Massima

La cancellazione di una società di persone dal registro delle imprese costituita in giudizio a mezzo di procuratore che tale evento non ha dichiarato in udienza o notificato alle altre parti ex art. 300 c.p.c., comporta la regola dell’ultrattività del mandato alla lite per cui detto procuratore continua a rappresentare la parte come se l’evento interruttivo non si fosse verificato, con conseguente ammissibilità della notificazione dell’impugnazione presso di lui, senza che rilevi la conoscenza aliunde dell’avvenuta cancellazione da parte del notificante.

Supporto alla lettura

INTERRUZIONE DEL PROCESSO

L’Interruzione è un arresto temporaneo del processo, giustificato dalla necessità di ripristinare il regolare contraddittorio, qualora il verificarsi di determinati eventi, che potrebbero riguardare le parti, i loro rappresentanti e/o procuratori, determini il venir meno della loro partecipazione in giudizio.
Le ipotesi di interruzione del processo ( artt.299, 300 e 301 del codice di procedura civile) possono riguardare:
–  la morte o la perdita della capacità di stare in giudizio, prima della costituzione, di una delle parti o del
rappresentante legale, o la cessazione di tale rappresentanza
–  la morte o la perdita della capacità della parte costituita o del contumace
–  la morte, la radiazione o la sospensione del procuratore

Se gli eventi che determinano l’interruzione si verificano prima della costituzione delle parti in giudizio, l’interruzione si produce ipso iure, indipendentemente dal provvedimento del giudice, che avrà dunque natura dichiarativa. Analogamente per gli eventi che colpiscono il procuratore della parte costituita. Al contrario, se gli eventi interruttivi si verificano in corso di causa, l’interruzione potrà essere dichiarata solo dopo che il procuratore abbia dichiarato in udienza l’evento interruttivo o lo abbia notificato alle altre parti. In caso di interruzione del processo trovano applicazione le stesse regole viste per l’ipotesi di sospensione: non potranno,
cioè, essere compiuti atti del procedimento.

Il processo deve essere proseguito o riassunto entro il termine perentorio di 3 mesi dall’interruzione, altrimenti si estingue. Il processo interrotto prosegue con la costituzione in udienza, o con il deposito della comparsa di costituzione in cancelleria. Se non è fissata alcuna udienza, la parte può chiedere con ricorso al giudice istruttore o al presidente del tribunale la fissazione dell’udienza. Ricorso e decreto sono notificati all’altra parte dall’istante. Se non avviene la prosecuzione, l’altra parte può chiedere la fissazione dell’udienza, notificando ricorso e decreto a coloro che devono costituirsi per proseguirlo. Nell’ipotesi di morte della parte, il ricorso dovrà contenere gli estremi della domanda e la notificazione potrà essere effettuata, entro un anno dalla morte, collettivamente e impersonalmente agli eredi, nell’ultimo domicilio del defunto. Se la parte che ha ricevuto la notificazione non compare all’udienza fissata, si procederà in sua contumacia.

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso per decreto ingiuntivo n. 1110/2015 del 23.06.2015, emesso dal Tribunale di Foggia in data 08/06/2015, notificato in data 08/07/2015, la società (omissis) dei Fratelli (omissis) e (omissis) e (omissis) ingiungeva alla odierna appellante, (omissis) srl, il pagamento della somma di euro 5.133,89, oltre le spese di ingiunzione per il mancato pagamento di alcune fatture relative alla fornitura merci da questa mai saldate.

Contro il predetto decreto, la ditta (omissis) s.r.l. proponeva opposizione allegando la presenza di vizi e difetti di fabbricazione della fornitura di pietra, denominata “biancone” non corrispondente ai campioni fatti visionare per differenza cromatica.

Nell’opposizione sosteneva che la società venditrice aveva riconosciuto i vizi e i difetti provvedendo a fornire del nuovo materiale per il montaggio di una nuova scala, conforme al materiale previsto da campione.

Per tale ragione, la società opponente aveva provveduto a demolire e rifare la scala a proprie spese con un danno pari ad euro 10.000,00.

Quindi, chiedeva la revoca del decreto ingiuntivo, la risoluzione del contratto di vendita per grave inadempimento della società opposta e, in accoglimento della domanda riconvenzionale, chiedeva la condanna della società opposta (omissis) S.n.c. dei Fratelli (omissis) e (omissis) e (omissis), al pagamento della somma di euro 10.000,00 a titolo di risarcimento danni.

Si costituiva nel giudizio di opposizione la società opposta, la quale chiedeva il rigetto dei motivi di opposizione in quanto il materiale fornito era stato accettato e mai contestato.

Il Tribunale di Foggia, all’esito dell’istruttoria, confermava il decreto ingiuntivo e condannava la società opponente al pagamento delle spese processuali.

La società (omissis) s.r.l. ha proposto appello con atto notificato in data 15 maggio 2019, reiterando preliminarmente la richiesta di prova testimoniale, non ammessa nel giudizio di primo grado, chiedendo alla Corte che fossero riesaminate le prove documentali prodotte nel corso del giudizio di primo grado.

Si sono costituiti con atto di intervento volontario,(omissis) e (omissis), nella loro qualità di unici soci della società in nome collettivo (omissis) S.n.c. dei Fratelli (omissis) e (omissis) e (omissis), cancellata dal registro delle imprese in data 22.09.2016, eccependo la inammissibilità del gravame proposta nei confronti della società cancellata, nonché l’infondatezza nel merito dell’impugnazione.

Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente, va disattesa l’eccezione di inammissibilità dell’impugnazione per essere stato l’appello proposto nei confronti della società estinta e cancellata dal registro delle imprese in data 22.09.2016.

Gli appellati, (omissis) e (omissis) soci della società in nome collettivo (omissis) S.n.c. dei Fratelli (omissis) e (omissis) e (omissis) sono intervenuti volontariamente nel giudizio di impugnazione deducendo che per la mutata situazione giuridica (cancellazione della società in data 22.09.2016) l’appellante avrebbe dovuto notificare l’atto di impugnazione ai soci anziché alla società estinta.

La cancellazione di una società di persone dal registro delle imprese costituita in giudizio a mezzo di procuratore che tale evento non ha dichiarato in udienza o notificato alle altre parti nei modi e nei tempi di cui all’art. 300 c.p.c., comporta la regola dell’ultrattività del mandato alla lite.

Quindi, detto procuratore continua a rappresentare la parte come se l’evento interruttivo non si fosse verificato con conseguente ammissibilità della notificazione dell’impugnazione presso di lui, ex art. 330 co. 1, c.p.c., senza che rilevi la conoscenza aliunde dell’avvenuta cancellazione da parte del notificante” (Cass. n. 23563 del 2017).

Il quadro giurisprudenziale può essere completato dalla menzione della sentenza delle Sezioni Unite 4/7/2014, n. 15295, la quale, a superamento di un annoso contrasto, ha affermato che “l’incidenza sul processo degli eventi previsti dall’art. 299 c.p.c., (morte o perdita di capacità della parte) è disciplinata, in ipotesi di costituzione in giudizio a mezzo di difensore, dalla regola dell’ultrattività del mandato alla lite, in ragione della quale, nel caso in cui l’evento non sia dichiarato o notificato nei modi e nei tempi di cui all’art. 300 c.p.c., il difensore continua a rappresentare la parte come se l’evento non si sia verificato, risultando così stabilizzata la posizione giuridica della parte rappresentata (rispetto alle altre parti ed al giudice) nella fase attiva del rapporto processuale e nelle successive fasi di quiescenza e riattivazione del rapporto a seguito della proposizione dell’impugnazione. Tale posizione giuridica è suscettibile di modificazione nell’ipotesi in cui, nella successiva fase d’impugnazione, si costituiscano gli eredi della parte defunta o il rappresentante legale della parte divenuta incapace, oppure se il procuratore di tale parte, originariamente munito di procura alla lite valida anche per gli ulteriori gradi del processo, dichiari in udienza o notifichi alle altri parti l’evento verificatosi, o se, rimasta la medesima parte contumace, l’evento sia documentato dall’altra parte (come previsto dalla novella di cui alla L. n. 69 del 2009, art. 46), o notificato o certificato dall’ufficiale giudiziario ai sensi dell’art. 300 c.p.c., comma 4”.

In questo caso la società appellante ha notificato l’impugnazione al procuratore della società a mezzo pec in data 15.05.2019 e, in tale qualità, il difensore non ha mai dichiarato l’evento interruttivo. Quindi, alcuna inammissibilità del gravame si è verificata poiché quest’ultimo non ha mai reso la dichiarazione di cancellazione della società nel corso del giudizio di primo grado.

Così come sono legittimati i soci ad intervenire, ove si consideri che, per effetto della vicenda estintiva, la legittimazione processuale, attiva e passiva, si è trasferita automaticamente agli ex soci ai sensi dell’art. 110 c.p.c. (Cass. Sez. Un. 12/03/2013, n. 6070; Cass. 05/11/2014, n. 23574).

Pertanto, si può passare all’esame dei motivi di gravame.

Con un primo motivo di gravame, l’appellante censura la decisione del giudice di primo grado, il quale ha ritenuto infondata l’opposizione per carenza di prova dell’esistenza dei dedotti vizi della merce fornita.

A dire dell’appellante, nel giudizio di primo grado si potevano ricavare i presupposti per la dichiarazione di risoluzione del contratto per inadempimento dell’opposta, poiché i vizi immediatamente contestati al momento della scoperta sono stati riconosciuti dalla società opposta, la quale ha fornito nuove materiale.

A dire dell’appellante, l’intera fornitura di pietra è risultata non rispondente al campione fornito in sede di conclusione del contratto, come risulta dalla relazione di parte, mentre il provvedimento di rigetto delle prove orali ha costituito una violazione del diritto di difesa, poiché è stata preclusa alla società opponente ogni possibilità di poter provare la propria domanda riconvenzionale in ordine ai danni subiti per spese di demolizione e realizzazione di una nuova scala, con un danno in termini pari ad euro 10.000,00.

Mentre, gli appellati hanno evidenziato che quand’anche le prove fossero state ammissibili, il giudice non avrebbe potuto ammetterle stante la tardività delle stesse, poiché la memoria ex art. 183, co. 6, n. 2, cpc, è stata depositata incompleta in quanto priva di parte della pag. 1 (in cui sono riportate le circostanze capitolate alle lettere A-B) nonché dell’ultima parte della pag. 2, tanto da ledere il diritto di difesa di parte opposta.

Il motivo di gravame è infondato.

E’ pacifico che tra la (omissis) srl e l’(omissis)  snc dei Fratelli (omissis) e (omissis) e (omissis) è intervenuto un contratto di fornitura di materiale edile per rivestimento di scale presso i cantieri di proprietà della (omissis).

Il contrasto tra le parti in causa riguarda la presenza di vizi o meno sulla pietra denominata “biancone” in quanto a dire dell’appellante non sarebbe stata corrispondente al campione visionato, con differenza cromatica, tale da configurare una vendita “aliud pro alio”.

A tal proposito occorre precisare che in tema di compravendita, il vizio redibitorio (art. 1490 c.c.), e la mancanza di qualità promesse o essenziali (1497 c.c.) pur presupponendo l’appartenenza della cosa al genere pattuito, si differenziano in quanto il primo riguarda le imperfezioni e i difetti inerenti il processo di produzione, fabbricazione, formazione e conservazione della cosa, mentre la seconda è inerente alla natura della merce e concerne tutti gli elementi essenziali e sostanziali che influiscono, nell’ambito di un medesimo genere, sull’appartenenza ad una specie piuttosto che a un’altra; entrambe le ipotesi differiscono dalla consegna di “aliud pro alio” che si ha quando la cosa venduta appartenga ad un genere del tutto diverso o presenti difetti che le impediscano di assolvere alla sua funzione naturale o a quella ritenuta essenziale dalle parti”.

Con particolare riguardo al caso che occupa, la fattispecie riguarda in particolare un contratto di vendita “su campione”, ai sensi dell’art. 1522 cod. civ..

In tal caso, la norma prevede la necessità di una volontà delle parti espressa nel senso di assumere il campione come esclusivo paragone per la qualità della merce, o così ricostruibile oltre ogni ragionevole dubbio; in caso contrario, la vendita deve intendersi, ai sensi del secondo comma, “su tipo di campione”, dovendosi ritenere che le parti, come avviene normalmente, abbiano assunto il campione per indicare in modo approssimativo la qualità della merce venduta (cfr. Cassazione civile, sez. II, 24/06/2013, n. 15792).

In questo caso non è chiaro se la vendita sia avvenuta su “campione” mai prodotto in giudizio dall’opponente che ha eccepito il vizio, oppure su “tipo di campione”, avendo le parti indicato solo in modo approssimativo la qualità della merce venduta.

Quindi, preliminarmente occorre l’esatto inquadramento giuridico del contratto intervenuto tra le parti.

Le generiche allegazioni dell’opponente, prive di supporto probatorio (il campione o la scheda tecnica del prodotto da comparare) fa propendere che il contratto intervenuto tra le parti vada qualificato quale vendita su “tipo di campione”, ai sensi dell’art. 1522 c.c., comma 2 e non quale vendita su campione ai sensi dell’art. 1522 c.c., comma 1.

Invero non emerge che le parti in sede di perfezionamento della volontà contrattuale abbiano pattuito una conformità rigorosamente specifica rispetto allo schema di un campione e, pertanto, il campione nel caso in esame si deve intendere assunto a riferimento tipologico solo ai fini dell’individuazione del genus morfologico ed abbia avuto il valore di modello tendenziale ed approssimativo di riferimento della qualità della merce compravenduta, e non già di paradigma esclusivo di conformità della qualità della merce.

Nel corso del processo l’opponente non ha esibito una campionatura del materiale visionato rispetto a quello acquistato, tale da poter valutare il legittimo affidamento in ordine alla specificità del prodotto.

In questo caso, si determina l’impossibilità di verificare identità di caratteristiche essenziali tra quello visionato e quello consegnato, tenuto conto che ciascuna lastra potrebbe presentare specificità di colori, venature caratteristiche di ogni pietra.

Quindi, qualificato il contratto come vendita su tipo di campione, ex art. 1522 2° c.c., in contrapposizione alla vendita su campione, disciplinata dal 1° comma della medesima norma (cfr. Cass. civ., sez. II, n. 4540 del 27/03/2003), ne deriva che non può venire in rilevo, ai fini della valutazione della sussistenza di inadempimento imputabile, il principio – proprio della sola “vendita su campione” – per cui la difformità della cosa consegnata rispetto a quella pattuita deve essere valutata esclusivamente mediante il raffronto con il campione, sicchè, ove il campione manchi o non sia esibito con le necessarie garanzie di identificazione, viene meno la possibilità di accertare l’inadempimento del venditore in ordine alle particolari qualità della merce oggetto della convenzione (Cass. nn. 810/81 e 3312/84; analogamente, Cass. n. 6503/88).

Al contrario nella fattispecie viene in gioco il criterio di imputabilità imposto dalla stessa norma di cui all’art. 1522 2° comma che predetermina la misura della gravità dell’inadempimento, ai sensi dell’art. 1455 c.c., stabilendo che nella vendita su tipo di campione la risoluzione del contratto possa essere accordata soltanto quando “la difformità dal campione sia notevole”. Criterio di giudizio che si collega con quello dettato, in tema di vendita in generale, dall’art. 1497 c.c., a norma del quale quando la cosa venduta non ha le qualità promesse ovvero quelle essenziali per l’uso cui è destinata, il compratore ha diritto di ottenere la risoluzione del contratto secondo le disposizioni generali sulla risoluzione per inadempimento, “purché il difetto di qualità eccede i limiti di tolleranza stabiliti dagli usi”. Sotto tale ultimo profilo va altresì osservato che la giurisprudenza della Suprema Corte ha spesso ribadito che gli artt. 1490 e 1492 del cod. civ. in tema di azione redibitoria, al pari dell’art. 1497 cod. civ., vanno interpretati con riferimento al principio generale sancito dall’art. 1455 cod. civ. con la conseguenza che l’esercizio dell’azione è legittimato soltanto da vizi concretanti un inadempimento di non scarsa importanza, i quali non sono distinti in base a ragioni strutturali, ma solo in funzione della loro capacità di rendere la cosa inidonea all’uso cui era destinata o di diminuirne in modo apprezzabile il valore, secondo un apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 21949 del 25/09/2013).

Orbene, nella fattispecie, l’istruttoria espletata a mezzo di consulenza tecnica d’ufficio ha consentito di accertare l’assenza di qualsivoglia inadempimento di tale gravità tale da giustificare la pretesa risoluzione contrattuale.

In primo luogo è certamente da escludere che si sia configurato nel caso di specie la vendita di un aliud pro alio perché le lastre di pietra vendute rientrano e sono dello stesso tipo e genere di quelli pattuiti.

Com’è noto, l’ipotesi della sussistenza di vizi di un bene venduto va tenuta distinta da quella differente – concernente pur sempre la violazione dell’impegno traslativo – che è la c.d. consegna di aliud pro alio.

Sotto tale profilo, insegna la giurisprudenza “in tema di compravendita, si ha consegna di “aliud pro alio” che dà luogo all’azione contrattuale di risoluzione o di adempimento, ai sensi dell’art. 1453 c.c., svincolata dai termini di decadenza e prescrizione previsti dall’art. 1495 c.c., qualora il bene venduto sia completamente diverso da quello pattuito in quanto, appartenendo ad un genere diverso, si riveli funzionalmente del tutto inidoneo ad assolvere la destinazione economico – sociale della res venduta e, quindi, a fornire l’utilità richiesta..” (cfr. Cass. Sez. Il, 18/05/2011, n. 10916; conforme Cass. 7 marzo 2007 n. 5202).

IN questo caso non vi è prova che la “uniformità cromatica” sia stata considerata dalle parti come una qualità “promessa” oltre i limiti della tolleranza stabilita dagli usi, poiché non si ricava da nessuno degli elementi forniti tale richiesta, tenuto conto che la pietra essendo un materiale di estrazione naturale per la sua natura non può essere considerato mai uniforme.

Anzi, proprio la sua disomogeneità cromatica alcune volte costituisce un pregio di riconoscibilità più che un vizio.

La prova che l’opponente vorrebbe fornire con i testi, circa la differenza cromatica tra il campione visionato e quello acquistato è peraltro di natura soggettiva, in quanto l’effetto cromatico non può essere oggetto di prova testimoniale in quanto riguarda la percezione personale del soggetto rispetto alla colorazione.

Inoltre, la società opponente non ha fornito una scheda tecnica del prodotto visionato tale da compararlo con quello ricevuto in consegna, per cui non si può neppure estendere una indagine di natura tecnica, che in questo caso sarebbe a carattere meramente esplorativo.

Da tali considerazioni deriva che, benchè, invero, la consegna abbia potuto avere ad oggetto pietra non omogenee tra di loro nel colore, è, altrettanto indubbio, per un verso, che le lastre siano state prima utilizzate dalla attrice per la finalità per cui erano stati acquistati ed impiegati per il rivestimento (ciò che rileva per l’essenzialità della qualità) e, per altro verso, le difformità indicate non appaiono superare i limiti di tolleranza previsti dall’art. 1497 c.c., stabiliti dagli usi. Tanto più che chi acquista il materiale è bene a conoscenza – o lo deve essere – della possibile non uniformità cromatica del materiale in questione.

La circostanza che la società opposta abbia provveduto alla sostituzione del materiale non vuol dire che fosse difettato, potendo tale sostituzione essere compatibile con altri ragioni, per esempio per venire incontro a una esigenza del cliente dello stesso costruttore.

Quindi, nel nostro caso si può certo escludere che ci sia stato un implicito riconoscimento di tali difetti, attraverso la sostituzione della merce fornita, poiché non si trattava di sostituzione dello stesso prodotto, ma di un cambio merce, ossia la sostituzione di una partita con un’altra di materiale diverso (pietra calcarea con biancone) dello stesso valore.

A ciò aggiungasi, infine, che la contestazione del 09.01.2015 dei vizi è solo successiva alla richiesta di pagamento, in data 24.12.2014, da parte della società acquirente, senza che ci fossero stati rilievi sia in occasione della consegna, che dello stesso montaggio nella realizzazione delle scale.

In definitiva deve escludersi la fondatezza delle azioni risolutorie e risarcitorio proposte dalla società opponente.

Per tale motivo l’appello non merita accoglimento.

Le spese processuali del presente grado seguono la soccombenza, e liquidate come in dispositivo, con riferimento al D.M. 55/2014, avuto riguardo al valore della domanda (Euro 5.200,00-26.000,00), ma con esclusione della voce n.3 in grado di appello, non essendo stata svolta in secondo grado alcuna attività istruttoria o importante trattazione.

P.Q.M.

La Corte d’Appello di Bari – Seconda Sezione Civile -, definitivamente pronunciando sull’appello proposto da (omissis) SRL, avverso la sentenza del Tribunale di Foggia numero 752/2019 pubblicata il 19.03.2019, così provvede:1) Rigetta l’appello;

2) Condanna l’appellante al pagamento delle spese processuali in favore di (omissis) e (omissis), che liquida in Euro 3.777,00 oltre spese generali, Cap ed Iva, da distrarsi in favore del difensore dichiaratosi anticipatario.

3) Da atto della ricorrenza dei presupposti, ex L.228/2012, per l’imposizione, a carico dell’appellante, del pagamento di un importo pari al contributo unificato già versato all’atto dell’iscrizione a ruolo della causa di appello.

Così deciso nella camera di consiglio in videoconferenza del 12.04.2022

Il Giudice ausiliario relatore

avv. (omissis)

Il Presidente

Dott. (omissis)

Allegati

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