FATTO E MOTIVI DELLA DECISIONE
Con atto notificato il 3.3.06 B.B. ha proposto appello avverso la sentenza n. 1064/05 con cui il Tribunale di Roma ha dichiarato risolto il contratto per atto pubblico 6.5.96, per rogito Notaio O. D. R., di vendita con patto di riservato dominio da parte della Cassa per la Formazione della Proprietà Contadina in suo favore di un fondo nel Comune di Acate e di altro nel Comune di Vittoria, con la condanna del B.B. al rilascio dei fondi e al pagamento delle spese processuali.
Con il primo motivo deduce l’appellante l’erroneità della sentenza gravata nella parte in cui è stata respìnta l’eccezione di incompetenza per territorio da lui avanzata, per la competenza alternativa del Tribunale di Caltagirone. foro della sua residenza, o del Tribunale di Ragusa – Sezione Distaccata di Vittoria, foro in cui sono siti gli immobili di cui al contratto inter partes. o del Tribunale di Ragusa, foro in cui e stato concluso il contratto, stante la vessatorietà ed invalidità della clausola derogativa della competenza di cui all’art. 14 del contratto in quanto non specificamente approvata ai sensi dell’art. 1341 c.c. norma che non distingue i contratti tra scritture private ed atti pubblici, come diversamente ritenuto dal Tribunale; con ulteriore motivo, deduce l’appellante la mancanza nella fattispecie di un inadempimento grave e di non scarsa importanza, tale da legittimare la risoluzione, rivestendo anche l’art. 6 del contratto contenente clausola risolutiva nel caso in cui l’acquirente fosse moroso nel pagamento di almeno due annualità di preammortamento e ammortamento natura vessatoria, necessitante di specifica approvazione, oltre al tatto che la morosità non si era realizzata avendo egli effettuato alcuni versamenti mentre il mancato pagamento non superava rollava parte del prezzo di acquisto per cui non poteva comportare la risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1525 c.c..
Si è costituito in contraddittorio l’Ismea – Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare, accorpante la Cassa per la Formazione della Proprietà Contadina, che ha chiesto il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza impugnata, eccependo la novità dell’eccezione sollevata dall’appellante ai sensi dell’art. 1525 c.c..
Con produzione di atti conferenti, in base alle conclusioni come in epigrafe trascritte, la causa è stata trattenuta in decisione all’udienza del 19.3.2010, in cui sono stati concessi i termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e delle note di replica.
Infondato è il motivo inerente la questione pregiudiziale sull’affermata competenza territoriale del Tribunale di Roma a conoscere la controversia in base all’art. 14 del contratto di vendita con patto di riservato dominio intercorso tra le parti, clausola con cui “Per eventuali controversie giudiziali le parti, di comune accordo, convengono e stabiliscono la competenza esclusiva del Foro di Roma, salva la speciale giurisdizione di cui all’art. 26 c.p.c.”, a cui parte appellante conferisce natura di clausola vessatoria, comportante ai sensi dell’art. 1341 c.c. specifica approvazione, mancante nel caso di specie.
Come correttamente rilevato dal Tribunale, la clausola non necessita della formalità stabilita dalia norma citala stante la stipula avvenuta per atto pubblico perché, come affermato dalla costante giurisprudenza della Suprema Corte in tal caso, ancorché si conformi alle condizioni poste da uno dei contraenti, la clausola non può considerarsi come “predisposta” dal contraente medesimo e pertanto, pur se vessatoria, non richiede approvazione specifica per iscritto in quanto la particolare forma contrattuale esclude la necessità di un’approvazione siffatta (cfr. Cass. Civ. n. 4188/98; 675/00; 18917/04).
Per analoga ragione la specifica approvazione non è necessaria anche con riguardo alla clausola risolutiva espressa di cui all’art. 6 del contratto, posta a fondamento della domanda avanzata in primo grado dalla parte venditrice, tenuto altresì conto che la clausola risolutiva espressa non può essere ricondotta fra quelle che sanciscono limitazioni alla facoltà di proporre eccezioni, aggravando le condizioni di uno dei contraenti, perché la facoltà di chiedere la risoluzione del contratto è ìnsita nel medesimo, a norma degli art. 1453 e 1218 c.c., in caso di inadempimento (cfr, Cass. Civ. n. 369/00) e detta clausola non fa che rafforzare tale facoltà, accelerando la risoluzione, avendo le parti anticipatamente valutalo l’importanza di un determinato inadempimento ed eliminato in tal modo la necessità di un’indagine in proposito, avuto riguardo all’interesse dell’altra parte (cfr. Cass. Civ. n. 2650/89; 16253/05).
Relativamente a tale ultimo profilo ed all’ulteriore motivo con cui è contestata la gravità ed importanza dell’inadempimento, deve rilevarsi che, a ironie della previsione dell’operatività della clausola, in caso di morosità per due annualità di preammortamento o di ammortamento, come rilevato nella sentenza impugnata, il B.B. ha dimostrato unicamente di avere corrisposto a controparte nel 1997 lire 13.000.000 e nel 1998 lire 36.800.000. in presenza di una rata annuale convenuta in lire 33.288.915. per cui alla data di notifica della citazione (23.10.01) si erano ampiamente verificate le condizioni ivi previste, legittimanti la risoluzione dei contratto.
Va rilevata la novità e dunque l’inammissibilità ai sensi dell’art. 345 c.p.c. dell’eccezione avanzata dal B.B. ai sensi dell’art. 1525 c.c. per la prima volta con l’appello, avendo, in citazione e nella memoria di replica di cui all’art. 183 c.p.c. richiamato a giustificazione del proprio inadempimento unicamente la crisi del settore agricolo in Sicilia, rilevandosi ‘ad abundantiam’ che, avendo le parti concordato un corrispettivo complessivo per la vendita di lire 575.633.000. alla data di notifica della citazione la morosità maturata era superiore all’ottava parte del prezzo, pari a lire 71.954.125, essendo maturato un debito di (lire 33.288.915 x 4 anni = lire 133.155.660- 49.800.000 pagate) – lire 83.355.660.
Ne consegue il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza impugnata.
Le spese di lite del grado seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo di cui, rispetto alla nota di parte, detratte dalle spese quelle per “consultazioni con il cliente, ricerca documenti” non specificate, dai diritti le voci “ricerca documenti, ritiro conclusionale avversaria, note replica, dattilo e collazione, deposito in cancelleria, ritiro replica avversaria, esame replica avversaria” inerenti attività non svolta, cosi come per analoga ragione dagli onorari le voci “ricerca documenti, redazione memoria di replica”.
P.Q.M.
ogni contraria istanza disattesa:
– respinge l’appello proposto da B.B. Biagio avverso la sentenza n. 1064/05, che per l’effetto conferma:
– condanna B.B. Biagio a pagare in favore di Ismea – Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare le spese processuali del grado che liquida in euro 9.751. di cui euro 60 per esposti; euro 1.691 per diritti; euro 8.000 per onorari oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma il primo luglio 2010.
