(omissis)
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. La vicenda che ha dato rigine alla lite è stata così narrata nella sentenza impugnata:
“Con atto di citazione ritualmente notificato, (omissis) conveniva in giudizio (omissis) al fine di sentir accertate la presenza di gravi anomalie al funzionamento dei sistemi di sicurezza della propria autovettura AUDI (omissis) tg. (omissis) e per l’effetto condannare la società convenuta al al risarcimento dei danni, quantificati in euro 20.460,57.
A sostegno della domanda, l’attore deduceva che in data 7.12.2019, alle ore 10:00 circa, mentre era intento a percorrere la S. S. 16 (Lecce-Maglie) giunto al Km 962+600mt, in prossimità del cavalcavia ivi situato, andava a collidere con l’autovettura Volvo (omissis) tg. (omissis) che lo precedeva.
Sosteneva, altresì, che l’impatto avveniva ad una velocità pari a circa 15km/h e che non si attivava il sistema “(omissis)” (sistema che identifica i rischi di collisione e riduce la velocità in autonomia fino ad evitare l’impatto), e al contempo si att autonomia fino ad evitare l’impatto), e al contempo si attivavano tutti gli airbag di cui la vettura era dotata. Osservava, dunque, che tali malfunzionamenti derivassero da gravi vizi e difetti del veicolo di sua proprietà.
L’odierno attore proponeva nei confronti di (omissis) (titolare della rivendita da cui aveva acquistato l’autovettura) e (omissis) S.p.A. giudizio di accertamento tecnico preventivo che si concludeva con il deposito della relazione peritale definitiva, a firma del C.T.U. Ing. (omissis), in data 14.05.2021.
Si costituiva (omissis) eccependo il difetto di legittimazione passiva passivapassiva sostenendo di non essere produttore del veicolo, ma solo distributore per l’Italia, e al contempo di non possedere stabilimenti di produzione auto a marchio Audi. Nel merito, eccepiva che le cause del sinistro dovessero essere ricondotte esclusivamente alla condotta del guidatore, e contestava le valutazioni peritali del valutazioni peritali del consulente nominato nel giudizio di Accertamento Tecnico Preventivo che, pur avendo notato la differenza di danni riportati dai due veicoli coinvolti, non aveva ricondotto tale diversità alla giusta causa.
Infine, precisava che l’attivazione degli airbag non era solo alla velocità del veicolo, ma derivava da un insieme di fattori rischio ed, inoltre, asseriva che il sistema (omissis) in alcune circostanze, tra cui i tratti di strada curvilinei, poteva non intervenire così come specificato nel manuale d’uso Audi”
Con sentenza n. 1820 del 13.6.2023 il tribunale di Lecce ha accolto la domanda attorea condannando (omissis) s.p.a. al pagamento in favore di (omissis) della somma di € 15.937,01 a titolo risarcitorio, oltre accessori e spese processuali.
1.2. A sostegno della decisione adottata, il tribunale ha argomentato come segue: – ha innanzitutto affermato la legittimazione passiva della società convenuta, sulla scorta, delle risultanze della visura camerale in atti; – ha accertato in base alle risultanze dell’ ATP n. 3414/2020 R.G. svolto ante causam, la sussistenza del malfunzionamento del sistema di sicurezza della vettura Audi (omissis), di proprietà, dell’attore, verificatosi in occasione del sinistro stradale del 7.12.2019, nonché l’entità dei danni quantificati dallo stesso CTU in € 15.937,01.
2. Ha proposto appello (omissis) ed ha chiesto che, in ed ha chiesto che, in totale riforma della sentenza impugnata, fosse rigettata la domanda risarcitoria proposta dall’attore in primo grado.
Si è costituito (omissis) ed ha chiesto il rigetto dell’appello.
A seguito di trattazione scritta, con ordinanza del 3.4.2024, la causa è stata trattenuta per la decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
3. L’appello si articola in due motivi.
3.1 Con il primo motivo di impugnazione, (omissis) s.p.a. ha dedotto di essere mera distributrice per l’Italia dei veicoli (omissis), (omissis), (omissis), (omissis), (omissis) e (omissis) avrebbe errato, pertanto, il tribunale a ritenerla passivamente legittimata rispetto all’azione di responsabilità proposta da (omissis), non essendo configurabile nei suoi confronti la qualifica di produttore produttore/costruttore .
Il motivo è infondato.
Quanto affermato dalla società appellante è smentito documentalmente dalla visura camerale in atti (cfr capo B) dell’oggetto sociale); la suggestiva argomentazione difensiva difensiva secondo cui non esistono stabilimenti produttivi di (omissis) sul territorio italiano, non permette di escludere che la produzione (menzionata nell’oggetto sociale) avvenga altrove; è inoltre incontestata, e riscontrata dalla acquisizione in atti della home page estratta dal sito internet della stessa società, la qualifica di quest’ultima come consociata italiana del gruppo (omissis) (cfr allegato 4 alle note ex art. 183 comma 6 n. 3 nel fascicolo di parte attrice in primo grado).
Tanto basta a confermare il giudizio espresso dal tribunale in ordine alla sussistenza della legittimazione passiva dell’appellante rispetto all’azione di responsabilità del produttore proposta da (omissis).
Ma v’è di più.
La suprema corte, in linea con le indicazioni espresse della corte di giustizia Europea, ha statuito, a tutela dei consumatori, che “è produttore ai fini della responsabilità per danno da prodotto, anche il fornitore che abbia distribuito in Italia un prodotto contrassegnato con un marchio in tutto o parte corrispondente alla propria denominazione” (cass. civ. sez. III, 7.12.2017 n. 29327). Con la stessa sentenza la corte di cassazione ha rimesso le parti dinanzi alla corte d’appello di Firenze, invitandola a rivalutare i fatti oggetto di quel giudizio uniformandosi al seguente principio di diritto: “Il distributore o l’importatore rispondono del danno causato dal vizio costruttivo del prodotto, se abbiano un marchio od una ragione sociale coincidenti in tutto od in larga parte con quelli del produttore, e sotto tali segni parte con quelli del produttore, e sotto tali segni parte con quelli del produttore, e sotto tali segni distintivi abbiano commercializzato il prodotto.
Di recente, con sentenza n. 26135/2023, la corte di cassazione ha escluso la legittimazione passiva di (omissis) s.p.a. in una vicenda analoga a quella oggetto del presente giudizio .
Un’attenta lettura della motivazione espressa dalla suprema corte consente consente di escludere che le due fattispecie siano sovrapponibili e che possa essera adottata l’invocata pronuncia di inammissibilità dell’azione risarcitoria risarcitoria, per difetto di legittimazione passiva di (omissis) s.p.a.
Differenza fondamentale tra la causa definita in sede di legittimità e quella oggetto del presente giudizio sta nel fatto che (omissis) s.p.a., pur avendo negato in entrambi i casi di possedere la qualifica di produttrice, nel primo (quello definito in sede di legittimità) ha fornito precise indicazioni per l’identificazione del produttore, nel secondo (quello affidato al giudizio di questa corte) non lo ha fatto.
Per comodità di lettura si riportano gli argomenti espressi dalla suprema corte:
“Occorre preliminarmente ricostruire il quadro normativo nel quale si collocano le censure articolate nei motivi in esame.
A) Per mezzo del d.P.R. n° 224 1988 è stata data attuazione, nell’ordinamento italiano, alla Direttiva CEE 85/374, disciplinante la materia della responsabilità del produttore. Alcuni anni dopo, detta disciplina è stata assorbita nel d. lgs. n° 206 del 2005, c.d. “Codice del consumo”, Testo Unico che raccoglie gli atti legislativi e regolamentari, quasi tutti attuativi di Direttive comunitarie, aventi per oggetto la tutela dei consumatori.
In particolare, l’art. 116 del d.lgs. 206/05, che disciplina la “Responsabilità del fornitore”, così dispone: <<1. Quando il produttore non sia individuato, è sottoposto, alla stessa responsabilità il fornitore che abbia distribuito il prodotto nell’esercizio di un’attività commerciale, se ha omesso di comunicare al danneggiato, entro il termine di tre mesi dalla richiesta, l’identità e il domicilio del produttore o della persona che gli ha fornito ilprodotto prodotto prodotto. […omissis…]
B) Il suddetto articolo prevede, nel primo comma, la sottoposizione del fornitore (cioè colui il quale distribuisce prodotto nell’esercizio di una attività commerciale) a responsabilità quando il produttore non sia individuato, oppure quando il fornitore, trascorso un periodo di tre mesi dalla richiesta del danneggiato, non abbia comunicato all’interessato l’identità ed il domicilio del produttore. La responsabilità alla quale è sottoposto il fornitore sorge quando abbia omesso di ottemperare ad un preciso dovere, cioè comunicare al danneggiato, entro un ristretto lasso di tempo (tre mesi) dalla richiesta, l’identità ed il domicilio di chi abbia prodotto il bene difettoso. Dunque, l’art. 116 cod. consumo è norma che, al ricorrere di certi presupposti, equipara, ai fini della responsabilità, la posizione del fornitore a quella del produttore, allo scopo di consentire al danneggiato di individuare più facilmente il soggetto contro il quale proporre l’azione risarcitoria. La responsabilità del fornitore è la stessa alla quale è sottoposto il produttore, ma non è con essa solidale: essa, infatti, si configura come responsabilità indiretta, in quanto, al ricorrere di determinati presupposti, è chiamato a rispondere un soggetto diverso dal produttore, cioè da colui che è il responsabile del danno). Invero, la responsabilità del fornitore viene affermata (non sulla base di una ipotetica partecipazione del fornitore al processo produttivo ed a quello causale che ha determinato l’evento dannoso, bensì) allo scopo di indurre il fornitore a rivelare l’identità del produttore, in modo che questi risponda dei danni subiti dall’utilizzatore del bene. Il danneggiato, al fine di ottenere il risarcimento, viene così liberato dall’onere di compiere indagini (che potrebbero essere anche complesse) sull’identità dall’onere di compiere indagini (che potrebbero essere anche complesse) sull’identità del produttore. Essendo il fornitore il soggetto che ha posto il danneggiato nella disponibilità del prodotto, quest’ultimo potrà rivolgersi direttamente al fornitore, che potrà sottrarsi ad ogni responsabilità permettendo l’individuazione del fabbricante o dell’importatore . […omissis…];
la domanda del […omissis…] è infondata in quanto, come risulta dal contenuto del controricorso della società fornitrice (omissis), quest’ultima, depositando il certificato cronologico, ha collaborato all’identificazione del produttore, che è rimasto individuato. Per questa ragione, la società fornitrice (omissis), non produttore, non avrebbe potuto essere ritenuta responsabile del danno denunciato al posto del produttore ai sensi dell’art. 116 cod. consumo” (cass.civ. sez. III, 22.6.23 n. 26135).
Quanto esposto permette di concludere che (omissis) ha correttamente indirizzato la propria domanda risarcitoria (per responsabilità del produttore) nei confronti di (omissis) citando la società convenuta come il soggetto di più immediata individuazione soggetto di più immediata individuazione soggetto di più immediata individuazione soggetto di più immediata individuazione soggetto di più immediata individuazione, nella sua veste di produttore/importatore/distributore dei veicoli a marchio (omissis).
La convenuta (omissis) invece, non ha fornito indicazioni sufficienti per l’identificazione e la localizzazione di quello che, a suo avviso, avrebbe dovuto essere considerato, in sua vece, il reale produttore della vettura di proprietà di (omissis); ed invero, nella comparsa di costituzione in primo grado si legge: “La convenuta (omissis) S.p.A. riveste il mero ruolo di distributore per l’Italia dei veicoli Volkswagen, i quali vengono consegnati alle Concessionarie direttamente dalla Casa Madre produttrice (omissis); nelle note ex art. 183 comma 6 n. 1, nessuna indicazione utile; nelle note ex art. 183 comma 6 n. 2 si legge: “i veicoli Audi (omissis), esattamente come quello del Sig. (omissis) sono comunque prodotti in Germania e più precisamente nello stabilimento di Ingolstadt, Casa Madre, essa sì, che ospita la sede della casa automobilistica Audi insieme alle città di Neckarsulm – sempre in Germania – e Bruxelles, in Belgio (quest’ultima peraltro solo per la produzione delle più piccole A1 e A1 Sportback)”; nelle note ex art. 183 comma 6 n. 3 nessuna indicazione utile; in comparsa conclusionale si legge: “i veicoli Volkswagen vengono infatti consegnati alle Concessionarie direttamente dalla Casa Madre produttrice tedesca (omissis), con sede a Wolfsburg, Germania.”; nell’atto di appello a pag. 10 si legge: pag. 10 si legge: “i veicoli Audi (omissis), esattamente come quello del Signor (omissis), vengono prodotti negli stabilimenti della casa automobilistica (omissis), avente sede legale in Ingolstadt (Germania)”; a pag. 11 si legge: “i veicoli vengono consegnati alle Concessionarie proprio da (omissis), la quale a sua volta li riceve dalla Casa Madre produttrice tedesca (omissis) con sede a Wolfsburg, Germania”; ed infine, a pag. 16 si legge “posto che il produttore (omissis), ben identificato, si trova in Germania”; in comparsa conclusionale d’appello, si legge a pag. 4: “come documentalmente dimostrato, i veicoli Audi (omissis), esattamente come quello acquistato dal Signor (omissis) sono prodotti in Germania, e più precisamente nello stabilimento di Ingolstadt. In tale sede è insediata la casa automobilistica (omissis). Altre sedi si trovano nella città di Neckarsulm – sempre in Germania – e di Bruxelles in Belgio (quest’ultima ultima , peraltro, solo per la produzione delle più piccole A1 e A1 (omissis); nelle note conclusionali di replica in appello, dopo il richiamo alla citata sentenza n. 26135/2023 della corte di Cassazione, si legge: “La Cassazione ha ritenuto che la filiale non sia qualificabile come produttore, ma come semplice fornitore che non partecipa al processo produttivo e può essere assimilato al produttore solo se non comunica al danneggiato – che ne abbia fatto specifica richiesta – identità e domicilio del produttore (art. 116 Codice del Consumo)”; ed ancora: “Alla luce della richiamata sentenza, resa in un giudizio per così dire ‘gemello’ del presente – in quanto coincidente anche dal punto di vista soggettivo, essendo parte convenuta la stessa (omissis) – ed essendo nota l’identità del soggetto produttore del veicolo acquistato dal Sig. (omissis) non v’è dubbio che debba essere pronunciata anche nella fattispecie, la determinazione di estraneità dell’appellante al rapporto contrattuale e/o extracontrattuale nell’ambito del quale è stato invocato il risarcimento”.
L’analisi di tutte le confusive e generiche indicazioni estrapolate dagli atti, appare francamente inidonea ad assolvere l’obbligo posto a carico dell’appellante di puntuale comunicazione della identità e del domicilio del produttore.
Non può dunque essere accordata l’invocata pronuncia di inammissibilità della domanda risarcitoria per carenza di legittimazione passiva di (omissis), salva la facoltà di regresso ex art. 131 Codice del Consumo.
3.2. Con il secondo motivo d’appello, (omissis) ha dedotto che avrebbe errato il tribunale ad interpretare le risultanze istruttorie istruttorie fondandosi acriticamente sugli accertamenti tecnici eseguiti dall’ausiliario in sede di ATP, per ritenere sussistenti i denunciati difetti di fabbricazione, ed il collegamento causale tra questi e il danno subito da (omissis).
Ad avviso dell’appellante, il primo giudice appellante, il primo giudice avrebbe dovuto escludere l’esistenza di anomalie costruttive ed affermare invece la colpa esclusiva del conducente nella produzione del sinistro.
Il motivo è infondato.
La responsabilità del produttore è stata inizialmente regolata dal DPR n. 224/1988 che ha recepito la direttiva comunitaria n. 85/374/CEE.
L’art. 1 del citato D.P.R. recita: “Il produttore è responsabile del danno cagionato dai difetti del suo prodotto”.
L’ art. 5 del DPR aggiunge che: “Un prodotto è difettoso quando non offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere tenuto conto di tutte le circostanze tra cui:
a) Il modo in cui il prodotto è stato messo circolazione, la sua presentazione, le sue caratteristiche palesi, le istruzioni e le avverteneze fornite;
b) l’uso al quale il prodotto può essere ragionevolmente destinato e i comportamenti che in relazione ad esso, si possono ragionevolmente prevedere;
c) il tempo in cui il prodotto è stato messo circolazione.
Un prodotto non può essere considerato difettoso per il fatto che un prodotto più perfezionato sia stato in qualunque tempo messo in commercio.
Un prodotto è difettoso se non offre la sicurezza offerta normalmente dagli altri esemplari della medesima serie”.
L’art. 8 del DPR si occupa del riparto dell’onere della prova: “Il danneggiato deve provare il danno, il difetto e la connessione causale tra difetto e danno.
Il produttore deve provare i fatti che possono escludere la responsabilità”.
L’originario DPR n. 224/88 è stato abrogato in forza dell’art. 146 del d. lgs. n. 206/05 e l’intera disciplina è confluita nell’attuale parte IV titolo II del codice Consumo agli artt. 114 e ss. che, in massima parte riproducono la disciplina originaria; l’ art. 117 introduce una puntualizzazione con riguardo alla definizione di prodotto difettoso che è descritto come quel prodotto che “non offre la sicurezza che ci si può legttimamente attendere tenuto conto di tutte le circostanze evidenziate dallo stesso esso legislatore comunitario”; l’art. 120 ha riprodotto la precedente disciplina dell’onere della prova.
Secondo la giurisprudenza della suprema corte la responsabilità del produttore non ha natura oggettiva ma presunta: la prova della difettosità può essere basata su presunzioni semplici (cass. civ. sez. III,20.11.2018 n. 29828), tuttavia “non costituisce corretta inferenza logica ritenere che il danno subito dall’utilizzatore di un prodotto sia inequivoco elemento di prova indiretta del carattere difettoso di quest’ultimo, secondo una sequenza deduttiva che, sul presupposto della difettosità di ogni prodotto che presenti un’attitudine a produrre danno, tragga la certezza dell’esistenza del difetto dalla mera circostanza che il danno è temporalmente conseguito all’utilizzazione del prodotto stesso”. (cass. civ. sez. III, 29.5.2013, n. 13458); con la stessa pronuncia la corte ha chiarito che il danno riportato non prova di per sé, né direttamente, né indirettamente il difetto nè “ la pericolosità del prodotto in condizioni normali di impiego, ma solo una più indefinita pericolosità del prodotto di per sé insufficiente per istituire la responsabilità del produttore, se non sia anche accertato in concreto che quella specifica condizione di insicurezza del prodotto si pone al di sotto del livello di garanzia di affidabilità richiesto dall’utenza o dalle leggi in materia”.
Ciò posto in linea di principio, è agevole rilevare in concreto che, nella vicenda oggetto di causa, (omissis) ha assolto l’onere della prova posta a suo carico; non può dirsi altrettanto con riguardo all’onere gravante sulla convenuta (omissis).
Nei dettagli, la corte osserva che (omissis) ha provato documentalmente documentalmente (cfr fotodei mezzi e fatture in atti) il danno subito in seguito al sinistro occorsogli in data 7.12.2019; ha anche dimostrato, a mezzo di ATP, che il sistema di sicurezza “pre -sense” installato sulla propria autovettura Audi (omissis) non si è attivato, nonostante la velocità contenuta, non importa se nella misura accertata dal CTU di 20 -25 Km/h , ovvero in quello di 36,9-45,2 Km/h stimata dal CTP, visto che il sistema avrebbe dovuto funzionare per velocità sino ad 85 Km/h; inoltre, il CTU ha evidenziato ulteriori anomalie nei dispositivi di sicurezza (scoppio ingiustificato di tutti gli airbags e blocco contemporaneo di tutte le cinture); provato risulta, pertanto anche il nesso di causalità tra difetto e danno, poiché è altamente probabile che se il sistema di frenata assistita avesse funzionato, non si sarebbe verificato l’urto e, dunque, non si sarebbe prodotto il danno lamentato dall’attore.
Sin qui, devono ritenersi assolti gli oneri istruttori posti a carico di (omissis).
Per essere mandata esente da responsabilità, (omissis) s.p.a. avrebbe dovuto provare che l’attore stesse viaggiando ad una velocità superiore ad 85 Km/h (circostanza che la difesa della società non ha nemmeno tentato di asserire), violando l’obbligo di mantenere la distanza di sicurezza dal veicolo che lo precedeva, ovvero che lo stato dei luoghi (nella specie la notevole curvatura dello svincolo posto al Km 962 + 600 m della S. S. 16 Lecce-Maglie) fosse tale da rendere indisponibile il sistema di sicurezza pre-sense.
Non può dirsi raggiunta la prova di tali fatti.
L’appellante, sul punto, ha tentato di giustificare le carenze della propria strategia difensiva, lamentando l’ingiusto rigetto delle richieste di ordine di esibizione avanzate già primo grado ex art. 210 c.p.c.; non ha provato tuttavia di aver rivolto inutilmente, ai rispettivi detentori, le richieste di copia dei documenti che avrebbero dovuto formare oggetto dell’ordine.
4. Le spese del giudizio d’appello seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La corte
rigetta l’appello;
condanna (omissis) al pagamento in favore di (omissis) delle spese processuali del giudizio di appello che liquida in € 2.000,00 per compenso, oltre accessori di legge e tariffa in misura del 15%;
ai sensi dell’art. 13 comma 1 del DPR 115/2002, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dell’appellante dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione principale e manda alla Cancelleria per gli adempimenti di conseguenza.
Lecce, 31 maggio 2024
