va inviata al Ministero dell’Università e della ricerca;
  • la domanda di riconoscimento delle qualifiche professionali va inviata ai Ministeri competenti per materia che vigilano sulle rispettive professioni in Italia.

Ambito oggettivo di applicazione

(omissis)

Sentenza 

1 Con sentenza 4 luglio 1986, pervenuta in cancelleria il 18 agosto 1986, il tribunal de grande instance di Lilla ha sottoposto, a norma dell’art. 177 del trattato CEE, una questione pregiudiziale relativa all’interpretazione dell’art. 48 del trattato CEE.

2 Tale questione è sorta nell’ambito di un procedimento penale su citazione diretta da parte dell’Union nationale des entraineurs et cadres techniques professionnels de football contro il sig. (omissis), allenatore di calcio, e contro i sigg. (omissis), (omissis) e (omissis), dirigenti della société ano­nyme d’économie mixte «Lille olympic sporting club», per aver contravvenuto, rispettivamente in qualità di autore e di complici, alle disposizioni della legge fran­cese 16 luglio 1984, n. 84-610, relativa all’organizzazione ed alla promozione delle attività fisiche e sportive QORF 17.7.1984), e all’art. 259 del codice penale fran­cese, relativo all’usurpazione di titoli.

3 Dal fascicolo risulta che in Francia l’accesso alla professione di allenatore di calcio è sottoposto al possesso di un diploma nazionale di allenatore di calcio o di un diploma straniero riconosciuto equivalente con decisione del m·embro del governo competente sentito il parere di una commissione speciale.

4 L’imputato su citazione diretta nella causa principale, sig. (omissis), è un cittadino belga titolare di un diploma belga di allenatore di calcio, che è stato assunto dal «Lille olympic sporting club» come allenatore della squadra professio­nistica di calcio di tale club. La domanda di riconoscimento di equivalenza del diploma belga veniva respinta con una decisione del membro del governo compe­tente, che rinviava, come motivazione, ad un parere sfavorevole della commissione speciale, anch’esso non motivato. Poiché il sig. (omissis) aveva continuato a svol­gere la sua professione, il sindacato di categoria degli allenatori di calcio lo citava, unitamente ai dirigenti della società che l’avevano assunto, dinanzi al tribunale penale di Lilla.

5 Avendo dubbi sulla compatibilità della normativa francese con le norme sulla libera circolazione dei lavoratori, il tribunal de grande instance di Lilla ( ottava sezione penale) sospendeva il procedimento finché la Corte di giustizia si fosse pronunziata in via pregiudiziale sulla seguente questione:

«Se il fatto di porre come requisito per esercitare l’attività retribuita di allenatore di una compagine sportiva (art. 43 della legge 16 luglio 1984) il possesso di un diploma francese o di un diploma straniero riconosciuto equivalente da una commissione che decide con parere non motivato, e avverso il quale non è contemplato nessun specifico gravame, costituisca, in mancanza di una direttiva che si applichi a detta attività, una limitazione della libera circolazione dei lavoratori di cui agli artt. 48 e 51 del trattato CEE».

6 Per una più ampia esposizione degli antefatti, dello svolgimento del procedimento e delle osservazioni presentate a norma dell’art. 20 sul protocollo dello statuto (CEE) della Corte di giustizia, si rinvia alla relazione d’udienza. Questi elementi del fascicolo saranno riportati in prosieguo solo nella misura necessaria alle dedu­zioni della Corte.

7 La questione posta dal giudice nazionale riguarda in sostanza il problema se, qua­lora in uno Stato membro l’accesso ad un’attività lavorativa dipendente sia subor­dinato al possesso di un diploma nazionale o di un diploma straniero riconosciuto equivalente, il principio della libera circolazione dei lavoratori sancito dall’art. 48 del trattato richieda che avverso la decisione, con cui si rifiuta ad un lavoratore cittadino di un altro Stato membro il riconoscimento dell’equivalenza del diploma rilasciato dallo Stato membro di cui egli è cittadino, possa proporsi un ricorso giurisdizionale e che tale decisione debba essere motivata.

8 Per risolvere tale questione, bisogna far presente che l’art. 48 del trattato attua, per quanto riguarda i lavoratori, un principio fondamentale sancito all’art. 3, lett. c), del trattato, secondo cui, ai fini enunciati all’art. 2, l’azione della Comunità im­porta l’eliminazione, tra gli Stati membri, degli ostacoli alla libera circolazione delle persone e dei servizi (cfr. sentenza 7 luglio 1976, causa 118/75, Watson, Racc. 1976, pag. 1185).

9 In applicazione del principio generale del divieto di discriminazione in base alla nazionalità enunciato all’art. 7 del trattato, l’art. 48 si propone di eliminare nelle legislazioni degli Stati membri le disposizioni che, per quanto riguarda l’impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro, impongano al cittadino di uno Stato membro un trattamento più rigido o lo pongano in una situazione di diritto o di fatto svantaggiosa rispetto a quella in cui si troverebbe, nelle stesse circostanze, un cittadino nazionale (cfr. sentenza 28 marzo 1979, causa 175/78, Saunders, Racc. 1979, pag. 1129).

10 In mancanza di armonizzazione delle condizioni di accesso ad una professione, gli Stati membri possono definire le conoscenze e le qualifiche necessarie all’esercizio di tale professione e richiedere la presentazione di un diploma che attesti il pos­sesso di queste conoscenze e di queste qualifiche.

11 La richiesta legittima, nei diversi Stati membri, in ordine al possesso di determinati diplomi per l’accesso a talune professioni, costituisce tuttavia, come la Corte ha dichiarato nella sentenza 28 giugno 1977 (causa 11 /77, Richard Hugh Patrick, Racc. 1977, pag. 1199), un ostacolo all’effettivo esercizio della libertà garantita dal trattato e la cui eliminazione dev’essere agevolata da direttive intese al reciproco riconoscimento dei diplomi, certificati ed altri titoli. Come la Corte ha dichiarato in questa stessa sentenza, la circostanza che tali direttive non siano ancora state emanate non autorizza uno Stato membro ad impedire il godimento effettivo di tale libertà a chi rientra nella sfera d’applicazione del diritto comunitario, quando tale libertà possa essere garantita in tale Stato membro, in particolare in quanto le sue disposizioni legislative e regolamentari consentono il riconoscimento di diplomi stranieri equivalenti.

12 Poiché la libera circolazione dei lavoratori costituisce uno degli obiettivi fonda­mentali del trattato, l’obbligo di assicurare la libera circolazione in forza delle di­sposizioni nazionali legislative e regolamentari esistenti deriva, come la Corte ha dichiarato nella sentenza 28 aprile 1977 (causa 71/76, Thieffry, Racc. 1977, pag. 765), dall’art. 5 del trattato a norma del quale gli Stati membri sono tenuti ad adottare tutte le misure di carattere generale o particolare atte ad assicurare l’ese­cuzione degli obblighi derivanti dal trattato e ad astenersi da qualsiasi misura che rischi di compromettere la realizzazione degli scopi del trattato.

13 Dovendo conciliare il requ1s1to relativo al possesso delle qualifiche richieste per l’esercizio di una determinata professione con gli imperativi della libera circola­zione dei lavoratori, la procedura di riconoscimento di equivalenza deve consentire alle autorità nazionali di assicurarsi obiettivamente che il diploma straniero attesti da parte del suo titolare il possesso di conoscenze e di qualifiche, se non identiche, quanto meno equivalenti a quelle attestate dal diploma nazionale. Tale valutazione dell’equivalenza del diploma straniero deve effettuarsi esclusivamente in considera­zione del livello delle conoscenze e delle qualifiche che questo diploma, tenuto conto della natura e della durata degli studi e della formazione pratica di cui atte­sta il compimento, consente di presumere in possesso del titolare.

14 Poiché il libero accesso all’impiego costituisce un diritto fondamentale conferito dal trattato individualmente a qualsiasi lavoratore della Comunità, l’esistenza di un rimedio di natura giurisdizionale contro qualsiasi decisione di un’autorità nazio­nale con cui viene rifiutato il beneficio di questo diritto è essenziale per assicurare al singolo la tutela effettiva del suo diritto. Come la Corte ha dichiarato nella sentenza 15 maggio 1986 (causa 222/84, Johnston, Racc. 1986, pagg. 1651, 1663) tale esigenza costituisce un principio generale di diritto comunitario che deriva dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e che è stato sancito negli artt. 6 e 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

15 L’efficacia del sindacato giurisdizionale, che deve poter riguardare la legittimità della motivazione della decisione impugnata, comporta, in via generale, che il giu­dice adito possa richiedere all’autorità competente la comunicazione di tale moti­vazione. Ma, trattandosi più specificamente, come nella fattispecie, di assicurare la tutela effettiva di un diritto fondamentale attribuito dal trattato ai lavoratori della Comunità, bisogna anche che questi ultimi possano difendere tale diritto nelle mi­gliori condizioni possibili e che ad essi sia riconosciuta la facoltà di decidere, con piena cognizione di causa, se sia utile per loro adire il giudice. Ne deriva che in una tale ipotesi l’autorità nazionale competente ha l’obbligo di fare loro conoscere i motivi sui quali è basato il suo rifiuto, vuoi nella decisione stessa, vuoi in una comunicazione successiva effettuata su loro richiesta.

16 Queste esigenze del diritto comunitario, cioè l’esistenza di un rimedio giurisdizio­nale e l’obbligo di motivazione, riguardano tuttavia, tenuto conto della loro fina­lità, solo le decisioni definitive che rifiutano il riconoscimento dell’equivalenza e non pareri o altri atti che intervengono nella fase preparatoria ed istruttoria.

17 Di conseguenza, bisogna risolvere la questione posta dal tribunal de grande in­stance di Lilla nel senso che, qualora in uno Stato membro l’accesso ad un’attività lavorativa dipendente sia subordinato al possesso di un diploma nazionale o di un diploma straniero riconosciuto equivalente, il principio della libera circolazione dei lavoratori sancito dall’art. 48 del trattato richiede che la decisione con cui si rifiuta ad un lavoratore cittadino di un altro Stato membro il riconoscimento dell’equiva­lenza del diploma rilasciato dallo Stato membro di cui egli è cittadino sia soggetta ad un gravame di natura giurisdizionale che consenta di verificare la sua legitti­mità rispetto al diritto comunitario e che l’interessato possa venire a conoscenza dei motivi che stanno alla base della decisione.

Sulle spese

18 Le spese sostenute dal governo della Repubblica francese, dal governo del Regno di Danimarca e dalla Commissione delle Comunità europee, che hanno presentato osservazioni alla Corte, non possono dar luogo a rifusione. Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento ha il carattere di un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese.

Per questi motivi,

LA CORTE,

pronunziandosi sulle questioni ad essa sottoposte dal tribuna! de grande instance di Lilla con sentenza 4 luglio 1986, dichiara:

Qualora in uno Stato membro l’accesso ad un’attività lavorativa dipendente sia su­bordinato al possesso di un diploma nazionale o di un diploma straniero ricono­sciuto equivalente, il principio della libera circolazione dei lavoratori sancito dall’art. 48 del trattato richiede che la decisione, con cui si rifiuta ad un lavoratore cittadino di un altro Stato membro il riconoscimento dell’equivalenza del diploma rilasciato dallo Stato membro di cui egli è cittadino, sia soggetta ad un gravame di natura giurisdizionale che consenta di verificare la sua legittimità rispetto al diritto comuni­tario e che l’interessato possa venire a conoscenza dei motivi alla base della deci­sione. 

Così deciso e pronunziato a Lussemburgo, il 15 ottobre 1987.

Allegati

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