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Corte di Appello di Catania sez. II, 10/03/2025, n. 312

Massima

In un contenzioso per la restituzione del deposito cauzionale da affitto d’azienda, l’effettiva cessazione del rapporto e la disponibilità del bene da parte del locatore costituiscono fatti sufficienti per far sorgere il diritto del conduttore alla restituzione, purché tali circostanze siano allegate e non specificamente contestate, anche a fronte della contumacia in primo grado del locatore e della sua costituzione tardiva in appello, che preclude la proposizione di eccezioni basate su presunti inadempimenti.

Supporto alla lettura

Locazione

La locazione (o affitto) viene definita come quel contratto col quale una parte si obbliga a far godere all’altra una cosa mobile o immobile, per un determinato periodo di tempo, dietro pagamento di un corrispettivo concordato tra le parti (art. 1571 c.c.). Il contratto di locazione ad uso abitativo è quel particolare tipo di locazione avente ad oggetto immobili che siano locati allo scopo di essere abitati dal conduttore o dalla sua famiglia. Trova la propria disciplina nella legge 431/1998 e, limitatamente agli articoli non abrogati, nella legge 392/1978. La locazione di immobili ad uso abitativo può essere oggetto di varie forme contrattuali, in base alle intenzioni ed esigenze del conduttore e del locatore, sull’unità abitativa. Le diverse possibilità di pattuizione possono essere così riassunte: locazione a canone libero (durata anni 4+4); locazione a canone concordato (durata anni 3+2); locazione per studenti universitari (durata da 6 a 36 mesi); locazione a uso transitorio (durata da 1 a 18 mesi). La normativa delle locazioni immobili ad uso commerciale è prevista dall’art. 27 L. 392/1978 e prevede una durata minima di 6 anni, con rinnovo automatico di altri 6 e una durata massima di 30 anni. La durata della locazione è elevata a 9 anni per gli immobili a destinazione alberghiera come pensioni, locande o alberghi.

Ambito oggettivo di applicazione

Svolgimento del processo

Con ricorso del 22 ottobre 2019 (omissis) adì il Tribunale di Catania chiedendo la condanna di (omissis) alla restituzione del deposito cauzionale versato in relazione all’affitto di azienda commerciale sita in (omissis), via (omissis), oltre interessi legali ai sensi dell’art. 1284, comma 4, c.c. e risarcimento dei danni per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c.

Espose a fondamento della domanda di avere stipulato in data 26 ottobre 2018 un contratto, registrato a Catania il 6 novembre 2018, con la predetta (omissis), di affitto dell’azienda sopra indicata, avente ad oggetto l’attività di produzione di prodotti di panetteria freschi e commercio al dettaglio di prodotti alimentari confezionati, comprensivo del diritto di godimento e detenzione dei locali ove era ubicata l’azienda.

Dedusse che il canone di locazione pattuito ammontava a Euro 9.000,00 annui da corrispondersi in rate mensili di Euro 750,00 e di avere versato, a titolo di cauzione, la somma di Euro 5.000,00 come risultante dal contratto.

Lamentò di essere stato estromesso dall’azienda con violenze e minacce, sfociate in un procedimento penale ai danni del marito della locatrice, tale (omissis), e che in ragione dell’avvenuta risoluzione aveva diritto alla restituzione della cauzione versata con gli interessi legali, ma che nonostante la diffida inviata con lettera raccomandata a.r. del 19 aprile 2019 la resistente non aveva dato seguito alla sua richiesta.

Rimasta contumace la (omissis), il Tribunale di Catania, in assenza di attività istruttoria, con sentenza n. 1417/2013 del 29 marzo 2023 (resa nel procedimento iscritto al n. 15346/2019 R.G.) rigettò la domanda dello (omissis), rilevando che non vi era prova dell’intervenuta risoluzione del contratto.

Osservò il Tribunale che il ricorrente aveva allegato che il contratto si era risolto per violenze e minacce subite, ma tale circostanza era rimasta sfornita di prova; non essendo allegato né provato in cosa sia consistita tale condotta violenta, né la perdita di fatto della disponibilità dell’azienda, né la concreta impossibilità di continuare ad esercitarla, la domanda non poteva trovare accoglimento.

Le spese furono dichiarate irripetibili essendo rimasta la resistente contumace.

Avverso tale decisione, con ricorso depositato il 28 ottobre 2023, (omissis) ha proposto appello innanzi a questa Corte, affidato a un unico motivo, cui resiste, costituendosi nel presente grado con memoria dell’8 febbraio 2024, la (omissis).

All’esito della scadenza del termine (ex art. 127-ter c.p.c.) per il deposito di note scritte in sostituzione dell’udienza del 3 marzo 2025, la causa è stata decisa con separato dispositivo, pubblicato telematicamente.

Motivi della decisione

1. – Con l’unico motivo di appello, l’appellante deduce “erronea e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. – erroneità e difetto di motivazione”, rilevando che il giudice di primo grado ha errato nella valutazione complessiva delle allegazioni e dei documenti offerti al giudizio, in quanto la raccomandata inviata dal conduttore alla locatrice allegata al ricorso introduttivo (v. doc. n. 2 del fascicolo di parte di primo grado), ove correttamente valutata, avrebbe dovuto condurre il Tribunale a ritenere assolto l’onere della prova dell’intervenuta risoluzione del contratto, delle circostanze (violenze e minacce) per le quali si era maturata la risoluzione e della materiale apprensione del compendio aziendale da parte della locatrice.

Quindi, tenuto conto di queste circostanze, e di quelle nuove emerse dal giudizio penale a carico di (omissis), marito della locatrice, tratto a giudizio per il reato di cui all’art. 393 c.p., l’appellante perviene alla conclusione che doveva considerarsi provato il diritto del ricorrente alla restituzione del deposito cauzionale a suo tempo versato.

(omissis) ha riproposto, pertanto, la richiesta, disattesa in prime cure, volta alla condanna di (omissis) alla restituzione della somma di Euro 5.000,00 con gli interessi legali ai sensi dell’art. 1284, comma 4 c.c., oltre alla condanna della medesima (omissis) per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., per non avere aderito all’invito di mediazione, con spese e compensi del doppio grado di giudizio.

Ritiene la Corte che il suddetto motivo sia nel complesso fondato e vada accolto, anche se la sentenza di primo grado si sottrae alle censure mossele quanto alla lamentata violazione dell’art. 116 c.p.c.

Conviene premettere, in linea generale, che “nel contratto di locazione, l’obbligo di restituzione del deposito cauzionale sorge in capo al locatore al termine del rapporto, non appena avvenuto il rilascio dell’immobile locato, con la conseguenza che, ove il locatore trattenga la somma dopo tale evento, senza proporre domanda giudiziale per l’attribuzione, in tutto o in parte, della stessa a copertura di specifici danni subiti o di importi rimasti impagati, il conduttore può esigerne la restituzione. Tuttavia, dallo svincolo, volontario o coattivo, dei beni o somme oggetto di deposito, non può inferirsi in via automatica l’insussistenza di obbligazioni inadempiute del conduttore o di danni da risarcire, dal momento che non è l’accertamento dell’insussistenza di danni ovvero dell’infondatezza di pretese risarcitorie del locatore a far sorgere il diritto alla restituzione del deposito cauzionale del conduttore ma l’avvenuto rilascio dell’immobile. Pertanto, nel giudizio promosso per la restituzione del deposito cauzionale, l’esistenza di eventuali danni può essere dedotta a fondamento di domanda riconvenzionale risarcitoria, nel rispetto dei termini processuali dettati a pena di decadenza, non potendo la semplice allegazione degli stessi considerarsi mera difesa volta a negare la sussistenza del fatto costitutivo del credito azionato” (cfr. Cass. 18069/2019).

Da tutto ciò si ricava, come desumibile dalla motivazione della richiamata sentenza della Corte di Cassazione, per quanto in questa sede rileva, che:

a) “il diritto alla restituzione del deposito cauzionale sorge per effetto della cessazione del rapporto locativo e del rilascio dell’immobile locato, non richiedendo invece necessariamente, con rilievo condizionante, l’accertamento dell’insussistenza di danni ovvero della infondatezza di eventuali pretese risarcitorie del locatore”;

b) l’esistenza di eventuali inadempimenti, non incidendo sui fatti costitutivi della pretesa azionata dall’avente diritto, alla stregua di mera difesa, avrebbe potuto acquisire rilievo paralizzante solo ove opposta a fondamento di rituale e tempestiva eccezione (da qualificarsi come eccezione in senso stretto, secondo pacifica interpretazione dell’art. 1460 c.c.) o domanda riconvenzionale risarcitoria, di tal che, in quel procedimento, la Corte di Cassazione ha ritenuto che correttamente la Corte d’appello aveva escluso ogni rilevanza alla sussistenza dei dedotti inadempimenti, in ragione del rilievo della decadenza dei resistenti dal relativo potere, conseguente alla loro tardiva costituzione in giudizio.

Nella vicenda in esame, (omissis), nel costituirsi nel presente grado per resistere alla pretesa azionata dall’appellante, (a) non ha contestato il fatto storico dell’intervenuta risoluzione del rapporto di affitto in essere con (omissis), non rilevando le modalità (in contestazione) dell’avvenuta risoluzione, essendo incontestato, peraltro, che la (omissis) è rientrata nella piena disponibilità della propria azienda a far data dall’1/4/2019;

(b) non ha mai opposto l’esistenza di eventuali inadempimenti tali da paralizzare l’altrui pretesa alla restituzione del deposito cauzionale versato e, comunque, sarebbe decaduta dal relativo potere di sollevare l’eccezione ex art. 1460 c.c., in conseguenza della sua tardiva costituzione in giudizio, avvenuta solo nel presente grado di appello incontrando così le preclusioni già maturate a suo carico (Cass. n. 6168/2011).

Ciò posto, non può dubitarsi che il principio di non contestazione sia applicabile anche nel processo di appello.

Invero, con costante orientamento la Corte di Cassazione ha affermato che “il principio di non contestazione è applicabile anche in sede di appello, sia perché ha una valenza generale nel processo, sia perché ragioni analoghe a quelle alla base dell’onere di contestazione nella fase introduttiva del giudizio di primo grado sono rilevanti anche nella fase introduttiva del giudizio di appello. In quest’ultima, ferma la non modificabilità della domanda, continuano a operare i principi sulla valorizzazione della leale cooperazione delle parti e il giudice può essere chiamato a valutazioni anche discrezionali circa l’ammissione delle prove, sicché la previa trasparente presa di posizione delle parti sui fatti dedotti è funzionale al principio di economia processuale e può rilevare anche ai fini delle valutazioni che il giudice deve adottare” (Cass. n. 8335/2010).

Pertanto, nel caso in esame, assodato dunque che il diritto alla restituzione del deposito cauzionale sorge al termine della locazione non appena avvenuto il rilascio dell’immobile locato (in ispecie la riconsegna dell’azienda concessa in affitto) non resta che prendere atto del superiore accertamento, correttamente fondato sulla rilevata non contestazione del predetto fatto costitutivo della pretesa azionata dall’appellante, ad opera dell’appellata, costituitasi solo nel presente grado, e rilevare che parte appellante ha, di conseguenza, diritto alla restituzione della somma di Euro 5.000,00 versata a titolo di deposito cauzionale.

Infatti, pur in presenza di un’allegazione precisa e puntuale dei fatti di causa compiuta dall’appellante, la parte appellata, allorché si è costituita nel presente grado, con memoria difensiva depositata l’8 febbraio 2024, non ha assolto l’onere (posto a suo carico) della specifica contestazione del relativo fatto costitutivo dell’altrui pretesa, come sopra identificato alla luce del costante orientamento della giurisprudenza della Corte di Cassazione.

Piuttosto, come emerge dal contenuto della sopra indicata memoria difensiva, in essa veniva rilevata esclusivamente l’insussistenza della dedotta violazione dell’art. 115 c.p.c., argomentando dal corretto rilievo che la norma esclude che il principio di non contestazione operi anche nei confronti della parte rimasta contumace, e si eccepiva l’asserita inefficacia probatoria del prodotto verbale di udienza dibattimentale del 14 aprile 2013, perché relativo a procedimento penale in cui era imputato soggetto diverso dalle parti del presente giudizio civile.

Ora, deve ribadirsi che l’operatività del principio di non contestazione, con conseguente relevatio dell’avversario dall’onere probatorio, postula che la parte dalla quale è invocato abbia per prima ottemperato all’onere processuale, posto a suo carico, di provvedere ad una puntuale allegazione dei fatti di causa, in merito ai quali l’altra parte è tenuta a prendere posizione (Cass. 20525/2020Cass. n. 3023/2016), mentre la generica deduzione di assenza di prova senza negazione del fatto storico non è equiparabile alla specifica contestazione di cui all’art. 115 c.p.c. (Cass. n. 17889/2020).

Ne consegue, nella specie, che l’applicazione del principio citato a favore della parte appellante conduce de plano all’accoglimento della pretesa azionata nei confronti dell’appellata, rendendo superfluo pronunziarsi sulle richieste istruttorie avanzate dal medesimo appellante nel corso del presente giudizio (v. verbale dell’udienza del 17 febbrai 2025), così come sull’ammissibilità della produzione documentale esibita nel presente grado alla luce del regime delle preclusioni nel rito del lavoro/locatizio ai sensi dell’art. 421 c.p.c.

2. – Ad abundatiam, rileva questa Corte che, in ogni caso, la visura camerale indicata e prodotta in atti dall’appellante è tale da fugare ogni dubbio sul presupposto dell’intervenuta cessazione del rapporto di affitto d’azienda tra le parti, in quanto da essa emerge che la (omissis) dopo l’indicata data di risoluzione ha concesso l’azienda ad un nuovo affittuario e, successivamente, ha cessato ogni attività.

Pertanto, quand’anche si volesse riscontrare la necessità di utilizzare la predetta visura camerale per superare una situazione di semiplena probatio (pur insussistente, dato l’indicato effetto di relevatio dell’appellante dall’onere probatorio), tale prova documentale dovrebbe ritenersi, comunque, ammissibile perché rilevante ed indispensabile ai fini della decisione nel presente giudizio di secondo grado, ai sensi dell’art. 421 c.p.c. e, in questa sede di appello, dell’art. 437, comma secondo c.p.c., applicabili, ai sensi dell’art447bis c.p.c. anche alle controversie locatizie, così da risultare consentita l’acquisizione d’ufficio del documento stesso, ancorché non indicato tempestivamente (cfr. tra tante Cass. n. 33393/2019).

E ciò ad ulteriore conferma della fondatezza dell’appello.

3. – In accoglimento del proposto appello, (omissis) va, di conseguenza, condannata al pagamento, in favore dell’appellante, a titolo di restituzione del deposito cauzionale a suo tempo versato, della complessiva somma di Euro 5.000,00.

Su tale somma sono dovuti gli interessi legali che vanno calcolati (Cass. S.U. n. 12449/2024) con decorrenza dall’atto di costituzione in mora inviato alla debitrice con raccomandata a mezzo del servizio postale consegnata in data 8/5/2019 (come risulta dall’informativa delle P. prodotta in primo grado e come, peraltro, incontestato in fatto) al saggio previsto dall’art. 1284, comma 1, c.c. e dal momento del deposito del ricorso introduttivo del giudizio primo grado (22/10/2019) nella misura di cui all’art. 1284, comma 4, c.c. che individua il tasso legale degli interessi, in linea generale, per tutte le obbligazioni pecuniarie (salvo diverso accordo delle parti e salva diversa espressa previsione di legge), per il periodo successivo all’inizio del processo avente ad oggetto il relativo credito, fino al momento del pagamento (così Cass. Sez. 3, ordinanza n. 61/2023).

4. – Tenuto conto delle ragioni dell’accoglimento del gravame e avuto riguardo al principio di causalità si ritiene equo confermare la statuizione dell’irripetibilità delle spese processuali del giudizio di primo grado sostenute da Z.L..

Le spese del grado – liquidate come da dispositivo in base ai parametri medi del vigente D.M. n. 147 del 2022 per le fasi espletate, in esse compresa anche quella di trattazione/istruttoria (Cass. n. 8561/2023 e Cass. n. 30219/2023), con applicazione però, per questa sola fase, dei valori minimi della tariffa, atteso il mancato svolgimento di attività propriamente istruttoria – seguono la soccombenza e vanno poste a carico di (omissis) in favore di (omissis).

Va rigettata la domanda – proposta dall’appellante – di risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 96 c.p.c., non risultando specifici e univoci elementi, idonei a comprovare il necessario elemento soggettivo della responsabilità aggravata di cui all’art. 96 c.p.c.

P.Q.M.

La Corte, definitivamente pronunciando nella causa iscritta al n. 1379/2023 R.G., in accoglimento dell’appello proposto da (omissis) avverso la sentenza n. 1417/2013 del 29 marzo 2023, emessa dal Tribunale di Catania nel procedimento n. 15346/2019 R.G., e in riforma della stessa, condanna (omissis) al pagamento, in favore di (omissis), per la causale di cui in motivazione, della somma di Euro 5.000,00, oltre agli interessi legali con decorrenza dall’8 maggio 2019 al saggio previsto dall’art. 1284, comma 1, c.c. e per il periodo successivo al 22 ottobre 2019, fino al momento del pagamento, nella misura di cui all’art. 1284, comma 4, c.c.

Rigetta la domanda di risarcimento di danni ex art. 96 c.p.c. proposta da parte appellante.

Condanna (omissis) al pagamento, in favore di (omissis), delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi Euro 2.301,00, di cui Euro 174,00 per esborsi ed Euro 2.127,00 per compensi (in essi compresi Euro 425,00 per fase di studio, Euro 425,00 per fase introduttiva, Euro 426,00 per fase di trattazione ed Euro 851,00 per fase decisionale).

Conferma nel resto la predetta sentenza.

Così deciso in Catania il 3 marzo 2025, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte di appello.

Depositata in Cancelleria il 10 marzo 2025.

Allegati

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