Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con ricorso ex art. 447 bis c.p.c., (omissis), proprietario dell’immobile sito in (omissis), alla via (omissis) – dati catastali foglio (…), particella (…) sub.(…), cat. catastale (…), classe (…), rendita Euro 30,47, mq 20 – aveva evocato in giudizio (omissis), chiedendo di: 1) accertare l’occupazione illegittima dell’immobile da parte del resistente; 2) dichiarare la risoluzione del contratto di comodato d’uso; 3) ordinare l’immediato rilascio dell’immobile; 4) condannare la parte resistente al risarcimento dei danni patrimoniali subiti a causa del mancato rilascio dell’immobile, da quantificare secondo giustizia.
A sostegno delle sue pretese, la parte ricorrente aveva rappresentato: 1) di aver stipulato con la parte resistente un contratto di comodato d’uso avente a oggetto l’immobile sito in (omissis), alla via (omissis) n. 55; 2) che il contratto, sottoscritto e registrato presso l’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di Catanzaro il 19 maggio 2009, aveva una durata di 5 anni, dal 7 maggio 2019 al 7 luglio 2024; 3) che la durata era stata espressamente condizionata alla vendita dell’immobile da parte del comodante, con facoltà per quest’ultimo di richiederne comunque l’immediato rilascio in caso di sopravvenuta e urgente necessità; 4) che, con raccomandata del 23 luglio 2021, consegnata il 6 agosto 2021, la parte ricorrente, inizialmente proprietario pro quota e oggi proprietario dell’intero immobile, aveva comunicato alla parte resistente il recesso dal contratto, poiché l’immobile sarebbe stato messo in vendita; 5) che la parte resistente, pur dichiarandosi inizialmente disponibile a rilasciare l’immobile in breve tempo, non aveva poi dato seguito alla promessa, rendendosi irreperibile e impedendo l’accesso al proprietario; 6) che, nonostante avesse trasferito la propria residenza in via (omissis), la parte resistente continuava a vivere nella casa coniugale di via (omissis), mentre l’immobile in comodato risultava di fatto disabitato; 7) che tale situazione aveva ostacolato le visite di potenziali acquirenti e aveva già causato, per la parte ricorrente, la perdita di un’opportunità di vendita dell’immobile.
Si era costituito in giudizio (omissis), contestando le affermazioni di parte ricorrente e chiedendo pertanto il rigetto del ricorso.
In via preliminare aveva eccepito l’improcedibilità della domanda per il mancato esperimento della mediazione obbligatoria, trattandosi di una controversia in materia di comodato.
Nel merito il resistente aveva rappresentato: 1) che in nome di un’amicizia di lunga data, nel 2019, la parte ricorrente gli aveva concesso la possibilità di stabilirsi presso l’immobile di sua proprietà, sito in via (omissis), stipulando un contratto di comodato d’uso gratuito; 2) che aveva provveduto, però, egli stesso, a proprie spese, al risanamento dell’immobile, che si presentava da ristrutturare e non era arredato, al fine di renderlo vivibile; 3) che sin dall’inizio la sua permanenza nell’immobile era stata resa difficile dalla parte ricorrente, che aveva addirittura preteso e ottenuto una copia delle chiavi dell’appartamento, ma, a un certo punto, le richieste di accedere e usufruire dell’immobile erano divenute così frequenti e inopportune che si era visto costretto a sostituire la serratura; 4) che la parte ricorrente lo aveva più volte minacciato riguardo alla restituzione di somme non dovute e aveva messo in atto atti persecutori denunciati alle autorità competenti; 5) che, contrariamente a quanto affermato dalla parte ricorrente, non abitava nella casa coniugale con l’ex moglie, ma chiedeva a quest’ultima ospitalità quando la parte ricorrente pretendeva di avere la disponibilità dell’immobile; 6) che, l’immobile non era mai stato rilasciato, in quanto le parti, tramite i loro avvocati, avevano concordato di risolvere la questione in modo bonario e non vi era, dunque, alcuna occupazione senza titolo, in quanto il resistente si era impegnata a consegnare una copia delle chiavi al ricorrente, che, a sua volta, aveva accettato che il resistente usufruisse dell’immobile fino alla scadenza del contratto di comodato; 7) che il ricorrente aveva rimosso una targa della sua associazione.
In via riconvenzionale, pertanto, aveva chiesto la condanna di (omissis) al pagamento di Euro 91,50 per il ripristino della targa e al risarcimento di Euro 15.000,00 per danni morali e turbativa nel godimento dell’immobile.
Esperito senza esito positivo l’obbligatorio tentativo di mediazione, la causa era stata istruita mediante acquisizione della documentazione prodotta dalle parti.
Con la sentenza n. 1606/2023, emessa ex art. 429, comma 1, c.p.c. all’esito dell’udienza del 3 ottobre 2023 e pubblicata telematicamente in pari data, il Tribunale di Catanzaro aveva dichiarato la risoluzione del contratto di comodato stipulato tra le parti, ordinato a (omissis) di rilasciare in favore di (omissis) l’immobile sito a (omissis) in via (omissis), iscritto al catasto dei fabbricati del Comune di (omissis) al foglio n. (…), particella n. (…), subalterno n. (…), libero da persone e cose, rigettato le altre domande formulate dalle parti; disposto la compensazione per metà delle spese di lite, condannando (omissis) alla refusione in favore di (omissis) della restante metà.”
Avverso la predetta sentenza ha proposto appello (omissis), deducendo, in relazione all’accoglimento della domanda di risoluzione del contratto di comodato d’uso: a) la mancata prova di un bisogno imprevisto, sopravvenuto, urgente, attuale e concreto di rientrare nel possesso dell’immobile, essendosi il comodante limitato a dedurre presunte difficoltà economiche; b) l’errato convincimento del giudice relativamente all’uso del bene concesso in comodato diverso da quello abitativo, nonché la mancata allegazione e prova della sussistenza di un rischio per il comodatario connesso al ritorno in possesso dell’immobile da parte del proprietario; c) l’errata valutazione degli elementi probatori relativi alla domanda riconvenzionale per il risarcimento dei danni morali e per la turbativa nel godimento del bene, avendo il giudice di primo grado ritenuto insufficienti le querele prodotte in giudizio e discordanti le somme allegate e quelle documentate; d) l’errore in cui sarebbe incorso il giudice di primo grado nel ritenere priva del necessario fondamento probatorio la domanda riconvenzionale di risarcimento del danno non patrimoniale, nonostante gli atti persecutori posti in essere dal comodante.
Si è costituito in giudizio (omissis), eccependo preliminarmente l’inammissibilità dell’appello per violazione dell’art. 342 c.p.c. e argomentando nel merito per il rigetto del gravame e la conferma della sentenza impugnata.
Con l’ordinanza del 4 marzo 2024, la corte ha sospeso l’efficacia esecutiva dell’impugnata sentenza di primo grado.
Nelle note di trattazione scritta del 29.1.2025 e del 3.3.2025 la parte appellata ha evidenziato la necessità che l’immobile sia liberato, essendo il contratto risolto per scadenza del termine in data 7.4.2024.
All’esito dell’udienza del 12 marzo 2025, sostituita dal deposito di note scritte ai sensi dell’art. 127 ter c.p.c., la causa è stata decisa mediante lettura del dispositivo.
Preliminarmente occorre precisare che il capo della sentenza relativo al rigetto della domanda di condanna al risarcimento del danno per il mancato tempestivo rilascio dell’immobile è passato in giudicato, non essendo stato oggetto di specifica impugnazione.
Ancora in via preliminare occorre dare atto dell’infondatezza dell’eccezione di inammissibilità dell’appello per violazione dell’art. 342 c.p.c. in quanto l’atto di appello rispetta i requisiti formali e sostanziali richiesti dalla norma, evidenziando in modo chiaro e preciso le ragioni della contestazione e le modifiche richieste alla sentenza di primo grado.
Nel merito l’appello, parzialmente fondato, merita accoglimento nei limiti di seguito precisati.
Incontestato, nonché documentalmente provato, è il contratto di comodato d’uso gratuito, stipulato tra la parte appellante (comodatario) e la parte appellata (comodante), avente a oggetto l’immobile sito in (omissis), alla via (omissis), iscritto al catasto dei fabbricati del Comune di (omissis)al foglio n. (…), particella n. (…), subalterno n. (…), di proprietà di (omissis).
Le parti avevano espressamente previsto che, in caso di vendita dell’immobile, il comodatario avrebbe dovuto restituire l’immobile al comodante, il quale, comunque, avrebbe potuto chiederne l’immediato rilascio in ipotesi di sopravvenuta e urgente necessità (vedasi punto 2 del contratto di comodato d’uso, allegato al fascicolo della parte appellata nel giudizio di primo grado)
Dirimente è, dunque, la verifica della sussistenza dell’urgente e impreveduto bisogno che, ex art. 1809 comma II legittima, per il comodante, il recesso dal contratto e la restituzione del bene dato in comodato.
Tale bisogno “non deve essere grave ma imprevisto (e, dunque, sopravvenuto rispetto al momento della stipula del contratto di comodato) ed urgente, senza che rilevino bisogni non attuali, né concreti o solo astrattamente ipotizzabili. Ne consegue che non solo la necessità di un uso diretto ma anche il sopravvenire d’un imprevisto deterioramento della condizione economica del comodante – che giustifichi la restituzione del bene ai fini della sua vendita o di una redditizia locazione – consente di porre fine al comodato …” (Cass. SS.UU. sentenza 29 settembre 2014, n. 20448).
La Corte di cassazione, sul punto, ha chiarito che “il bisogno urgente e impreveduto che, ai sensi dell’art. 1809 c.c., consente al comodante di ottenere l’immediata restituzione della cosa non implica necessariamente la destinazione della stessa all’uso diretto da parte del comodante medesimo, potendo anche coincidere con la finalità di un impiego più redditizio del bene, che serva a rimediare ad un imprevisto e urgente deterioramento della sua situazione patrimoniale” (Cass., sez. 3, ordinanza del 27 giugno 2023, n. 18334).
È il comodante a dover provare in giudizio lo stato di bisogno, urgente e impreveduto, che legittimerebbe il recesso dal contratto (Cass., sez. 6, ordinanza del 3 settembre 2013, n. 20183).
Ritiene la corte che, nel caso di specie, non sussistano i presupposti previsti dall’art. 1809 comma II c.c.
Contrariamente a quanto affermato dal tribunale, infatti, (omissis) si è limitato a chiedere la restituzione dell’immobile, allegando una situazione di bisogno, di cui però non ha dato prova in giudizio.
Con raccomanda del 23 luglio 2021, consegnata il 6 agosto 2021, la parte appellata aveva comunicato a quella appellante la volontà di recedere dal contratto per procedere alla vendita dell’immobile (vedasi raccomandata allegata al fascicolo di parte appellata nel giudizio di primo grado).
Col ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, il comodante ha fatto riferimento a un peggioramento della propria situazione economica per giustificare la necessità di rientrare in possesso dell’immobile e procedere alla vendita.
Nel corso del giudizio di primo grado, poi, (omissis) ha specificato come la necessità e l’urgenza di rientrare in possesso dell’immobile fossero motivate non solo dall’intenzione di venderlo, ma anche dall’esigenza di utilizzarlo temporaneamente.
Ha affermato la parte appellata, in particolare, che, in attesa della vendita, aveva necessità di viverci, essendo ospite in casa di terzi a causa dell’inagibilità della propria abitazione e della mancanza di risorse economiche per affrontarne la ristrutturazione (vedansi note autorizzate per l’udienza del 3 ottobre 2023).
La parte appellata si è limitata a rappresentare in giudizio una situazione di difficoltà economica e ad affermare di avere la necessità di rientrare in possesso dell’immobile per venderlo e per abitarlo temporaneamente in attesa della vendita, ma non ha prodotto documentazione idonea a provare tali circostanze.
Non sono stati allegati in giudizio, infatti, né elementi oggettivi che confermino il peggioramento della situazione economica della parte appellata, né documenti bancari, fiscali o contabili che attestino una condizione di effettiva difficoltà.
Parimenti non risulta provata l’inagibilità dell’immobile abitato da (omissis), atteso che non vi è prova che le fotografie – prodotte tra l’altro soltanto in data 5.4.2024 – si riferissero a tale immobile, né che l’appellato fosse nell’impossibilità, eventualmente, di affrontare le spese di ristrutturazione.
Ritiene la corte, dunque, che le mere allegazioni della parte appellata, prive di riscontri probatori, non siano sufficienti a integrare i presupposti richiesti dall’art. 1809 comma II c.c., per legittimare il recesso dal contratto di comodato per urgente e imprevisto stato di bisogno.
Contrariamente a quanto affermato dal tribunale, quindi, la domanda di risoluzione del contratto è infondata e come tale dev’essere rigettata.
Con specifico riguardo all’ordine di rilascio dell’immobile, invece, ritiene la corte che la relativa censura sia allo stato priva di rilevanza.
Incontestabilmente, infatti, il contratto per cui è causa è scaduto il 7 luglio 2024 per espressa previsione negoziale, e, a seguito della cessazione del contratto, il comodatario non ha più alcun titolo per detenere l’immobile, che deve dunque essere rilasciato per come evidenziato dall’appellato negli atti successivi alla scadenza del contratto.
Ne consegue che l’immobile deve essere rilasciato, sebbene per motivo diverso da quello della risoluzione fondante la pronuncia impugnata.
Con argomentazione condivisibile, invece, il tribunale ha rigettato le domande riconvenzionali volte a ottenere la condanna della parte appellata al pagamento di Euro 91,50 per il ripristino della targa e al risarcimento di Euro 15.000,00 per danni morali e turbativa nel godimento dell’immobile.
Le censure, sul punto, non sono meritevoli di accoglimento, non avendo la parte appellante provato in giudizio la sussistenza dei fatti allegati.
Infondata è la domanda di condanna per lite temeraria avanzata nel giudizio di appello dalla parte appellante e dev’essere rigettata, essendo l’appello fondato nei limiti su precisati.
In ragione del parziale accoglimento dell’appello e, dunque, della parziale riforma della sentenza impugnata, le spese di lite del giudizio di primo grado, liquidate nella misura indicata nella sentenza impugnata, vengono compensate per metà, attesa la parziale reciproca soccombenza, mentre la restante metà dev’essere posta a carico di (omissis), con distrazione a favore dello Stato, considerata l’ammissione di (omissis) al patrocinio a spese dello Stato.
Attesa la parziale reciproca soccombenza, anche delle spese di lite del giudizio di appello viene disposta la compensazione tra le parti per metà, ponendo a carico della parte appellata per la restante metà, in considerazione del parziale accoglimento dell’appello, e vengono liquidate come in dispositivo, tenuto conto del valore della controversia, dell’attività defensionale svolta e della complessità della causa, che giustificano l’applicazione dei parametri minimi, con distrazione a favore dello Stato in ragione dell’ammissione di (omissis) al patrocinio a spese dello Stato.
P.Q.M.
La Corte d’appello di Catanzaro, seconda sezione civile, definitivamente pronunciando, così provvede:
– accoglie parzialmente l’appello e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, rigetta la domanda proposta da (omissis) di risoluzione del contratto di comodato d’uso dell’immobile sito in (omissis), alla via (omissis);
– rigetta nel resto;
– compensa per ½ le spese di lite del primo grado del giudizio, liquidate come nella sentenza impugnata, condannando (omissis) al pagamento della restante metà, con distrazione a favore dello Stato;
– compensa per ½ le spese di lite del presente grado di giudizio, liquidate per l’intero in complessivi Euro 2.906,00 per onorari, oltre accessori di legge, condannando (omissis) al pagamento della restante metà, con distrazione a favore dello Stato.
Così deciso in Catanzaro nella camera di consiglio del 13 marzo 2025.
Depositata in Cancelleria il 17 marzo 2025.