SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
(omissis) conveniva in giudizio (omissis) per ottenerne la condannata al pagamento dell’orologio da polso Rolex mod. Daytona, del valore di € 16.000, che lo stesso indossava il 24.5.2016 e che aveva smarrito in cantiere mentre era impegnato nelle operazioni di sblocco di una betoniera, assumendo che il danno era derivato da un malfunzionamento delle dotazioni di (omissis).
In particolare, l’attore deduceva che:
– il fatto si verificava entro il perimetro di cantiere edile condotto in appalto dalla terza società Ediler S. Coop. Srl, presso e alle dipendenze della quale egli era assunto con mansioni di capocantiere;
– il (omissis) si recava in cantiere per ispezionare le operazioni di getto del calcestruzzo, ad opera della (omissis) che vi avrebbe dovuto provvedere mediante impiego di propria betoniera automotrice ed a mezzo di proprio personale dipendente e, nel momento in cui arrivava in cantiere, verso le ore 16 circa, la gettata era già stato iniziata dagli operai di (omissis);
– la gettata doveva interessare una vasta area di cantiere, essendo difatti in programma la realizzazione di una platea di circa 250 metri quadrati di superficie, e dello spessore di alcune decine di centimetri, costituente la piattaforma di fondazione del complesso degli erigendi edifici;
– il getto di calccestruzzo, che era stato sino a poco prima curato dagli addetti (omissis) mediante manovra della betoniera e del tubo in gomma flessibile d’uscita in pressione, risultava interrotto in quanto il tubo di scarico in pressione, della lunghezza di alcuni metri e del diametro di 15 cm., risultava essersi ostruito, ragion per cui gli addetti (omissis) stavano eseguendo le operazioni di liberazione, che avvenivano mediante getto ad alta pressione;
– terminate tali operazioni, la colata di cemento veniva quindi ripresa dagli addetti (omissis) che curavano la manovra e il direzionamento della tubazione flessibile nei vari punti della superficie da riempirsi, su indicazioni del (omissis) che rimaneva presente ed a breve distanza;
– dal momento che, tuttavia, nonostante ripetute istruzioni e indicazioni da parte del (omissis) gli addetti di (omissis) continuavano ad operare irregolarmente e disomogeneamente la distribuzione del calcestruzzo liquido, il (omissis) stesso chiedeva ed otteneva, dagli addetti (omissis) di sospendere nuovamente l’erogazione e di manovrare direttamente l’estremità d’uscita del tubo flessibile in gomma, così da poter fattivamente esemplificare agli addetti la corretta modalità di versamento;
– ottenuto il consenso, il (omissis) impugnava manualmente la catena metallica, che gli addetti di (omissis) avevano già agganciato all’estremità d’uscita del condotto di calcestruzzo, e lo direzionava, in attesa che il personale di (omissis) desse di nuovo l’avvio alla pompa di erogazione;
– dopo pochi minuti dalla ripresa del getto di calcestruzzo, mentre ancora il (omissis) impugnava il tubo d’adduzione con le descritte modalità, si verificava un’ulteriore e repentina otturazione;
– senza neppure aver dato al (omissis) il tempo di abbandonare la presa e di allontanarsi, la tubatura si muoveva con un’improvvisa e violentissima sferzata, di forza tale da sollevare il (omissis) da terra e sbalzarlo a distanza di alcuni metri;
– dopo essersi rialzato, ed essersi accertato dell’assenza di danni fisici, il (omissis) si avvedeva di non indossare più al polso sinistro l’orologio Rolex che egli portava sino ad un istante prima dell’infortunio;
– dal momento che tutto l’incidente si verificava in prossimità dell’area irrorata di calcestruzzo liquido, dopo avere perlustrato tutto il terreno circostante insieme con vari operai addetti al cantiere per conto dell’impresa edile, col medesimo ausilio egli dava inizio a lunghe ricerche dell’orologio anche entro il calcestruzzo già in situ, allo scopo di verificare se l’orologio, nel distaccarsi, vi fosse stato proiettato;
o) anche questa ricerca non sortiva frutto alcuno, di talchè l’orologio rimaneva definitivamente irreperibile, essendo caduto entro il getto di cemento.
Poiché, ad avviso dell’attore, la perdita dell’orologio Rolex si era verificata per fatto e colpa di (omissis) lo stesso incardinava la causa di risarcimento di cui al presente giudizio.
Si costituiva (omissis) contestando l’an del sinistro, lamentando in particolare la mancanza di prova dell’identità dell’orologio, del suo valore, del fatto che il (omissis) lo indossasse nella circostanza, e che lo smarrimento si fosse verificato per effetto e conseguenza dell’incidente occorso, concludendo comunque per la non risarcibilità del danno in ragione del carente impiego di presidi antinfortunistici da parte del (omissis) in ogni caso chiamava in garanzia e manleva, la propria Compagnia, (omissis), per la denegata ipotesi di condanna risarcitoria a suo carico.
Costituitasi in giudizio, (omissis) nel merito, si associava alla linea difensiva della convenuta, sostenendo, comunque, che la copertura assicurativa non sarebbe intervenuta a coprire il sinistro per inoperatività della polizza, in quanto il Geom. (omissis) aveva partecipato alle operazioni di scarico del calcestruzzo perdendo così la necessaria qualità di soggetto “terzo” tale da essere quindi indennizzato con la polizza appunto denominata “Responsabilità civile verso terzi”.
All’esito dell’istruttoria, nella quale veniva dato ingresso alle prove orali richieste dalle parti, il Tribunale rigettava la domanda di parte attrice, che condannava alla rifusione delle spese di lite in favore di parte convenuta, compensando quelle tra le altre parti in causa.
Ad avviso del primo Giudice – potendosi anche tener ferma la dinamica dei fatti narrata in citazione – occorreva chiedersi se fosse ammesso il risarcimento del danno procurato al bene di un soggetto che, volontariamente, aveva contribuito all’esecuzione di attività materiali all’interno di un cantiere, domanda a cui dava risposta affermativa, ritenendo potersi ricondurre la tutela personale del (omissis) già capo-cantiere, agli obblighi di protezione del datore di lavoro, che coprono senz’altro anche l’attività materiale di chi, spontaneamente, offre una mano ai suoi collaboratori, rimanendo, quindi, nell’ambito degli obblighi di protezione che discendono dall’art. 2087 c.c., considerato anche che il capo-cantiere che svolge mansioni materiali va protetto come un lavoratore qualsiasi.
Tuttavia, nel caso di specie, l’anomalia stava nel fatto che il danno era stato procurato nel momento in cui lo stesso (omissis) era impegnato a maneggiare un’attrezzatura, che asseriva avesse mal funzionato.
Orbene, il Decreto Legislativo n. 81/2008, in tema di dotazioni di sicurezza per i lavoratori. Stabilisce due obblighi:
1) il datore di lavoro è tenuto, sapendo le caratteristiche della sua azienda, a fornire capi adeguati per i propri dipendenti (e a sostituirli periodicamente se necessario);
2) i lavoratori sono tenuti a utilizzare tutti i pezzi forniti dal datore di lavoro, avendone cura, manutenendoli e igienizzandoli, non apportando alcuna modifica senza averne prima l’approvazione ed, in caso di difetti, riferire a chi di competenza per poterli sostituire.
Alla luce di tali obblighi il Tribunale escludeva che lo smarrimento dell’orologio, staccatosi dal polso, potesse essere un danno risarcibile.
Sulla scorta della normativa che governa gli obblighi di protezione, se, da un canto, è corretto fare carico al datore di lavoro (e suoi ausiliari) di approntare un ambiente di lavoro sicuro, facendo carico allo stesso di un costo ragionevolmente commisurato all’entità delle risorse che egli può impiegare per contenere i danni legati alla propria attività (ex art. 1225 c.c.), dall’altro detto costo non può ricomprendere anche i danni eventuali imputabili alla incauta iniziativa del capo-cantiere che, nella specie, aveva iniziato a cooperare volontariamente con gli operai, senza adeguarsi alle norme che presiedono alla vestizione.
Così ridefiniti i termini della questione, il danno non era stato provocato da un’attrezzatura fallata di proprietà di (omissis) ma dall’attività del cantiere in cui operavano (anche) gli operai di (omissis) si trattava, dunque, di un danno procurato non dalla macchina, ma mentre lo stesso (omissis) operava sulla macchina, alla stregua degli operai che quel giorno stava indottrinando.
Tuttavia, osservava il primo Giudice, non poteva imputarsi alla società convenuta il costo relativo al danneggiamento di un accessorio, indossato dal ‘volontario’ (omissis) che esulava del tutto dal catalogo degli indumenti (imposti e/o suggeriti in un cantiere) e dal valore del tutto esorbitante rispetto al valore dei beni patrimoniali che normalmente compongono la dotazione individuale degli operai impegnati in cantiere.
Sarebbe stato molto più razionale che (omissis) – volenterosamente approntatosi a spiegare come andava versato il calcestruzzo – si premurasse di togliere il Rolex, proprio per evitare l’indesiderato risultato infine verificatosi.
Si trattava, quindi, di un danno da imputare integralmente alla auto-responsabilità del danneggiato.
§ Avverso detta pronuncia proponeva appello (omissis), insistendo per l’accoglimento della propria domanda risarcitoria.
Si costituivano in giudizio (omissis) e (omissis) entrambe concludendo per il rigetto del gravame e la conferma dell’impugnata Sentenza.
In via subordinata (omissis) insisteva per il rigetto della domanda di manleva e garanzia.
Con Ordinanza del 21 novembre 2023 questa Corte respingeva l’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva dell’impugnata Sentenza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo l’appellante sostiene che erroneamente il primo Giudice avrebbe inquadrato la figura del (omissis) sotto la specie di un qualsiasi preposto o dipendente del datore di lavoro (omissis) per il sol fatto che, nella circostanza, il (omissis) stesso – capocantiere per conto di altra azienda – si era prestato volontariamente, occasionalmente e interinalmente, seppure per breve frazione temporale, al getto di calcestruzzo, e per avere assunto, in tale frangente, la manovra dell’estremità del macchinario, non potendosi assumere che chiunque, per il sol fatto di trovarsi ad espletare un’attività lavorativa in concomitanza con altro soggetto, o valendosi delle sue apparecchiature, debba perciò solo considerarsi soggetto al potere direttivo e alle prescrizioni altrui, o tantomeno qualificarsi come soggetto che si obblighi, a qualunque titolo, all’esecuzione di una data prestazione alle altrui dipendenze, così da potersi qualificare come vero e proprio addetto preposto dall’imprenditore.
Ciò tanto più laddove il soggetto, operante nel caso singolo, presti la propria opera autonomamente, come nel caso del lavoratore autonomo, al quale non si estendono certo gli obblighi di protezione dettati per i dipendenti dell’imprenditore, cui pure egli si trovi, in una data circostanza, a prestare la propria opera, financo in concomitanza col lavoro di altro personale dipendente dell’impresa.
In un caso come quello di specie, non si può dedurre, anche solo in via d’ipotesi, che i connotati del dipendente anche occasionale potessero caratterizzare la prestazione d’opera del soggetto coinvolto, peraltro e manifestamente operante quale soggetto autonomo, legato da contratto a terza azienda, e, quindi, in nessun modo la normativa protezionistica generale, di cui all’art. 2087 c.c., può essere invocata, rimanendo, invece, a carico dell’imprenditore, la responsabilità per violazione della norma generale del neminem laedere, ai sensi dell’art. 2043 c.c., dettata nei confronti di tutti coloro che dipendenti non sono, pur se operanti per suo conto o interesse o nello stesso frangente produttivo.
Quello in esame, opina l’appellante, era correttamente da qualificarsi come un caso di responsabilità oggettiva per esercizio di attività pericolosa ex art. 2050 c.c., non potendo revocarsi in dubbio che proprio l’essenza, il funzionamento e le immanenti problematiche, connessi al fatto (violento urto subito per effetto di malfunzionamento di macchinario altrui, non adeguatamente manovrato od arrestato alle prime avvisaglia di un fenomeno ostruttivo non ignoto agli operatori del settore), diano compiuta ragione dell’invocazione della responsabilità di cui all’art. 2050 c.c., specie in materia, quale quella dell’attività edilizia, che già per suoi stessi connotati generali risulta peculiarmente soggetta a rischio infortunistico, sia nel suo ordinario svolgimento, sia quando essa comporti rilevanti opere di trasformazione, interessanti vaste aree.
Con il secondo motivo si contesta la riproduzione dei fatti operata dal primo Giudice, in quanto il (omissis) non aveva affatto preso parte alle operazioni di sblocco della pompa, verificatosi anzi poco prima del suo intervento, in quanto, solo una volta che gli addetti di (omissis) avevano, a loro dire, provveduto allo sbloccaggio e a nuovamente approntare il macchinario per la rimessione in funzione, e dopo che era già ripresa la gettata, il (omissis) si sostituiva all’addetto sino ad allora operante, per effettuare la manovra del terminale.
Avrebbe, quindi, errato, il Tribunale, nel ritenere incauta l’iniziativa del di continuare ad indossare l’orologio durate tale operazione, poiché, in assenza del malfunzionamento del macchinario, e pertanto del fenomeno di anomalo dinamismo interno sprigionatosi da quest’ultimo, l’operazione di getto del calcestruzzo, affatto pericolosa, avrebbe potuto essere iniziata o proseguita, da qualunque soggetto vi fosse addetto, senza il benché minimo coinvolgimento di qualsiasi oggetto fosse indossato al polso, trattandosi di manovra all’esecuzione della quale, per i suoi atti immanenti, ogni oggetto indossato al polso era e rimaneva completamente ininfluente e privo di possibilità d’interferenza alcuna.
L’avulsione dell’orologio, e quindi il danno a carico dell’interessato, non si verificava affatto per conseguenza di un’attività in sé incompatibile con l’avere indossato un orologio, ma solo in quanto procurato dalla macchina stessa e quale conseguenza del mancato tempestivo intervento degli addetti Betonscavi, appositamente preposti alla manovra della pompa elettrica e al suo eventuale arresto immediato, che veniva trascurato e colpevolmente omesso nella specie.
Con il terzo motivo l’appellante si duole del fatto che il Tribunale avrebbe completamente omesso la ricostruzione fattuale, nonostante l’istruttoria esperita in prime cure avesse confermato sia il danno che l’entità pecuniaria dello stesso, pari alla cifra oggetto del petitum attoreo.
Invero: il teste (omissis) ha confermato che il (omissis) quel giorno, e precisamente sino all’arrivo delle autobetoniere, indossava effettivamente al polso un orologio Rolex e che tale orologio era ancora indossato dal (omissis) nel momento in cui il teste s’allontanava, subito prima o durante le operazioni di stesura del calcestruzzo governate dall’odierno attore, specificando che l’oggetto gli era ben noto, in quanto il (omissis) lo indossava sempre, in qualsiasi circostanza, ed anche quando lavorava in cantiere lo aveva sempre al polso.
D’altro canto, la deposizione testimoniale dell’orefice (omissis) ha consentito d’accertare che effettivamente il (omissis) aveva da lui acquistato un orologio Rolex, mod. Daytona, in acciaio con quadrante nero, verosimilmente nell’anno 2004, data appurata in base a consultazione dei documenti interni della ditta (omissis) intervenuta in occasione di una richiesta di certificazione rivolta dal (omissis) stesso nell’anno 2017, conformemente rilasciata; che l’oggetto era stato pagato regolarmente e che il suo valore, all’epoca della vendita, si attestava attorno agli € 16.000, non potendosi negare il mantenimento di valore di un simile orologio, di marca assolutamente notoria e prestigiosa, oggetto di spiccato e costante interesse collezionistico, con conseguente mantenimento di elevate quotazioni medie.
L’impugnazione è priva di fondamento.
In primo luogo va rilevata l’evidente contraddizione in cui cade l’appellante, che prima si dilunga per dimostrare che quella posta in atto era un’attività pericolosa, sia per il pericolo insisto nella stessa attività edilizia, sia perché “costituiscono attività pericolose ai sensi dell’art. 2050 c.c. …le diverse attività che comportino la rilevante probabilità del verificarsi del danno, per la loro stessa natura e per le caratteristiche dei mezzi usati” (Cass. 10.2.2003 n. 1954) e, nel paragrafo successivo, si dilunga, altrettanto, per dimostrare che nessun pericolo poteva esserci nell’attività posta in essere, cioè nel mero direzionamento del tubo per il getto di calcestruzzo, che ben poteva essere effettuato con un Rolex al polso.
Peraltro, ciò che rileva ai fini del presente giudizio non è tanto l’esatta individuazione della norma da applicare ai fini dell’individuazione della responsabilità, quanto la violazione delle norme da parte dell’appellante stesso, che connotano la sua responsabilità, talmente grave da porsi come unica causa del danno.
Il secondo comma dell’art. 1227 c.c. recita testualmente: “Il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza”, considerando che quella posta in essere deve essere una condotta conforme al modello di comportamento esigibile dall’homo eiusdem condicionis et professionis e allo sforzo diligente adeguato alle concrete circostanze del caso, dandosi “rilievo alle sole condotte “oggettivamente” non prevedibili secondo la normale regolarità causale, nelle condizioni date, in quanto costituenti violazione dei doveri minimi di cautela la cui osservanza è normalmente prevedibile (oltre che esigibile) da parte della generalità dei consociati e la cui violazione, di conseguenza, è da considerarsi, sul piano puramente oggettivo della regolarità causale, non prevedibile né prevenibile” (Cass. n. 35966/2023; Cass., n. 21675/2023).
E’, infatti, principio giurisprudenziale consolidato che non è né consentita, né giustificabile l’esposizione volontaria ad un rischio superiore a quello consentito dal rispetto delle regole di comune prudenza e del dovere di agire per preservare gli interessi degli altri soggetti coinvolti nella vicenda (in tal senso anche Cass. SS.UU. n. 9769/2020).
Orbene, nel caso di specie non è seriamente sostenibile che mettersi a direzionare la “proboscide” di una betoniera per dirigere il getto di calcestruzzo su una fondazione sia un’attività da svolgersi con al polso un orologio da 16.000 €uro.
E non tanto per la prevedibilità di un evento eccezionale, che pure può sempre capitare in un cantiere, specie durante l’uso di mezzi meccanici complessi, ma per l’ovvia ragione che il solo, serio e più che probabile, rischio che il calcestruzzo potesse finire sopra l’orologio, danneggiandolo, avrebbe dovuto indurre l’appellante a privarsi del prezioso oggetto.
E se tanto vale a livello di comune e minima, diligenza e prudenza esigibili, il quadro diventa ancor più grave laddove si ponga mente, oltre alle norme del codice sostanziale, alle disposizioni speciali in materia, con particolare riferimento al D.lgs. 9 aprile 1998 n. 81, al D.lgs. 3 agosto 2009 n. 106 ed all’atto prot. 3328 del 10 febbraio 2011 del Ministero del Lavoro, i quali elencano gli obblighi normativi del datore di lavoro e del lavoratore e che, con riguardo all’abbigliamento e agli oggetti personali prevedono espressamente che, chi si appresta a svolgere lavori edilizi, per di più con l’impiego di mezzi meccanici in movimento, deve indossare calzature antinfortunistica, casco, tuta senza lacci e guanti, e non indossare collane, bracciali e monili che possano rimanere agganciati alle componenti delle macchine operatrici.
Nel citato atto emanato dal Ministero del Lavoro, al par. 6.3.4., alla voce “operazioni di pompaggio (uso del braccio di ATBP e della pompa”), sottovoce “urto”, si trovano descritte le condotte che devono essere adottate dai conducenti le betoniere e dagli operatori di cantiere ai fini della sicurezza e prevenzione infortuni e, fra i fattori di rischio, è indicato l’aumento improvviso della pressione dovuto ad una imprevedibile occlusione della pompa, cioè quello verificatosi nel caso di specie; in tali casi la norma prevede che l’operatore addetto al governo del tubo (proboscide) si posizioni in maniera opportunamente distanziata dallo stesso, in modo da non subire gli effetti di improvvise oscillazioni, escludendo la possibilità di ricorrere all’uso di catene o corde per sorreggere il terminale di scarico, cosa che invece, ha fatto l’appellante, per sua stessa ammissione (pag. 3 appello).
La citata normativa, peraltro, impone che i conducenti delle betoniere si astengano dal compiere manovre sul terminale di scarico del calcestruzzo, essendo il suo utilizzo di esclusiva competenza degli operatori della ditta committente, nel caso di specie la Ediler Società Cooperativa, alle cui dipendenze l’appellante era impiegato in qualità di responsabile di cantiere.
Ciò perchè lo scarico del calcestruzzo implica taluni rischi specifici per i quali il disciplinare di sicurezza prevede le predette misure di prevenzione (dotazioni personali, DPI, distanziamento dal tubo ecc.), cui il (omissis) non si è affatto attenuto, il che è, se possibile, ancor più grave se si considera che le operazioni di pompaggio vennero avviate, condotte e terminate secondo gli ordini impartiti dall’appellante il quale agiva nella qualità di capo cantiere, cioè di soggetto responsabile tanto della direzione quanto della sicurezza del processo.
Ne discende che il (omissis) non ha impiegato quella perizia e diligenza che è lecito esigersi da un capo cantiere, sia per aver posto in essere una manovra non consentita (uso della proboscide mediante catena) sia per aver effettuato tale manovra portando al polso un orologio con bracciale metallico.
Il fatto, poi, che detto orologio fosse particolarmente costoso, come detto, costituisce un comportamento imprudente ed irresponsabile per qualunque individuo di comune avvedutezza.
Si verifica, quindi, l’ipotesi in cui l’efficienza causale del comportamento imprudente del danneggiato, ex art. 1227 cod. civ., assume un grado di incidenza causale sull’evento dannoso, tale da interrompere il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, così da rendere insussistenti la responsabilità da cose in custodia (2051 c.c.), quella dei committenti per il fatto dei loro sottoposti (2049 c.c.), quella aquiliana (2043 c.c.) e quella per l’esercizio di attività pericolose (2050 c.c.).
Ciò senza considerare che, in ogni caso, nella specie difetta del tutto sia la prova che l’orologio perduto fosse effettivamente un Rolex di quel valore, sia la prova del nesso causale, considerato che l’appellante non ha provato che la presunta perdita dell’orologio sia effettivamente avvenuta nel momento dello scarico del calcestruzzo, né in che modo sarebbe avvenuta l’ipotetica rottura del cinturino, a nulla rilevando, in tal senso, le deposizioni testimoniali citate dall’appellante, in quanto sia il teste (omissis) che il teste (omissis) hanno dichiarato di non aver assistito al sinistro.
Le spese del grado seguono la soccombenza nel rapporto fra l’appellante e la (omissis) mentre vengono integralmente compensate riguardo alla (omissis) in quanto, come ammesso da quest’ultima, “l’appello non attiene al rapporto assicurativo di manleva e garanzia, esclusivamente pendente fra l’appellato (omissis) e la compagnia assicuratrice”.
P.Q.M.
La Corte, definitivamente pronunciando sull’appello proposto da (omissis) nei confronti di (omissis) e (omissis) avverso la Sentenza del Tribunale di Parma n. 448/2023, così dispone:
A) Rigetta l’appello e conferma l’impugnata Sentenza.
B) Condanna (omissis) al pagamento, in favore di (omissis) delle spese del grado, che, in assenza di qualsiasi attività istruttoria, liquida in complessivi € 2.500, oltre rimborso forfettario, IVA e CPA, come per legge.
C) Compensa integralmente le spese di lite fra (omissis) le altre parti in causa.
D) Ricorrono i presupposti di cui all’art.13 comma 1 quater DPR n.115 del 2002 per il versamento, da parte dell’appellante, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’appello.
Così deciso in Bologna il 3.10.2025
