SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
All’udienza del 26 maggio 2023 il G.M. del Tribunale di Benevento ha emesso, all’esito di giudizio abbreviato, la sentenza n. 820 con la quale ha dichiarato l’imputata penalmente responsabile del reato di cui all’art. 393 comma 2 c.p. così riqualificata l’originaria imputazione e l’ha condannata alla pena sospesa indicata in epigrafe, nonché al risarcimento dei danni cagionati alla PC da liquidarsi in separata sede.
Il Tribunale ha, altresì, assolto la prevenuta e la coimputata Pa.Cr. dal reato di cui al capo b) perché il fatto non costituisce reato e dichiarato l’estinzione del reato di cui al capo a) nei confronti della predetta Pa. per intervenuta morte del reo.
Avverso la predetta sentenza di condanna ha proposto appello il difensore dell’imputata Di.To., reclamando: – in via preliminare
1) la pronuncia di non doversi procedere nei confronti della propria assistita per difetto di querela, risultando agli atti la querela di Di.To. quale proprietario dei terreni su cui “presuntivamente” ebbero a verificarsi le condotte contestate e non quella degli operai della ditta esecutrice dei lavori, uniche parti lese del riqualificato delitto di cui al capo b), contro cui le imputate Di.To. e Pa. avrebbero “esercitato il loro ius excludendi”;
Assume al riguardo la Difesa che il querelante Di.To. Teofilo non sia persona offesa del riqualificato reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, ma solo parte danneggiata, non legittimata a presentare la querela;
– in principalità;
2) la assoluzione dell’imputata per difetto dell’elemento soggettivo, avendo la stessa agito con convincimento che i lavori in corso stessero cagionando danni alla sua abitazione, richiedendo l’intervento dell’autorità amministrativa e di quella giudiziaria e chiedendo anche l’intervento dei vigili del fuoco;
– in subordine
3) l’assoluzione ex art. 131 bis c.p. per particolare tenuità del fatto, tenuto conto della reiterazione “contingente” delle condotte e della assenza di danni tangibili a persone o cose;
– in via ulteriormente gradata
3) la concessione delle circostanze attenuanti generiche e il contenimento della pena nel minimo edittale, non menzione.
All’udienza del 20 gennaio 2025, la Corte, riunitasi in camera di consiglio con le modalità di cui all’art. 23 comma 9 del D.L. 28.10.2020 n. 137, come richiamato dall’art. 23 comma 3 D. L. 9.11.2020 n. 149, verificata la regolare costituzione delle partì, acquisiva le conclusioni scritte del PG e della Difesa e decideva il procedimento depositando il dispositivo della sentenza che in questa sede si motiva, riservandosi il maggior termine di cui all’art. 544, co. Ili c.p.p., tenuto conto della necessaria previsione di termini più stringenti per i numerosi e concomitanti procedimenti con imputati detenuti.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’appello è fondato nei limiti di seguito esplicitati.
Preliminarmente, va reietto l’eccepito difetto di una valida condizione di procedibilità in relazione al riqualificato reato di cui al capo b) di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone. Ed infatti poiché il reato in disamina si configura anche quando la violenza è diretta verso una persona diversa da quella verso cui l’agente vanta una pretesa, la querela può essere validamente esercitata sia dal destinatario di tale pretesa, sia da un soggetto diverso, che però sia destinatario della violenza o della minaccia.
Quanto alle doglianze di merito, ritiene la Corte che la sentenza impugnata debba essere confermata con riferimento alla ricostruzione del riqualificato fatto-reato di cui al capo a) ed alla riconducibilità dello stesso alla prevenuta, atteso che il giudice di prime cure ha sul punto reso ampia ed esaustiva motivazione.
Ciò consente a questa Corte di riportarsi – in senso del tutto conforme – alle argomentazioni esposte nella sentenza appellata, che deve intendersi qui integralmente richiamata, nella parte in cui le censure formulate non contengono elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati e disattesi dal predetto giudice.
Tanto premesso, va respinto il motivo di gravame sub n.2 con il quale la Difesa invoca l’assoluzione dell’imputata per carenza dell’elemento soggettivo.
Ed infatti, nella incontestata, anche dalla Difesa, materialità del fatto (in quanto accertato sulla base delle attendibili dichiarazioni del denunciate, riscontrate da quelle rese dagli altri testi escussi – cfr. sentenza di primo grado pagg.2-3), appare doveroso precisare che il dolo del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, inteso come piena consapevolezza della prevenuta del proprio agire illecito, emerge con palmare evidenza dalle stesse modalità della condotta realizzata dalla prevenuta e ciò poiché la Di.To., unitamente alla deceduta Pa., si determinò scientemente al compimento delle condotte violente ed aggressive anche dopo l’arrivo dei Carabinieri e dei Vigili del fuoco e persino dopo le spiegazioni in termini tranquillanti dagli stessi offerte al riguardo. Ne consegue, che vanno reietti i motivi di gravame esposti al punto n.2 in quanto impegnati a° ripercorrere un tracciato già abbondantemente ed esaustivamente arato dalla motivazione della sentenza di primo grado, non essendo il giudice del gravame “tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti ed a prendere in esame tutte le risultanze processuali, essendo sufficiente che anche attraverso una valutazione globale delle stesse egli spieghi adeguatamente le ragioni che hanno determinato il suo convincimento, dovendosi in tal caso ritenersi disattesa ogni singola doglianza che, anche se non espressamente confutata, sia logicamente incompatibile con la complessiva – da intendersi nel senso teste precisato – giustificazione della decisione (sez. 2A, 10/11/2000, Gianfreda, rv. 218590).
Ciò nondimeno, acclarata la sussistenza del reato ascritto alla prevenuta, ritiene il Collegio, che il caso in disamina possa essere più correttamente ricondotto nella disciplina prevista ai sensi dell’art. 131 bis c.p. stante il rispetto dei limiti edittali fissati dal legislatore per l’applicazione del predetto istituto e la non abitualità del comportamento della Di.To. da valutarsi unitamente alla lieve entità dell’offesa.
Ed invero – così come sostenuto dalla Suprema Corte nella pronuncia 19126/2016, richiamando autorevole dottrina, che trae spunto dai principi in passato fissati dal Giudice delle Leggi – C. Cost. sent. 15-24/06/1992, n. 299 – ai fini dell’applicazione della innovativa norma ex art. 131 bis c.p. il giudice di merito (e nel caso di specie questa Corte) deve valutare l’indice-criterio “della particolare tenuità dell’offesa nonché l’indice requisito della modalità della condotta e dell’esiguità del danno e del pericolo, valutati secondo i criteri direttivi di cui all’art. 133 c.p., indici che possano pertanto incidere sulla non punibilità ovvero devono riguardare soltanto quei comportamenti penali (non abituali) che, sebbene non inoffensivi, in presenza dei presupposti normativamente indicati (ovvero j reati con una pena detentiva non superiore nel minimo a due anni o la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena) risultino dì così modesto rilievo da non ritenersi meritevoli di ulteriore considerazione in sede penale”.
Ebbene, nel caso che ci occupa, ritiene questa Corte che la condotta ascritta alla Di.To. non rivesta i caratteri dell’abitualità, essendo scaturita da un fatto del tutto occasionale e che ha prodotto agli operai della ditta incaricata dei lavori ed al Di.To. (proprietario del fabbricato da consolidare) un’offesa di modesta entità, peraltro sorretta da un coefficiente psicologico blando evincibile dalla finalità perseguita dalla prevenuta di evitare danni alla propria abitazione. La sentenza va dunque riformata nei termini prima indicati e l’imputata va assolta dal reato riqualificato ai sensi dell’art. 392 comma 2 c.p. per la particolare tenuità del fatto ascrittole. In aderenza alla pronuncia della Corte Costituzionale n. 173 del 12.07.2022, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3,24 e 111 Cost., l’art. 538 c.p.p. nella parte in cui non prevede che il giudice, quando pronuncia sentenza di proscioglimento per la particolare tenuità del fatto, ai sensi dell’art. 131 bis c.p., decida sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno proposta dalla parte civile, a norma degli artt. 74 e seguenti c.p.p., vanno confermate le statuizioni disposte con la sentenza di primo grado in favore della parte civile, rimasta assente nel giudizio di appello pur se regolarmente citata. Conferma nel resto.
Sussistono i presupposti per assegnare per la stesura della sentenza il maggior termine indicato in dispositivo, in considerazione dei numerosi e concomitanti procedimenti con imputati detenuti.
P.Q.M.
Visti gli artt. 605 c.p.p. e 131 bis c.p., in riforma della sentenza emessa in data 26 maggio 2023 dal G.M. del Tribunale di Benevento, appellata da Di.To., assolve la predetta dal reato ex art. 393 co.2 c.p. di cui al capo a), perché lo stesso non è punibile per la particolare tenuità del fatto.
Conferma nel resto.
Motivazione riservata gg. 90
Ai sensi dell’art. 23 comma 3 D.L. 9.11.2020 n. 149 pubblicato in G.U. del 9.11.2020, manda alla cancelleria per la comunicazione a mezzo PEC alle parti.
Così deciso in Napoli, il 20 gennaio 2025.
Depositata in Cancelleria l’11 aprile 2025.
