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Corte di Appello di Venezia sez. IV, 13/07/2022, n. 1603

Massima

In materia di risoluzione del contratto di locazione per morosità della parte conduttrice, l’inadempimento di quest’ultima, costituito dal mancato pagamento del canone protratto per anni e per un importo elevato, prevale in termini di gravità rispetto all’asserito inadempimento della locatrice (poi fallita) per omessa manutenzione straordinaria, in quanto l’obbligazione di pagamento del canone costituisce l’obbligazione principale del conduttore.

Supporto alla lettura

Locazione

La locazione (o affitto) viene definita come quel contratto col quale una parte si obbliga a far godere all’altra una cosa mobile o immobile, per un determinato periodo di tempo, dietro pagamento di un corrispettivo concordato tra le parti (art. 1571 c.c.). Il contratto di locazione ad uso abitativo è quel particolare tipo di locazione avente ad oggetto immobili che siano locati allo scopo di essere abitati dal conduttore o dalla sua famiglia. Trova la propria disciplina nella legge 431/1998 e, limitatamente agli articoli non abrogati, nella legge 392/1978. La locazione di immobili ad uso abitativo può essere oggetto di varie forme contrattuali, in base alle intenzioni ed esigenze del conduttore e del locatore, sull’unità abitativa. Le diverse possibilità di pattuizione possono essere così riassunte: locazione a canone libero (durata anni 4+4); locazione a canone concordato (durata anni 3+2); locazione per studenti universitari (durata da 6 a 36 mesi); locazione a uso transitorio (durata da 1 a 18 mesi). La normativa delle locazioni immobili ad uso commerciale è prevista dall’art. 27 L. 392/1978 e prevede una durata minima di 6 anni, con rinnovo automatico di altri 6 e una durata massima di 30 anni. La durata della locazione è elevata a 9 anni per gli immobili a destinazione alberghiera come pensioni, locande o alberghi.

Ambito oggettivo di applicazione

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto 7-8-2020 il (omissis) esponeva che con contratto 18-4-2012 la società (omissis) aveva concesso in locazione ad (omissis) l’immobile ad uso non abitativo sito in Comune di Asolo, Via (omissis); che era stato pattuito un canone annuo di € 140.400,00, oltre IVA, da corrispondersi in rate mensili di € 11.700,00, oltre IVA; che la durata era stata concordata dal 19-4-2012 al 18-4-2018, tacitamente rinnovabile; che (omissis) era stata dichiarata fallita in data 3-5-2019 dal Tribunale di Treviso; che in data 1-9-2014 le parti avevano sottoscritto un “accordo di temporanea riduzione del canone” da € 11.700,00 ad € 8.200,00 mensili, oltre IVA; che successivamente, con due accordi in data 18-4-2016, le parti avevano pattuito un’ulteriore riduzione del canone portandolo ad € 5.000,00; che tale accordi non erano opponibili al fallimento essendo intervenuti nelle more di una procedura esecutiva, nella quale era intervenuto il curatore e dichiarata improcedibile; che anche considerando i canoni “ridotti” (omissis) era morosa nel pagamento dei canoni.

Intimava quindi sfratto per morosità nei confronti di (omissis), citandola nel contempo per la convalida.

Nel costituirsi la società intimata si opponeva alla convalida contestando la propria morosità ed evidenziando che il canone era stato ridotto, prima del fallimento della locatrice, in base ad accordi aventi data certa al fine di adeguarlo ai valori di mercato.

Affermava inoltre di aver sospeso il pagamento del canone a fronte dell’ingente importo speso per la manutenzione straordinaria dell’immobile, pari a complessivi € 175.645,70, mai rimborsato dalla locatrice nonostante la manutenzione straordinaria fosse a suo carico.

Rigettata l’istanza di convalida e di emissione di ordinanza di convalida e di emissione di ordinanza provvisoria di rilascio il giudice disponeva il mutamento del rito.

All’esito della conversione il (omissis) chiedeva la risoluzione del contratto di locazione per inadempimento della conduttrice e la condanna di quest’ultima al pagamento della somma di € 832.930,65.

Con sentenza 8-7-2021 il Tribunale di Treviso così provvedeva:

1) dichiara la risoluzione del contratto di locazione stipulato tra (omissis) e (omissis) in data 18.4.2012 per inadempimento della parte conduttrice;

2) ordina alla resistente conduttrice (omissis) il rilascio dell’immobile locato, sito in Asolo (TV), Via (omissis), libero e sgombero da persone e/o cose anche interposte, fissando per l’esecuzione la data del 31.12.2021;

3) condanna parte resistente (omissis) alla corresponsione a favore di parte ricorrente (omissis) dell’importo di € 891.430,65, oltre interessi legali dalla domanda al saldo;

4) condanna parte resistente (omissis) alla rifusione delle spese di lite a favore della parte ricorrente (omissis) liquidate nell’importo di € 14.914,00 a titolo di compenso e di € 634,00 a titolo di spese, oltre spese forfettarie nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge.

Osservava:

1) era pacifico che la conduttrice non aveva versato al (omissis) (e, prima, alla società in bonis) i canoni di cui alla morosità dedotta in atto di intimazione di sfratto né, tantomeno, i canoni nella misura contrattualmente pattuita per l’importo complessivo di € 832.930,65 alla data del 31-3-2021;

2) l’eccezione di compensazione del debito per i canoni dovuti anteriormente al fallimento con gli asseriti lavori di manutenzione straordinaria era infondata in quanto si trattava di controcrediti insuscettibili di determinare l’estinzione del debito della conduttrice dato che non erano né certi né liquidi o esigibili e neppure di facile e pronta liquidazione;

3) il rigetto dell’eccezione di compensazione non poneva alcun problema di disparità di trattamento tra i creditori dell’esecutato in bonis ed i creditori del fallito con conseguente irrilevanza della questione di legittimazione costituzionale prospettata dalla conduttrice;

4) le medesime argomentazioni valevano anche per i controcrediti asseritamente maturati dopo il fallimento;

5) al (omissis) non erano opponibili gli accordi di riduzione del canone intervenuti prima del fallimento;

6) invero, pur essendo dotati di data certa (in quanto registrati), erano stati sottoscritti durante la procedura esecutiva, che ne determinava l’inopponibilità non solo al creditore esecutante, ma anche al (omissis);

7) infatti, ai sensi dell’art. 560 c.p.c., nel corso della procedura esecutiva l’esecutato perde qualsiasi potere di compiere atti dispositivi e negoziali sul bene pignorato;

8) la rinuncia della curatela fallimentare all’esecuzione individuale non era idonea a far venir meno detto effetto;

9) quanto all’importo di € 130.000,00, corrisposto dalla conduttrice al (omissis) in corso di causa e mai restituito era stato versato a corredo di un ricorso per concordato preventivo e successivamente a garanzia dell’offerta irrevocabile di acquisto dell’immobile di proprietà della fallita, ma non al pagamento dei canoni;

10) tenendo conto di detto importo la conduttrice sarebbe risultata comunque debitrice nei confronti del (omissis).

Con ricorso 29-11-2021 (omissis) proponeva appello sulla base di quattro motivi e chiedeva quindi, in riforma dell’impugnata sentenza, il rigetto della domanda avversaria e l’accoglimento delle proprie eccezioni.

Nel costituirsi l’appellato resisteva al gravame.

La causa è stata discussa e decisa all’udienza del 13-7-2022 sulle conclusioni riportate in epigrafe.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Col primo motivo di gravame (omissis) censura l’impugnata sentenza affermando:

a) il Tribunale aveva omesso di confrontare gli inadempimenti reciproci e valutare quale era il più grave fra loro;

b) erroneamente, invece, il Tribunale aveva considerato solo la morosità della conduttrice ritenendo grave tale inadempimento, senza tener conto del grave inadempimento della locatrice che per nove ranni aveva omesso la manutenzione straordinaria di un immobile costruito negli anni ‘70;

c) la conduttrice era stata costretta a sospendere il pagamento del canone (fuori mercato) per l’urgenza di eseguire la manutenzione straordinaria di competenza della locatrice;

d) anche la mancata restituzione della somma di € 130.000,00, trattenuta indebitamente dal (omissis) senza alcuna formale imputazione, costituiva inadempimento;

e) pertanto l’inadempimento più grave era quello della locatrice.

Col secondo motivo di gravame afferma:

a) erroneamente il Tribunale aveva ritenuto che le spese sostenute per manutenzione straordinaria non costituissero un controcredito certo e liquido;

b) invero nel corso del rapporto locativo la compensazione non era mai stata contestata, tanto che le fatture emesse da (omissis) nei confronti di (omissis) risultavano iscritte in contabilità dalla società poi fallita;

c) anche il Tribunale nell’ordinanza 23-10-2020 aveva dato atto che la conduttrice era creditrice della società poi fallita per un importo di € 175.645,70, senza necessità di C.T.U.;

d) le contestazioni del (omissis) furono sollevate tardivamente, solo con la memoria integrativa;

e) la liquidità (o pronta liquidità) si poteva desumere anche dall’ordinanza 30-4-2021, ove si affermava che il giudice stesso, sulla base delle fatture prodotte, poteva valutare la natura di “manutenzione straordinaria” delle spese sostenute dalla conduttrice;

f) era illegittimo l’art. 2917 c.c. nella parte in cui, secondo l’interpretazione della Suprema Corte, rendeva inopponibile ai creditori dell’esecutato in bonis la “compensazione legale” tra reciproci crediti verificatosi successivamente al fallimento, al contrario di quanto accadeva nell’analoga ipotesi per i creditori del fallito in forza dell’art. 56 L.F.

Col terzo motivo di gravame (omissis) afferma:

a) erroneamente il Tribunale aveva ritenuto che gli accordi di riduzione del canone non fossero opponibili al (omissis), pur dando atto che avevano data anteriore alla dichiarazione di fallimento;

b) il subentro nell’esecuzione individuale – e negli effetti sostanziali della stessa – non è automatico richiedendo una manifestazione espressa del curatore;

c) ciò comporta che una manifestazione di volontà di segno contrario al subentro non poteva non comportare la caducazione degli effetti sostanziali del pignoramento e nel caso di specie il curatore aveva rinunciato all’azione esecutiva individuale, con conseguente caducazione degli effetti sostanziali del pignoramento;

d) ne conseguiva che la deadline per la determinazione dell’opponibilità degli atti alla curatela non era più la data del pignoramento, bensì quella successiva del (omissis);

e) anche a ritenere l’inopponibilità degli accordi di riduzione del canone al (omissis) il canone originariamente pattuito era fuori mercato, come emergeva dalla stima dell’immobile eseguita da due perizie prodotte;

f) anche la crisi pandemica imponeva l’obbligo di rinegoziazione del canone;

g) era necessario disporre C.T.U. per la determinazione del valore di mercato dell’immobile.

Col quarto motivo di gravame l’appellante afferma:

a) il Tribunale non aveva tenuto in alcuna considerazione l’importo di € 130.000,00 versato alla Curatela;

b) la compensazione non era stata chiesta perché alla data di deposito della memoria integrativa non era ancora scaduta l’offerta di acquisto;

c) la condotta della curatela rileva non solo in funzione della compensazione dei reciproci crediti, bensì soprattutto in relazione alla valutazione della gravità dell’inadempimento;

d) il curatore non aveva risposto alle richieste di restituzione della somma ed aveva l’intenzione di trattenerla a titolo diverso da quello per cui l’aveva ricevuta.

Le censure di cui ai primi tre motivi di gravame sono infondate.

Contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante il Tribunale ha esaminato dettagliatamente gli inadempimenti attribuiti da (omissis) alla società locatrice, sostanzialmente escludendoli e, comunque, ritenendoli meno gravi del mancato pagamento dei canoni, protrattosi per anni e per un importo complessivo piuttosto elevato.

Quanto alla manutenzione straordinaria (che comunque non può essere equiparata al pagamento del canone in quanto la prima costituisce un’obbligazione secondaria del locatore, mentre il secondo costituisce l’obbligazione principale del conduttore) il Tribunale ha correttamente rilevato che non poteva operare la compensazione essendo incerto l’an del controcredito (cioè delle spese per manutenzione straordinaria che sarebbero state effettuate da (omissis).

Sul punto il giudice di primo grado ha evidenziato come la stessa conduttrice avesse chiesto una C.T.U. per accertare che i crediti di cui alle fatture prodotte erano relativi a spese di manutenzione straordinaria.

Ha inoltre osservato, per mera completezza, che dalla lettura delle fatture prodotte dall’appellante sorgevano perplessità sul fatto che si trattasse effettivamente di lavori di straordinaria manutenzione.

In ogni caso è pacifico che la conduttrice ha potuto godere ed utilizzare gli immobili oggetto di causa, dimostrando così che la locatrice aveva adempiuto alla sua obbligazione principale (costituita, appunto, dal mettere a disposizione del conduttore il bene locato).

Quanto alla mancata restituzione dell’importo di € 130.000,00 il Tribunale ha correttamente rilevato che detto importo era stato consegnato “a corredo di un ricorso per concordato preventivo (cfr. docc. 39 e 53 resistente), imputando, successivamente, detta somma a garanzia dell’offerta irrevocabile di acquisto dell’immobile di proprietà della fallita” (pag. 7 dell’impugnata sentenza).

È quindi evidente l’estraneità dello stesso (salvo quanto si dirà nell’esame del quarto motivo di gravame) al rapporto locativo, con la conseguenza che la sua mancata restituzione non può influire sulla gravità dei rispettivi inadempimenti delle obbligazioni nascenti dal contratto di locazione.

Le argomentazioni in precedenza esposte in ordine alla manutenzione straordinaria valgono anche con riferimento al secondo motivo di gravame.

Il fatto che nel corso del rapporto locativo (omissis), quando era in bonis, non avesse contestato le fatture emesse da (omissis) a titolo di lavori di straordinaria manutenzione non ha rilievo non potendo essere detta circostanza opposta alla curatela fallimentare, oltre ad avere quest’ultima comunque la facoltà di sollevare contestazioni in giudizio.

A tale ultimo proposito rileva la Corte che le contestazioni sollevate con la memoria ex art. 426 c.p.c. non sono affatto tardive in quanto con tale memoria le parti possono esercitare tutte le loro facoltà, comprese nuove eccezioni e domande (cfr. da ultimo, Cass. 23-6-2021 n. 17955), e quindi anche sollevare contestazioni.

La Suprema Corte ha avuto occasione di ribadire tale principio proprio con riferimento alle contestazioni: “Nel procedimento per convalida di sfratto, allorché la controversia prosegua oltre la fase sommaria a seguito dell’opposizione dell’intimato, la memoria integrativa ex art. 426 cod. proc. civ. costituisce l’atto in cui si cristallizzano le posizioni delle parti, sicché non può ritenersi integrata, prima del deposito dell’anzidetta memoria, una non contestazione di un fatto idonea ad esonerare la controparte dalla relativa prova. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva rigettato la domanda della sublocatrice per mancata prova della tempestività della disdetta della locazione, la cui tardività era stata eccepita dalla subconduttrice soltanto nella memoria ex art. 426 cod. proc. civ.).” (Cass. 16-12-2014 n. 26356).

A nulla rileva quanto espresso nelle precedenti ordinanze in quanto (oltre ad esprimere un giudizio sommario finalizzato solo alla decisione sull’ordinanza provvisoria di rilascio e sull’ammissione di C.T.U.) sono superate dalla sentenza impugnata ove la questione dell’asserito controcredito per manutenzione straordinaria è stata esaminata in maniera approfondita arrivando alla condivisibile conclusione che non si trattava di credito certo, liquido ed esigibile attese le contestazioni della curatela fallimentare e l’impossibilità, sulla base delle sole fatture, determinare se si trattava di lavori di straordinaria manutenzione e il loro valore.

Di qui l’impossibilità di una compensazione fra i contrapposti crediti, peraltro mai formalmente chiesta, essendo il credito per manutenzione straordinaria fatto valere essenzialmente per affermare la gravità dell’inadempimento della locatrice ai fini del rigetto della domanda di risoluzione del contratto ed a giustificazione ex art. 1460 c.c. del mancato versamento del canone.

Tale punto è già stato valutato nell’esame del precedente motivo di gravame ove si è esclusa la gravità dell’asserito inadempimento della locatrice per le argomentazioni che si intendono integralmente richiamate.

Quanto alla questione di illegittimità costituzionale dell’art. 2917 c.c. essa è irrilevante.

Invero nel caso di specie non è configurabile alcuna forma di “compensazione legale” né di altro genere per le ragioni in precedenza esposto (eccezione di compensazione fra l’altro mai proposta, come già rilevato).

Circa il terzo motivo di gravame non è in discussione che le tre riduzioni del canone abbiano data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento di (omissis).

Peraltro sono successive al pignoramento immobiliare dell’aprile 2013 e quindi inopponibili al creditore pignorante, per le ragioni ben evidenziate nell’impugnata sentenza.

Di tale effetto ha beneficiato anche la curatela fallimentare, subentrata nella procedura esecutiva.

Come ben rilevato dal giudice di primo grado la circostanza che il curatore fallimentare abbia poi rinunciato all’esecuzione individuale con conseguente dichiarazione di improcedibilità di detta procedura non fa venir meno gli effetti sostanziali del pignoramento.

Al riguardo il Tribunale, pur avendo dato atto dei contrasti in dottrina, ha osservato: “ma è anche vero che la giurisprudenza più recente sostiene che gli effetti sostanziali del pignoramento giovano al curatore anche quando egli non sia subentrato nelle procedure esecutive pendenti alla data del fallimento (cfr., ex multis, Cass., Sez. 1, Sentenza n. 25963 del 11/12/2009; Cass, Sez. 6 -1 Ordinanza n. 24442 del 02/12/2010; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 25802 del 22/12/2015; Cass., Sez, 6 -1, Ordinanza n.11365 del 10/05/2018).”(pag. 6 dell’impugnata sentenza).

Anche questo Collegio fa proprio l’indirizzo della Suprema Corte.

Sul punto va richiamata la seguente sentenza della Suprema Corte ove vengono anche spiegate le ragioni per le quali la rinuncia all’esecuzione individuale non comporti affatto la rinuncia agli effetti sostanziali del pignoramento: “Ai sensi dell’art. 107 l.fall., come modificato dal d.lgs. n. 5 del 2006, il curatore fallimentare subentra di pieno diritto nelle procedure esecutive, mobiliari ed immobiliari, pendenti alla data della dichiarazione di fallimento al posto del creditore procedente (che non possa più proseguirle giusta l’art. 51 l.fall.), scegliendo con il programma di liquidazione di sostituirsi a lui, ovvero di proseguire la liquidazione nelle forme fallimentari. In tale ultima ipotesi, l’improcedibilità dell’esecuzione, dichiarata dal giudice dell’espropriazione su istanza del curatore, non determina la caducazione degli effetti sostanziali del pignoramento di cui agli artt. 2913 e segg. c.c., giacché nella titolarità di quegli effetti è già subentrato, automaticamente e senza condizioni, l’organo fallimentare, purché nel frattempo non sia intervenuta una causa di inefficacia del pignoramento medesimo; del resto, opinando diversamente, il curatore sarebbe sempre tenuto a proseguire l’esecuzione singolare onde conservare gli effetti del pignoramento, cosi svilendosi non solo la sua facoltà discrezionale di scelta di cui all’art. 107, comma 6, l.fall., ma anche il suo stesso ruolo centrale assunto dalla programmazione liquidatoria nella riforma del 2006.” (Cass. 22-12-2015 n. 25802).

Invero la rinuncia all’esecuzione individuale non può comportare la rinuncia agli effetti sostanziali del pignoramento proprio perché il legislatore ha concesso al curatore la facoltà di rinunciare all’esecuzione individuale proprio al fine di proseguire la liquidazione nelle forme fallimentari.

Non si tratta quindi di una rinuncia normale, bensì finalizzata alla prosecuzione dell’esecuzione in diversa forma (come è effettivamente avvenuto nel caso di specie).

Quanto alle censure relative al fatto che il canone pattuito sarebbe stato superiore al valore di mercato rileva la Corte che non possono essere esaminate non essendo stato impugnato il contratto originario.

Circa la crisi pandemica la legge prevede solo un generico obbligo di rinegoziazione e, comunque, non è dato sapere se l’attività svolta da (omissis) negli immobili per cui è causa abbia in qualche modo risentito della pandemia.

A nulla rileva, infine, come sia stato valutato il credito in sede di bando d’asta.

Parzialmente fondate sono invece le censure di cui al quarto motivo di gravame.

Circa la rilevanza della mancata restituzione dell’importo di € 130.000,00 ai fini della determinazione della gravità dell’inadempimento della locatrice essa va esclusa per le ragioni già indicate nell’esame del primo motivo di gravame, che si intendono richiamate.

È invece fondata l’eccezione che la compensazione non era stata ancora chiesta non essendo ancora scaduta l’offerta di acquisto.

In ogni caso decisiva è la circostanza riferita dalla stessa parte appellata nella memoria di costituzione 1-7-2022.

Nella stessa si afferma infatti: “nelle more del presente giudizio, la curatela richiedeva e otteneva la autorizzazione del G.D. della procedura fallimentare, a trattenere l’importo di € 130.000,00, in ragione del superiore credito vantato” (pag. 25 della memoria di costituzione 1-7-2022).

La procedura fallimentare ha riconosciuto dunque di trattenere l’importo di € 130.000,00 e di imputarlo ai canoni rimasti impagati (non risulta infatti altro credito nei confronti di (omissis).

A fronte di tale imputazione, non contrastata dall’appellante (che infatti ha chiesto la “compensazione”), l’importo in parola va quindi imputato a pagamento dei canoni.

Di conseguenza l’importo complessivo dovuto a tale titolo dall’appellante va ridotto ad € 761.430,00 (€ 891.430,65 – € 130.000,00).

Entro tali limiti va quindi accolto l’appello e parzialmente riformata l’impugnata sentenza.

Ritenuta la prevalente soccombenza di (omissis) le spese dei due gradi vanno poste a suo carico.

P.Q.M.

definitivamente decidendo sull’appello proposto da (omissis) avverso la sentenza n. 1242/2021 di data 8-7/26-10-2021 del Tribunale di Treviso in accoglimento dello stesso nei limiti precisati in motivazione e parziale riforma dell’impugnata sentenza, che nel resto conferma, riduce il credito del (omissis) nei confronti di (omissis) ad € 761.430,65, oltre interessi legali dalla domanda al saldo;

condanna (omissis) a rifondere al (omissis) le spese dei due gradi che liquida nella misura tassata dal Tribunale quanto al primo grado ed in complessivi € 13.000,00, oltre spese generali ed accessori di legge, quanto al presente grado.

Venezia, 13 luglio 2022

Allegati

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