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Corte di Appello di Roma sez. lav., 09/12/2022, n. 4793

Massima

Il principio di sinteticità degli atti telematici (art. 16 bis, comma 9 octies, D.L. n. 179 del 2012) costituisce un parametro formale del processo. La sua grave violazione nella redazione del ricorso in appello, sebbene censurabile, non è di per sé sufficiente a determinarne l’inammissibilità, qualora i motivi di impugnazione siano dettagliatamente formulati.

Supporto alla lettura

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto e diritto

1. Con ricorso innanzi al Tribunale di Roma, La (omissis) S.p.A. (d’ora in avanti indicata con (omissis) per brevità) ha convenuto in giudizio (omissis) chiedendo: “Voglia l’Ill.mo Tribunale G.U. adito, respinta ogni contraria istanza, eccezione e deduzione, accertare e dichiarare la legittimità e l’efficacia del provvedimento disciplinare assunto dalla (omissis) nei confronti della Sig.ra (omissis) con comunicazione dell’8 maggio 2018, consegnata il 18 maggio 2018, per le ragioni esposte nel presente atto.

Con vittoria di diritti, onorari e spese di causa”.

2. La convenuta si è costituita, resistendo alla domanda, della quale ha domandato il rigetto e, in via riconvenzionale, ha richiesto l’accoglimento delle seguenti conclusioni: “IN VIA RICONVENZIONALE, dichiarare la nullità e/o la illegittimità e, quindi, revocare la sanzione del “rimprovero verbale”, irrogata dalla (omissis) SpA con lettera in data 22.07.2016, per tutte le ragioni esposte nel punto V della presente memoria di costituzione e, comunque, per quanto sarà accertato nel presente giudizio.”.

3. Depositata memoria di replica alla riconvenzionale, istruita documentalmente, la causa è stata decisa con la sentenza di cui all’oggetto, con la quale il Tribunale ha accolto il ricorso della (omissis) e respinto la riconvenzionale.

3.1. Il tribunale ha fondato la propria decisione sulla documentazione versata in atti, in base alla quale ha ritenuto provati gli addebiti contestati alla convenuta.

4. Avverso la suddetta sentenza ha proposto tempestivo appello la soccombente con ricorso -redatto con grave violazione del principio di sinteticità degli atti telematici di cui all’art. 16 bis, comma 9 octies, D.L. n. 179 del 2012, cnv. in L. n. 221 del 2012– con il quale ha formulato i seguenti motivi:

I. ha errato il giudice nell’avere ritenuto tempestiva la contestazione disciplinare conclusa con la sanzione della sospensione: lo stesso giudice ha riconosciuto la sussistenza di un lungo lasso di tempo tra i fatti contestati e la contestazione, ed ha emesso la propria pronuncia sulla base di una presunzione non suffragata da riscontri concreti. Il passaggio della società H. dalla classificazione “in bonis” ad “incagliata” è avvenuta nel mese di aprile del 2017, mentre la analisi retrospettiva della gestione del rapporto è avvenuta a distanza di sei mesi; anche la stessa banca sarebbe consapevole del rilevante lasso di tempo intercorrente tra i presunti illeciti contestati e la successiva contestazione;

II. erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui il giudice, con riferimento ad entrambe le sanzioni disciplinari, ha ritenuto le contestazioni specifiche: con riferimento alla sospensione, nella contestazione non è stata precisata quale norma sia stata violata e non è stato fatto alcun riferimento al codice disciplinare, né tantomeno è stata contestata all’appellante la violazione di una specifica norma del suddetto codice. Quanto alla sanzione del rimprovero verbale il giudice non ha considerato la totale mancanza nella contestazione di un richiamo al codice disciplinare, essendosi la banca limitata a fare un generico riferimento a presunte norme bancarie. La contestazione sarebbe quindi indeterminata;

III. erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui il giudice non ha statuito in ordine alla omessa consegna da parte della (omissis) della ulteriore documentazione richiesta da ella in relazione alla sanzione della sospensione dal servizio. Detta omissione avrebbe cagionato un imprecisato gravissimo pregiudizio poiché ella si è vista pregiudicata la possibilità di difendersi compiutamente in sede disciplinare. Trattasi quindi di una omessa pronuncia in violazione dell’art. 112 c.p.c.;

IV. ha errato il giudice nel ritenere fondati i fatti posti a fondamento delle sanzioni irrogate e non ha considerato che ella non aveva concesso alla società (omissis) alcunché, ma ha solo avanzato delle proposte che sono state valutate e discusse e riscontrate dagli organi superiori; il giudice non ha altresì tenuto conto della documentazione versata in atti, dalla quale emerge la prova delle circostanze sopraindicate. Sempre erroneamente il tribunale non ha accolto l’istanza di esibizione ex art. 210 c.p.c. formulata nella memoria di costituzione. Inoltre l’appellante ha negato la veridicità dei fatti posti a fondamento della contestazione, poiché dagli atti non risultava affatto che la (omissis) avesse stipulato contratti di solidarietà con i propri dipendenti, non ha affatto proposto rinnovi dei fidi in essere prima della pubblicazione del bilancio ufficiale della stessa società e non ha tenuto conto della mancanza di prova dei fatti sopra indicati ed oggetto di contestazione. Ha inoltre censurato la sentenza per non avere il giudice tenuto conto di ulteriore documentazione che comprova che la proposta di fido è stata comunque approvata dai superiori in particolare da (omissis). B) Dalla documentazione in atti il giudice avrebbe comunque dovuto desumere la infondatezza degli addebiti contestati. C) infondatezza della sentenza appellata in ordine alla asserita proporzionalità della sanzione: il giudice ha errato nel ritenere le sanzioni irrogate proporzionali ai fatti contestati poiché i profili di illegittimità ed infondatezza in precedenza segnalati consentono di affermare la piena correttezza del comportamento tenuto e quindi la nullità delle sanzioni irrogate. La sentenza ha quindi violato il disposto dell’art. 7 della L. n. 300 del 1970 con conseguente nullità delle sanzioni;

V. erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto legittima la sanzione del rimprovero verbale: il giudice non ha in alcun modo spiegato sulla base di quali prove ha affermato che la (omissis) abbia omesso di rappresentare la situazione pregressa dell’amministratore socio unico della società (omissis) Srl, (omissis) e non ha considerato le prove documentali da ella prodotte, cosicché la sentenza è sul punto immotivata. Il giudice non ha altresì precisato l’eventuale rilevanza disciplinare della presunta omissione della segnalazione di cui sopra; inoltre emerge dalla (omissis) e dalla (omissis) che il pregresso rapporto di (omissis) con la società (omissis) non presentava alcuna criticità ed inoltre quest’ultima società era stata cancellata il 5 novembre 2003, ossia 13 anni prima rispetto alla data della proposta di finanziamento. Pertanto il giudice non ha tenuto conto delle risultanze documentali in atti. È inoltre erronea l’affermazione del giudice secondo la quale i rapporti tra (omissis) e la (omissis) e la situazione debitoria di tale società sarebbero emersi solo nell’aprile 2016. Conseguentemente le giustificazioni rese dalla appellante erano fondate e pertanto la sentenza ha errato nel ritenere la sanzione proporzionata ai presunti illeciti commessi;

VI. la sentenza è altresì erronea nella parte in cui ha condannato l’appellante al pagamento delle spese del grado, perché, alla luce delle considerazioni che precedono, avrebbe dovuto accogliere la riconvenzionale e respingere il ricorso volto all’accertamento della legittimità delle sanzioni irrogate;

VII. da ultimo alla sentenza è altresì erronea per non avere il giudice accolto le istanze istruttorie formulate dalla convenuta.

5. Ha concluso chiedendo, in riforma della sentenza appellata:

1)-dichiarare la nullità e/o la illegittimità della sanzione della “sospensione dal servizio e dal trattamento economico per cinque giorni”, comminata dalla medesima banca alla odierna appellante con lettera in data 28.12.2017, revocando, quindi, tale sanzione, e dichiarando, per l’effetto, la (omissis) s.p.A., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, tenuta alla restituzione, in favore della dr.ssa (omissis) della somma di Euro 452,82, oltre rivalutazione monetaria ed interessi moratori, come per legge, dalla data della indebita trattenuta sino al saldo, e cioè dal 27.1.2020 e, comunque, da dì del dovuto sino all’effettivo saldo, per tutte le ragioni esposte nei motivi dedotti nel presente atto di appello;

2)-dichiarare la nullità e/o la illegittimità della sanzione del “rimprovero verbale”, irrogata dalla (omissis) SpA con lettera in data 22.07.2016, revocando, quindi, tale sanzione per tutte le ragioni esposte nei motivi del presente atto di appello;

3)-condannare, in ogni caso, la (omissis) SpA, in persona del suo presidente e legale rappresentante pro tempore, al pagamento, in favore della Dr.ssa (omissis) delle spese e delle competenze legali sia del presente giudizio di appello, sia del giudizio di primo grado, ivi comprese le spese forfettarie nella misura del 15%, oltre c.a.p. ed i.v.a. come per legge, nonché al pagamento, a favore della medesima appellante, di una somma equitativamente determinata, ai sensi dell’art. 96, ultimo comma, c.p.c. in ragione della temerarietà della lite.

6. La appellata ha resistito al gravame, facendo proprie le motivazioni della sentenza impugnata, ed ha concluso chiedendone il rigetto.

7. All’odierna udienza la causa è stata discussa e decisa mediante pubblica lettura del dispositivo.

8. L’appello è infondato e non merita accoglimento.

8.1. Con riguardo al primo dei motivi di appello, concernente la tempestività della contestazione relativa all’infrazione punita con la sospensione, l’immediatezza della contestazione va intesa in senso relativo, dovendosi dare conto delle ragioni che possono cagionare il ritardo (quali il tempo necessario per l’accertamento dei fatti o la complessità della struttura organizzativa dell’impresa), con valutazione riservata al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità, se sorretta da motivazione adeguata e priva di vizi logici. (Cass. n. 16841 del 26/06/2018). Inoltre, sempre secondo la S.C., il datore deve procedere alla contestazione non appena abbia acquisito una compiuta e meditata conoscenza dei fatti oggetto di addebito, atteso che il ritardo nella contestazione lede il diritto di difesa del lavoratore e, in particolare, il suo affidamento sulla mancanza di rilievo disciplinare attribuito dal datore di lavoro alla condotta inadempiente (cfr. Cass., n. 29627 del 16/11/2018).

8.2. Nella fattispecie, del tutto erroneamente, la parte considera il tempo intercorso tra la commissione dell’illecito e la contestazione disciplinare, senza tenere in alcun conto del tempo necessario per l’indagine e degli eventuali accertamenti nel frattempo compiuti dalla appellata. Viceversa la valutazione della tempestività deve essere effettuata in senso relativo, con riguardo in cui il datore è venuto a effettivamente a conoscenza dell’illecito.

Ed infatti, come emerge dalla lettura degli atti, la (omissis) si è avveduta delle irregolarità solo dopo l’analisi retrospettiva della posizione avviata nel settembre 2018. È irrilevante anche l’errore materiale evidenziato dalla (omissis) ed avente ad oggetto l’erronea indicazione della data di passaggio del cliente a posizione problematica, ossia il mese di settembre anziché quello di aprile.

8.3. La criticità della posizione non comporta in alcun modo la conoscenza delle irregolarità commesse dalla (omissis). La circostanza che altri dipendenti della banca sarebbero stati informati dello sviluppo e della gestione della posizione non può in alcun modo equivalere ad una complessiva conoscenza della vicenda da parte della datrice di lavoro: in buona sostanza, anche se i superiori fossero stati a conoscenza della situazione delle società, ciò non può provare che la datrice di lavoro fosse a conoscenza delle irregolarità commesse. In buona sostanza, ove i superiori fossero stati consapevoli dell’irregolarità, ciò comporterebbe l’insorgere della loro responsabilità, ma non esimerebbe da responsabilità la appellante.

8.4. In ogni caso, sulla base della documentazione in atti risulta quanto segue:

– a seguito del passaggio della società (omissis) a posizione problematica, è stato necessario effettuare un’analisi retrospettiva del rapporto, avviata nel mese di settembre 2017, solamente all’esito della quale sono emerse le irregolarità contestate alla (omissis);

– dopo aver esaminato le risultanze della predetta analisi retrospettiva, con comunicazione del 28 dicembre 2017 l’ufficio competente le ha contestato gli addebiti;

– ricevuta in data 9 gennaio 2018 la comunicazione di contestazione degli addebiti, la appellante ha esercitato il proprio diritto di difesa, sia esaminando la documentazione relativa al procedimento disciplinare, sia nell’incontro del 28 febbraio 2018, nel corso del quale ha anche presentato le proprie deduzioni scritte;

– la (omissis), infine, valutati i fatti contestati e le giustificazioni addotte dalla lavoratrice, ha irrogato la sanzione in data 8 maggio 2018.

8.5. Per le ragioni sopraindicate è irrilevante la circostanza che all’inizio di gennaio 2017 l’appellante avesse dettagliatamente aggiornato sull’andamento del rapporto con la (omissis) il superiore (omissis), preché l’illecito contestato è consistito nel non avere esercitato adeguatamente il presidio nella gestione del credito e del costo del rischio, nella fase di monitoraggio della pratica in parola.

Nella contestazione si legge quanto segue: Pur in assenza dei dati di bilancio aggiornati, Lei ha altresì proposto la concessione di un fido supplementare, come di seguito descritto:

– conferma del fido continuativo autoliquidante, CP159, per un importo di Euro 150.000,00, con scadenza 31/12/2016;

– rinnovo del fido in conto corrente ordinario breve termine, (…), per un importo di Euro 10.000,00 con scadenza 31/12/2016;

– concessione fido credito semplice entro 18 mesi, PS243, per un importo di Euro 80.000,00, con scadenza 30/06/2017.

2. Lei non ha valutato con attenzione la qualità del portafoglio smobilizzato della Società (omissis) S.p.A verso primari clienti, tornato insoluto, contrariamente a quanto definito dal dispositivo di delibera della pratica PEF 545675-15. Nello specifico, Lei ha anticipato detto portafoglio sulla Società (omissis) S.r.L, e sulla Società (omissis) S.r.L., come da tabella allegata (all.1), che forma parte integrante della presente contestazione di addebiti.

Detto addebito assume maggiore rilevanza tenuto conto che le sopra citate Società presentavano criticità aziendali e, in particolare, la Società (omissis) S.r.L. presentava debiti tributari rateizzati e la Società (omissis) S.r.L, oltre a non essere censita nei nostri sistemi anagrafici, aveva stipulato contratti di solidarietà con i propri dipendenti.

Conseguentemente è proprio il compimento delle attività sopraindicate, pur in presenza degli indici rivelatori di determinate criticità gestionali delle società, a costituire l’oggetto dell’illecito, che non è certamente sminuito dalla circostanza che il (omissis) fosse stato avvisato in merito al generale andamento del rapporto, giacché nella fattispecie sono stati omessi controlli ed operazioni imposti dalla normativa interna aziendale.

9. Il secondo motivo di appello, concernente il difetto di specificità della contestazione è assolutamente infondato: sulla questione si è di recente pronunciata la S.C. con due sentenze. Con la prima (n. 9590 del 18/04/2018) ha affermato che la previa contestazione dell’addebito ha lo scopo di consentire al lavoratore l’immediata difesa e deve rivestire il carattere della specificità, che è integrato quando sono fornite le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare, nella sua materialità, il fatto o i fatti nei quali il datore di lavoro abbia ravvisato infrazioni disciplinari o comunque comportamenti in violazione dei doveri di cui agli artt. 2104 e 2105 c.c.. Per ritenere integrata la violazione del principio di specificità è necessario che si sia verificata una concreta lesione del diritto di difesa del lavoratore e la difesa esercitata in sede di giustificazioni è un elemento concretamente valutabile per ritenere provata la non genericità della contestazione. Con la seconda pronuncia (sentenza n. 29240 del 06/12/2017) la Corte ha affermato che la contestazione dell’addebito ha lo scopo di consentire al lavoratore incolpato l’immediata difesa e deve, conseguentemente, rivestire il carattere della specificità, senza l’osservanza di schemi prestabiliti e rigidi, purché siano fornite al lavoratore le indicazioni necessarie per individuare, nella sua materialità, il fatto o i fatti addebitati (la motivazione delle suddette sentenze deve qui intendersi richiamata ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c.).

Nella fattispecie la contestazione, che di generico non ha assolutamente nulla, ha indicato specificamente i fatti contestati, le normative interne violate, con indicazione delle circolari, con la conseguenza che è stato assicurato concretamente il diritto alla difesa, tant’è che la incolpata è stata sentita personalmente ed ha potuto comunque depositare delle adeguate -anche se del tutto infondate- difese scritte.

9.1. Identiche considerazioni valgono per la contestazione disciplinare conclusa con il rimprovero verbale, laddove chiaramente dal tenore letterale della stessa emerge che la appellante ha potuto difendersi adeguatamente ed è stata in grado di percepire chiaramente quali fossero il fatto e l’illecito contestati. Lo stesso tenore della contestazione consente di escludere con facilità la contestata genericità: In particolare, lei, in violazione della normativa interna in materia “Regolamento del credito – concessione revisione e rinnovo degli affidamenti per la clientela dei mercati Small Business e imprese” (circolare il numero 71/2014), ha proposto una pratica di concessione di fido in favore della società (omissis) (NDG 30670 1666) senza esplicitare, nell’istruttoria, la situazione pregressa del socio unico della predetta azienda, signor (omissis), ovvero la qualità di garante della società (omissis) srl, nonché gli ex socio ed amministratore della stessa.

La doglianza, alla luce del letterale tenore della contestazione, è defatigatoria.

10. Il terzo motivo, concernente l’omessa consegna dei documenti, è infondato.

La S.C., con ordinanza n. 27093 del 25/10/2018 ha ribadito quanto affermato nella precedente sentenza n. 23304/2010, ossia che “L’art. 7 della L. n. 300 del 1970 non prevede, nell’ambito del procedimento disciplinare, l’obbligo per il datore di lavoro di mettere a disposizione del lavoratore, nei cui confronti sia stata elevata una contestazione di addebiti di natura disciplinare, la documentazione aziendale relativa ai fatti contestati, restando salva la possibilità per il lavoratore medesimo di ottenere, nel corso del giudizio ordinario di impugnazione del licenziamento irrogato all’esito del procedimento suddetto, l’ordine di esibizione della documentazione stessa. Il datore di lavoro è tenuto, tuttavia, ad offrire in consultazione all’incolpato i documenti aziendali solo in quanto e nei limiti in cui l’esame degli stessi sia necessario al fine di una contestazione dell’addebito idonea a permettere alla controparte un’adeguata difesa; ne consegue che, in tale ultima ipotesi, il lavoratore che lamenti la violazione di tale obbligo ha l’onere di specificare i documenti la cui messa a disposizione sarebbe stata necessaria al predetto fine”. La motivazione della suddetta ordinanza deve qui intendersi richiamata ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c..

Nella fattispecie la parte ha indicato specificamente i documenti cui chiesto l’accesso, ma non ha indicato per quale motivo essi siano in grado di smontare le incolpazioni che sono state contro di ella formulate, ed in particolare in qual modo i documenti mancanti, ove fossero stati messi a disposizione, avrebbero inciso positivamente sul proprio diritto di difesa, né tantomeno ha specificamente dedotto in quale modo lo stesso diritto sia stato leso.

11. Anche il quarto motivo è infondato.

11.1. È necessario trascrivere la lettera di contestazione disciplinare:

“Siamo stati informati che lei, allorquando ricopriva il ruolo di Gestore Small Business presso l’Agenzia di Città di Castello e il ruolo di (omissis) presso la Capogruppo Arezzo e Siena, si è resa responsabile delle irregolarità operative come di seguito descritto.

In data 11 dicembre 2015, sono stati deliberati due fidi (pratica PEF (…)) in favore del cliente (omissis) S.p.A. (NDG (…)), e più segnatamente:

– concessione fido continuativo autoliquìdante, CP159, per un importo di Euro 150,000,00 con scadenza 30/06/2016;

– concessione di fido in conto corrente ordinario breve termine, CP121, per un importo di Euro 10,000,00 con scadenza 30/06/2016.

Per detta pratica il (omissis) commentava come di seguito integralmente trascritto: “si autorizza in via sperimentale al 30 giugno 2016 data in cui con primo bilancio ufficiale valuteremo quantità e qualità del rapporto. Nel frattempo valutare con attenzione il foglio da smobilizzare dando assoluta priorità a debitori nostri clienti elevato standing”. Inoltre, con specifico riferimento al fido continuativo autoliquidante, CP159, si specificava che “il 20% del portafoglio commerciale presentato sarà accantonato in conto indisponibile”.

Nella circostanza, lei, in violazione della normativa interna in materia di “Regolamento del credito-Concessione, Revisione e Rinnovo degli affidamenti per la clientela dei mercati Small Business e Imprese”(Circolare n. 71/2014) ed in materia di “Concessione e revisione credito breve termine e medio lungo termine per la clientela dei mercati imprese e small business” (Guida Operativa n. 37/2013), non ha osservato il dispositivo di delibera e non ha esercitato adeguatamente il presidio nella gestione del credito e del costo del rischio, nella fase di monitoraggio della pratica in parola, come di seguito descritto.

1. Lei, in data 10 maggio 2016, ha istruito in procedura PEF la pratica (…), in favore del cliente (omissis) S.p.A. (NDG 307122753) ed ha proposto, in escalation, la delibera per il rinnovo prima della prevista scadenza degli affidamenti e prima della pubblicazione del bilancio ufficiale, come disposto dalla sopra citata delibera (pratica PEF 545675-15). Pur in assenza dei dati di bilancio aggiornati, Lei ha altresì proposto la concessione di un fido supplementare, come di seguito descritto:

– conferma del fido continuativo autoliquidante, CP159, per un importo di Euro 150.000,00, con scadenza 31/12/2016;

– rinnovo del fido in conto corrente ordinario breve termine, CP121, per un importo di Euro 10.000,00 con scadenza 31/12/2016;

– concessione fido credito semplice entro 18 mesi, PS243, per un importo di Euro 80.000,00, con scadenza 30/06/2017.

2. Lei non ha valutato con attenzione la qualità del portafoglio smobilizzato della Società (omissis) S.p.A verso primari clienti, tornato insoluto, contrariamente a quanto definito dal dispositivo di delibera della pratica PEF 545675-15. Nello specifico, Lei ha anticipato detto portafoglio sulla Società (omissis) S.r.L, e sulla Società (omissis) S.r.L., come da tabella allegata (all.1), che forma parte integrante della presente contestazione di addebiti.

Detto addebito assume maggiore rilevanza tenuto conto che le sopra citate Società presentavano criticità aziendali e, in particolare, la Società (omissis) S.r.L. presentava debiti tributari rateizzati e la Società (omissis) S.r.L, oltre a non essere censita nei nostri sistemi anagrafici, aveva stipulato contratti di solidarietà con i propri dipendenti.

3. Lei, contravvenendo al sopra citato dispositivo di delibera, in data 14 dicembre 2015 ha acceso un conto corrente ordinario senza blocchi (rapporto di conto corrente numero 2442, radicato presso l’Agenzia di Città di Castello) in luogo del previsto conto indisponibile.

Quanto sopra riportato assume maggiore significatività considerato che le è stata comminata, per analoghe irregolarità operative, la sanzione del “rimprovero verbale” con lettera datata 22 luglio 2016“.

11.2. Le indagini interne compiute dalla (omissis) hanno accertato la violazione della normativa interna da parte della appellante. Risulta circostanza non contestata che la (omissis), è un’azienda “start-up” appartenente al settore metalmeccanico, il cui oggetto sociale è la produzione di componentistica di macchinari nel settore oleodinamico.

In particolare, in seguito al cambio di status della (omissis) in arancione, è emerso che l’appellante, nel concedere il fido, non aveva rispettato le regole fornite dall’organo competente nel dispositivo di delibera PEF 545675-15. Infatti, la (omissis) in data 14 dicembre 2015 ha acceso in favore della (omissis) un conto corrente ordinario senza blocchi, in luogo del prescritto conto corrente indisponibile; non costituisce certamente un blocco il pegno sul 20% dell’importo degli effetti scontati; non ha valutato con attenzione la qualità del portafoglio commerciale smobilizzato, anticipando titoli di credito, poi tornati insoluti, emessi dalle Società (omissis) S.r.l. e (omissis) S.r.l., ovvero società che presentavano criticità aziendali. In particolare, la S.C. presentava debiti tributari rateizzati, mentre la (omissis) S.r.l., oltre a non essere censita nell’anagrafica dei clienti della (omissis), aveva stipulato contratti di solidarietà con i propri dipendenti (che sono fattispecie affatto diversa dalla richiesta di ammissione alla Cassa integrazione guadagni citata dal procuratore della appellante). Il doc. all. 11 cui la (omissis) fa riferimento nell’atto di appello, se da una parte conferma che comunque un vincolo al c/c è stato apposto, dall’altra conferma la violazione della normativa interna, che le imponeva non l’accensione di un ordinario conto con un blocco parziale, bensì l’accensione di un conto corrente indisponibile, che è istituto affatto diverso, come testimoniato dal riferimento al numero di conto (la circostanza che al conto indisponibile sia attribuito un diverso numero è pacifica tra le parti e non è mai stata contestata).

In data 10 maggio 2016, ovvero prima della scadenza e prima della pubblicazione del bilancio ufficiale, cui era subordinata la valutazione circa la qualità del rapporto, la appellante ha proposto il rinnovo sino al 31 dicembre 2016 dei fidi di cui sopra.

11.3. (omissis) tenta di scaricare le proprie responsabilità coinvolgendo altri dipendenti della (omissis), ma deve essere evidenziato che le valutazioni delle proposte effettuate da (omissis) nella mail indicata in atti ed alla quale l’appellante ha fatto riferimento nel ricorso, sono state effettuate sulla base di una conoscenza solo parziale della situazione della società, determinata dalla grave omissione delle necessarie attività di indagine previste dalla regolamentazione interna e posta in essere dalla odierna appellante. E ciò a maggior ragione in quanto la appellante era il gestore della posizione della società.

Costituisce circostanza non contestata che il Gestore Small Business si occupa, tra le altre, di:

– curare il raggiungimento degli obiettivi contributivi, distributivi, patrimoniali, di customer satisfaction, qualità del credito e costo del rischio di competenza, in coerenza con i requisiti di compliance, identificando/analizzando le situazioni critiche e/o gli andamenti anomali e definendo/attivando le opportune azioni correttive per lo sviluppo e la gestione del portafoglio assegnato;

– curare lo svolgimento delle attività di valutazione commerciale delle pratiche di fido e la relativa istruttoria creditizia;

– curare la gestione del credito nell’ambito delle autonomie sub delegate in coerenza con le politiche, gli indirizzi e le normative in materia creditizia.

Il (omissis), invece, in virtù della peculiarità del ruolo (denominato appunto “Cross”), svolge, in base alle esigenze di servizio, le stesse mansioni in favore di clientela radicata presso più Agenzie (solitamente 2 o al massimo 3) del raggruppamento territoriale di competenza; e tale è l’odierna appellante: difatti il gruppo di agenzie seguito dalla (omissis) era formato dalle agenzie di Arezzo, Siena, Grosseto e Città di Castello (cfr. doc. 4 ter produzione appellata).

11.4. È quindi dimostrato che il complesso delle mansioni attribuite all’appellante, caratterizzata da un’ampia discrezionalità, non è idoneo ad escludere la gravità e la responsabilità dei fatti commessi. Costituisce poi circostanza non contestata che la (omissis) aveva la piena responsabilità dei rapporti intrattenuti con la società (omissis) ed era colei che, più di tutti quanti, poteva e doveva conoscere, con l’utilizzo della normale diligenza, tutti i dettagli della situazione economica della società stessa, ossia delle esposizioni e delle carenze di garanzie.

È irrilevante la circostanza che anche i superiori gerarchici della (omissis) avevano una minima conoscenza della situazione (omissis), poiché la stessa si fondava sulle conoscenze derivate dai rapporti e dai dati da ella forniti. Conseguentemente il documento allegato n. 7 invocato alla pagina 29 del ricorso in appello da parte della (omissis) non è idoneo ad escluderne la responsabilità.

11.5. Contrariamente a quanto sostenuto, la (omissis) ha istruito la pratica (PEF 205929-16) in assenza della documentazione relativa al bilancio ufficiale 2015, non potendo ritenersi tale quella inserita nei sistemi della Banca e depositata dalla (omissis) il 9 maggio. Ciò si desume:

a) dalla valutazione di “risk opinion”, laddove l’analista rischi in data 11 maggio 2016 testualmente dice: “si esprime, pertanto, parere favorevole al solo rinnovo con scadenza 31.12.2016 invitando a riesaminare con tempestività sulla base del definitivo 2015 e provvisorio 2016 continuando a vagliare con attenzione la qualità e quantità del lavoro presentato”;

b) – dal commento di sintesi formulato dalla stessa (omissis) che non smentisce le risultanze di cui sopra: “preso atto delle risultanze dell’AVA, riteniamo che in virtù della bontà del cliente avendo avuto conferma da parte dei maggiori clienti (anche nostri ottimi clienti affidati corporate con rating apprezzabili) dell’emarginata del flusso di ordini in lavorazione ed in crescita rispetto all’esercizio precedente il che ci fa prevedere una crescita del fatturato superiore al 40% con marginalità capiente per il rimborso dell’impegno assumendo, valutando la garanzia personale del sig. (omissis) e della sig.ra (omissis) ampiamente congrua alla mitigazione del rischio, avendo concordato le linee della presente proposta con il Dag, inoltriamo in escalation.” (cfr. parere di proposta PEF 205929-16 – all. 14 prod. B.).

Deve essere sottolineato che il termine del 30 giugno fissato dal deliberante della PEF 545675-15, poiché coincidente con il termine di presentazione del bilancio ufficiale, rappresenta un riferimento temporale importante per una piena e completa valutazione dei risultati societari. Viceversa, la proposta da parte della (omissis) di rinnovo dei fidi non ancora scaduti, oltre che di concessione di una ulteriore linea di credito, dopo solo 5 mesi di sperimentazione del rapporto, rappresenta una inadempienza di non trascurabile importanza, perché all’epoca non era possibile valutare la quantità e qualità del rapporto, ancora in fase iniziale, nonché il buon esito del portafoglio presentato, come peraltro evidenziato anche dall’analista rischi (omissis).

11.6. Riguardo alla seconda contestazione, conclusa con il rimprovero verbale, questa Corte evidenzia che, contrariamente a quanto dichiarato negli scritti depositati nel corso dell’audizione, la (omissis) S.r.l., cliente (omissis), presentava criticità evidenziate dalla Banca già a marzo 2015 in occasione del rinnovo delle linee di credito accordate.

Ed infatti, il commento del deliberante alla PEF 118137-15, richiamato dalla stessa (omissis) nelle proprie difese, testualmente recita: “Preso atto delle ulteriori precisazioni fornite in merito alla attuale consistenza dell’impegno annuo da rateizzazione debiti tributari, si autorizza. La pratica dovrà essere riesaminata tempestivamente con un ulteriore approfondimento sullo stato delle rateizzazioni debiti tributari e previdenziali, prescrivendo che, qualora la posizione non trovi una sua precisa definizione, dovremo ulteriormente rivedere in termini contenitivi il ns. appoggio” (cfr. all. 15 prod. B.).

Per quanto riguarda la (omissis) S.r.l., si rileva innanzitutto che non era un primario cliente (omissis) come richiesto invero dal dispositivo di delibera, e che i dati di bilancio del 2014, estratti dalla (omissis), già confermavano le difficoltà aziendali, rappresentando:

– Utile (perdita) dell’esercizio: -67

– Patrimonio netto tangibile/attivo tangibile: -19,9% (molto basso)

– Patrimonio netto tangibile/(debiti fin-liquidità): -53,1% (molto basso)

– Debiti finanziari entro es.s/debiti finanziari totali: 84,3% (superiore media)

– Liquidità a breve termine: 74,8% (bassa) (cfr. pagg. 3 e 4, all. 16 prod. B.).

Pertanto, le criticità in capo alle predette società, terze debitrici della (omissis), erano note o quantomeno dovevano esserlo alla (omissis), cosicché nella fattispecie risulta dimostrato che ella non ha correttamente adempiuto ai compiti demandatile, non effettuando una accurata valutazione della posizione economica delle dette società.

11.7. Infine, con riferimento alla terza contestazione, e contrariamente a quanto dedotto dalla lavoratrice nelle proprie giustificazioni, si rileva che il conto corrente 2442 acceso dalla (omissis) in favore della (omissis) era un conto corrente ordinario e non un conto indisponibile. Difatti costituisce circostanza mai contestata dalla appellante che i conti indisponibili hanno una numerazione tipo 110.000; tale tipologia di conto (conto n. (…)/5149) è stato aperto dalla (omissis) solo in data 29 giugno 2016.: se il primo fosse stato indisponibile, che necessità c’era di aprire questo secondo conto?

Inoltre, sul predetto conto 2442 non sono mai stati apposti i previsti blocchi, immessi da altro operatore solo il 31 luglio 2017, allorquando la posizione è passata ad incagli (anche questa è circostanza non contestata).

Alla luce delle considerazioni che precedono rendono evidente che la appellante ha commesso le irregolarità che le sono state contestate nella gestione del rapporto con la cliente (omissis), gestione demandata in via esclusiva alla dipendente in virtù del ruolo ricoperto. Conseguentemente le giustificazioni rese in relazione alla vicenda disciplinare in esame sono inidonee ad attenuare o ad escludere la gravità dei fatti.

12. Le considerazioni di cui sopra consentono di respingere anche il quarto motivo di appello, che è fondato sull’accoglimento dei precedenti tre, cosicché, alla luce dei compiti di particolare responsabilità affidati alla appellante, nonché delle circolari e delle documentazioni indicate in atti e della diligenza che ella avrebbe dovuto porre nella gestione del rapporto con la società (omissis), i comportamenti contestati sono gravi, e tali da legittimare la sanzione conservativa applicata della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per 5 giorni.

13. Anche il quinto motivo di appello, ossia quello concernente l’illegittimità della sanzione del rimprovero verbale, è infondato e non merita accoglimento.

(omissis) è stato contestato un comportamento posto in essere senza effettuare una completa e istruttoria ai fini della deliberazione dell’atto creditizio. La circolare n. 71/2014(pagg. 20 e ss: all. 6 prod appellante) prevede espressamente che: “Nei primi contatti con il cliente, il gestore della relazione effettua un esame preliminare delle sue esigenze ed una prima valutazione delle potenzialità dello stesso e della sua affidabilità; verifica inoltre se la richiesta di affidamento è coerente con gli indirizzi strategici della Banca”. Inoltre viene espressamente previsto che: “Nell’ambito dell’esame della richiesta vengono acquisite tutte le informazioni sul cliente/gruppo/garante necessarie ai fini istruttori, ossia tutti quegli elementi che consentono dì analizzare in dettaglio la situazione patrimoniale, economico- finanziaria, giuridica e morale del cliente, nonché l’andamento del rapporto sia sotto il profilo di rischio che di redditività”; …”L’Istruttoria deve consentire al Gestore della Relazione di soffermarsi con un’approfondita indagine sulla situazione patrimoniale, economica, finanziaria, giuridica e morale del cliente, nonché sull’andamento del rapporto sia sotto il profilo di rischio che di redditività”.

(omissis) ha acquisito informazioni sul socio unico della (omissis), non avvedendosi così della sua grave situazione patrimoniale. Tale condotta ha esposto la Banca a maggiori rischi nell’erogazione del credito, successivamente concesso da (omissis).

Nella fattispecie, nel corso della fase di istruttoria, la appellante ha omesso di fare presente la situazione pregressa dell’amministratore e socio unico della società in questione, (omissis), omettendo di dire che questi aveva già rivestito la qualità di socio unico, amministratore e garante della (omissis) s.r.l.. a questo punto diviene del tutto irrilevante la circostanza sul se l’attività di quest’ultima società coincida o no con quella svolta dalla (omissis), e con posizione “a sofferenza” per oltre 2.600.000,00 Euro.

Invece, la (omissis) ha chiarito di aver acquisito tali informazioni relative all’amministratore unico, sig. (omissis), solo ad aprile 2016 a seguito della citata richiesta di chiarimenti.

La stessa appellante, nella lettera di giustificazioni, ha confermato che solo ad Aprile 2016, a seguito di mail da ella inoltrata al DAG, avente ad oggetto la segnalazione alla richiesta di informazioni da parte del canale (omissis) su (omissis). Per poter predisporre una risposta ella ha convocato lo stesso e gli ha domandato gli approfondimenti relativi alle risultanze evidenziate. Dice la (omissis) nelle controdeduzioni all’apertura del procedimento disciplinare datate 4 luglio 2016 (cfr. all. n. 7 alla prod B.): tendo a precisare che solo in quella sede sono venuta a conoscenza della posizione di garante che lo stesso (omissis) presentava ancora nei confronti della (omissis) srl in quanto ribadisco che dalla Crif e dalla (omissis) a suo tempo acquisite e non veniva evidenziato in maniera chiara. È pertanto la stessa appellante ad avere ammesso il fatto.

Alla luce della normativa aziendale e della particolare diligenza che la appellante avrebbe dovuto utilizzare, la sanzione irrogata, ossia il rimprovero verbale, appare più che proporzionata rispetto all’illecito commesso (peraltro ammesso), tenuto conto che ciò che conta per l’irrogazione di una sanzione non è tanto il danno effettivamente patito, quanto piuttosto è la violazione delle regole aziendali che possa anche solo avere provocato il semplice rischio di cagionare un danno, indipendentemente dal fatto che si sia realizzato. Osserva la Corte che data la delicatezza del settore bancario, l’inadempimento dei dipendenti deve essere sempre valutato con particolare rigore: la (omissis) si è resa autrice di un comportamento meritevole di censura in merito alla ricostruzione.

Le motivazioni di cui sopra determinano l’assorbimento del motivo inerente alla disposta condanna alle spese di lite, in quanto connesso all’accoglimento dell’impugnativa.

15. Da ultimo deve essere respinto il motivo concernente il rigetto implicito delle istanze istruttorie, giacché la documentazione presente in atti è più che sufficiente ed idonea a determinare la decisione della causa, rendendo pertanto inutile ed irrilevante il supplemento istruttorio richiesti dalla parte.

L’appello deve quindi essere rigettato.

16. Spese del grado a carico della parte soccombente, liquidate tenendo conto della particolare complessità della fattispecie trattata, palesata dalla quantità degli scritti difensivi dell’appellante.

17. Infine, nella fattispecie è applicabile ratione temporis l’art. 1 comma 17 della L. 24 dicembre 2012, n. 228, che ha modificato il D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo unico in materia di spese di giustizia, inserendo all’articolo 13, dopo il comma 1-ter, il comma 1-quater), in ordine al pagamento del doppio del contributo unificato previsto per il caso in cui l’impugnazione, anche incidentale, sia respinta integralmente o dichiarata inammissibile o improcedibile.

È opportuno precisare sul punto che “in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115art. 13 comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228art. 1, comma 17, il giudice dell’impugnazione è vincolato, pronunziando il provvedimento che la definisce, a dare atto – senza ulteriori valutazioni decisionali – della sussistenza dei presupposti (rigetto integrale o inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) per il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione da lui proposta, a norma del medesimo art. 13, comma 1 bis” ( Cass Sez. 3, Sentenza n. 5955 del 2014 ).

Ciò evidentemente prescinde da eventuali condizioni soggettive di esonero, per limiti reddituali, della parte soccombente, suscettibili di separata verifica da parte dell’Amministrazione competente.

P.Q.M.

– Respinge l’appello e condanna l’appellante al pagamento delle spese del grado, liquidate in complessivi Euro 5.500,00, oltre a spese generali, iva e cpa;

– dà atto che sussistono per l’appellante le condizioni richieste dall’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002 per il raddoppio del contributo unificato. Roma, 2 dicembre 2022.

Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2022.

Depositata in Cancelleria il 9 dicembre 2022.

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