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Corte di Appello di Roma sez. III, 30/10/2018, n. 6901

Massima

In tema di concordato preventivo con cessione dei beni ai creditori, sebbene il debitore concordatario sia sottoposto a uno “spossessamento attenuato” e mantenga la proprietà e la legittimazione processuale per gli atti che attengono al suo patrimonio non ceduto, la legittimazione ad agire in giudizio per il soddisfacimento dei crediti vantati dal debitore verso terzi, che fanno parte delle attività cedute con il concordato, spetta in via esclusiva al commissario liquidatore.

Supporto alla lettura

CRISI D’IMPRESA

Lo stato di crisi di un’impresa viene definito in relazione allo stato di insolvenza come una situazione connotata da minore gravità e riguarda tutte quelle situazioni degenerative economico-finanziarie dell’impresa potenzialmente idonee a sfociare nell’insolvenza medesima. In ottica aziendalistica, la crisi si identifica come il venir meno delle condizioni di equilibrio economico e finanziario dell’impresa capaci di compromettere la prospettiva di continuità aziendale.

La nozione di crisi d’impresa sotto il profilo giuridico costituisce il presupposto per l’attivazione degli strumenti di composizione negoziale volti a scongiurare il fallimento.

L’evoluzione normativa intervenuta negli ultimi anni ha cambiato gradualmente l’approccio verso il concetto di crisi d’impresa. Con le ultime riforme, infatti, sono stati introdotti nel nostro ordinamento strumenti prevalentemente negoziali per consentire all’imprenditore di disporre di un buon numero di alternative per affrontare una situazione economica sfavorevole e tutelare maggiormente i creditori sociali.

Ambito oggettivo di applicazione

Svolgimento del processo

Con citazione notificata in data 9.11.2013 la (omissis) e (omissis) s.r.l. aveva proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo 10079/2013 che il Tribunale di Roma aveva emesso su ricorso della (omissis) S.p.A.

Con il decreto ingiuntivo il Tribunale ingiungeva alla società (omissis) e (omissis) s.r.l. il pagamento della somma di Euro 14.355,10 oltre interessi di legge e spese di procedura.

Nel ricorso monitorio la (omissis) s.p.a. in liquidazione aveva dedotto a fondamento dell’azione promossa che tra le due società erano intercorsi rapporti commerciali aventi ad oggetto la fornitura di ricambi e la manodopera da parte della società (omissis) s.p.a.; che per le predette forniture erano state emesse fatture tutte regolarmente annotate nelle scritture contabili e che, nonostante l’intimazione di pagamento del 20.10.2010, le fatture erano rimaste insolute.

La opponente, in via preliminare, aveva eccepito il vizio dei poteri di rappresentanza e il difetto di legittimazione sostanziale e processuale della parte ricorrente in persona del liquidatore giudiziale concordatario; eccepiva, inoltre, l’assenza dell’autorizzazione del g.d. al liquidatore giudiziale in difformità della previsione dell’art. 31 L.F.; e contestava, inoltre, nel merito la pretesa avversa ed eccepiva il parziale pagamento del credito nonché l’inesatto adempimento delle prestazioni rese dalla società opposta.

Si costituiva la (omissis) s.p.a. in liquidazione e in concordato preventivo, che negava fondamento alle eccezioni preliminari e di merito ex adverso sollevate e concludeva per il rigetto dell’opposizione con la conferma del decreto ingiuntivo.

L’adito Tribunale decideva la causa con sentenza in data 31.12.2015 che accoglieva l’opposizione, revocava il decreto ingiuntivo, e condannava la opposta (omissis) S.p.A. a rifondere le spese alla opponente.

Con citazione notificata in data 11.4.2016 la (omissis) S.p.A. in liquidazione e in c.p. ha proposto appello deducendo e sostenendo l’erroneità della sentenza di primo grado e chiedendone la riforma.

Si é costituita in questo grado la (omissis) e (omissis) S.r.l. ed ha chiesto il rigetto dell’appello.

All’esito della verifica della costituzione delle parti, sono state precisate le conclusioni all’udienza collegiale del 12.06.2018 ove la causa è stata trattenuta per la decisione ai sensi dell’art. 352 c.p.c. con concessione dei termini fissati dall’art. 190 c.p.c..

Motivi della decisione

Nel rispetto delle previsioni dell’art. 342 c.p.c. la appellante ha impugnato la sentenza per i seguenti motivi:

con il I motivo di appello si censura la sentenza per “Violazione e falsa applicazione dell’art. 182 e 43 l.f. nonché inversione dell’onere della prova”;

Con il II motivo “violazione e falsa applicazione degli artt. 8384 e 86 c.p.c. nonché 34 l.f. in punto di rappresentanza processuale di una procedura concorsuale”.

I due motivi vanno esaminati congiuntamente per attinenti alla stessa questione.

In merito ai rilievi sollevati dalla appellante giova riportare la decisione del Tribunale che aveva così motivato il rigetto della domanda:

“L’eccezione relativa al difetto di rappresentanza sollevata da parte opponente é fondata.

Nel caso in esame il soggetto costituito in giudizio é diverso dall’effettivo titolare del diritto e non risulta a lui espressamente conferita la rappresentanza processuale in virtù dell’art. 75 c.p.c.

Il liquidatore è un soggetto, autonomo e distinto rispetto al commissario giudiziale, cui si affianca nel caso del concordato con cessione dei beni, e che ha il compito di procedere alla liquidazione dei beni ceduti secondo i termini della proposta concordataria omologata.

In tale ambito egli agisce su mandato e nell’interesse dei creditori ed è sottoposto al controllo degli stessi soggetti. In questo quadro, dunque, egli non si sostituisce in alcun modo all’imprenditore ammesso al concordato, non potendo attuare, se non in ipotesi eccezionali, atti gestori diretti dell’impresa, ma, assume, viceversa, lo specifico incarico di esercitare i diritti patrimoniali relativi ai beni ricompresi nella cessione a fini liquidatori.

Se l’azione che si intende intraprendere, ovvero di cui si subisce l’esercizio da parte di terzi, attiene ai rapporti obbligatori sorti “nel corso e in funzione delle operazioni legate alla liquidazione”, ovvero, comunque possa interferire con le attività di liquidazione allora sussiste la legittimazione ad agire e/o resistere del liquidatore concordatario.

Se, invece, detta azione pertiene all’ambito esclusivo dell’attività imprenditoriale (perché costituente serie autonoma e svincolata dall’impegno liquidatorio) tale legittimazione competerà in via esclusiva al solo imprenditore ammesso al concordato.

La legittimazione del liquidatore è definita dall’ambito del suo mandato (art. 182 1.f.) ed è perciò limitata ai rapporti obbligatori sorti nel corso e in funzione delle operazioni legate alla liquidazione.

Il liquidatore concordatario viene designato dal tribunale fallimentare nell’ambito di quanto previsto dalla proposta concordataria e con i poteri previsti dalla legge fallimentare, non assumendo in alcun modo i compiti assegnati dal codice civile ai liquidatori della società, né la rappresentanza della società stessa.

Prova ne sia che l’ad. 182, 2 co., L. Fall., tra le disposizioni della legge fallimentare dichiarate applicabili ai liquidatori non richiama né l’art. 31 L. Fall. (norma che attribuisce al curatore l’amministrazione del patrimonio fallimentare), né l’art. 35 L. Fall. (che attribuisce al predetto curatore la facoltà di compiere anche atti di straordinaria amministrazione, con l’autorizzazione del comitato dei creditori).

Il debitore ammesso al concordato preventivo è sottoposto a quello che viene definito uno “spossessamento attenuato”: mantiene cioè, oltre alla proprietà, l’amministrazione e la disponibilità dei suoi beni, salve le limitazioni connesse alla natura stessa della procedura (la quale gli impone che ogni atto sia comunque funzionale all’esecuzione del concordato).

Per l’effetto, egli mantiene la legittimazione processuale per tutti gli atti che attengono al suo patrimonio.

Diversa è la posizione del curatore nel fallimento rispetto a quella del commissario giudiziale nell’ambito della procedura prevista per il concordato preventivo.

Nel primo caso, infatti, il fallito perde la sua capacità in ordine ai rapporti patrimoniali con la conseguente attribuzione della rappresentanza del fallimento al curatore che – sostituendosi in toto al fallito – diventa titolare di una serie di diritti e di doveri; nel caso di concordato preventivo, invece, il debitore non perde la sua capacità sostanziale e processuale, che continua così a esercitare, sia pure in forma attenuata, assolvendo il commissario giudiziale solo a un compito di vigilanza (così dispone il comma 1 dell’articolo 167 della legge fallimentare).

In particolare, per quanto attiene al concordato con cessione dei beni, la legittimazione a disporne viene attribuita al commissario liquidatore, il quale agisce in una veste che è stata generalmente qualificata come quella di mandatario dei creditori.

Ciononostante, il debitore mantiene, oltre che la proprietà dei beni, anche la legittimazione processuale, non esistendo nel concordato preventivo una norma analoga all’articolo 43 dettato solo per il fallimento (l’articolo 43 della legge fallimentare – rubricato “Rapporti processuali” – così dispone: “Nelle controversie, anche in corso, relative a rapporti di diritto patrimoniale del fallito compresi nel fallimento sta in giudizio il curatore. Il fallito può intervenire nel giudizio solo per le questioni dalle quali può dipendere un’imputazione di bancarotta a suo carico o se l’intervento è previsto dalla legge. L’apertura del fallimento determina l’interruzione del processo”).

Il trasferimento in capo al liquidatore dei poteri di gestione del patrimonio ceduto ai creditori si riflette anche sul piano processuale in quanto comporta anche il potere di agire per il meglio al fine di integrare l’attivo svolgendo le azioni di recupero crediti necessarie. Nulla è detto circa le autorizzazioni, né sono richiamate le norme relative al curatore, ma può ben ritenersi che la “fallimentarizzazione” della fase liquidatoria voluta dal legislatore determini l’applicazione delle stesse regole del fallimento e cioè la necessità dell’autorizzazione del giudice delegato all’esercizio dell’azione giudiziaria. Il liquidatore di cui all’art. 182 LF, invece, per il compito che espleta e per il rapporto che lo lega agli organi, in particolare al commissario giudiziale, che è tenuto a vigilare sull’esecuzione del concordato, si trova in una posizione di terzietà rispetto al debitore, e ciò esclude il determinarsi di un rapporto organico con la società e circoscrive la sua sostituzione agli organi di quest’ultima nei limiti funzionali all’esecuzione del mandato.

Tornando al caso di specie, non è stato chiarito – e la parte attrice in senso sostanziale non ha assolto a tale onere -, se il liquidatore giudiziale sia dotato del potere di rappresentare i creditori nella presente controversia, quale sia il contenuto del mandato di liquidazione, se il liquidatore, che ha agito in giudizio azionando il credito portato dalle fatture di cui al ricorso per decreto ingiuntivo sia abilitato e autorizzato e se sia a ciò legittimato processualmente.

Per tali motivi in accoglimento delle eccezioni ex arti. 75 e 83 c.p.c. anche in riferimento all’art. 182 L.F. va dichiarato il difetto di rappresentanza processuale del liquidatore giudiziale a rappresentare la società (omissis) s.p.a. in Liquidazione e Concordato Preventivo e per l’effetto va revocato il decreto ingiuntivo.”

L’appello è fondato e merita accoglimento.

Occorre evidenziare come il principio valida in questa materia è il seguente: “in tema di concordato preventivo con cessioni dei beni, successivamente alla omologazione dello stesso la legittimazione passiva nei giudizi di accertamento dei crediti spetta al debitore concordatario, il quale non perde la capacità processuale e conserva la titolarità (dal lato passivo) dei rapporti obbligatori coinvolti nel concordato: in detti giudizi legittimato passivo è anche il liquidatore giudiziale dei beni ceduti, quale litisconsorte necessario del debitore, quando si controverta del carattere concorsuale del credito; la legittimazione ad agire in giudizio per il soddisfacimento dei crediti vantati dal debitore concordatario verso terzi, crediti che fanno parte delle attività cedute col concordato, spetta invece in via esclusiva al commissario liquidatore” (Cass. civ., sez. lav., 10-09-1999, n. 9663).

Sebbene la questione sia stata oggetto di numerosi interventi, in dottrina e giurisprudenza, per meglio delineare i limiti delle competenze del liquidatore del concordato preventivo e ciò a ragione della permanente titolarità dell’azienda all’imprenditore sottoposto alla procedura, rimane fermo il principio di fondo che, in presenza di un concordato preventivo con cessione dei beni ai creditori il liquidatore è legittimato in tutte le controversie che investono lo scopo liquidatorio della citata procedura.

Ciò alla stregua del costante orientamento giurisprudenziale il quale assume che “la procedura di concordato preventivo mediante la cessione dei beni ai creditori comporta il trasferimento agli organi della procedura non della proprietà dei beni e della titolarità dei crediti, ma solo dei poteri di gestione finalizzati alla liquidazione, con la conseguenza che il debitore cedente conserva il diritto di esercitare le azioni o di resistervi nei confronti dei terzi, a tutela del proprio patrimonio, soprattutto dopo che sia intervenuta la sentenza di omologazione; per effetto di tale sentenza è da ritenere che venga meno il potere di gestione del commissario giudiziale, mentre quello del liquidatore è da intendere conferito nell’ambito del suo mandato e perciò limitato ai rapporti obbligatori sorti nel corso ed in funzione delle operazioni di liquidazione” (tra le tante, Cass., 13 aprile 2005, n. 7661). In tale ottica, infatti, il “il debitore ammesso al concordato preventivo subisce uno spossessamento attenuato, in quanto conserva, oltre ovviamente alla proprietà (come nel fallimento), l’amministrazione e la disponibilità dei propri beni, salve le limitazioni connesse alla natura stessa della procedura, la quale impone che ogni atto sia comunque funzionale all’esecuzione del concordato. In particolare, nel concordato con cessione dei beni, la legittimazione a disporne viene attribuita al commissario liquidatore, che agisce in una veste generalmente qualificata come di mandatario dei creditori, mentre il debitore in ogni caso mantiene (oltre che la proprietà dei beni) la legittimazione processuale, mancando nel concordato una previsione analoga a quella dettata dalla L. Fall.art. 43, per il fallimento” (Cass., 16 marzo 2007, n. 6211Cass., 25 febbraio 2008, n. 4728).

Principi, questi, che trovano altresì conforto nell’affermazione, resa da Cass., 27 ottobre 2000, n. 14206, per cui “non possiede la qualità di successore a titolo particolare il liquidatore nella procedura di concordato preventivo, il quale subentra soltanto nella gestione dei beni ceduti e più in generale nelle questioni attinenti alla liquidazione ed al carattere concorsuale del credito”.

In armonia con i richiamati principi (ribaditi in seguito da altre pronunce: Cass. 8102/2013), nel caso di specie, il giudizio a suo tempo introdotto dal liquidatore della (omissis) s.p.a. per veder condannato il debitore della società stessa a pagare gli importi per prestazioni eseguite e fatturate alla (omissis) e (omissis) S.r.l., integrava – in presenza dell’omologa del concordato – un giudizio inerente direttamente lo scopo liquidatorio della procedura con cessione dei beni (in essi inclusi i crediti già facenti parte del patrimonio della società (omissis)) e, dunque, una lite attiva concernente la liquidazione del patrimonio esistente; nulla più e nulla meno della cessione a terzi di un immobile facente parte di quel patrimonio, ovvero dell’ipotesi di azione contro un terzo che occupi sine titulo quell’immobile.

In presenza della omologa del concordato con cessione dei boni, e dell’essere in questa cessione ricompresi anche i crediti già sorti a favore della società ammessa alla procedura, il liquidatore (peraltro regolarmente autorizzato dal giudice delegato) era legittimato ad agire per ottenere che il creditore della (omissis) s.p.a. adempisse al suo debito una volta che la richiesta stragiudiziale era rimasta inevasa.

D’altronde se ciò non fosse vero dovrebbe ipotizzarsi che, in caso di inerzia dell’imprenditore/creditore sottoposto alla procedura concordataria, la procedura liquidatoria, nonostante l’avvenuta cessione dei beni e crediti dell’azienda, non potrebbe portare avanti la liquidazione del patrimonio esistente così contraddicendo (violando) la finalità propria della procedura di concordato con cessione dei beni.

Pertanto, va ribadito che il liquidatore ha legittimazione con riguardo alle controversie che investono lo scopo liquidatorio ed ineriscono alla ripartizione dell’attivo (Cass. 12 maggio 2010, n. 11520; 3 aprile 2013, n. 8102), e può vantare anche quella attiva in tutte cause recuperatorie dell’attivo che non esulino dal mandato ricevuto dal debitore o dall’incarico avuto dal tribunale: la legittimazione del commissario liquidatore è quindi riconoscibile nei soli limiti in cui la pretesa o l’obbligo siano sorti nel corso ed in funzione delle operazioni di liquidazione (Cass. 5 dicembre 2014, n. 18755).

E sebbene sia vero che l’imprenditore soggetto alla procedura di concordato preventivo prosegue l’esercizio dell’impresa durante lo svolgimento della relativa procedura, quando questa preveda la cessione dei beni ai creditori per quei beni (e solo per questi) la legittimazione si trasferisce al liquidatore a cui è stata demandato l’incarico di liquidare l’attivo ceduto anche mediante azioni recuperatorie.

L’appello, per tali ragioni, va accolto.

Sussistendo la legittimazione del liquidatore risulta legittima la domanda introdotta col decreto ingiuntivo a suo tempo emesso dal Tribunale a carico della (omissis) e (omissis).

Per quanto attiene al merito della domanda di pagamento azionata, ed a fronte delle contestazioni sollevate dalla appellata con la opposizione a suo tempo proposta, occorre tenere conto del materiale documentale prodotto dalla appellante in sede monitoria (fatture e ODL e BABV di consegna).

In virtù di tali documenti, e tenuto conto del contenuto specifico delle contestazioni della appellata in sede di atto di opposizione, rimane dimostrata la spettanza del credito indicato nel ricorso inziale, detratta la somma di Euro. 4000,00 che la appellata aveva documentato come già pagato con riferimento alla sola fattura (…) del 30.5.2008.

Infatti, in difetto di prove atte a dimostrare la non riferibilità alla società appellata dei documenti attestanti l’esecuzione di interventi o di fornitura materiale (di cui agli allegati nn. 10/17 del monitorio), e in presenza di generiche contestazioni sulle fatture emesse dalla (omissis), la pretesa azionata va considerata fondata.

A tal riguardo è sufficiente evidenziare come sia del tutto irrilevante che il debitore si limiti a negare che le forme sui documenti di controparte potessero essere riferite ai due soci amministratori della (omissis) e (omissis) o a soggetti da essi autorizzati a ricevere atti per loro conto; essendo onere specifico dimostrare che la firma che comunque risulta apposta sul documento non sia riferibile in alcun modo alla società stessa (esempio dimostrando che in azienda non operassero altri soggetti come dipendenti, collaboratori ecc. – di cui l’imprenditore risponde ex artt. 1228 e 2094 c.c.).

Il decreto ingiuntivo rimane revocato, ma la appellata deve essere condannata a pagare la minor somma di Euro. 10.355,10 con interessi legali dalla data della messa in mora 20.10.2010 al saldo effettivo.

In conseguenza dell’esito del giudizio la appellata va condannata al pagamento delle spese dei due gradi del giudizio, a favore dell’appellante, e liquidate come da D.M. 10 marzo 2014, n. 55 – tenuto conto del valore della controversia come da somma portata dalla condanna (scaglione tra Euro 5.200,01 ed Euro 26.000,00) e delle attività compiute dal procuratore nei due gradi del giudizio:

I) Per la causa avanti al Tribunale i suddetti parametri prevedono:

– fasi processuali tenutesi in quel grado: n.1 (studio controversia) +n.2. (introduttiva) +3 (trattazione/istruttoria) + n.4 (decisoria);

– importi applicati (medi)

– compenso totale Euro. 4.835,00 (oltre le spese vive documentate e le spese generali forfettarie).

II) Per le cause avanti alla Corte di Appello i suddetti parametri prevedono:

– fasi processuali tenutesi in questo grado: n.1 (studio controversia) + n.2. (introduttiva) + n.4 (decisoria);

– importi applicati (medi)

– compenso totale Euro. 3.777,00 (oltre le spese vive documentate e le spese generali forfettarie).

P.Q.M.

LA CORTE DI APPELLO DI ROMA

– Terza Sezione Civile –

definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione respinta, così decide sull’appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma emessa in data 30.12.2015 (depositata in data 31.12.2015 con il N. 25960/15) proposto da (omissis) S.p.a. in liquidazione e concordato preventivo nei confronti di (omissis) e (omissis) S.r.l.:

a) in accoglimento per quanto di ragione dell’appello ed in riforma della sentenza appellata, confermata la revoca del decreto ingiuntivo n. 10079 del 15.5.2013, condanna (omissis) e (omissis) S.r.l. a pagare alla (omissis) S.p.a. in liquidazione e concordato preventivo, la somma di Euro. 10.355,10 con maggiorazione di interessi legali dalla data del 20.10.2010 al saldo;

b) Condanna la appellata alla rifusione delle spese sostenute dalla appellante nei due gradi del giudizio, liquidandole: per il I grado in Euro. 4.835,00 per compenso (oltre rimborso forfettario, IVA e CAP come per legge), e per questo grado di giudizio in Euro. 355,50 per spese ed Euro. 3.777,00 per compenso (oltre rimborso forfettario, IVA e CAP come per legge).

Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2018.

Depositata in Cancelleria il 30 ottobre 2018.

Allegati

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