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Corte appello Roma sez. I, 07/03/2025, n.2709

Massima

In tema di diffamazione, l’affermazione che una concorrente a un concorso di bellezza abbia “cambiato il suo nome all’anagrafe” e sia “operata”, pubblicata in un contesto in cui il regolamento richiede l’appartenenza al genere femminile fin dalla nascita, può integrare gli estremi del reato, ledendo la reputazione della persona offesa. La sussistenza del reato non è esclusa dall’eventuale indiretta pubblicità derivante dalle dichiarazioni diffamatorie.

 

Supporto alla lettura

DIFFAMAZIONE

Rispetto all’ingiuria ex art. 594 c.p., l’art.595 c.p. consiste nell’offesa all’altrui reputazione fatta comunicando con più persone, con il mezzo della stampa o tramite i social network a causa della loro capacità di raggiungere un numero indeterminato o apprezzabile di persone; persegue la condotta dell’offendere rivolta verso persone non presenti, ovvero non solo assenti fisicamente, ma anche non in grado di percepire l’offesa (la c.d. maldicenza in assenza dell’interessato).

La nuova costituzione italiana (art. 21) ha esteso la garanzia costituzionale a tutte indistintamente le manifestazioni del pensiero. Alla costituzione ha fatto seguito la legge 8 febbraio 1948, n. 47, che, pur avendo carattere provvisorio, tuttavia regola per la prima volta compiutamente la materia della stampa. Mentre la CEDU si è espressa più volte sul tema sostenendo che quando la diffamazione si realizza a mezzo social network, ad essere violato è l’art. 8 della CEDU, che tutela la vita privata del singolo in cui deve intendersi ricompreso anche il diritto alla reputazione.

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto
MOTIVI DELLA DECISIONE

Avverso la predetta sentenza proponevano tempestivo appello i difensori dell’imputata. Con il primo motivo di impugnazione i difensori hanno eccepito l’incompetenza territoriale del Tribunale di Roma, in favore del Tribunale di Milano, luogo di domicilio dell’imputata, ossia criterio suppletivo ai sensi del secondo comma dell’articolo 9 ccp, per avere rigettato, il primo giudice, la richiesta di rimessione in termini – articolata dai nuovi difensori dell’imputata all’udienza dell’11 Febbraio 2015 – fondata sulla “ignoranza della legge processuale” da parte del precedente difensore dell’imputata che non aveva tempestivamente articolato l’eccezione di incompetenza per territorio del Tribunale adito. Nel merito, le difese ritenevano l’insussistenza del reato di diffamazione in ragione del fatto che la stessa persona offesa, anche nel corso di interviste, aveva dichiarato di essersi solo inizialmente amareggiata per le propalazioni della Lu. sul sito Dagospia ma, successivamente, di essersi “messa a ridere” e di avere anzi tratto un vantaggio indiretto dalle dichiarazioni stesse in termini di notorietà acquisita. Il che escluderebbe il reato di diffamazione ed il pregiudizio alla reputazione della Ma.

Ancora, la difesa esclude che il qualificare una persona come “trans” possa avere, quantomeno dal punto di vista soggettivo, qualsivoglia senso diffamatorio o dispregiativo per l’autore del reato.

Lu.Se., nata a (Omissis) il (Omissis).

IMPUTATA

Del reato p. e p. dall’art. 595 co. 3 c.p., perché pubblicava sul Blog “Dagospia”, in data 11.09.2010 e in data 23.09.2010, articoli in cui riferendosi ad Al.Ma. ne offendeva la reputazione affermando in particolare: “La storia che a Miss Italia ci sarebbe una concorrente trans in effetti pare sia vero”, “Al.Ma., una tizia la cui altezza desta già qualche sospetto: è alta 1,8. La ragazza è operata, ha cambiato il suo nome all’anagrafe”. In Roma nelle date indicate.

Altra ragione di censura ha riguardato la mancata ammissione della teste Pa.Mi., citata dalla Ma. nel corso della sua deposizione, ai sensi dell’articolo 507 cpp od anche a prova contraria.

Pertanto le difese concludevano per l’assoluzione della Lu. dal reato ascrittole per insussistenza del fatto e per la revoca delle statuizioni civili e, in via istruttoria, per la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale.

In via ulteriormente subordinata le difese chiedevano la riforma della sentenza per essere, il reato, estinto per intervenuta prescrizione.

Va respinta l’eccezione preliminare articolata dalla difesa.

L’eccezione di incompetenza per territorio del Tribunale di Roma non è stata proposta nel termine di cui all’articolo 491 comma primo cpp.

Infatti, all’udienza del 9 Gennaio 2013 il Tribunale monocratico di Roma controllava la regolare costituzione delle parti, dichiarava aperto il dibattimento ed ammetteva le prove senza che fosse articolata alcuna eccezione da parte.

Del tutto correttamente, poi, il primo giudice ha rigettato l’istanza difensiva di rimessione in termini articolata dai nuovi difensori della Lu. all’udienza dell’11 Febbraio 2015, per non essersi verificata una “marchiana ignoranza di regole basilari in tema di decorrenza dei termini di decadenza, ma, eventualmente, di mancata conoscenza di un diverso orientamento del Supremo Collegio in merito alla competenza in relazione ai reati di diffamazione a mezzo internet”.

Va, infatti, ribadito, come il presupposto per la rimessione in termini invocata dalla difesa, ai sensi dell’articolo 175 cpp sia il caso fortuito o la forza maggiore. Ebbene, nella specie, la scelta della imputata in primo grado di revocare il precedente difensore e di nominarne due nuovi, in un tempo successivo alla udienza di cui all’articolo 491 comma primo cpp, in nessun modo può essere ricondotta a caso fortuito. Così come la scelta del primo difensore dì non eccepire l’incompetenza per territorio in alcun modo è qualificabile come caso fortuito.

Né la sentenza invocata dalla difesa (Corte di Cassazione 26 Giugno-10 Settembre 2009 n. 35149) soccorre in alcun modo in favore dell’appellante nel caso di specie. La sentenza, infatti, afferisce ad una ipotesi di grave sconoscenza da parte del difensore di una norma di legge processuale circa i termini per le impugnazioni (come la non necessità dell’avviso di deposito della sentenza nella ipotesi in cui la motivazione venga depositata nei termini) che aveva comportato, in spregio al condannato, la tardività dell’appello.

Al contrario, la questione circa la competenza per territorio è rilevabile o eccepibile entro il termine di decadenza di cui all’articolo 491 comma I cpp in quanto si tratta di una competenza ratione loci che non afferisce alla legittimazione “funzionale” del giudice che decide il processo. Ragione per la quale, ove non eccepita, siffatta questione si ritiene sanata. Peraltro, l’incompetenza per territorio nella fattispecie de qua risulta del tutto discutibile nel merito, atteso che il server del sito Dagospia ha pacificamente sede in Roma e che, pertanto, il criterio di radicamento della competenza in Milano, soltanto residuale, nel caso di specie potrebbe non trovare applicazione.

Pertanto, per tutte le suddette ragioni la mancata articolazione della eccezione di incompetenza per territorio nel termine da parte del precedente difensore della Lu. non può ricondursi a sconoscenza di ” ordinarie regole di diritto che dovrebbero costituire il bagaglio tecnico di qualsiasi soggetto legittimato alla professione forense attraverso il superamento dell’esame di Stato”, al quale requisito la sentenza della Corte di Cassazione n. 35149 del 2009, invocata dalla difesa, equipara il caso fortuito posto a presidio della restituzione in termini di cui all’articolo 175 cpp.

Nel merito, il reato di diffamazione, punito con la pena massima di tre anni, è estinto per prescrizione.

Infatti, il tempo necessario a prescrivere, ai sensi dell’articolo 157 cp, non può essere inferiore a sei anni.

L’interruzione della prescrizione in questo caso, ai sensi dell’articolo 161 comma II cp è un quarto di sei anni, pari ad anni uno e mesi sei.

L’ultimo atto interruttivo è dato dalla sentenza di condanna, del 2 Novembre 2016 ma “in nessun caso i termini stabiliti dall’articolo 157 possono essere prolungati oltre i termini di cui all’articolo 161 comma secondo cp” ai sensi dell’articolo 160 comma terzo cp. Pertanto il termine di prescrizione, massimo, è maturato nelle date dell’11 e 23 Marzo 2018 (anni sette e mesi sei dai fatti commessi nelle date del 11 Settembre 2010 e 23 Settembre 2010).

La formula di proscioglimento nel merito prevale sulla dichiarazione di improcedibilità per intervenuta prescrizione soltanto nel caso in cui sia rilevabile, con una mera attività ricognitiva, l’assoluta assenza della prova di colpevolezza a carico dell’imputato ovvero la prova positiva della sua innocenza, e non anche nel caso di mera contraddittorietà o insufficienza della prova che richiede un apprezzamento ponderato tra opposte risultanze (Sez. 6, n. 10284 del 22/01/2014, Culicchia, Rv. 259445; Sez. 4, n. 23680 del 07/05/2013, Rizzo, Rv. 256202; Sez. 1, n. 43853 del 24/09/2013, Giuffrida, Rv. 258441). Siffatto orientamento si pone in linea di continuità con i principi già definitivamente affermati dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che hanno ribadito come in presenza di una causa di estinzione del reato il giudice sia legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129 c.p.p., comma 2, soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di “constatazione”, ossia di percezione ictu oculi, che a quello di “apprezzamento” e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Rv. 244274, Tettamanti). Nella fattispecie in esame le prove in atti (deposizione della persona offesa e lo stesso tenore delle espressioni usate dalla Lu. nei due articoli pubblicati sul Blog Dagospia nelle date indicate in accusa) ostano alla immediata declaratoria nel merito ai sensi dell’articolo 129 comma II cpp.

Va confermata, poi, la condanna al risarcimento del danno dell’imputata in favore della parte civile costituita, Al.Ma.

Infatti, difetta ogni insufficenza o contraddittorietà della prova del reato di diffamazione di cui in accusa (cfr. la Corte di Cassazione, Sezioni Unite 28 Marzo 2024 n. 36208), Ciò in quanto lo stesso tenore delle dichiarazioni della Lu. presentano connotazioni offensive della reputazione della candidata al concorso di Miss Italia nel 2010, come è notorio accessibile solo alle donne, in particolare nel punto in cui la giornalista ha affermato: ” la ragazza è operata, ha cambiato il suo nome all’anagrafe”.

L’affermazione, pubblicata sul Blog Dagospia nella contestualità del concorso per miss Italia cui partecipava la Ma., risulta gravemente lesiva della reputazione della parte civile nel punto in cui costei è stata accusata di avere sostanzialmente agito in frode alle regole del concorso le quali imponevano la sussistenza del requisito del sesso femminile fin dalla nascita. Al punto che la Ma. ha dichiarato al dibattimento che dopo le prime dichiarazioni della Lu. in data 10 Settembre 2010, ebbe a svilupparsi un clamore mediatico intorno a lei così forte da essere stata trattenuta dalla organizzatrice, Pa.Mi., in luogo isolato, di avere subito il discredito delle altre concorrenti e dei parenti, di essere stata costretta pubblicamente a chiarire di non essere transessuale e, in ultimo, di essersi sentita umiliata dopo essere stata esclusa e pregiudicata anche nelle relazioni personali.

Per cui difetta, nel contesto descritto, qualsivoglia insufficienza o contraddittorietà della prova della alterazione, travisamento del patrimonio sociale e professionale, per quel che concerne anche la sfera sessuale, della parte civile, perfezionatasi mediante un grave offuscamento della reputazione della stessa.

Contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa nell’atto di impugnazione, non è l’avere etichettato la Ma.Al. come “trans” ad integrare il reato in quanto in effetti il termine utilizzato dall’appellante non ha conservato un significato intrinsecamente offensivo. Il pregiudizio alla reputazione della Ma., però, nel contesto del concorso di Miss Italia, per come lo stesso era regolamentato nel 2010 – aperto al solo genere femminile fin dalla nascita – ha comportato un pregiudizio alla correttezza ed al rispetto delle regole di ingaggio della parte civile concorrente cui si è attribuita una sorta di volontà di inganno circa un requisito fondante il concorso, ossia l’appartenenza fin dalla nascita al genere femminile. Con una serie di gravi ricadute in termini di credibilità della Ma. che, all’epoca, era concorrente in quel concorso.

Pertanto il grave vulnus alla reputazione della parte civile si è consumato in quanto la propalazione è intervenuta mentre la stessa era concorrente al concorso di Miss Italia, con tutte le conseguenze di pregiudizio alla sua reputazione descritte dalla parte civile al dibattimento.

Che, poi, siffatti eventi abbiano avuto una indiretta e secondaria portata di pubblicità alla Ma., come sottolineato dalla difesa, non esclude l’integrazione del reato, come contestato.

Sussistono pertanto tutti i presupposti per la conferma della condanna della Lu. al risarcimento del danno in favore della parte civile, per lo stesso importo, correttamente quantificato in primo grado in via equitativa per Euro 5.000,00 (in considerazione della rilevanza pubblica della figura della Ma.Al. al momento dei fatti e del danno alla immagine dalla stessa descritto).

Va confermata poi la condanna della Lu. al pagamento delle spese del primo grado di giudizio in favore della parte civile e la stessa va ulteriormente condannata al pagamento delle spese di costituzione e rappresentanza della parte civile nel giudizio di appello nell’ammontare di cui al dispositivo.

P.Q.M.

Visto l’articolo 605 c.p.p., in riforma della sentenza del Tribunale di Roma, emessa in data 2 Novembre 2016 ed appellata da Lu.Se., dichiara non doversi procedere nei confronti dell’imputata per essere il reato ascrittole estinto per intervenuta prescrizione.

Conferma nel resto, con particolare riferimento alle statuizioni civili della suddetta sentenza.

Condanna Se.Lu. alla rifusione delle spese processuali in favore della parte civile costituita, Al.Ma., che liquida in complessivi 900,00 Euro, a titolo di onorari oltre, I.V.A., CPA e rimborso forfetario spese generali al 15 per cento come per legge.

Visto l’articolo 544, comma 3, c.p.p., indica in trenta giorni il termine per il deposito della motivazione.

Così deciso in Roma, il 25 febbraio 2025.

Depositata in Cancelleria il 7 marzo 2025.

Allegati

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