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Corte di Appello di Venezia sez. I, 15/07/2025, n. 2510

Massima

Il debitore, anche se contumace nel procedimento di primo grado che ha condotto alla dichiarazione di liquidazione giudiziale, può validamente fornire per la prima volta nel giudizio di reclamo la prova dei requisiti dimensionali che lo qualificano come “impresa minore” ai sensi dell’art. 2, comma 1, lettera d), del Codice della Crisi d’Impresa.

Supporto alla lettura

CRISI D’IMPRESA

Lo stato di crisi di un’impresa viene definito in relazione allo stato di insolvenza come una situazione connotata da minore gravità e riguarda tutte quelle situazioni degenerative economico-finanziarie dell’impresa potenzialmente idonee a sfociare nell’insolvenza medesima. In ottica aziendalistica, la crisi si identifica come il venir meno delle condizioni di equilibrio economico e finanziario dell’impresa capaci di compromettere la prospettiva di continuità aziendale.

La nozione di crisi d’impresa sotto il profilo giuridico costituisce il presupposto per l’attivazione degli strumenti di composizione negoziale volti a scongiurare il fallimento.

L’evoluzione normativa intervenuta negli ultimi anni ha cambiato gradualmente l’approccio verso il concetto di crisi d’impresa. Con le ultime riforme, infatti, sono stati introdotti nel nostro ordinamento strumenti prevalentemente negoziali per consentire all’imprenditore di disporre di un buon numero di alternative per affrontare una situazione economica sfavorevole e tutelare maggiormente i creditori sociali.

Ambito oggettivo di applicazione

(omissis)

MOTIVI DELLA DECISIONE

In accoglimento del ricorso depositato il 27 gennaio 2025 da (omissis) il Tribunale di Verona, con sentenza depositata il 25 marzo 2025, dichiarava il fallimento di (omissis) società costituita nel 2016 ed avente ad oggetto il commercio all’ingrosso e al dettaglio di vestiario, calzature e articoli tessili, compresi quelli per l’arredo della casa.

(omissis) affermava di essere creditrice di (omissis) per euro 31.655,59 (di cui euro 13.474,44 per capitale, euro 7.551,27 per interessi al tasso convenzionale del 10,30 % dal 16 agosto 2019 al 22 gennaio 2025, euro 10.629,88 per spese e onorari liquidati nel decreto ingiuntivo n. 3103/2020 e nella sentenza 28 febbraio 2023, che aveva respinto l’opposizione al decreto suddetto, oltre spese successive e tassa di registro) e riferiva di avere inutilmente tentato il pignoramento dei beni mobili della debitrice.

(omissis) non si costituiva nel procedimento.

Il Tribunale, rilevata la sussistenza della condizione di procedibilità di cui all’art. 49, 5° co., cod. crisi impr., riteneva che (omissis) fosse insolvente, così motivando: “la società versa in stato di insolvenza, ai sensi degli artt. 2 e 121 C.C.I., come risulta comprovato in modo adeguato e sufficiente: i) dal mancato pagamento dei crediti vantati dall’istante; ii) dall’esito infruttuoso del pignoramento mobiliare da essa tentato; iii) dal mancato deposito dei bilanci successivi a quello dell’esercizio 2016; iv) dalla presenza di iscrizioni a ruolo per quasi 40 mila euro”. Quanto ai limiti dimensionali di cui all’art. 2, 1° co., lett. d), cod. crisi impr., il Tribunale osservava che “la società, non costituendosi, non ha assolto l’onere probatorio su di essa gravante e, in mancanza dei bilanci degli ultimi tre esercizi e delle dichiarazioni dei redditi ed Iva nello stesso periodo, non è possibile escluderne la assoggettabilità a liquidazione giudiziale”.

Era perciò dichiarata l’apertura della liquidazione giudiziale.

Con ricorso depositato il 19 maggio 2025, (omissis) in persona della legale rappresentante, (omissis) proponeva reclamo, affermando che l’impresa fosse “minore”, perché possedeva i requisiti dimensionali indicati all’art. 2, 1° co., lett. d), cod. crisi impr.: la società era inattiva dal 2018, avendo chiuso l’unico negozio situato in Carpi, in immobile di proprietà di terzi, ed avendo debiti per un ammontare complessivo non superiore ad euro 500.000.

La reclamante chiedeva che fosse revocata la sentenza dichiarativa della liquidazione giudiziale e, in via istruttoria, che fossero assunte prove testimoniali.

Il curatore della liquidazione giudiziale non si costituiva nel procedimento di reclamo, mentre si costituiva (omissis) chiedendo il rigetto del ricorso.

(omissis) eccepiva l’inammissibilità del reclamo, in quanto tardivo, e affermava che la reclamante non avesse provato il possesso congiunto di tutti i requisiti di cui all’art. 2, 1° co., lett. d), cod. crisi impr.

All’udienza del 10 luglio 2025, esaurita la discussione, il Collegio riservava la decisione.

1. Occorre, preliminarmente, dichiarare la contumacia del curatore della Liquidazione giudiziale di (omissis) non costituitosi nel procedimento di reclamo, malgrado la regolare notifica del ricorso compiuta per pec consegnata il 26 maggio 2025.

2. L’eccezione di tardività del reclamo, sollevata da (omissis) è infondata.

Dall’esame del fascicolo telematico (della fase tenutasi davanti al Tribunale di Verona) si desume che la sentenza di apertura della liquidazione giudiziale è stata notificata dalla Cancelleria del Tribunale a (omissis) non prima del 9 maggio 2025 (in quella data è registrato l’evento “relata notifica autorità giudiziaria”, che riporta la relata di notificazione dell’Unep Verona dell’8 maggio 2025, peraltro negativa).

È irrilevante la data di deposito della sentenza (25 marzo 2025), che non vale come notifica alla parte contumace, mentre la relata esibita dalla reclamata, che indica la data del 27 marzo 2025, è pure essa negativa, leggendosi che l’Ufficiale giudiziario non ha potuto notificare l’atto “in quanto al civico (trattasi di condominio di civile abitazione) non rinvengo alcuna indicazione riferibile, nessuna informazione utile”.

Poiché il ricorso è stato depositato il 19 maggio 2025, ossia entro trenta giorni dalla data del 9 maggio 2025 (art. 51, 3° co., cod. crisi impr.), esso è senz’altro tempestivo.

3. Contrariamente a quanto sostenuto dalla reclamata costituita, il debitore, rimasto contumace nel procedimento conclusosi con la dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale, è ammesso a provare, nel procedimento di reclamo, la sussistenza dei requisiti dimensionali che qualificano l’impresa come minore.

Infatti, da un lato, al reclamo avverso la sentenza dichiarativa della liquidazione giudiziale, non si applicano, per la sua specialità, i limiti previsti in tema di appello dagli artt. 342 e 345 c.p.c. e il relativo procedimento è quindi caratterizzato da un effetto devolutivo pieno; dall’altro, poiché non è normativamente previsto che la prova dei requisiti dimensionali (che sottraggono l’imprenditore alla liquidazione giudiziale) debba essere fornita, a pena di decadenza, davanti al Tribunale, tale prova ben può essere offerta, per la prima volta, nel giudizio di reclamo. Occorre, pertanto, dare continuità alla giurisprudenza della Suprema Corte, formatasi nella vigenza della legge fallimentare, secondo cui “il fallito, benché non costituito avanti al tribunale, può indicare per la prima volta in sede di reclamo i mezzi di prova di cui intende avvalersi, al fine di dimostrare la sussistenza dei limiti dimensionali di cui all’art. 1, comma 2, legge fall.” (Cass. civ., ord., 6 giugno 2012, n. 9174; Cass. civ., sent., 19 marzo 2014, n. 6306; Cass. civ., ord., 19 febbraio 2019, n. 4893).

4. La reclamante sostiene di possedere i requisiti dimensionali, patrimoniali e reddituali, che la sottraggono alla liquidazione giudiziale.

Il 1° co. dell’art. 2 del d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, dispone che l’“impresa minore”, non assoggettata alla liquidazione giudiziale, è quella che presenta congiuntamente i seguenti requisiti “1) un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di apertura della liquidazione giudiziale o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore; 2) ricavi, in qualunque modo essi risultino, per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di apertura della liquidazione giudiziale o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore; 3) un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila”.

L’art. 121 del medesimo d.lgs. n. 14/2019 dispone che “le disposizioni sulla liquidazione giudiziale si applicano agli imprenditori commerciali che non dimostrino il possesso congiunto dei requisiti di cui all’articolo 2, comma 1, lettera d), e che siano in stato di insolvenza”.

La disposizione è pertanto analoga a quella dell’art. 1, 2° co., (omissis) che ugualmente gravava l’imprenditore dell’onere della prova di avere posseduto, nei tre esercizi antecedenti il deposito dell’istanza di fallimento, i requisiti patrimoniali e reddituali suddetti.

La prova non dev’essere necessariamente fornita mediante la produzione nel procedimento dei bilanci di esercizio dell’impresa, potendo essere utilizzati strumenti probatori alternativi (v., tra le ultime, Cass. civ., ord., 23 aprile 2025, n. 10576).

Nella specie, la società aveva un’unità locale in Carpi (Modena) con insegna “Fattore Moda Outlet”, aperta nel 2016 (v. visura camerale, allegata al ricorso di (omissis), cessata pochi anni dopo. È infatti incontestato che l’unità locale sia stata chiusa tra il 2018 e il 2019. Del resto, anche il credito di (omissis) è relativo a servizi resi fino a quel periodo e, al punto 2.3 dell’informativa preliminare ex art. 130 cod. crisi impr., il curatore conferma che in Carpi non vi è alcuna attività (informazione acquisita dal cassetto fiscale, da cui risulta cessato il rapporto di locazione, ma anche da un rilievo compiuto mediante google-map). La sede di Verona non è invece mai stata operativa e comunque presso di essa nessuno è presente (il curatore ha dichiarato, sempre nell’informativa preliminare, che: “A seguito del sopralluogo è emerso che in Verona Viale della Fiera 2/A non vi è evidenza di una sede legale della società (omissis)).

Attesa l’inoperatività, può presumersi che, nel triennio 2021-2023, non siano stati conseguiti ricavi (il modello Iva 2018, relativo all’anno 2017, mostra che, anche durante il periodo di attività, il volume di affari era contenuto: euro 67.383 in quell’anno).

Dal bilancio al 31 dicembre 2016 – l’unico depositato – emerge che il patrimonio della società fosse modesto (euro 54.574). La società era priva d’immobilizzazioni materiali e non risulta possedere alcun bene e neppure essere titolare di rapporti bancari.

L’ammontare dei debiti è notevolmente inferiore alla soglia di euro 500.000.

Infatti, dal progetto di stato passivo si rileva che hanno fatto domanda d’insinuazione al passivo solamente (omissis) e l’Agenzia delle Entrate per i rispettivi crediti di euro 32.353,64 e di euro 40.043,48.

Può perciò concludersi che (omissis) ha posseduto, nei tre esercizi antecedenti il deposito dell’istanza di apertura della liquidazione, i requisiti dimensionali di cui all’articolo 2, comma 1, lettera d) del d.lgs. n. 14/2019 e non sia perciò assoggettabile a liquidazione giudiziale.

5. Il reclamo dev’essere pertanto accolto con revoca della sentenza che ha disposto l’apertura della liquidazione giudiziale.

Ai sensi dell’art. 53, 4° co., cod. crisi impr., l’amministratore di (omissis) dovrà relazionare semestralmente circa l’andamento economico, patrimoniale e finanziario della società sino al momento in cui la sentenza di revoca della liquidazione giudiziale sia passata in giudicato. La relazione dovrà essere comunicata al curatore e depositata nel registro delle imprese a cura della Cancelleria del Tribunale di Verona.

6. Ai sensi dell’art. 147 del d.p.r. 30 maggio 2002 n. 115, deve ritenersi che l’apertura della procedura è imputabile alla reclamante, a carico della quale devono rimanere le spese, atteso che, malgrado la prolungata inattività, la società non è stata cancellata dal registro delle imprese e nemmeno sono stati depositati i bilanci (non consentendo così alla creditrice di avere contezza dei requisiti dimensionali della società e della sua assoggettabilità alla liquidazione giudiziale). In ogni caso, la prova della sussistenza dei requisiti soggettivi di non sottoposizione alla liquidazione giudiziale è stata fornita solo nel presente giudizio di reclamo, in quanto davanti al Tribunale la debitrice non è comparsa.

Per le stesse ragioni, (omissis) non può essere condannata alla rifusione delle spese processuali della reclamante.

P.Q.M.

La Corte di Appello di Venezia, sezione prima, decidendo sul procedimento di reclamo n. 942/2025 r.g.a. promosso con ricorso da (omissis) in persona del legale rappresentante (reclamante) nei confronti di Liquidazione giudiziale di (omissis) in persona del curatore (reclamata contumace) e di (omissis) (reclamata), ogni contraria domanda ed eccezione disattesa, così ha deciso:

– accoglie il reclamo e, per l’effetto, revoca la sentenza del Tribunale di Verona n. 65/2025, depositata il 15 marzo 2025 che ha dichiarato l’apertura della liquidazione giudiziale di (omissis);

– dichiara, ai sensi dell’art. 147 del d.p.r. 30 maggio 2002 n. 115, che l’apertura della procedura è imputabile alla reclamante;

– rigetta la domanda della reclamante di condanna della reclamata alla rifusione delle spese processuali;

– ai sensi dell’art. 53 comma 4° cod. crisi impr., dispone che l’amministratore di (omissis) relazioni semestralmente circa l’andamento economico, patrimoniale e finanziario della società sino al momento in cui la sentenza di revoca della liquidazione giudiziale sia passata in giudicato.

Venezia, 10 luglio 2025.

Allegati

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