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Corte Costituzionale, 19/05/1988, n. 557

Massima

Il coniuge e i discendenti dell’adottante, in quanto membri della famiglia legittima, sono egualmente interessati, sia sotto l’aspetto morale che patrimoniale, dagli effetti dell’adozione, sicche’ nessun motivo razionale sussiste per ritenere che il rispettivo assenso all’adozione sia sufficiente a tutelare la posizione del coniuge (art. 297, comma primo, cod. civ.), ma non quella, sostanzialmente identica, dei figli.Pertanto, l’art. 291 cod. civ. – secondo cui l’esistenza di discendenti legittimi o legittimati dell’adottante osta all’adozione di persona maggiorenne – e’ costituzionalmente illegittimo, per contrasto con l’art. 3 Cost., nella parte in cui non consente l’adozione a persone che abbiano discendenti legittimi o legittimati maggiorenni e consenzienti.

Supporto alla lettura

ADOZIONE DI MAGGIORENNE

L’adozione di persone maggiorenni (o c.d. adozione civile) è contemplata dall’art. 291 c.c., e originariamente rispondeva all’esigenza dell’adottante che, privo di figli, era intenzionato a trasmettere il nome della sua famiglia ed il suo patrimonio. Attualmente tale finalità non è venuta del tutto meno, ma nella pratica questo istituto costituisce più uno strumento di solidarietà umana.

Perchè si possa procedere con l’adozione, sia l’adottante che l’adottando, devono rispondere a dei requisiti legalmente previsti.

L’adottante deve:

  • aver compiuto i trentacinque anni di età;
  • avere capacità di agire;
  • superare di almeno diciotto anni l’età dell’adottando.

In casi eccezionali, il tribunale, può autorizzare l’adozione qualora il genitore abbia compiuto trent’anni, fermo restando la differenza minima di diciotto anni. 

Il dettato originario dell’art. 291 cod. civ., prevedeva come condizione per la validità dell’adozione che l’adottante non avesse figli legittimi, tale previsione era volta a tutelare i membri della famiglia legittima ed a ribadire che lo scopo dell’adozione era quello di dare un figlio a colui che non aveva potuto/voluto averne.

In merito ai requisiti richiesti per l’adottando:

  • deve essere maggiorenne;
  • non deve essere interdetto;
  • non deve essere già figlio adottivo di altra persona o dell’adottante.

Per procedere all’adozione, sono richiesti il consenso dell’adottato e dell’adottante, e quindi occorre la capacità di agire dell’adottante e dell’adottato, requisito che deve permanere sino alla pronuncia di adozione; è necessario anche l’assenso dei genitori dell’adottando, del coniuge dell’adottante e di quello dell’adottando non separati legalmente; nonché dei figli maggiorenni dell’adottante, in quanto l’assenso costituisce una sorta di tutela della compagine familiare poichè l’adozione non deve essere motivo di turbamenti o deterioramento del nucleo familiare preesistente.

L’adozione attribuisce all’adottato uno status assimilabile a quello del figlio legittimo, perciò:

  • assumerà il cognome dell’adottante che viene anteposto al proprio;
  • avrà diritto alla successione nel patrimonio dell’adottante;
  • avrà diritto ad essere mantenuto fino a quando non abbia raggiunto l’autonomia economica.

L’adottante non eserciterà sull’adottato la responsabilità genitoriale, essendo quest’ultimo maggiorenne; grava però su di lui un obbligo alimentare nei confronti dell’adottato, preminente su quello dei genitori di lui.

L’adozione di maggiorenni non fa estinguere i rapporti fra l’adottato e la famiglia d’origine. Inoltre può essere revocata per fatti tassativi particolarmente gravi sopravvenuti dopo la pronuncia, che consistono nella indegnità dell’adottato e dell’adottante.

Ambito oggettivo di applicazione

Ritenuto in fatto

1. – I coniugi (omissis) e (omissis), con ricorso in data 21 maggio 1984, chiedevano al Tribunale di Milano che venisse disposta nei loro confronti l’adozione di (omissis) (nato il 17 marzo 1964) e deducevano di avere una figlia legittima maggiorenne, la quale aderiva al loro proposito.

Poiché, a norma dell’art. 291 cod. civ., l’esistenza di detta figlia non consentiva di disporre la richiesta adozione, il giudice adito con ordinanza in data 12 ottobre 1984 (R. O. n. 120/1985) sollevava questione di legittimità costituzionale della norma ora citata in relazione all’art. 3 Cost.

Ad avviso del giudice a quo, essendo stata ammessa la possibilità per il coniuge dell’adottante di prestare il proprio assenso alla adozione (art. 297, primo comma, cod. civ.), risulta incongruo che analoga disciplina non sia stata prevista per i discendenti legittimi o legittimati maggiorenni.

Del resto, anche la Corte costituzionale – prosegue il giudice a quo – con sentenza n. 237 del 1974 è intervenuta in una fattispecie analoga – precisamente quella della legittimazione dei figli naturali per decreto del Presidente della Repubblica -, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 284, n. 2, cod. civ. (come formulato precedentemente alla riforma del diritto di famiglia attuata con l. 19 maggio 1975 n. 151) nella parte in cui tale norma escludeva la possibilità per il genitore di chiedere la legittimazione suddetta ove esistessero figli legittimi o legittimati o loro discendenti che avessero prestato il proprio assenso. Pertanto, anche dall’affinità di tale fattispecie con quella dell’adozione il giudice a quo evince una disparità di trattamento ingiustificata.

2. – Nel giudizio dinanzi a questa Corte non vi è stata costituzione di parti private né è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato in diritto

1. – È stato denunciato a questa Corte, in riferimento all’art. 3 Cost., l’art. 291 cod. civ. in quanto “non consente che possa procedersi all’adozione da parte di persone che abbiano figli legittimi o legittimati, ancorché maggiorenni e consenzienti”.

2. – Preliminarmente è da rilevare come indubbiamente il legislatore in via di principio possa, nell’esercizio del suo potere discrezionale, contenere l’istituto dell’adozione entro l’ambito ritenuto più opportuno per salvaguardare i diritti dei membri della famiglia legittima.

È tuttavia necessario che la normativa non comporti delle limitazioni eccessive – e come tali irrazionali – rispetto allo scopo perseguito, sì da violare l’art. 3 Cost.

3. – Nella fattispecie rileva la Corte che, mentre l’esistenza del coniuge non osta all’adozione, sempre che questi presti il suo assenso (art. 297, primo comma, c.c.), la circostanza che vi siano figli legittimi o legittimati, benché maggiorenni e consenzienti, impedisce che si possa procedere alla adozione medesima.

Tale differente valutazione legislativa dell’assenso di persone (rispettivamente coniuge e figli), tutte facenti parte della famiglia legittima dell’adottante, ed egualmente interessate, sia sotto l’aspetto morale che sotto quello patrimoniale, anche in relazione al favor sempre dimostrato del legislatore verso l’istituto, appare chiaramente incongrua.

Non sussiste, infatti, un motivo razionale per ritenere sufficientemente tutelata la posizione del coniuge attraverso la previsione del suo assenso, e per non disporre analogamente, in una situazione sostanzialmente identica, rispetto ai discendenti legittimi o legittimati maggiorenni e consenzienti.

Deve concludersi che la norma impugnata viola, per la parte a cui si riferisce l’ordinanza di rimessione, il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.) e deve quindi esserne dichiarata l’illegittimità costituzionale.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

Dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 291 cod. civ., nella parte in cui non consente l’adozione a persone che abbiano discendenti legittimi o legittimati maggiorenni e consenzienti.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’11 maggio 1988.

Allegati

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