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Corte di Appello di Firenze sez. lav., 07/01/2019, n. 1013

Massima

Ai fini della configurabilità della condotta qualificabile come mobbing, l’elemento qualificante — la cui prova incombe sul soggetto che assume di aver subito comportamenti vessatori — non va individuato nell’illegittimità dei singoli atti, bensì nell’intento persecutorio che conferisce loro unitarietà. La legittimità formale dei provvedimenti adottati può assumere rilevanza indiretta, in quanto, in assenza di elementi probatori di segno contrario, essa costituisce indice sintomatico della mancanza dell’elemento soggettivo necessario a qualificare la condotta come vessatoria nel suo complesso. Parimenti, la conflittualità delle relazioni interpersonali all’interno dell’ambiente lavorativo — circostanza che impone al datore di lavoro l’obbligo di adottare misure idonee a ristabilire un clima funzionale al corretto svolgimento delle prestazioni — può essere valutata dal giudice quale elemento utile ad escludere che i provvedimenti siano stati adottati con finalità mortificatoria della personalità e della dignità del lavoratore.

(Rocchina Staiano)

Supporto alla lettura

MOBBING

Per “mobbing” si intende un insieme di comportamenti aggressivi e persecutori posti in essere sul luogo di lavoro, al fine di colpire ed emarginare la persona che ne è vittima. Come chiarito anche dalla giurisprudenza (cfr. ad esempio Cass. Civ., sez. Lavoro, n. 17698/2014), sono elementi costitutivi del fenomeno del mobbing:

  1. una serie di comportamenti di carattere persecutorio – illeciti o anche leciti se considerati singolarmente – che, con intento vessatorio, siano posti in essere contro la vittima in modo mirato, sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo dei primi;
  2. l’evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente;
  3. il nesso di causalità tra le descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psico-fisica e/o nella propria dignità;
  4. l’elemento soggettivo, cioè l’intento persecutorio che unifica e lega tra loro tutti i singoli comportamenti ostili.

Nell’ordinamento italiano non esiste una norma di legge specificamente dedicata al fenomeno del mobbing. A livello di legge ordinaria, viene in rilievo l’art. 2087 c.c., che impone al datore di lavoro di adottare tutte le misure che, secondo le particolarità dell’attività svolta, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro; la L. 300/1970 (Statuto dei lavoratori), il cui art. 15, in particolare, sancisce la nullità di patti o atti diretti a realizzare forme di discriminazione sul luogo di lavoro; il D.Lgs. 198/2006 (Codice delle pari opportunità tra uomo e donna), i cui artt. 25 e seguenti sono specificamente dedicati al contrasto delle discriminazioni nei luoghi di lavoro; il D.Lgs. 81/2008 (Testo unico per la sicurezza sul lavoro), il cui art. 28 impone di considerare tra i rischi per la salute dei lavoratori anche quelli derivanti da condizioni di stress lavoro-correlato. Non esiste nella legislazione vigente uno specifico reato di mobbing.

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto/Diritto

Il Tribunale di Siena con sent. n. 166/2017, previa riunione delle cause n. 913/2012, n. 16/2013, n. 744/2013, n. 144/2014, ha rigettato le domande giudiziali proposte dal maestro (omissis), con le quali egli chiedeva: l’accertamento dell’ingiustizia e dell’infondatezza della sanzione disciplinare di avvertimento scritto comminata il 13/12/2007 dall’Istituto Comprensivo (omissis) di Monteroni d’Arbia e la condanna dell’Amministrazione scolastica al risarcimento di tutti i danni biologici, morali ed esistenziali subiti; l’accertamento dell’ingiustizia e dell’infondatezza della sanzione disciplinare di censura comminata il 14/1/2008 dall’Ufficio Scolastico Provinciale di Siena e la condanna dell’Amministrazione scolastica al risarcimento di tutti i danni biologici, morali ed esistenziali subiti; l’accertamento dell’ingiustizia, infondatezza e illegittimità della sanzione disciplinare di sospensione per tre mesi dal servizio e decurtazione dello stipendio nella misura del 50% comminata il 19.9.2008 dall’Ufficio Scolastico Provinciale di Siena e la condanna dell’Amministrazione scolastica al risarcimento di tutti i danni biologici, morali ed esistenziali subiti; l’accertamento della ingiustizia infondatezza e illegittimità del provvedimento di trasferimento dalla Scuola Primaria in Monteroni d’Arbia disposto dall’Ufficio Scolastico Provinciale di Siena e la condanna dell’Amministrazione scolastica al risarcimento di tutti i danni biologici, morali ed esistenziali subiti.

Avverso tale decisione propone appello (omissis) deducendo

1. L’erronea ricostruzione del fatto compiuta dal Giudice di primo grado relativa alla legittimità della sanzione disciplinare dell’avvertimento scritto del 13.12.2007 comminata al maestro (omissis) dall’Istituto comprensivo (omissis) di Monteroni D’Arbia.

Tale sanzione disciplinare si riferisce all’episodio del 11.10.2007, con riferimento al quale viene contestato al maestro (omissis) di aver richiesto alla collaboratrice (omissis) delle fotocopie con tono anomalo. Secondo l’appellante, il Giudice di prime cure avrebbe travisato il contenuto delle testimonianze poste alla base della sua decisione, rese dai signori (omissis) e (omissis). Inoltre, l’appellante evidenzia che il Giudice di prime cure collega a tale sanzione disciplinare anche la contestazione fatta al maestro di aver abbandonato temporaneamente la classe, che invece si riferisce all’episodio del 30.10.2007, relativo alla sanzione della censura.

2. L’erronea ricostruzione del fatto compiuta dal Giudice di primo grado relativa alla legittimità della sanzione disciplinare della censura. L’episodio dal quale scaturisce suddetta sanzione è quello del 30.10.2007, con riferimento al quale si contesta all’appellante di aver tenuto un comportamento minaccioso nei confronti della collaboratrice scolastica (omissis). Anche con riferimento a questo episodio l’appellante ritiene che il Giudice di prime cure abbia travisato il contenuto della testimonianza della Signora (omissis), unica testimone che ha assistito al fatto.

3. L’erronea ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado relativa alla legittimità della sanzione disciplinare della sospensione per tre mesi dal servizio con decurtazione dello stipendio nella misura del 50%. Tale sanzione scaturisce da una serie di comportamenti aggressivi, provocatori, molesti ed offensivi che l’appellante avrebbe posto in essere nei confronti dei colleghi e nell’ambito anche degli organi collegiali. Nel ritenere provati tali fatti, il Giudice di prime cure farebbe riferimento esclusivamente alle deposizioni dei testi indicati dall’amministrazione finanziaria, non prendendo in considerazione le deposizioni dei testi indicati da parte appellante, in particolare le dichiarazioni dei testi (omissis) e (omissis).

4. L’erronea ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado relativa alla legittimità del provvedimento di trasferimento dalla Scuola Primaria in Monteroni d’Arbia. L’appellante lamenta un’interpretazione erronea e non veritiera di quanto affermato dai vari testimoni durante l’attività istruttoria, in particolare dai testi (omissis), (omissis) e (omissis).

5. L’erronea ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado relativa all’esistenza di una situazione di mobbing nei confronti del Sig. (omissis). Al riguardo, l’appellante evidenzia che dalle prove testimoniali nonché dalla copiosa documentazione depositata dallo stesso, emergerebbe che il Sig. (omissis) è stato oggetto di vari atti persecutori da parte dell’amministrazione scolastica che hanno causato successivamente il manifestarsi di un grave disturbo dell’adattamento con ansia e umore depresso misti di tipo cronico. In particolare, ciò emergerebbe dalle parole dei testimoni sentiti durante il primo grado di giudizio soprattutto in relazione alle modalità di svolgimento dell’ispezione (omissis).

6. La violazione di legge degli art. 467 e seguenti del D.Lgs. n. 297/1994e ss.mm. Tali norme stabiliscono che in caso di incompatibilità di permanenza di un dipendente pubblico può essere disposto il trasferimento d’ufficio. Tuttavia tale articolo prosegue affermando che tale incompatibilità deve derivare da “gravi e comprovati fattori di turbamento dell’ambiente scolastico e di pregiudizio del rapporto tra l’istituzione scolastica e le famiglie degli alunni, conseguenti a specifici comportamenti di uno o più docenti, lesivi della dignità delle persone che operano nell’ambito scolastico”. Secondo l’appellante tale incompatibilità non è in realtà mai esistita, non avendo l’appellata provato l’esistenza di concrete disfunzioni nell’organizzazione del lavoro della Scuola Elementare di Monteroni d’Arbia.

7. La mancata ammissione dei mezzi istruttori richiesti dal ricorrente nel giudizio di primo grado. L’appellante afferma che non era riuscito a depositare tutta la documentazione reperita entro il termine stabilito dal Giudice del Lavoro per la produzione di atti relativi a procedimenti penali nei quali era stato coinvolto il maestro (omissis), in quanto il sistema telematico rifiutava il deposito perché eccedente i limiti di invio della busta telematica. Con istanza del 30/05/2017 l’appellante aveva chiesto al giudice di essere rimessa in termini e di essere autorizzata al deposito cartaceo di tale documentazione, ma il Giudice si era pronunciato su tale istanza solo nel corpo della sentenza nel quale riteneva tali atti non utili al fine del decidere.

Il MIUR si è costituito in giudizio e, richiamando le deposizioni dei testi e la relazione ispettiva redatta dall’Ispettore (omissis) su mandato del Direttore Generale dell’USR per la Toscana, ha chiesto il rigetto dell’appello in quanto infondato.

Ritiene il Collegio che l’appello sia infondato e che, pertanto, debba essere rigettato.

Il primo e il secondo motivo di appello devono essere trattati congiuntamente in quanto, sebbene si riferiscano a sanzioni disciplinari distinte, attengono a due episodi strettamente connessi tra loro. Il primo motivo di appello attiene alla legittimità della sanzione disciplinare dell’avvertimento scritto del 13.12.2007 dell’Istituto Comprensivo (omissis) di Monteroni D’Arbia, con il quale veniva contestato al maestro (omissis) di aver richiesto fotocopie con tono anomalo alla collaboratrice (omissis) in data 11.10.2007. Il secondo motivo di appello attiene alla legittimità della sanzione disciplinare della censura del 14.01.2008 dell’Ufficio Scolastico Provinciale di Siena, con la quale veniva contestato al maestro (omissis) di aver tenuto, in data 30.10.2007, dei comportamenti minacciosi nei confronti della collaboratrice scolastica (omissis), la quale dovette addirittura essere trasportata in ospedale. Nell’impugnata sentenza il Giudice di prime cure ha ritenuto che entrambi gli episodi contestati al Maestro (omissis) trovassero conferma nelle dichiarazioni dei testi (omissis), (omissis) e (omissis) e che le sanzioni dell’avvertimento scritto e della censura fossero congrue. Secondo l’appellante, invece, il Giudice di prime cure avrebbe travisato tali testimonianze, compiendo una ricostruzione fattuale degli episodi del tutto errata.

Le doglianze dell’appellante risultano infondate.

In primo luogo occorre rilevare che entrambe le vicende scaturiscono dalla richiesta del maestro (omissis) alla collaboratrice (omissis) di fotocopie che la collaboratrice non poteva effettuare. Infatti, come affermato dalla teste (omissis), docente collega del maestro (omissis) e fiduciaria del plesso nel periodo in questione, nella scuola vi era una fotocopiatrice la quale poteva essere utilizzata esclusivamente per uso didattico, mentre per l’eventuale uso diverso era necessario rivolgersi in segreteria. Tuttavia, capitava frequentemente che il maestro (omissis) richiedesse alle collaboratrici, tra cui la (omissis), fotocopie ad uso diverso da quello scolastico, mettendole in difficoltà. Infatti, la teste (omissis), collega del maestro (omissis) e collaboratrice della dirigente all’epoca dei fatti, riferisce che “la questione delle fotocopie era una questione ricorrente, abbastanza spesso venivano da me o la custode o l’altra addetta, da me o dalla (omissis), per lamentarsi che (omissis) chiedeva l’effettuazione di fotocopie non inerenti a materiale scolastico”. In questo contesto si inserisce il primo episodio del 7.10.2007, contestato nell’avvertimento scritto, del quale riferisce la teste (omissis) la quale afferma che il maestro (omissis) aveva chiesto alla (omissis) fotocopie ad uso non scolastico e che la stessa si era rivolta alla (omissis) per chiederle se poteva farle, ricevendo da quest’ultima risposta negativa in quanto il maestro (omissis) avrebbe dovuto chiedere le copie in segreteria. In tale occasione il maestro (omissis), di fronte al rifiuto delle copie da parte della (omissis), si era alterato e, ritenendo che fosse stato leso un suo diritto, aveva chiamato i Carabinieri. L’episodio oggetto della censura risulta, quindi, essere il seguito di quello oggetto dell’avvertimento scritto. Infatti, nell’episodio del 30.10.2007, il maestro (omissis) aveva chiesto nuovamente alla (omissis) delle fotocopie ad uso non scolastico che questa non poteva fare, dando così luogo a un diverbio che scosse molto la (omissis). La teste (omissis) infatti riferisce che “la custode, (omissis), singhiozzando e tremando diceva che voleva andar via, che (omissis) l’aveva accusata si spiarlo e di fare la delatrice, e lei non era più in grado di sostenere la situazione”. Anche la teste (omissis) riferisce sullo stato di agitazione della (omissis) affermando che “la (omissis), visibilmente alterata [la quale] veniva a informarmi che lasciava il posto di lavoro poiché non ne poteva più delle offese del maestro” e che “la custode (omissis) era in stato di agitazione e ha detto che i Carabinieri li chiamava sempre lui e adesso li avrebbe chiamati lei e così fece” e, infine, che una volta andati via i Carabinieri dovettero chiamare l’ambulanza poiché la (omissis) stava male e non riuscivano a tranquillizzarla. Sull’intervento dell’ambulanza riferiscono anche la teste (omissis) e la teste (omissis). Infatti, fu quest’ultima a chiamare il 118.

Dalla lettura di tali testimonianze emerge, quindi, come vi fosse un clima di tensione tra il maestro (omissis) e la collaboratrice (omissis): il maestro metteva continuamente in difficoltà la collaboratrice con la richiesta di copie non autorizzate, chiamando addirittura i Carabinieri di fronte al rifiuto della (omissis) durante l’episodio del 7.10.2007. Tale clima di tensione culminò poi con il diverbio del 30.10.2007, quando fu la stessa (omissis) a chiamare i Carabinieri in quanto quella situazione di continue richieste e minacce in caso di rifiuto l’aveva fatta entrare in uno stato di agitazione tale da dover addirittura far chiamare l’ambulanza. Vista la dinamica dei fatti, descritti da più testimoni, le sanzioni dell’avvertimento scritto e della censura appaiono congrue e legittime.

Parimenti infondato è il terzo motivo di appello, con il quale l’appellante contesta la legittimità della sanzione disciplinare della sospensione per tre mesi dal servizio con decurtazione del 50% dello stipendio irrogata in data 19.9.2009 dall’Ufficio Scolastico Provinciale di Siena, con la quale veniva contestato al maestro (omissis) di aver tenuto dei comportamenti aggressivi, provocatori, molesti ed offensivi nei confronti dei colleghi. Nell’impugnata sentenza il Giudice di prime cure ha ritenuto che i fatti contestati al maestro (omissis), posti a fondamento della relazione ispettiva redatta dall’Ispettore (omissis) su mandato del Direttore Generale dell’USR per la Toscana, trovassero riscontro anche nelle deposizioni dei testi (omissis), (omissis) e (omissis). L’appellante ritiene, invece, che la ricostruzione del fatto compiuta dal Giudice di prime cure sia erronea in quanto non prenderebbe in considerazione le deposizioni dei testi (omissis) e (omissis).

In primo luogo occorre rilevare che le deposizioni testimoniali poste alla base della decisione del Giudice di prime cure risultano essere attendibili e congruenti fra loro. Infatti, sia la teste (omissis) che le testi (omissis) e (omissis) riferiscono che in un primo momento la convivenza professionale con il maestro (omissis) fu tranquilla, senza problematiche di rilievo, ma che in un secondo momento la situazione cominciò a peggiorare. La teste (omissis) riferisce infatti che “(omissis) è arrivato nel 2006 e fino al 2/2007 la convivenza professionale è stata del tutto normale, poi dal 2/2007 l’escalation. La situazione a scuola era diventata invivibile, in quanto c’era un clima veramente di sospetto, di accuse, di denunce, eravamo sopraffatte dalle continue denunce del (omissis) che formulava accuse di ogni genere, le riunioni risultavano un palcoscenico del (omissis), che prendeva la parola, si dilungava, era sempre polemico, accusava di falsità nei verbali, fotografava le insegnanti col telefonino, minacciando la pubblicazione su YouTube, affiggeva le sue denunce all’albo sindacale; era veramente una situazione insostenibile” e che “I docenti erano chiamati continuamente a difendersi dalle sue accuse, le riunioni erano solo a suo uso e consumo, non si parlava mai di ciò che riguardava effettivamente i ragazzi, era un continuo. Quando si trattava di passare alle votazioni (omissis) minacciava denunce e ho dovuto invitarlo a desistere da questo atteggiamento di velata minaccia, diceva di fare attenzione poiché i verbali erano già in possesso della magistratura davanti alla quale saremmo state chiamate a rispondere. 13 docenti su 40, che lavoravano a più stretto contatto con (omissis), ci hanno chiesto aiuto, con una segnalazione per iscritto, a fronte di questa situazione. Qualche lamentela c’è stata da parte di alcuni genitori, ma non essendo io presente in classe di (omissis), ho sempre cercato di appianare le cose. Ad un certo punto in 4 docenti del modulo delle IV abbiamo chiesto di essere trasferite, ma su sollecitazione dei genitori le abbiamo ritirate”.

Nello stesso senso riferisce la teste (omissis), la quale afferma che “(omissis) è arrivato nel 2006 e almeno nella prima parte dell’anno scolastico la situazione è stata abbastanza tranquilla. Nel secondo quadrimestre sono incominciate delle incomprensioni, ci sono stati degli episodi, ad esempio sui criteri di compilazione delle schede di valutazione, una apposita commissione ha stabilito che dovesse essere apposto solo un quantificatore e il maestro non era d’accordo e ci sono state quindi delle discussioni su questo. C’è stato poi un articolo di giornale sul fenomeno del bullismo, un’indagine effettuata da una insegnante delle classi quinte, è andata a finire sul giornale dava un’immagine non edificante della nostra scuola e quindi ci riunimmo per discutere di questo e su questo tema ci furono parecchie discussioni con il maestro. Sono stati questi i primi momenti in cui si sono verificati degli attriti. è stato però nell’anno successivo che secondo il maestro non c’era nulla che andasse bene, verbali falsi, redatti in modo scorretto, la sua denuncia della costituzione di un clan di potere in cui io e la (omissis) e la (omissis) venivamo retribuite per andare contro di lui o per avvalorare la tesi della preside, con offese di ogni genere, quindi è chiaro che non c’era più un clima di serenità, di tranquillità, arrivavamo a scuola ogni giorno senza sapere che cosa sarebbe successo, perché ogni giorno c’erano una discussione o un’accusa; adr c’erano poi episodi ogni tipo, ad esempio venivamo fotografate col telefonino o accusate di arrivare in ritardo”.

Infine, anche la teste (omissis) riferisce che “(omissis) è arrivato come collega nella mia scuola mi pare nel 2006 quale docente di Inglese nelle mie stesse classi. All’inizio, almeno nella prima parte dell’anno scolastico, fino alla stesura dei giudizi del primo quadrimestre, non ho da riferire di problematiche di rilievo”. Inoltre afferma che “L’evoluzione è stata poi pian piano sempre più tormentata, conflittuale”, “il clima si è surriscaldato, lui era sempre più polemico e ogni volta che c’era un collegio o un interclasse interveniva, interrompeva continuamente contestava quanto veniva detto e soprattutto parlava di un complotto ordito contro di lui e tutto veniva visto in questa ottica, tutto veniva visto da lui come contro la sua persona ed era finalizzato addirittura al suo licenziamento e chiaramente si lavorava male, giorno per giorno c’era un’atmosfera di ansia e tensione rendeva tutto molto più difficile, non c’era serenità”.

Tale situazione, presente all’interno della scuola e legata al comportamento del maestro (omissis), trova indirettamente riscontro anche nelle deposizioni dei testi (omissis) e (omissis), indicati dall’odierno appellante. La teste (omissis), collega del maestro (omissis) nel periodo in questione, riferisce infatti di un clima difficile all’interno della scuola, di litigi continui, che la spinse a chiedere il trasferimento e, sebbene essa non lo collegasse al comportamento del maestro (omissis), riferisce che altre colleghe intendevano trasferirsi a causa del maestro (omissis). Per quanto riguarda poi la deposizione del teste (omissis), in primo luogo occorre precisare che egli era il genitore di un alunno del maestro (omissis) oltre che rappresentante di classe e che, quindi, per sua stessa ammissione, non era in grado di rendersi conto dei motivi della tensione tra il maestro (omissis) e i colleghi. Tuttavia, riferisce di un episodio al quale assistette in cui vi fu un diverbio tra il maestro (omissis) e la maestra (omissis) relativo a un ritardo di quest’ultima: “una mattina all’ingresso la maestra (omissis) arrivò in ritardo e il maestro (omissis) glielo fece notare e incominciò una sceneggiata, tanto che la maestra davanti a tutti i genitori riportò indietro le lancette dell’orologio dell’ingresso, facendoci rimanere tutti basiti, ed eravamo anche un poco stufi, ritenevamo che questi dissidi interni non ci dovessero coinvolgere, soprattutto in danno dei minori”. Tale racconto mostra quindi come vi fosse effettivamente un clima di tensione fra il maestro (omissis) e gli altri insegnanti, tanto che i genitori degli alunni non tolleravano più questa situazione.

Alla luce di tali deposizioni testimoniali, il Collegio ritiene quindi che il Giudice di prime cure abbia correttamente ritenuto provati i fatti posti alla base della sanzione disciplinare in questione, motivo per cui la doglianza dell’appellante è da ritenersi infondata.

Il quarto e il sesto motivo di appello devono essere trattati congiuntamente in quanto attinenti entrambi al trasferimento del maestro (omissis) dalla Scuola Primaria di Monteroni d’Arbia alla Direzione di Didattica di Montepulciano, disposto in data 16.12.2008 dall’Ufficio Scolastico Provinciale di Siena. Con il quarto motivo di appello, infatti, l’appellante contesta la legittimità di tale provvedimento, ritenendo che il Giudice di prime cure abbia ricostruito il fatto erroneamente, mal interpretando le deposizioni dei testi. Con il sesto motivo di appello, invece, contesta l’esistenza di una situazione di incompatibilità ambientale del maestro (omissis) con la scuola di Buonconvento, derivante da “gravi e comprovati fattori di turbamento dell’ambiente scolastico e di pregiudizio del rapporto tra l’istituzione scolastica e le famiglie degli alunni, conseguente a specifici comportamenti di uno più docenti, lesivi della dignità delle persone che operano nell’ambito scolastico”, come richiesto dagli artt. 467 e ss. del D.Lgs. 297/1994.

In primo luogo occorre rilevare che, come affermato dalla Suprema Corte di Cassazione, “Il trasferimento degli insegnanti per incompatibilità ambientale, che è regolato dagli art. 468 e 469 D.Lgs. n. 297 del 1994, ove la contrattazione collettiva non abbia diversamente disposto, e, per quanto non previsto, dai principi generali fissati dall’art. 2103 c.c., ha natura cautelare e non disciplinare, sicché non è applicabile la procedura di cui agli artt. 503 e 504 dello stesso decreto per i trasferimenti disciplinari e, in assenza di specifiche previsioni, il termine per l’adozione del relativo provvedimento è quello ragionevole oltre il quale verrebbero meno le esigenze di sua urgenza, mentre il diritto di difesa è soddisfatto dalla possibilità per l’interessato di far pervenire le proprie osservazioni al dirigente prima dell’emanazione dell’atto” (Cassazione civile sez. lav., 04/05/2017, n.10833).

Anche il Consiglio di Stato in proposito ha affermato che “L’origine della situazione che ha comportato l’adozione di un provvedimento di trasferimento per incompatibilità ambientale non assume alcuna rilevanza, in quanto il provvedimento di trasferimento può prescindere da ogni giudizio di rimproverabilità della condotta all’interessato, essendo lo stesso adottato per il semplice fatto che sia stato messo in pericolo il prestigio dell’Amministrazione” (Consiglio di Stato sez. III, 20/06/2018, n.3784) e che “Il trasferimento per incompatibilità ambientale non postula necessariamente un diretto rapporto di imputabilità di specifici fatti e comportamenti addebitabili al dipendente, essendo sufficiente a tal fine l’oggettiva sussistenza di una situazione che impedisca il sereno svolgimento dell’attività nella sede di appartenenza e che sia, da un lato, riferibile alla presenza in loco del dipendente in questione e, dall’altro, suscettibile di rimozione mediante l’assegnazione del medesimo ad altra sede” (Consiglio di Stato sez. IV, 04/05/2011, n.2686).

Conseguentemente, avendo il trasferimento per incompatibilità ambientale natura cautelare e non disciplinare, ciò che deve essere valutato da questa Corte è la sussistenza o meno di una situazione oggettiva all’interno della scuola che impedisca il sereno svolgimento dell’attività lavorativa, riconducibile alla presenza del maestro (omissis).

Tale situazione risulta ampiamente provata dalle deposizioni testimoniali sopracitate, che fanno emergere un clima difficile all’interno della scuola, di litigi continui, che vedevano sempre come protagonista il maestro (omissis). In proposito, si richiama quanto sopra argomentato con riferimento al terzo motivo di appello e basti qui ricordare quanto riferito dalla teste (omissis), la quale ha affermato che “La situazione a scuola era diventata invivibile, in quanto c’era un clima veramente di sospetto, di accuse, di denunce, eravamo sopraffatte dalle continue denunce del (omissis) che formulava accuse di ogni genere, le riunioni risultavano un palcoscenico del (omissis), che prendeva la parola, si dilungava, era sempre polemico, accusava di falsità nei verbali, fotografava le insegnanti col telefonino, minacciando la pubblicazione su YouTube, affiggeva le sue denunce all’albo sindacale; era veramente una situazione insostenibile”. Risulta pertanto provata l’incompatibilità ambientale del maestro (omissis) con la scuola primaria di Monteroni d’Arbia e la legittimità del relativo trasferimento.

Quanto al quinto motivo di appello, relativo all’esistenza di una situazione di mobbing nei confronti del maestro (omissis) , ritiene il Collegio che il Giudice di prime cure abbia correttamente ritenuto che non vi fosse alcun elemento costitutivo della fattispecie di mobbing. Infatti, come affermato dalla Suprema Corte di Cassazione, il mobbing “designa (essendo stato mutuato da una branca dell’etologia) un complesso fenomeno consistente in una serie di atti o comportamenti vessatori, protratti nel tempo, posti in essere nei confronti di un lavoratore da parte dei componenti del gruppo di lavoro in cui è inserito o dal suo capo, caratterizzati da un intento di persecuzione ed emarginazione finalizzato all’obiettivo primario di escludere la vittima dal gruppo (vedi per tutte: Corte cost. sentenza n. 359 del 2003). Ai fini della configurabilità del mobbing lavorativo devono quindi ricorrere molteplici elementi: a) una serie di comportamenti di carattere persecutorio – illeciti o anche leciti se considerati singolarmente – che, con intento vessatorio, siano stati posti in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo dei primi; b) l’evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente; c) il nesso eziologico tra la descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psico-fisica e/o nella propria dignità; d) il suindicato elemento soggettivo, cioè l’intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi (vedi: Cass. 21 maggio 2011 n. 12048Cass. 26/3/2010 n. 7382)” (Cassazione civile sez. lav., 05/11/2012, n.18927).

Conseguentemente “Ai fini della configurabilità del mobbing l’elemento qualificante, che deve essere provato da chi assume di aver subito la condotta vessatoria, va ricercato non nell’illegittimità dei singoli atti, bensì dell’intento persecutorio che li unifica, sicché la legittimità dei provvedimenti può rilevare indirettamente perché, in difetto di elementi probatori di segno contrario, diventa sintomatica dell’assenza dell’elemento soggettivo che deve sorreggere la condotta, unitariamente considerata; parimenti, la conflittualità delle relazioni personali all’interno dell’ufficio, che impone al datore di lavoro di intervenire per ripristinare la serenità necessaria per il corretto espletamento delle prestazioni lavorative, può essere apprezzata dal giudice per escludere che i provvedimenti siano adottati al solo fine di mortificare la personalità e la dignità del lavoratore” (Cass. civ., sez. lav., n. 30673/2018).

A differenza di quanto affermato dall’appellante, dall’attività istruttoria espletata in primo grado non emergono gli elementi richiesti dalla Suprema Corte per poter ritenere configurata la fattispecie di mobbing. Infatti, dalle deposizioni testimoniali non si ricavano una serie di comportamenti di carattere persecutorio posti in essere nei confronti del maestro (omissis) in modo sistematico e prolungato nel tempo. Inoltre, non risulta provato alcun evento lesivo della salute, dalle personalità o della dignità del dipendente, né si ravvisa un intento persecutorio nei vari provvedimenti adottati nei confronti del maestro (omissis), sulla cui legittimità si è già ampiamente argomentato. Conseguentemente, anche la pretesa risarcitoria avanzata dal maestro deve essere respinta.

Infine, quanto all’ultimo motivo di appello relativo alla mancata ammissione dei mezzi istruttori richiesti dal ricorrente nel giudizio di primo grado, rileva la Corte che il materiale probatorio acquisito nel primo giudizio appare ampio, completo e sufficiente alla decisione. In ogni caso, il motivo risulta generico in quanto l’appellante non spiega le ragioni per cui l’ammissione delle ulteriori prove richieste da parte appellante e non ammesse sarebbe stata fondamentale ai fini della decisione del Giudice di primo grado.

In conclusione, l’appello deve essere respinto.

Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo sulla base dei criteri di valore di cui al D.M. n. 55/2014.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. 30.5.2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, L. 24.12.2012 n. 228 (applicabile, ex art. 1, comma 18, ai procedimenti iniziati dal trentesimo giorno successivo alla data – 1.1.2013 – di entrata in vigore della L. 228/2012), dall’integrale rigetto dell’appello consegue la declaratoria della sussistenza dei presupposti previsti dalla norma in esame per l’obbligazione di versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte d’Appello di Firenze, definitivamente pronunciando:

Respinge l’appello di (omissis).

Condanna l’appellante al pagamento delle spese di lite sostenute dall’appellata, liquidate in Euro 3.308,00, oltre spese generali al 15%, Iva e Cap.

Dichiara che sussistono i presupposti processuali di cui all‘art. 13, comma 1-quater, D.P.R. 30.5.2002 n. 115, introdotto dall‘art. 1 comma 17, legge 24.12.2012, n. 228, per l’obbligo di parte appellante di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

Firenze, 6 dicembre 2018

 

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