RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
1. Con atto di citazione in appello ritualmente notificato (omissis) ha proposto impugnazione avverso la sentenza n. 986/2022, emessa dal Tribunale di Terni, in composizione monocratica, in data 28.12.2022, pubblicata il 29.12.2022, nella causa iscritta al n. r. g. 2084/2020, con la quale era stata rigettata la domanda di accertamento della responsabilità professionale e di risarcimento del danno avanzata dallo stesso avverso l’avv. (omissis) – ritenuta la probabile infondatezza del ricorso al TAR da quest’ultima proposto per conto del cliente, (omissis) e la conseguente irrilevanza dell’erronea notificazione del ricorso a cura del procuratore – e dichiarata assorbita la domanda di manleva proposta dalla convenuta avverso la terza chiamata (omissis).
2. Parte appellante ha proposto appello mediante atto al quale si fa integrale rinvio, dolendosi dell’erroneo accertamento prognostico della probabile infondatezza del ricorso al TAR Umbria promosso dal medesimo (omissis) avverso il licenziamento disposto con decreto del 27.02.2014 del Direttore Generale del Ministero dell’Economia e delle Finanze, laddove correttamente notificato all’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Perugia, e, non già, alle Amministrazioni convenute dal procuratore incaricato, avv. (omissis) e del conseguente omesso accertamento della responsabilità professionale del difensore, in ragione: dell’erronea valutazione di tempestività del procedimento disciplinare promosso dalla Guardia di Finanza; dell’erronea valutazione di adeguatezza e proporzionalità del licenziamento inferto rispetto al mero consumo di stupefacenti per fini personali; dell’omessa compensazione delle spese di lite del primo grado di giudizio.
In data 18.05.2023 si è costituita l’appellata (omissis), mediante comparsa di costituzione e risposta in appello alla quale si fa integrale rinvio, preliminarmente deducendo l’inammissibilità dell’appello ex art. 348 bis c.p.c., reiterando le eccezioni di polizza già avanzate nel giudizio di primo grado e contestando integralmente le doglianze dell’appellante.
In data 12.06.2023 si è costituita l’appellata (omissis) mediante comparsa di costituzione e risposta in appello alla quale si fa integrale rinvio, contestando integralmente le doglianze dell’appellante.
3. Con ordinanza del 26.09.2024 la Corte ha trattenuto la causa in decisione assegnando alle parti i termini per il deposito delle comparse conclusionali e repliche ex art. 190 c.p.c.
4. L’appello è solo parzialmente fondato e deve essere accolto limitatamente all’omessa parziale compensazione delle spese di lite del primo grado di giudizio in ragione della pur accertata erronea notificazione del ricorso al TAR Umbria imputabile all’avv. (omissis).
Il primo motivo d’impugnazione è infondato e deve essere rigettato. Fermo che l’affermazione di responsabilità del prestatore d’opera intellettuale nei confronti del cliente per il negligente svolgimento dell’attività professionale onera l’attore della prova, non soltanto del comportamento imperito, negligente o imprudente del professionista e del suo rapporto causale con la preclusione dell’iniziativa giudiziaria, ma anche della prova del fatto che, se fosse stata correttamente intrapresa, l’iniziativa giudiziaria avrebbe avuto, secondo giudizio prognostico, in prospettiva ex ante ed applicando la regola probatoria del più probabile che non, ragionevoli probabilità di accoglimento (ex multis, Cass. Civ., sez. III, sent. n. 24007/2024) – correttamente, il Giudice di prime cure ha ritenuto che, anche laddove correttamente notificato dal procuratore costituito, avv. (omissis) il ricorso al TAR Umbria proposto dal Sig. (omissis) non avrebbe avuto ragionevoli probabilità di accoglimento, stante le posizioni contrarie della prevalente giurisprudenza amministrativa con riguardo a tutti i motivi di impugnazione ivi proposti.
4.1 Con particolare riguardo all’asserita tardività del procedimento disciplinare promosso dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, conclusosi con il licenziamento del Sig. (omissis) in considerazione della decorrenza del termine decadenziale di 90 giorni dalla data in cui l’amministrazione ha avuto conoscenza integrale della sentenza penale irrevocabile di cui all’art. 1392 del d. lgs. n. 66 del 2010 (Codice Ordinamento Militare) – nell’effettuare il summenzionato giudizio prognostico di fondatezza del ricorso, laddove validamente incardinato -, correttamente il Tribunale di Terni ha ritenuto la sostanziale infondatezza della doglianza, richiamando sentenza del TAR Umbria, sez. I, n. 354/2013, sostanzialmente coeva al caso di specie, che, a sua volta espressamente richiamando consolidata giurisprudenza amministrativa, anche di legittimità (“cfr., ex multis, Cons. St., sez. IV, 27 novembre 2010, n. 8278; T.A.R. Trentino Alto Adige, Bolzano, sez. I, 27 novembre 2012, n. 352)” ed aderendo all’interpretazione letterale dell’art. 1392 C.O.M. – ai sensi del quale “il procedimento disciplinare di stato a seguito di giudizio penale, deve essere instaurato con la contestazione degli addebiti all’incolpato, entro 90 giorni dalla data in cui l’amministrazione ha avuto conoscenza integrale della sentenza, del decreto penale, ovvero del provvedimento di archiviazione, irrevocabili, che lo concludono”-, aveva affermato il principio di diritto per cui “ai fini dell’acquisizione della conoscenza della pronuncia che determina l’irrevocabilità della sentenza penale non può ritenersi sufficiente la conoscenza del dispositivo, essendo indispensabile la cognizione integrale della pronuncia rilevante ai fini di una compiuta ricostruzione non solo del substrato fattuale ma anche degli sviluppi processuali”. Poiché, dunque, nel singolo caso di specie l’Amministrazione interessata ha acquisito copia integrale della sentenza definitiva in data 10.05.2013, l’azione disciplinare a carico del (omissis) avviata a far data dal 31.07.2013, è stata tempestivamente esercitata. Correttamente, dunque, il Giudice di prime cure ha valutato il consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa, onde desumerne la sostanziale infondatezza del motivo di ricorso. Né siffatto orientamento è stato contraddetto dalla successiva giurisprudenza amministrativa, che ha, al contrario, reiteratamente affermato il principio per cui “Il termine di inizio dell’azione disciplinare di cui all’art. 1392 comma 1, Codice dell’Ordinamento Militare, approvato con d.lgs. 15 marzo 2010 n. 66 e recante per il militare la perdita del grado per rimozione, coincide con il momento in cui la P.A. ha avuto a disposizione il testo integrale della sentenza penale, completa di motivazioni, come ufficialmente acquisita al protocollo dell’Ufficio competente” (T.A.R., Roma, sez. I , 09/01/2023, n. 291; Consiglio di Stato, sez. IV, 01/10/2019, n. 6562; T.A.R., Napoli, sez. VI, 21/06/2019, n. 3476; Consiglio di Stato, sez. IV, 19/08/2016, n. 3652). Peraltro, la medesima giurisprudenza invocata da parte appellante a sostegno della propria tesi circa la decorrenza del dies a quo ai fini del computo del termine decadenziale di cui all’art. 1392 C.O.M. a partire dalla comunicazione del mero dispositivo penale e, non già, dall’acquisizione del testo integrale della sentenza, risulta, al contrario, conforme al summenzionato, consolidato, orientamento della giurisprudenza amministrativa. Anche Consiglio di Stato sez. VI, 18/09/2015, n.4350 ha infatti affermato che “Il termine di novanta giorni per l’instaurazione o la riattivazione del procedimento disciplinare, previsto dall’art. 5, comma 4, l. 27 marzo 2001, n. 97 (« Norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche »), decorre dalla comunicazione della sentenza irrevocabile di condanna all’Amministrazione datrice di lavoro”, salva facoltà dell’incolpato di provvedere alla notifica della sentenza – non provata nel caso di specie – nel caso in cui l’Amministrazione ritardi nell’acquisizione della sentenza in forma integrale, di modo che comunque il termine decadenziale possa cominciare a decorrere. Del pari, T.A.R. Trento, sez. I, 22/10/2015, n. 399 ha affermato che “A mente dell’art. 1392 del Codice Militare, il termine di 90 giorni, entro il quale deve essere dato inizio al procedimento disciplinare, decorre dalla data in cui l’Amministrazione ha avuto conoscenza della sentenza irrevocabile di condanna, al fine di valutare in maniera adeguata gli elementi utili per la successiva azione disciplinare”. Infine, anche T.A.R. Catania, (Sicilia) sez. III, 06/06/2017, n.1302 ha dato applicazione al medesimo principio in sede di valutazione del dies a quo del termine di avvio dell’azione disciplinare. Affatto pertinenti al presente giudizio risultano le doglianze dell’appellante circa le distorsioni e conseguenze pregiudizievoli asseritamente derivanti al pubblico dipendente da siffatto computo del dies a quo del termine decadenziale di cui all’art. 1392 C.O.M. e dal correlato rischio incombente sul dipendente pubblico di essere sottoposto a procedimento disciplinare sine die, vertendosi in materia di giudizio di responsabilità professionale e dovendosi meramente valutare il probabile esito del giudizio amministrativo, avuto riguardo al prevalente orientamento della coeva giurisprudenza amministrativa, e, non già, la legittimità del medesimo orientamento.
4.2 Del pari, risulta assolutamente non pertinente il richiamo all’art. 1393 C.O.M., avendo l’Amministrazione procedente atteso la conclusione del procedimento penale onde avviare l’azione disciplinare, in ossequio all’art. 1392 C.O.M.
4.3 Assolutamente inconferenti, risultano, infine, le doglianze circa l’asserita peculiarità del caso di specie – vertendosi in ipotesi di assoluzione con formula piena e, non già, di condanna-, stante il disposto di cui all’art. 1392 C.O.M., che non distingue affatto l’ipotesi della sentenza di condanna da quella di assoluzione, nonché, in ogni caso, l’interesse dell’Amministrazione procedente ad avere contezza del testo integrale della sentenza, dal quale desumere gli elementi acquisiti nel corso del procedimento penale, ben potendo pervenire al licenziamento del dipendente, nonostante l’assoluzione penale dello stesso, stante l’autonomia dei due procedimenti. Benché, infatti, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Terni, con sentenza n. 62 del 7/2/2013, abbia assolto il Sig. (omissis) dal reato di cui all’art. 73 D.P.R. 309/90, ai sensi dell’art 530 c.p.p., ritenendo che “dagli elementi acquisiti nel corso delle indagini non emergano elementi sufficienti per poter addivenire a una dichiarazione di colpevolezza dell’imputato, con riferimento alla destinazione della sostanza stupefacente a terze persone, con la conseguenza che nei confronti dello stesso imputato deve essere emessa sentenza di assoluzione con la formula perché il fatto non sussiste”, il medesimo Giudice penale ha accertato il consumo personale della cocaina – concordemente reputato dalla giurisprudenza amministrativa come assolutamente incompatibile con il ruolo di contrasto al traffico di stupefacenti ordinariamente incombente sui militari della Guardia di Finanza – come descritto in sentenza: “Dagli atti di indagine risulta che (omissis) veniva sottoposto a un controllo stradale da parte dei carabinieri di Terni alle 19:45 del 02/02/2011 lungo la strada statale Flaminia […] mentre si trovava a bordo della propria autovettura Golf. Il dopo essersi accostato al margine destro della carreggiata, ripartiva repentinamente eludendo la richiesta di documenti da parte dei militari, i quali, nel corso dell’inseguimento, conclusosi con successo dopo pochi metri, notavano che il gettava dal finestrino due involucri termosaldati del peso lordo di grammi 4,97 e grammi 6,40 di sostanza stupefacente del tipo cocaina. In sede di interrogatorio di convalida dell’arresto il (omissis) ndichiarava che la sostanza stupefacente rinvenuta in suo possesso e sequestrata era destinata al suo esclusivo consumo personale, avendola acquistata a Caserta da uno sconosciuto in quantità superiore a quella immediatamente consumabile perché a Terni non sapeva dove trovarla a causa del lavoro svolto come finanziere scelto presso il reparto della Guardia di finanza della compagnia di Terni, che non gli permetteva di frequentare ambienti e persone dedicate alle attività; aggiungeva di essere fuggito e di aver tentato di disfarsi dello stupefacente per paura e vergogna”. Siffatte circostanze, riportate nel testo integrale della sentenza, assumevano, dunque, preminente rilievo ai fini dell’esercizio dell’azione disciplinare nei confronti del dipendente pubblico. Conclusivamente, il Giudice di prime cure ha correttamente accertato l’infondatezza del motivo di ricorso al TAR Umbria involgente il tardivo esercizio dell’azione disciplinare.
5. Del pari, il Tribunale di Terni ha correttamente accertato l’infondatezza del motivo di ricorso al TAR Umbria involgente la sproporzione ed inadeguatezza della sanzione disciplinare irrogata rispetto all’effettivo disvalore del fatto e, peculiarmente, alla detenzione di stupefacenti per fini personali. A tal proposito, il Giudice di prime cure ha correttamente valorizzato il giudizio di “palese infondatezza” espresso dal medesimo Consiglio di Stato in sede di declaratoria d’inammissibilità del ricorso straordinario al Capo dello Stato proposto dal (omissis), successivamente alla formale rinuncia al giudizio incardinato dinanzi al TAR Umbria erroneamente notificato dall’avv. (omissis).
Nel ritenere il ricorso inammissibile ai sensi dell’art. 8 del DPR n. 199/1971 in forza del principio di alternatività in quanto, “L’atto di rinuncia al ricorso giurisdizionale non ha effetto automatico e immediato, richiedendo sempre espressa pronuncia dell’organo giudicante”, e poiché “Il principio dell’alternatività, con conseguente preclusione dell’esperibilità del ricorso straordinario, si collega la proposizione del ricorso in sede giurisdizionale quale fatto storico e quindi indipendentemente dall’esito dello stesso, foss’anche della sua rinuncia”, il Consiglio di Stato, esprimendosi anche nel merito della domanda, ha espressamente statuito: “Il Collegio tuttavia non può in questa sede esimersi dal rilevare che il ricorso era comunque da considerare palesemente infondato nel merito, atteso che la gravità della condotta assunta (detenzione di sostanze stupefacenti connessa alla qualità e alla funzione del dipendente-militare appartenente ad un Corpo istituzionalmente preposto al contrasto dello spaccio di sostanze stupefacenti) rendevano incompatibile la permanenza del ricorrente nel “Corpo della Guardia di Finanza” per l’evidente contrapposizione del comportamento assunto con le finalità istituzionali del Corpo stesso e con i doveri derivanti dal giuramento prestato”. Da tanto consegue la palese infondatezza delle doglianze circa l’omessa valutazione della giurisprudenza dell’epoca – asseritamente comprovante la necessità di graduare la sanzione disciplinare all’effettivo disvalore del fatto – , avendo il massimo consesso della giurisprudenza amministrativa, avuto riguardo al singolo caso concreto, ritenuto l’assoluta congruità, adeguatezza e proporzione della sanzione disciplinare inferta in ragione della gravità della condotta di detenzione di sostanze stupefacenti e della sua incompatibilità con le finalità istituzionali del Corpo di appartenenza e con i doveri derivanti dal giuramento prestato.
5.1 Né si ravvede per quale ragione il TAR Umbria avrebbe dovuto assumere posizione asseritamente “maggiormente garantista” rispetto a quella assunta dal Consiglio di Stato, come inopinatamente invocato dall’appellante. La valutazione di palese infondatezza espressa dal Consiglio di Stato in sede di declaratoria d’inammissibilità del ricorso straordinario al Capo dello Stato risulta, infatti, assolutamente coerente con l’orientamento espresso dalla consolidata giurisprudenza amministrativa dell’epoca, alla quale deve ritenersi che, più probabilmente che non, il TAR Umbria si sarebbe conformato. La giurisprudenza amministrativa aveva, infatti, già reiteratamente affermato che: “Non è né illogica né irragionevole la scelta di irrogare una sanzione destitutoria al militare appartenente alla Guardia di Finanza il quale risulti aver fatto uso di una sostanza stupefacente, tenuto conto in primo luogo che l’appartenenza a un Corpo che è istituzionalmente preposto, fra l’altro, al contrasto allo spaccio ed alla diffusione degli stupefacenti impone di valutare la condotta ascritta all’appellante con la dovuta severità e, in secondo luogo, che essa è inammissibile per un appartenente al Corpo della Guardia di Finanza perché, ponendosi in conflitto con uno specifico dovere istituzionale, costituisce una violazione con gli obblighi assunti con il giuramento di appartenenza e rende del tutto irrilevante qualunque considerazione circa l’irrilevanza penale del fatto, l’asserita mancanza di ripercussione sociale, i positivi precedenti dell’incolpato” (Consiglio di Stato, sez. IV, 15/03/2012, n. 1452; Consiglio di Stato, sez. IV, 19/12/2012, n. 6540; Consiglio di Stato, sez. IV, 22/05/2012, n. 2958; Consiglio di Stato sez. IV, 18/12/2013, n.6098; T.A.R., Roma, sez. II, 06/08/2012, n. 7251; T.A.R., Milano, sez. IV, 02/04/2012, n. 965; T.A.R., Lecce, sez. II, 14/01/2014, n. 103). In tutti i precedenti richiamati, coevi al caso di specie, la giurisprudenza amministrativa aveva, infatti, reiteratamente ritenuto la piena legittimità, adeguatezza e proporzione del licenziamento del militare che avesse fatto uso, anche occasionale, di sostanza stupefacente, stante la radicale incompatibilità di tale condotta con le finalità istituzionali del Corpo di appartenenza. Per converso, le pronunce addotte dall’appellante a fondamento dell’esito favorevole del ricorso al TAR Umbria, qualora correttamente incardinato, non sono state emesse dal Tar Umbria ma da Tribunali amministrativi regionali e non sono, dunque, neppure idonee a disvelare un consolidato orientamento locale difforme dall’orientamento nazionale; riguardano casi peculiari, affatto assimilabili al caso di specie; come espressamente riconosciuto dall’appellante, “sono state poi riformate negli anni successivi dal Consiglio di Stato”. Tali sporadiche pronunce neppure possono configurare, dunque, un orientamento contrastante in seno alla giurisprudenza amministrativa territoriale idoneo a fondare positivo giudizio prognostico dell’esito del ricorso del (omissis), laddove correttamente notificato dall’avv. (omissis). L’assunto di parte appellante, a mente del quale il TAR Umbria avrebbe verosimilmente assunto posizione favorevole al ricorrente, risulta, dunque, assolutamente infondato e contraddetto dalla consolidata giurisprudenza amministrativa, comprovante la netta prevalenza dell’orientamento più rigoroso sia in seno all’organo di ultima istanza che nei Tribunali amministrativi regionali. Senza fare alcun ricorso ad un giudizio doppiamente prognostico, circa l’esito in ogni caso sfavorevole che un’eventuale giudizio di impugnazione dinanzi al Consiglio di Stato avrebbe avuto per il Sig. (omissis) allorquando il giudizio dinanzi al TAR Umbria fosse stato correttamente incardinato – non vi è, dunque, a monte, alcuna prova che il medesimo Tribunale amministrativo regionale avrebbe ritenuto il licenziamento illegittimo, assumendo posizione di segno nettamente contrario rispetto alla concorde e coeva giurisprudenza amministrativa, occorrendo peraltro avere riguardo non già, all’assoluzione con riguardo al reato di traffico di stupefacenti, quanto al complessivo disvalore della condotta assunta dal (omissis) per aver acquistato la sostanza stupefacente a Caserta, in dose superiore a dose unica, espressamente in ragione della successiva difficoltà di acquistare lo stupefacente in Terni – dovendosene pertanto desumere il consumo affatto occasionale -, per aver forzato posto di blocco dei Carabinieri, essersi dato alla fuga ed aver tentato di occultare lo stupefacente gettandolo dal finestrino, con ciò tenendo una condotta “incompatibile con la permanenza del ricorrente nel “Corpo della Guardia di Finanza” per l’evidente contrapposizione del comportamento assunto con le finalità istituzionali del Corpo stesso e con i doveri derivanti dal giuramento prestato”, come ritenuto dal medesimo Consiglio di Stato con riguardo al singolo caso di specie.
5.2 Infondate, risultano, infine le doglianze circa il difetto di legittimazione attiva ovvero di interesse ad agire in capo all’Amministrazione procedente in ragione del previo transito del militare nei ruoli civili della medesima Amministrazione. Il medesimo art. 1392 C.O.M., nel prevedere che l’Amministrazione possa attendere gli esiti del procedimento penale per promuovere il procedimento disciplinare, in uno con la disciplina previdente il diritto di transito del militare, postula, infatti, la facoltà dell’Amministrazione di attivare il procedimento disciplinare entro 90 giorni dalla conoscenza del testo integrale della sentenza penale, indipendentemente dal pregresso transito del militare nei ruoli civili, altrimenti paralizzandosi il potere disciplinare della linea gerarchica per il solo fatto del transito del militare nei ruoli civili. Ordinariamente, dunque, anche successivamente al transito del militare nei ruoli civili, permangono in capo allo stesso i doveri e le prerogative propri del pubblico dipendente nonché il potere disciplinare della linea gerarchica. La detenzione di sostanza stupefacente può configurare, peraltro, giusta causa di licenziamento non solo per il militare della Guardia di Finanza, ma, ordinariamente, per qualsivoglia dipendente pubblico atteso che ogni pubblico dipendente, quale che sia la sua qualifica, le mansioni svolte e la posizione occupata nella gerarchia della struttura in cui è incardinato, è tenuto nella stessa misura agli obblighi di correttezza e probità e al senso morale e dell’onore (Consiglio di Stato, sez. IV, 31/03/2009, n. 1919)- e privato (Cassazione civile , sez. lav. , 06/08/2015 , n. 16524). Conclusivamente, dunque, risulta provato che, anche allorquando correttamente notificato, il ricorso del (omissis) avverso il provvedimento disciplinare espulsivo avrebbe avuto, più probabilmente che non, esito sfavorevole. Conseguentemente, non risulta affatto provato il nesso di causalità materiale tra l’omessa notifica all’Avvocatura dello Stato di Perugia, a cura dell’avv. (omissis), ed il danno lamentato dall’appellante.
6. Il terzo motivo d’impugnazione è parzialmente fondato e deve essere accolto. Pur non risultando provato il danno sofferto dal cliente, in considerazione dell’esito più probabilmente che non sfavorevole del ricorso proposto avanti al Tar Umbria anche allorquando correttamente notificato – di talché la domanda di risarcimento del danno da responsabilità professionale è stata correttamente rigettata -, all’esito del giudizio di primo grado è stata nondimeno accertata l’erronea notificazione del ricorso al TAR Umbria imputabile alla negligente condotta dell’avv. (omissis) nonché la successiva erronea proposizione di ricorso straordinario al Capo dello Stato, dichiarato inammissibile in quanto proposto in violazione del principio di alternatività ex lege. Per converso, non risulta affatto provata una lesione del diritto al consenso informato del cliente, il quale, in qualità di militare della Guardia di Finanza poteva avere piena contezza della gravità dei fatti ascrittigli, del consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa circa la piena legittimità della sanzione disciplinare destitutoria e, conseguentemente, dell’esito più probabilmente che non sfavorevole del ricorso amministrativo. Il Giudice di prime cure ha, infine, correttamente liquidato le spese di lite, avuto riguardo ai parametri forensi di cui al D.M. 55/2014, tenuto conto della domanda di parte attrice e del valore della controversia. L’accertamento della condotta negligente del professionista legale giustifica, dunque, una compensazione parziale delle spese di lite del primo grado di giudizio. Conclusivamente, dunque, le spese di lite del primo grado di giudizio in favore di (omissis) e di (omissis) come liquidate dal Giudice di prime cure, sono poste a carico dell’attore, in ossequio al principio della soccombenza, e sono compensate per 1/3.
7. Conclusivamente, l’appello è solo parzialmente fondato, limitatamente all’omessa parziale compensazione delle spese di lite del giudizio di primo grado.
8. L’accoglimento meramente parziale dell’appello giustifica la compensazione integrale delle spese di lite del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Respinta ogni diversa domanda, istanza ed eccezione, così decide:
Accoglie l’appello e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata n. 986/2022, emessa dal Tribunale di Terni, in composizione monocratica, in data 28.12.2022, pubblicata il 29.12.2022, nella causa iscritta al n. r. g. 2084/2020:
1. Condanna (omissis) al pagamento delle spese di lite del primo grado di giudizio, come liquidate dal Giudice di prime cure, in favore di (omissis) da compensarsi per 1/3;
2. Condanna (omissis) al pagamento delle spese di lite del primo grado di giudizio, come liquidate dal Giudice di prime cure, in favore di (omissis) da compensarsi per 1/3;
3. Compensa integralmente fra le parti le spese di lite del presente grado di giudizio.
Perugia, così deciso nella camera di consiglio del 23.01.2025
