(omissis)
Fatti di causa – svolgimento del giudizio
Il giudizio di primo grado
1. Il (omissis) con atto di citazione notificato nel settembre 2018 conveniva davanti al Tribunale di Firenze, Sezione Imprese, esponendo:
– che il convenuto era stato presidente del consiglio di amministrazione della società dal febbraio 2005 fino al 14 dicembre 2011 e successivamente liquidatore, sino alla sentenza di fallimento del Tribunale di Arezzo del 24 dicembre 2016 ;
– che la società aveva quale oggetto sociale la costituzione, il restauro, la compravendita e la gestione in proprio e per conto terzi di beni immobili;
– che nel periodo dal 2004 al 2011 la società presentava un eccessivo squilibrio dell’indebitamento al patrimonio netto e nel medesimo periodo aveva ricevuto dalla socia controllante (detentrice del 100% delle quote) (omissis) costantemente finanziamenti intervallati da rimborsi operati da (omissis) spesso procurandosi la provvista necessaria attraverso la stipula di finanziamenti di natura ipotecaria o alienando asset patrimoniali;
– che i rimborsi ammontavano all’importo complessivo di € 15.046.214,87;
– che nel dicembre 2011 (omissis) unitamente alla controllante (omissis) presentavano domanda di concordato preventivo, omologati dal Tribunale di Arezzo nel gennaio 2023, con nomina dei liquidatori giudiziali;
– che i rimborsi dei finanziamenti a favore della socia (omissis), attesa la situazione patrimoniale, erano illegittimi ex art. 2467 c.c.;
– che sussisteva una responsabilità del convenuto (omissis).
Parte attrice chiedeva quindi la condanna del convenuto al risarcimento del danno, quantificato in € 15.046.214,87 (ammontare complessivo dei rimborsi effettuati), ovvero in subordine di € 8.427.200 (rimborsi effettuati tramite ricorso al credito bancario e alla dismissione di beni immobili), o in ultimo subordine di € 7.376.039,93 (somma corrispondente ai debiti di (omissis) che non trovavano possibilità di soddisfacimento nella procedura concorsuale).
Si costituiva in giudizio (omissis) eccependo in via preliminare l’intervenuta prescrizione e contestando comunque nel merito le domande.
Il Tribunale di Firenze con sentenza non definitiva n. 2093 pubblicata il 2 ottobre 2020 così statuiva:
“1. dichiara prescritta l’azione di responsabilità proposta contro (omissis) in veste di amministratore della (omissis);
2. rigetta l’eccezione di prescrizione dell’azione di responsabilità proposta contro (omissis), in veste di liquidatore della società medesima;
3. rimette la causa sul ruolo del GI per l’istruttoria dell’azione di responsabilità”
Per quanto ancora rileva in questa sede osservava il Tribunale:
“(1) L’eccezione di prescrizione è fondata, limitatamente all’azione di responsabilità che l’attore ha esercitato nei confronti di (omissis) quale amministratore di (omissis). Infatti:
A) l’azione sociale si prescrive in 5 anni decorrenti dalla cessazione dalla carica; nel nostro caso, (omissis) ha cessato la carica di amministratore nel dicembre 2011 (mentre l’azione giudiziale è stata esercitata nel settembre 2018), dunque oltre il quinquennio […]
B) Quanto all’azione dei creditori, essa inizia a prescriversi dal momento in cui si manifesta all’esterno lo stato di incapienza patrimoniale […] ritiene questo collegio che la richiesta di concordato (per cessione dei beni) presentata da (omissis) rappresentasse la certificazione di tale insufficienza […]. Il Piano concordatario è stato presentato ai creditori nella primavera 2012 ed omologato nel gennaio 2013: oltre cinque anni prima della proposizione della presente azione (settembre 2018) che, pertanto, è da ritenersi prescritta.
(2) Con riferimento all’azione di responsabilità contro (omissis) quale liquidatore, invece, l’eccezione di prescrizione è infondata. In tale sua veste, il convenuto è chiamato a rispondere di una condotta omissiva (il mancato recupero da (omissis) delle somme corrisposte a titolo di rimborso finanziamenti) che non si è compiuta ed esaurita nel momento in cui il dissesto di (omissis) è stato portato a conoscenza dei creditori, ma sarebbe continuata per tutto il tempo in cui (omissis) è rimasto liquidatore […] poiché dunque questa carica è stata ricoperta dal convenuto fino al fallimento (2016), l’azione di responsabilità nei suoi confronti non si è prescritta.
3) In ordine alla esistenza di una responsabilità in capo al convenuto: afferma che, appena nominato liquidatore, egli presentò il ricorso per il concordato;
con la nomina dei commissari giudiziari e, ancor più, con l’omologazione del concordato e la nomina dei commissari giudiziari, non sarebbe più rientrato nelle sue attribuzioni promuovere azione di recupero di somme indebitamente pagate da (omissis) a (omissis); di conseguenza non potrebbe configurarsi alcuna responsabilità per omissione, a fronte (del mancato esercizio) di un’attività non dovuta, anzi preclusa […].
Questo collegio ritiene infondata l’eccezione difensiva. […]
se pure l’azione di recupero nei confronti della (omissis) fosse stata ceduta, il liquidatore societario della non avrebbe perduto la sua facoltà di esercitarla, sebbene con la collaborazione dei liquidatori giudiziari e secondo le procedure autorizzative imposte dalla concorsualità e dal decreto del GD.
In aggiunta, si deve osservare che nel Piano concordatario non è menzionato, tra i beni ceduti, il credito nei confronti della Holding: e ben si comprende, posto che il con-cordato è stato presentato congiuntamente per tutte le società del gruppo (omissis), Holding compresa, talché, se fosse stato indicato tra i crediti della (omissis) quello verso la Holding, avrebbe dovuto necessariamente e contemporaneamente essere indicato il debito della Holding verso la (omissis). Di conseguenza, con riferimento a quel credito, nessun potere poteva essere riconosciuto ai liquidatori giudiziali.
Dunque il convenuto manteneva la facoltà di agire nei confronti della (omissis); e se così è, l’esercizio dell’azione si configurava – nella misura in cui si trattava di pagamenti indebiti – come suo obbligo, in un’ottica di tutela del patrimonio della Società.
Pacifico essendo che il liquidatore non ha invece promosso alcuna azione recupe-ratoria, si tratta di capire se, effettivamente, i rimborsi fossero da considerare indebiti; il che implica lo svolgimento di attività istruttoria, con conseguente rimessione della causa sul ruolo del GI, non potendo essere una o l’altra soluzione affermata a priori. […]
Si osserva che il rimborso di finanziamenti operati dal socio non è di per sé illeci-to, trattandosi pur sempre di debiti della società che dovrebbero essere onorati. Come afferma lo stesso attore, quei crediti verso la società esistono e sono certi e liquidi, tut-tavia non sono esigibili, in presenza dei presupposti di postergazione, fino a che esisto-no anche crediti di terzi non ancora soddisfatti. Deriva da ciò che aver rimborsato finanziamenti non espone l’amministratore o il liquidatore a responsabilità risarcitoria, se non per la parte che va ad intaccare la possibilità di estinguere i debiti verso terzi. […] Anche per chiarire questo aspetto occorre rimettere la causa sul ruolo, per svolgere la necessaria istruttoria”.
Con l’ordinanza di remissione della causa in istruttoria era disposta CTU con il seguente quesito: “A. individuare i versamenti di (omissis) e verificare se siano da qualificare come finanziamenti ai sensi dell’art. 2467 o abbiano altra natura; B. tenuto conto dell’attività imprenditoriale svolta da (omissis) dire se, allorchè sono stati erogati i finanziamenti, e nel momento in cui sono stati rimborsati, l’indebitamento della società fosse eccessivo rispetto al suo patrimonio, valutandone le singole componenti e specificando quali criteri di tecnica aziendale siano da applicare al caso; C. quantificare l’ammontare dei debiti che, nella considerazione dell’attivio fallimentare, resteranno verosimilmente insoddisfatti.”).
(omissis) formulava riserva di appello avverso la sentenza non definitiva a verbale dell’udienza del 17 dicembre 2020.
Depositata la CTU il Tribunale con sentenza definitiva n. 1048/2022 pubbl
aprile 2022 così statuiva:
“condanna (omissis) a pagare alla (omissis) in fallimento la somma di €6.607.478,16 a titolo di risarcimento del danno;
condanna altresì il convenuto a rifondere alla attrice le spese del processo, liquidate in € 63.399, di cui € 60.000 per compensi professionali ed €3.399 per anticipazioni, oltre rimborso spese generali e accessori di legge;
pone a definitivo carico del convenuto le spese della CTU”.
Per quanto ancora rileva in questa sede osservava il Tribunale:
“La CTU dr.ssa (omissis) ha riferito che:
A. nel periodo 2005-2011 la HOLDING ha effettuato ogni anno versamenti in (omissis) per complessivi € 18.913.498,76, e la (omissis) ha restituito € 15.046.525,74, in ciascun anno risultando il finanziamento solo parzialmente rimborsato; infine (2011) la controllante ha rinunciato al suo residuo credito di € 3.073.105;
B. se tali erogazioni fossero da qualificare per la loro totalità come finanziamenti, esse, e i relativi rimborsi, sarebbero avvenuti in anni nei quali (omissis) presentava uno squilibrio eccessivo tra indebitamento e patrimonio; laddove, invece, si ritenesse che la parte annualmente non rimborsata abbia avuto funzione di apporto di capitale, il sud-detto eccessivo squilibrio non si riscontrerebbe […]
il collegio ritiene preliminarmente di qualificare gli apporti di denaro della con-trollante come finanziamenti, assoggettabili (art. 2497- quinquies cc) al regime della postergazione (art. 2467 cc) […]
è pur vero che la restituzione di un finanziamento del socio non è di per sé illecita, ma lo diventa, in quanto indebita, se ha ad oggetto finanziamenti postergati: perché la postergazione è condizione di inesigibilità legale e fatto impeditivo del diritto alla restituzione, talché (non solo il liquidatore, in attuazione della par condicio creditorum ma) anche l’amministratore della società in attività è tenuto a rifiutare il rimborso (Cass. 12994/2019) […]
La conclusione non cambia nella considerazione del fatto che dette erogazioni avrebbero avuto natura e funzione di finanziamenti cd. ponte, ossia destinati ad anti-cipare alla Società finanziamenti che sarebbero poi stati concessi dalla banca il che spiegherebbe il motivo per cui, quando ciò è avvenuto, (omissis) ha restituito a HOLDING l’anticipazione. Si osserva, infatti, che un finanziamento è tale qualunque siano il moti-vo per cui è concesso e la sua destinazione: nel momento in cui la Società necessitava di disponibilità liquide, e le otteneva dalla HOLDING pure in previsione di un successivo mutuo bancario, con ciò assumeva un debito restitutorio verso il socio, che andava a sommarsi agli altri debiti verso terzi; ma se l’operazione finanziata non era sufficiente a estinguere l’indebitamento di (omissis), o a ricondurlo entro margini fisiologici, il debito verso la socia doveva per legge essere estinto solo dopo l’estinzione dei crediti di terzi.
Ora, con la sentenza parziale è stato dichiarato prescritto il diritto al risarcimento nei confronti di (omissis) quale amministratore, ma non il diritto nei suoi stessi confronti quale liquidatore […]
In ordine al quantum […]
la CTU espletata è stata appunto diretta anche a stimare i crediti di terzi che resteranno presumibilmente insoddisfatti […]
La domanda dev’essere pertanto accolta con condanna del convenuto a pagare all’attore la somma di €6.607.478,16; l’importo è determinato al valore attuale”.
L’appello.
2. (omissis) proponeva appello avverso la sentenza non definitiva n. 2093/2020 (per la quale aveva già formulato riserva di appelloo a verbale dell’udienza del 17 dicembre 2020) e la sentenza definitiva n. 1048/2022, formulando i seguenti motivi di impugnazione:
1) violazione degli artt. 112 e 132 n. 4 c.p.c. e 111 cost., nella parte in cui le sentenze impugnate omettono totalmente di pronunciarsi sulla eccezione del convenuto di insussistenza del potere del liquidatore di (omissis) di chiedere la restituzione dei rimborsi dei finanziamenti alla controllante e quindi di insussistenza di comportamenti illeciti del Sig. (omissis).
2) Contraddittorietà delle sentenze impugnate e violazione degli artt. 112 e 132 n. 4 c.p.c. e 111.
3) Violazione o travisamento degli artt. 1218 ss e 2043 ss c.c. in tema di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale e dell’art. 2697 c.c. in tema di onere della prova, nella parte in cui le sentenze impugnate rigettano l’eccezione del convenuto di “insussistenza di atti illeciti e assenza di un danno”, ne affermano la responsabilità per aver omesso di richiedere la restituzione dei rimborsi dei finanziamenti a (omissis) e condannano il convenuto al risarcimento del danno in misura pari ai crediti rimasti insoddisfatti nel fallimento di (omissis).
4) errata qualificazione nella sentenza definitiva n. 1048/2022 della “natura dei crediti della controllante” come “postergata” e omessa motivazione in ordine alle osser-vazioni del CTP di parte convenuta, con conseguente nullità delle sentenze impugnate o necessità di loro riforma
5) omessa, parziale o errata pronuncia del giudice di prime cure in ordine al quantum ed in particolare alla quantificazione dell’ammontare dei debiti che, nella considerazione dell’attivo fallimentare sarebbero restati verosimilmente insoddisfatti.
Per tali ragioni veniva formulata dall’appellante richiesta di riforma della sentenza, in accoglimento delle conclusioni come in epigrafe trascritte con condanna della contro-parte alla rifusione delle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio.
Si costituiva in giudizio il (omissis), che contestava le censure mosse da parte appellante nei confronti della sentenza impugnata, della quale chiedeva la conferma con vittoria delle spese anche in questo grado di giudizio.
Acquisito il fascicolo di ufficio del procedimento di primo grado, la causa, senza attività istruttoria, veniva trattenuta in decisione in data 18 giugno 2024, sulle conclusioni delle parti, precisate come in epigrafe trascritte, a seguito di trattazione scritta.
Motivi della decisione
L’appello è fondato e va accolto, con riforma della sentenza impugnata.
3. Con il primo motivo (“1) violazione degli artt. 112 e 132 n. 4 c.p.c. e 111 cost., nella parte in cui le sentenze impugnate omettono totalmente di pronunciarsi sulla eccezione del convenuto di insussistenza del potere del liquidatore di (omissis) di chiedere la restituzione dei rimborsi dei finanziamenti alla controllante (omissis) e quindi di insussistenza di comportamenti illeciti del Sig. (omissis)”)
parte appellante in sintesi deduce che il (omissis), nella qualità di liquidatore, “non aveva alcun potere di chiedere alla controllante (omissis) la restituzione delle somme a questa in precedenza corrisposte a titolo di rimborso dei finanziamenti […] il rimborso in questione non è privo di titolo e produce l’estinzione del debito della società verso il socio; – la presenza di titolo sotteso al pagamento e l’effetto estintivo conseguito impediscono di considerarlo quale datio sine titulo ed impediscono altresì il formarsi, in capo alla società che lo ha effettuato, di un diritto restitutorio azionabile dall’amministratore verso il socio; – ne consegue che l’amministratore, privo di titolo, ed a maggior ragione il liquidatore, non avrebbe potuto agire in giudizio contro il socio (…) per la restituzione di quanto questi aveva ricevuto ad estinzione del suo credito. In altri termini, se è astrattamente possibile agire per il risarcimento del danno contro l’Amministratore della società che ha rimborsato il finanziamento postergato al socio, cioè per una condotta commissiva dello stesso (nel caso di specie tuttavia il relativo di-ritto è già stato dichiarato prescritto per l’Amministratore con il primo capo della sen-tenza parziale n. 2093/2020 divenuto definitivo), non è invece possibile agire contro il Liquidatore sulla base di una loro responsabilità omissiva per non aver richiesto la re-stituzione delle somme rimborsate”.
Il motivo è fondato.
Passato in giudicato il rigetto dell’azione risarcitoria nei confronti del (omissis) in qualità di amministratore, il Tribunale ha ritenuto sussistente una responsabilità dello stesso (omissis) nella sua successiva qualità di liquidatore in relazione ad una condotta omissiva, ovvero per non aver promosso una azione di ripetizione verso la socia control-lante volta ad ottenere la restituzione dei precedenti rimborsi dei finanziamenti che sarebbero avvenuti in violazione dell’art. 2467 c.c.
A prescindere da ogni valutazione (in effetti totalmente trascurata nella pronunzia impugnata, come lamentato da parte appellante nell’ambito del terzo motivo) in ordine ai concreti esiti recuperatori di tale ipotizzata azione di ripetizione (è pacifico che la (omissis) nel 2011 ha depositato domanda di concordato preventivo contestualmente a (omissis), con limitate prospettive di soddisfacimento dei crediti chirografari ed in quel momento aveva comunque un residuo credito per finanziamenti, poi rinunziato, per € 3.073.105: vedi domanda di concordato, doc. 4 di parte convenuta in primo grado) deve escludersi che il (omissis), quale liquidatore, avesse la possibilità di ottenere la restituzione dei precedenti rimborsi dei finanziamenti, pur se in ipotesi avvenuti in violazione dell’art. 2467 c.c.
Come chiarito dai giudici di legittimità “in tema di finanziamento dei soci in favore della società, la postergazione disposta dall’art. 2467 c.c. opera già durante la vita della società e non solo nel momento in cui si apra un concorso formale con gli altri creditori sociali, integrando una condizione di inesigibilità legale e temporanea del diritto del socio alla restituzione del finanziamento sino a quando non sia superata la situazione di difficoltà economico-finanziaria prevista dalla norma; ne consegue che la società è tenuta a rifiutare al socio il rimborso del finanziamento, in presenza della indicata situazione, ove esistente al momento della concessione del finanziamento, ed a quello della richiesta di rimborso, che è compito dell’organo gestorio riscontrare” (vedi Cass. sez. I, 15/05/2019, n.12994, che in motivazione osserva: “il credito restitutorio, sebbene eventualmente sia anche scaduto il termine previsto per l’adempimento ex art. 1813 c.c., non è esigibile. La postergazione prevista dalla norma finisce, così, per operare come una condizione legale integrativa del regolamento negoziale circa il rimborso, la quale statuisce l’inesigibilità del credito in presenza di una delle situazioni previste dall’art. 2467 c.c., comma 2, con un impedimento (solo temporaneo) alla restituzione della somma mutuata”).
La violazione della postergazione “sostanziale” dell’art. 2467 c.c. certamente può fondare una “responsabilità (per violazione di doveri tipicamente previsti dalla legge), nei confronti dei creditori (e, dunque, del fallimento), degli amministratori di una società fallita che abbiano restituito ai soci somme in violazione della norma predetta” (vedi in motivazione Cass. sez. I, 30/05/2024, n.15196), ma una volta che gli amministratori abbiano effettuato il pagamento pur in presenza di una temporanea inesigibilità l’altra forma di tutela esperibile è unicamente quella espressamente prevista (allora dall’art. 2467 c.c. ed attualmente dall’art. 164 CCII) della inefficacia dei rimborsi avvenuti nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento (adesso nell’anno precedente la domanda da cui è seguita l’apertura della procedura concorsuale), che non è una azione restitutoria, ma “revocatoria fallimentare ex lege del tutto simile, quanto a meccanismo operativo (inefficacia automatica), a quella dei pagamenti di cui all’art. 65 l. fall vedi in motivazione la già richiamata Cass. sez. I, 30/05/2024, n.15196, che chiarisce come qualificare il rimedio dell’art. 2467 c.c. quale azione di ripetizione dell’indebito “risulterebbe in chiaro contrasto proprio con quanto previsto dallo stesso art. 2467 cod. civ. , laddove, al comma 1, seconda parte, limita l’obbligo di restituzione al rimborso percepito nell’anno anteriore al fallimento: previsione, questa, che si rivelerebbe assolutamente inutile se la ricostruzione del rimedio in termini di azione ex art. 2033 cod. civ. fosse fondata, giacché quest’ultima dovrebbe portare, di per sé, ad ammettere che anche i rimborsi effettuati oltre l’anno prima dall’apertura del fallimento siano oggetto di ripetizione, sulla base, appunto, della disposizione indiscriminata di cui all’articolo 2033 cod. civ. 2.4.2. In altri termini, come condivisibilmente osservato dal Pubblico Ministero nella sua requisitoria scritta, è proprio “la limitazione temporale dell’obbligo di restituzione al solo rimborso percepito nel periodo sospetto di un anno anteriore al fallimento, insieme con la complessiva destinazione della disciplina contenuta nell’art. 2467 alla tutela dei creditori, a far piuttosto propendere per la tesi che vede nel suddetto obbligo l’espressione di una vera e propria revocatoria fallimentare ex lege del tutto simile, quanto a meccanismo operativo (inefficacia automatica), a quella dei pagamenti di cui all’art. 65 l. fall.”. 2.5. Resta solo da ricordare, a conferma della correttezza della soluzione ermeneutica qui prescelta, che il CCII ha abrogato, all’interno dell’art. 2467 cod. civ. (e, quindi, anche dell’art. 2497 – quinquies cod. civ.), la regola di diritto concorsuale, ponendola nell’ambito dell’art. 164 CCII, rubricato “Pagamenti di crediti non scaduti e postergati”).
L’esclusione della ordinaria azione di ripetizione in relazione ai rimborsi di finanziamenti effettuati in violazione dell’art. 2467 c.c. discende del resto dalla regola generale dell’art. 1185 c.c. secondo la quale “il debitore non può ripetere ciò che ha pagato anticipatamente”: il rimborso in simili casi costituisce, come riconosciuto dalla stesso Tribunale, il pagamento di un debito esistente ma solo temporaneamente inesigibile e quindi di per sè irripetibile, salvo diverse previsioni di legge (quale l’attuale art. 164 CCII nel quale sono confluiti sia l’art. 65 legge fallimentare che l’art. 2467 primo comma ultima parte c.c. e che introfuce una deroga a tale regola generale nell’ambito delle procedure concorsuali, con una eccezionale inefficacia dei “pagamenti dei crediti non scaduti e postergati” entro precisi limiti temporali).
Posto che la responsabilità risarcitoria è stata riferita alla posizione del
quale liquidatore l’accoglimento del primo motivo di appello, relativo alla improponibilità di una azione di ripetizione dei rimborsi già eseguiti, ha di per sé carattere decisivo, con assorbimento degli ulteriori motivi di impugnazione, compreso il quarto invero fondato sulla ragionevole ipotesi alternativa “B” formulata dal CTU che in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società” (come richiesto dall’art. 2467 c.c.) ha evidenziato trattarsi di “finanziamenti ponte”, salvo un “minimo fisso” lasciato stabilmente a disposizione della società e poi rinunziato, con esclusione “in un’ottica più sostanziale” di una situazione di squilibrio, presupposto necessario della postergazione ex art. 2467 comma secondo c.c. (vedi relazione di CTU: “Si evince come già osservato, che (omissis) ha effettuato un insieme di versamenti che possono essere qualificati come finanziamenti ponte alla controllata (omissis) in attesa dell’erogazione dei relativi mutui e finanziamenti bancari o della conclusione delle operazioni di vendita immobiliare […] dovendo qualificare la natura di tali versamenti (finanziamenti) si può osservare che nel susseguirsi dei continui versamenti e restituzioni/rinunce si può individuare un importo minimo fisso per ogni annualità, che potrebbe essere considerato, tenuto conto della fungibilità del denaro, un importo stabilmente a disposizione della (omissis) in quanto mai rimborsato/rinunciato in ciascuna annualità […] ipotesi B) che interpreta in un’ottica più sostanziale il partitario finanziamento soci individuando quell’importo di finanziamento minimo annuale che potrebbe essere considerato stabilmente conferito quasi alla stregua di una posta del patrimonio netto. Aderendo a questa impostazione (Ipotesi B), con indicazione dell’importo minimo del finanziamento soci quale importo di fatto conferito per ogni annualità, non sussisterebbe la condizione di squilibrio dal 2004 al 2009 e la condizione di squilibrio risultante del 2010 risulterebbe risolta dalla rinuncia al finanziamento soci nel 2011).
7. “Il giudice di appello, allorché riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, deve procedere d’ufficio, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, ad un nuovo regolamento delle spese processuali, il cui onere va attribuito e ripartito tenendo presente l’esito complessivo della lite poiché la valutazione della soccombenza opera, ai fini della liquidazione delle spese, in base a un criterio unitario e globale” (vedi tra le altre Cassazione civile sez. II – 23/02/2022, n. 5890 ; Cassazione civile sez. II – 03/09/2021, n. 23877).
Considerata la particolarità della vicenda quale in precedenza esposta ((omissis) che ha rivestito, senza soluzione di continuità, prima il ruolo di amministratore e poi di liquidatore della società fallita; finanziamenti di importo assai considerevole nel corso degli anni dalla società controllante (omissis) alla società fallita, con rimborsi pure considerevoli, per oltre 15 milioni di euro) sussistono i motivi per la compensazione parziale, nella misura della metà, delle spese di lite; la residua metà segue la soccombenza e si liquida, per tale frazione, quanto al primo grado in € 20.845,50 (fase di studio €6.580,00; fase introduttiva € 4.340,00; fase istruttoria € 19.327,00; fase decisionale € 11.444,00; totale € 41.691,00; riduzione del 50% € 20.845,50) e per il presente giudizio di appello in € 13.217,50 (fase di studio € 8.149,00; fase introduttiva € 4.738,00; fase decisionale € 13.548,00; totale € 26.435,00; riduzione del 50% € 13.217,50, oltre 15% spese generali, esborsi, IVA e CPA come per legge; le spese di CTU devono definitivamente porsi a carico del fallimento.
P.Q.M.
la Corte di Appello di Firenze, definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria domanda, eccezione, istanza e deduzione, sull’appello proposto da (omissis) nei confronti del (omissis) avverso la sentenza non definitiva n. 2093/2020 pubblicata il 2 ottobre 2020 e la sentenza definitiva n. 1048/2022 pubblicata il 11/04/2022 del Tribunale di Firenze – Sezione Imprese, così provvede:
IN RIFORMA
delle sentenze impugnate
1) rigetta le domande nei confronti di (omissis) anche quale liquidatore della (omissis)
2) dichiara parzialmente compensate, nella misura della metà, le spese di lite; condanna il (omissis) a rimborsare a (omissis) la residua metà delle spese di giudizio, che liquida, per tale frazione, quanto al primo grado in € 20.845,50 e per il presente giudizio di appello in , oltre 15% spese generali, esborsi, IVA e CPA come per legge; pone definitivamente a carico del (omissis) le spese di CTU di primo grado.
Così deciso nella camera di consiglio del 9 ottobre 2024.
