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Corte appello Reggio Calabria sez. I, 07/12/2021, n.697

Massima

In tema di danni da cose in custodia, il danneggiato non è obbligato a provare l’esistenza di un “insidia” o di un “trabocchetto”, poiché tali concetti non rientrano nella responsabilità prevista dall’art. 2051 c.c. (responsabilità per danni derivanti da cose sotto custodia). Pertanto, inserirli come elementi necessari per configurare la responsabilità della Pubblica Amministrazione come custode sarebbe una violazione del significato letterale e sostanziale della norma, creando una posizione più gravosa per il danneggiato e limitando ingiustificatamente le responsabilità della P.A.

Supporto alla lettura

Responsabilità cose in custodia

La responsabilità di cui all’art. 2051 c.c. ha carattere oggettivo, e non presunto. pertanto, ai fini della responsabilità delle cose in custodia è sufficiente la dimostrazione da parte dell’attore del nesso di causalità fra cosa in custodia e danno.

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Così lo svolgersi del processo di primo grado è compendiato nella sentenza impugnata:

<<1.1. Con comparsa di riassunzione del giudizio instaurato innanzi al Giudice di Pace di Cinquefrondi (e definito con sentenza di incompetenza per valore) ritualmente notificata, (omissis) conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Palmi – sezione distaccata di Cinquefrondi – la Provincia di Reggio Calabria e il Consorzio Ravennate delle Cooperative di Produzione e Lavoro, al fine di ottenere, previo accertamento delle rispettive responsabilità in ordine alla custodia e manutenzione della strada ai sensi dell’art. 2051 cc., la condanna degli enti in solido al risarcimento di tutti i danni subiti a seguito ed in conseguenza della caduta occorsa in data 4.3.2007, alle ore 10.00 circa, allorché, percorrendo in sella alla propria bicicletta la via Circonvallazione di Polistena con direzione Taurianova, cadeva a terra a causa di una buca presente sull’asfalto non visibile né prevedibile, riportando gravi lesioni personali e danni alla bicicletta.

1.2. La Provincia di Reggio Calabria, costituitasi in giudizio, eccepito preliminarmente il difetto di legittimazione passiva, stante il contratto stipulato con il Consorzio Ravennate delle Cooperative di Produzione e Lavoro, avente ad oggetto l’affidamento della gestione ordinaria e straordinaria delle strade provinciali, contestava la fondatezza della domanda avversaria chiedendone il rigetto e, nell’ipotesi di eventuale accoglimento della domanda dell’attore, domandava di essere manlevata dal Consorzio Ravennate.

Il Consorzio Ravennate delle Cooperative di Produzione e Lavoro, dopo aver spiegato intervento volontario nel giudizio innanzi al Giudice di Pace, si costituiva nel giudizio riassunto e, contestata la sussistenza dei presupposti della pretesa avversaria, chiedeva il rigetto della domanda attorea e, in subordine, la riduzione della quantificazione del risarcimento richiesto.

La causa veniva istruita attraverso prova testimoniale, acquisizione dei documenti ritualmente prodotti e c.t.u. espletata dalla dott.ssa (omissis).

All’udienza del 28.5.2015, parte attrice precisava le conclusioni e la causa veniva trattenuta in decisione con assegnazione di giorni 60 per deposito di comparse conclusionali e 20 per scambio di memorie di replica.>>.

Con la sentenza in epigrafe indicata, il Tribunale di Palmi così statuiva: ‘Il Tribunale, definitivamente pronunziando nella causa civile di primo grado indicata in epigrafe, ogni diversa istanza, conclusione e deduzione disattesa, così provvede:

– Rigetta la domanda proposta da (omissis) nei confronti della Provincia di Reggio Calabria e del Consorzio Ravennate delle Cooperative di Produzione e Lavoro, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro-tempore;

– compensa le spese di lite tra (omissis), la Provincia di Reggio Calabria ed il Consorzio Ravennate delle Cooperative di Produzione e Lavoro, in persona dei rispettivi legali rappresentanti tanti pro-tempore;

– pone definitivamente le spese di c.t.u., liquidate con separato decreto, a carico di parte attrice.’.

Avverso tale sentenza proponeva appello il (omissis), con atto di citazione notificato telematicamente via p.e.c. il 16.12.2015, nel quale veniva esposto un unico, lungo ed articolato motivo di gravame incentrato sostanzialmente sulla erronea ed inesatta valutazione delle risultanze istruttorie (prova testimoniale, documentazione fotografica e C.T.U. medico legale), che, laddove diversamente e correttamente interpretate, avrebbero condotto ad una sicura declaratoria di responsabilità ex art. 2051 c.c. delle convenute e ad una loro condanna al risarcimento dei danni patiti dall’attore in dipendenza del sinistro dedotto in giudizio.

Chiedeva, pertanto, previa rinnovazione totale o parziale della prova testimoniale già assunta, in riforma della sentenza impugnata, la condanna delle convenute in solido al risarcimento dei danni sofferti ed alla rifusione delle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio, con distrazione ex art. 93 c.p.c. in favore del procuratore antistatario.

Si costituiva in giudizio, con comparsa di costituzione e risposta depositata in cancelleria il 27.04.2016, la PROVINCIA DI REGGIO CALABRIA, eccependo preliminarmente l’inammissibilità dell’appello per violazione dell’art. 342 c.p.c. e contestando nel merito la fondatezza dell’appello, di cui chiedeva il rigetto con la conseguente conferma delle statuizioni contenute nella sentenza impugnata e la condanna dell’appellante alla rifusione delle spese del grado.

In via subordinata, in caso di accoglimento del gravame, chiedeva che il CONZORZIO COOPERATIVE COSTRUZIONI SOC. COOP. fosse tenuto a manlevarla da ogni responsabilità e condannato al risarcimento dei danni in favore dell’appellante.

Si costituiva parimenti in giudizio, con comparsa di costituzione e risposta del 27.04.2016, il CONZORZIO COOPERATIVE COSTRUZIONI SOC. COOP., chiedendo il rigetto del gravame e la conferma delle statuizioni contenute nella sentenza appellata, ed in subordine, in caso di accoglimento dell’appello, una riduzione del quantum risarcitorio.

Con ordinanza del 05.05.2016, questa Corte, nel respingere implicitamente la richiesta di rinnovazione della prova testimoniale avanzata dall’appellante, rinviava la causa per la precisazione delle conclusioni all’udienza del 09.03.2017.

Nel corso della trattazione nel presente grado non veniva pertanto svolta ulteriore attività istruttoria.

Indi, precisate le conclusioni, in epigrafe indicate, all’udienza collegiale dell.11.01.2021 – svoltasi con le modalità di cui all’art. 83, VII comma, lett. H), D.L. n. 18/2020, convertito con modifiche in L. 27/2020 – su richiesta dei soli procuratori delle parti appellate, la causa veniva posta in decisione con la concessione dei termini di legge, ex art. 190 c.p.c., a far data dal 14.01.2021.

Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente va affrontata l’eccezione di inammissibilità per la presunta violazione dei principi relativi alla forma contenuto dell’atto di appello ai sensi dell’art. 342 c.p.c., sollevata dalla difesa della PROVINCIA DI REGGIO CALABRIA.

In proposito si osserva che, per costante interpretazione della Suprema Corte (cfr. Cass. Civ. SS.UU. n. 27199/2017; in senso conforme, Cass. Civ. nn. 7675/2019; 13535/2018): ‘Gli artt. 342 e 434 del codice di rito civile (nel testo formulato dal DL 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, in legge 7 agosto 2012, n. 134), vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, insieme ad essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice. Resta escluso, in considerazione della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello – il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata – che l’atto di appello debba rivestire particolari forme sacramentali ovvero che debba contenere la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado.’.

Nel caso in esame la forma/contenuto dell’atto di appello risulta pienamente conforme ai superiori dettami, essendo stati chiaramente enucleati in esso le questioni e i punti della sentenza impugnata oggetto di contestazione, nonché espressamente indicate le assunte violazioni di legge, così che questo Giudice è stato posto sufficientemente in condizione di comprendere con chiarezza quale sia il tenore delle proposte censure, nonché le ragioni della loro stessa proposizione, a nulla rilevando – in tale contesto – la mancata formale predisposizione di un progetto alternativo di sentenza, né il mancato uso di particolari formule sacramentali.

Nel merito l’appello è fondato e va pertanto accolto nella sua interezza.

Le conclusioni cui è giunto il Tribunale di Palmi nella adozione del provvedimento impugnato, alla luce di una disamina più approfondita degli atti e delle risultanze istruttorie emerse nel corso del giudizio di primo grado (prove testimoniali, fotografie dello stato dei luoghi scattate nell’immediatezza dell’accaduto e conclusioni della C.T.U. medico legale), appaiono, infatti, errate dal punto di vista logico – motivazionale, anche in considerazione dell’orientamento giurisprudenziale delineato ormai in maniera costante ed univoca dalla Suprema Corte in tema di responsabilità della P.A. per danni cagionati da cose in custodia.

Il Giudice di prime cure, pur sostenendo, nelle premesse, che sembra applicabile al caso di specie la disciplina relativa alla responsabilità per danni cagionati da cose in custodia ex art. 2051c.c., ritiene, tuttavia, che parte attrice non abbia fornito la prova delle ‘…concrete modalità del fatto e, in particolare, del nesso di causalità tra la buca e la caduta.’.

In primis occorre rilevare che dalle fotografie allegate al fascicolo di parte attrice in atti (in particolare dalla foto rubricata con il n. 3), si desume ictu oculi la presenza, sulla sede stradale, di una profonda buca formatasi sull’asfalto in prossimità di un giunto tecnico del viadotto – a parere di questo Collegio non facilmente visibile, a prescindere dalle condizioni di tempo e dell’orario mattutino in cui si è verificato l’incidente – allocata verso il margine destro della corsia di percorrenza della bicicletta condotta dal (omissis)., a circa un metro dal guard-rail, con la presenza di una rete elettrosaldata sottostante, sicché si ritiene non corretta l’impressione che ha avuto il primo Giudice dello stato dei luoghi.

Conseguentemente le dichiarazioni rese dai testi (omissis). All’udienza dell.8.7.2010 sono pienamente attendibili.

In particolare,(omissis), dopo aver riconosciuto i luoghi di causa dalle fotografie esibitegli, ha affermato di aver visto il (omissis)– che procedeva a circa 4-5-6 metri davanti a loro – cadere a causa della buca e sbattere il volto contro la ‘pavimentazione stradale’ (e non contro la parte anteriore, per come erroneamente inteso e riportato in motivazione dal Tribunale) e successivamente contro il cordolo in cemento posto sotto il guard-rail.

Ha anche dichiarato che la buca non era segnalata e non era tanto visibile e si trovava in un tratto di strada rettilineo ed in discesa, ‘di poco decentrata’ sul lato sinistro rispetto al margine destro della corsia di percorrenza, aggiungendo, infine, che tutti facevano parte di un gruppo di ciclisti, alcuni dei quali precedevano il (omissis)ed erano già transitati dal luogo del sinistro.

Il (omissis), confermando di far parte dello stesso gruppo di ciclisti, che nell’occasione, procedevano comunque in ordine sparso, ha dichiarato che la buca non era segnalata e non era visibile e che sul lato destro della strada, in prossimità del guard-rail, vi era della ghiaia sulla sede stradale (visibile peraltro dalla fotografia n. 3 sopra citata).

Ha infine aggiunto di aver visto cadere il (omissis) e di avergli prestato soccorso, specificando anche la regione del volto dove questi aveva riportato le lesioni personali.

Anche il teste successivo, appuntato dei CC (omissis), accorso sul posto insieme ad altro collega nell’immediatezza del fatto, ha riconosciuto nelle fotografie esibitegli i luoghi teatro dell’incidente ed ha fornito anche le misure della buca in questione (larga 40 X 25 cm. e profonda 10 cm.).

Di talché risulta di tutta evidenza l’irregolarità della sede stradale, in un punto in cui, essendo praticamente adiacente al margine destro della carreggiata, costituisce un concreto pericolo per la circolazione stradale in generale di tutti gli utenti della strada che, pur adoperando l’ordinaria diligenza, rischiano inconsapevolmente, di imbattervisi subendo conseguenze dannose.

In secundis, quanto affermato dal Tribunale di Palmi in ordine alla mancanza di nesso causale tra la cosa e l’evento è del tutto privo di fondamento poiché la prova per testi ha inequivocabilmente dimostrato che il PA. ha riportato le lesioni per cui è causa in dipendenza dalla caduta avvenuta per essere incappato nella buca formatasi sul piano viario, che presentava quindi delle evidenti anomalie.

Sicché la presenza del nesso di causalità tra la cosa e l’evento è incontestabile, essendo tenuta, parte attrice, a dimostrare solo che l’evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa, anche a voler qualificare la fattispecie in esame ex art. 2043 c.c..

Come è noto, ormai da diversi anni la giurisprudenza di legittimità ha delineato un costante e consolidato orientamento nel ritenere concettualmente ed astrattamente configurabile, nei confronti della P.A., la responsabilità per danni da cose in custodia ex art. 2051 c.c. relativamente ai danneggiamenti subiti a seguito dell’utilizzo di strade pubbliche.

Sulla scia di sempre più stringenti critiche dottrinali, si è infatti preso atto che il ritenere non applicabile alla P.A., per tali beni, la responsabilità da custodia, ma solo quella ex art. 2043 c.c., rappresentava un ingiustificato privilegio e, di riflesso, un ingiustificato deteriore trattamento per gli utenti danneggiati; viceversa, l’applicazione dell’art. 2051 c.c. si prestava ad una migliore salvaguardia e ad un miglior bilanciamento degli interessi in gioco in conformità ai principi dell’ordinamento giuridico e al sentire sociale.

Più in generale, si è osservato che l’assoggettamento della P.A. alle regole del diritto privato, e la considerazione della medesima su un piano di parità con gli altri soggetti quando agisce iure privatorum nell’ambito dei comuni rapporti della vita di relazione, risponde ormai ad un’esigenza pienamente avvertita dalla coscienza sociale, ed è un riflesso di una crescita e di una progressiva maturazione della concezione dei rapporti intersoggettivi tra privato e P.A.

Ciò posto, va sottolineato che la norma dell’art. 2051 c.c. contempla quali due unici presupposti applicativi la custodia e la derivazione del danno dalla cosa.

Il primo presupposto, id est la custodia, consiste nel potere di effettiva disponibilità e controllo della cosa.

Custodi sono infatti tutti i soggetti, pubblici o privati, che hanno il possesso o la detenzione della cosa (ex multis Cass. n. 20317/2005), e custodi sono anzitutto i proprietari.

Quale proprietaria delle strade pubbliche ex art. 16 L. n. 2248/1865 All. F, l’obbligo di relativa manutenzione in capo alla P.A. discende non solo da specifiche norme (art. 14 C.d.S.; per le strade ferrate, art. 8 DPR n. 753/1980; per le strade comunali e provinciali, art. 28 L. n. 2248/1865 All. F; per i Comuni, art. 5 RD n. 2506/1923), ma anche dal generale obbligo di custodia, con conseguente operatività nei confronti dell’ente della presunzione di responsabilità ex art. 2051 c.c. in caso di omessa prevenzione.

Circa il secondo requisito della custodia, e cioè il nesso causale rappresentato dalla derivazione del danno dalla cosa, si osserva che il danneggiato, secondo la regola generale in tema di responsabilità civile extracontrattuale, è tenuto a darne la prova.

Tale prova del nesso causale va peraltro ritenuta assolta con la dimostrazione che l’evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta o assunta dalla cosa (ex aliis, Cass. n. 2075/2002 e Cass. n. 2331/2001), in ragione di un processo in atto o una situazione determinatasi, ancorché provocati da elementi esterni (tra le tante, Cass. n. 10641/2002 e Cass. n. 4480/2001), che conferiscano cioè alla cosa quella che in giurisprudenza si è a volte indicata come ‘idoneità al nocumento’, non richiedendosi viceversa anche la prova dell’intrinseca dannosità o pericolosità (qualità viceversa rilevante per la diversa fattispecie prevista dall’art. 2050 c.c.) della cosa medesima.

Tutte le cose, anche quelle normalmente innocue, sono infatti suscettibili di assumere ed esprimere potenzialità dannose in ragione di particolari circostanze, e in conseguenza di un processo dannoso provocato da elementi esterni (Cass. n. 3041/1997), risultando ormai superata la distinzione tra cose inerti e cose intrinsecamente dannose in quanto idonee a produrre lesione a persone e cose in virtù di connaturale forza dinamica o per l’effetto di concause umane o naturali (ex pluribus, cfr. Cass. n. 14606/2004, Cass. n. 4480/2001, Cass. n. 6616/2000).

La derivazione del danno dalla cosa può essere peraltro offerta dal danneggiato anche per presunzioni, giacché la prova del danno è di per sé indice della sussistenza di un risultato anomalo, e cioè dell’obiettiva deviazione dal modello di condotta improntato ad adeguata diligenza che avrebbe normalmente evitato il danno (cfr. Cass. n. 2308/2007 e Cass. n. 3651/2006).

La norma di cui all’art. 2051 c.c. non richiede, invero, altri e diversi presupposti applicativi, ulteriori rispetto alla prova da parte del danneggiato della sussistenza dell’evento dannoso e del suo rapporto di causalità con la cosa.

In particolare, al danneggiato non può farsi carico della prova dell’insidia o trabocchetto, trattandosi di fattispecie estranee alla responsabilità ex art. 2051 c.c., che tantomeno possono pertanto considerarsi indici tassativi ai fini della configurabilità della responsabilità della P.A.: così facendo, infatti, si opererebbe un’interpretazione della norma contraria al suo tenore letterale e sostanziale, aggravando la posizione probatoria del danneggiato al fine di limitare le ipotesi di responsabilità della P.A. e creare un ingiustificato privilegio a suo favore.

Né è necessaria, d’altro canto, la dimostrazione dell’insussistenza di impulsi causali autonomi ed estranei alla sfera di controllo propria del custode e quindi per il medesimo inevitabili, giacché è al custode che incombe la prova del fortuito (Cass. n. 2075/2002).

Nel porre infatti una responsabilità presunta a carico del soggetto che si trova in una data relazione con la cosa, la norma determina un’inversione probatoria rispetto alla regola generale in tema di illecito extracontrattuale posta dall’art. 2043 c.c.: l’onere della prova incombe cioè, diversamente che nella detta ipotesi generale, in capo non già al danneggiato, bensì a chi si trova nella particolare situazione che gli attribuisce i poteri di disponibilità e controllo sulla cosa.

La responsabilità ex art. 2051 c.c. integra quindi un’ipotesi di vera e propria responsabilità oggettiva, che trova piena giustificazione in ragione dei poteri che la particolare relazione con la cosa attribuisce al custode (cfr. in particolare Cass. n. 15383/2006, Cass. n. 15042/2008, Cass. n. 5308/2007, Cass. n. 5307/2007, Cass. n. 20827/2006, Cass. n. 15384/2006, Cass. n. 15383/2006, Cass. n 21684/2005, Cass. n. 376/2005, Cass. n. 5236/2004, Cass. n. 10641/2002).

Non rileva, quindi, la condotta del custode e l’osservanza o meno di un obbligo di vigilanza, in quanto la nozione di custodia non presuppone né implica uno specifico obbligo di custodire analogo a quello previsto per il depositario, e funzione della norma è, d’altro canto, quella di imputare la responsabilità a chi si trova nelle condizioni di controllare i rischi inerenti alla cosa.

Ne consegue che, in aderenza al disposto letterale della norma, tale tipo di responsabilità è esclusa solamente dal caso fortuito, fattore che attiene non già ad un comportamento del responsabile, bensì al profilo causale dell’evento, riconducibile non alla cosa che ne è fonte immediata, ma ad un elemento esterno, recante i caratteri dell’imprevedibilità (rilevante non già ad escludere la colpa, bensì quale profilo oggettivo, al fine di accertare l’eccezionalità del fattore esterno, sicché anche un’utilizzazione estranea alla naturale destinazione della cosa diviene prevedibile dal custode laddove largamente diffusa in un determinato ambiente sociale) e dell’inevitabilità, a nulla viceversa rilevando che il danno risulti causato da anomalie o vizi insorti nella cosa prima dell’inizio del rapporto di custodia (ex multis Cass. n. 5326/2005, Cass. n. 15429/2004, Cass. n. 472/2003, Cass. n. 12219/2003; Cass. n. 5578/2003; Cass. n. 472/2003).

Acutamente, è stato osservato che rileva solo ‘il fatto della cosa’, non già ‘il fatto dell’uomo’, poiché la responsabilità si fonda sul mero rapporto di custodia, e solo lo stato di fatto, non già l’obbligo di custodia, può assumere rilievo nella fattispecie.

Il profilo del comportamento del responsabile è di per sé estraneo alla struttura della normativa; né può esservi reintrodotto attraverso la figura della presunzione di colpa per mancata diligenza nella custodia, giacché il solo limite previsto dall’articolo in esame è l’esistenza del caso fortuito, non l’assenza di colpa, tanto che la dottrina parla al riguardo di ‘rischio da custodia’, più che di ‘colpa nella custodia’.

Il fortuito – che va inteso nel senso più ampio comprensivo del fatto del terzo e del fatto dello stesso danneggiato, purché detto fatto costituisca la causa esclusiva del danno (Cass. n. 1279/2008, Cass. n. 24739/2007, Cass. n. 5326/2005, Cass. n. 11264/1995, Cass. n. 1947/1994) – esclude così il nesso causale e non già la colpa, essendo suscettibile di una valutazione che consenta di ricondurre all’elemento esterno, anziché alla cosa che ne è fonte immediata, il danno concretamente verificatosi.

Infatti, la responsabilità si fonda non su un comportamento o un’attività del custode, ma su una relazione di custodia intercorrente tra questi e la cosa dannosa, ed il limite della responsabilità risiede nell’intervento di un fattore (id est il caso fortuito), che attiene non ad un comportamento del responsabile come nelle prove liberatorie degli artt. 2047,2048,2050 e 2054 c.c., ma alle modalità di causazione del danno.

Pertanto e con riferimento all’onere della prova, all’attore compete provare l’esistenza del rapporto eziologico tra la cosa e l’evento lesivo; il convenuto per liberarsi dovrà invece provare l’esistenza di un fattore estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale.

Tuttavia, se la custodia presuppone il potere di governo della res, e cioè il potere di controllare la cosa, di modificare la situazione di pericolo creatasi, nonché di escludere qualsiasi terzo dall’ingerenza sulla cosa nel momento in cui si è prodotto il danno (cfr. Cass. n. 7403/2007), certamente l’esistenza della custodia non può essere a priori esclusa in relazione alla natura demaniale del bene.

E. ben noto, peraltro, che l’Ente proprietario (o gestore) della strada si presume responsabile, ai sensi dell.art.2051 c.c., dei sinistri riconducibili alle situazioni di pericolo connesse alla struttura o alle pertinenze della strada stessa, indipendentemente dalla sua estensione, salvo che dia la prova che l’evento dannoso era imprevedibile e non tempestivamente evitabile o segnalabile (Cfr. Cass. Civ., Sez. III, 12/4/2013, n.8935; Cass. Civ. 18753/2017; Cass. Civ. 11526/2017; Cass. Civ. 7805/2017; Cass. Civ. 1677/2016; Cass. Civ. 9547/2015; Cass. Civ. 1896/2015).

Nella fattispecie de qua, risulta di tutta evidenza che il tratto di strada provinciale su cui si è verificato il sinistro per cui è causa presentasse una profonda buca in corrispondenza della corsia di percorrenza della bicicletta condotta dal PA. Gi., sicuramente esistente da tempo (cfr. fotografie dello stato dei luoghi, in atti) ed in relazione alla quale l’Ente proprietario non ha fornito alcun riscontro in ordine alla sua impossibilità di segnalarla o di intervenire tempestivamente per ripararla.

In ogni modo, sia nell’ipotesi che la fattispecie rientri nell’art. 2043 c.c., sia che rientri – come nel caso che ci occupa – nell’art. 2051 c.c., è rilevante l’eventuale comportamento colposo del danneggiato, poiché esso incide sul nesso causale.

Invero, l’interruzione del nesso di causalità può essere anche l’effetto del comportamento sopravvenuto dello stesso danneggiato, quando il fatto di costui si ponga come unica ed esclusiva causa dell’evento di danno, sì da privare dell’efficienza causale e da rendere giuridicamente irrilevante il precedente comportamento dell’autore dell’illecito (che è quanto ha ritenuto esistente nella fattispecie de qua il Tribunale di Palmi, con evidente distorsione delle risultanza probatorie).

La colpa del creditore – danneggiato, stante la genericità dell’art. 1227 comma 1 c.c. sul punto, sussiste non solo in ipotesi di violazione da parte del creditore – danneggiato di un obbligo giuridico, ma anche nella violazione della norma comportamentale di diligenza, sotto il profilo della colpa generica.

Se tanto avviene in caso di concorso del comportamento colposo del danneggiato nella produzione del danno, per eguale ragione il comportamento commissivo o omissivo colposo del danneggiato, che sia sufficiente da solo a determinare l’evento, esclude il rapporto di causalità delle cause precedenti.

In questa ottica, la diligenza del comportamento dell’utente del bene demaniale, e segnatamente della strada demaniale, va valutata anche in relazione all’affidamento che era ragionevole porre nell’utilizzo ordinario di quello specifico bene demaniale, con riguardo alle specifiche condizioni di luogo e di tempo: in questi termini il colpevole comportamento del danneggiato modula la corretta applicazione del principio della causalità adeguata ai fini del nesso causale, o escludendolo o dando un apporto concorrente.

Sul punto, (cfr. Cass. civ., sez. III, 24 febbraio 2011, n. 4476) il Supremo Consesso ha chiarito che: ‘…potendo essere la responsabilità esclusa solo dalla prova del fortuito, nel quale può rientrare anche la condotta della stessa vittima, nella valutazione dell’apporto causale da quest’ultima fornito alla produzione dell’evento, il giudice deve tenere conto della natura della cosa e delle modalità che in concreto e normalmente ne caratterizzano la fruizione.’.

Nel caso di specie, quindi, non è revocabile in dubbio il fatto che la pronuncia oggi impugnata sia stata erroneamente resa, non avendo tenuto conto, il Tribunale di Palmi, dell’applicazione dell’art. 2051 c.c., ed avendo egli completamente ignorato il fatto che l’attore avesse censurato il comportamento del proprietario della strada (id est la PROVINCIA DI REGGIO CALABRIA) e di chi ne aveva l’obbligo manutentivo (id est CONZORZIO COOPERATIVE COSTRUZIONI SOC. COOP.), per non avere essi adottato le misure – quali ad esempio, l’apposizione di cartelli segnalanti il pericolo rappresentato dalla presenza della buca presente sul manto stradale – idonee ad impedire che il bene oggetto di custodia (id est la S.P. 4) potesse cagionare un danno a terzi (id est il sinistro stradale per cui è causa).

Ciò posto, non v’è dubbio che parte attrice abbia dato prova dell’esistenza di un nesso causale tra la cosa in custodia ed il danno arrecato a terzi, e ciò in ragione del fatto che l’incidente è stato cagionato dalla presenza di una profonda buca posta sulla corsia di percorrenza della bicicletta condotta dal PA. Gi., non idoneamente segnalata.

Ad avviso di questa Corte, la condizione di cattiva manutenzione in cui versava la strada percorsa dall’attore, rende l’amministrazione convenuta responsabile, in solido alla società appaltatrice dei lavori di manutenzione, del sinistro de quo per avere omesso di approntare le necessarie cautele volte a segnalare lo stato di pericolosità della strada, stante il ragionevole affidamento dell’utente della strada in ordine alla sua percorribilità.

Nessun elemento di segno contrario è emerso dall’istruttoria di causa ed, anzi, l’Ente convenuto così come la società appaltatrice, cui incombeva la prova del caso fortuito, nulla hanno specificamente dedotto e provato in concreto.

Vieppiù, le circostanze dedotte genericamente dalla difesa delle appellate inerenti all’asserita condotta imprudente ed imperita dell’attore sono rimaste allo stato di mera enunciazione, non avendo le stesse deducenti neppure articolato richieste istruttorie sul punto.

Va infine sottolineato che la conducenza delle prove testimoniali sopra richiamate è pure confortata dalle risultanze della CTU espletata dalla Dott.ssa (omissis) la quale, nelle Considerazioni medico – legali contenute a pagina 4 della relazione peritale depositata in atti, afferma, tra l’altro, che ‘Le lesioni soprascritte si possono ritenere diretta conseguenza del sinistro di cui sopra; soddisfatti pienamente risultano, nel caso di specie, i criteri medico – legali in tema di nesso di causalità.’.

Ne discende, pertanto, la fondatezza dei motivi di appello ed il loro conseguente accoglimento.

Nella liquidazione del danno non patrimoniale vanno applicate le tabelle di Milano.

Ed invero la giurisprudenza di legittimità è ormai concorde nel ritenere che, sebbene non abbiano carattere normativo (Cass. n. 12408/2011), le tabelle di Milano costituiscono un criterio guida per la liquidazione del danno non patrimoniale, sicché il giudice di merito, chiamato a liquidare il danno non patrimoniale, deve tenere conto dei parametri forniti dalle tabelle meneghine. (Cfr., ex multis, Cass. Civ., Sez. III, ordinanza n. 8468/2020 del 5 maggio 2020).

Nel caso di specie, tenendo conto delle conclusioni cui è pervenuta la C.T.U. espletata in prime cure dalla Dott.ssa (omissis) che, a parere di questa Corte, risulta assolutamente condivisibile, avendo evidenziato con dovizia di particolari e con le necessarie cognizioni mediche e scientifiche le patologie di cui il PA. (omissis) è risultato affetto in conseguenza del sinistro per cui è causa – in ordine al quantum debeatur ed a titolo di danno non patrimoniale può dunque riconoscersi al Sig. (omissis) la somma di E 7.872,00, così determinata:

età del danneggiato alla data del sinistro

45 anni

percentuale di invalidità permanente

4%

punto danno biologico

E 1.423,53

punto base

I.T.T. E 99,00 giorni di invalidità temporanea totale

7 giorni di invalidità temporanea parziale al 50%

20 giorni di invalidità temporanea parziale al 25% 20 danno biologico risarcibile

E 5.694,12

invalidità temporanea totale

E 693,00

invalidità temporanea parziale al 50%

E 990,00

invalidità temporanea parziale al 25%

E 495,00

totale danno biologico temporaneo

E 2.178,00

TOTALE GENERALE

E 7.872,00

Nella liquidazione del danno causato da illecito aquiliano, in caso di ritardo nell’adempimento, deve tenersi conto, però, anche del nocumento finanziario (lucro cessante) subito dai soggetti danneggiati a causa della mancata tempestiva disponibilità delle somme di denaro loro dovute a titolo di risarcimento, le quali, se tempestivamente corrisposte, sarebbero potute essere investite per ricavarne un lucro finanziario; tale danno ben può essere liquidato con la quantificazione degli interessi, ma in questo caso gli interessi stessi non debbono essere calcolati né sulla somma originaria, né sulla somma rivalutata al momento della liquidazione, ma debbono computarsi o sulla somma originaria via via rivalutata anno per anno ovvero in base ad un indice di rivalutazione medio (Cass., 10.3.2000, n. 2796; Cass. SS. UU., Sentenza n. 1712 del 17/02/1995).

Tali interessi, avendo natura compensativa del mancato godimento della somma liquidata a titolo di risarcimento dei danno, concorrono con la rivalutazione monetaria, che tende alla reintegrazione dei danneggiato nella situazione patrimoniale antecedente al fatto illecito e devono essere calcolati – in mancanza di circostanze particolari – anno per anno, sul valore della somma via via rivalutata nell’arco di tempo compreso tra l’evento dannoso e la liquidazione (Cass. 27 marzo 1997 n. 2745).

Le somme sulle quali calcolare la rivalutazione e gli interessi, sono quelle risultanti dalla devalutazione di E 7.872,00 al momento dell’illecito (04.03.2007).

In ordine al danno a cose valga la fattura n. 141/D del 06.11.2007, allegata in atti ed asseverata dal Sig. (omissis) all’udienza del 13.01.2011, sicché lo stesso può essere liquidato in complessivi E 1.985,00, oltre interessi al tasso legale dalla data di emissione della fattura fino al saldo.

Le spese (ivi comprese quelle di C.T.U., così come liquidate dal Tribunale di Palmi con separato decreto) seguono la soccombenza e vanno liquidate, come da dispositivo, in base al disposto dell’art . 4 del D.M. n. 55 del 10 marzo 2014, come aggiornato dal successivo D.M. n. 37 dell’8 marzo 2018, secondo lo scaglione minimo per i giudizi contenziosi ed in rapporto al valore dichiarato, attesa la modestia delle questioni di fatto e di diritto devolute, ovvero, quanto al primo grado, in complessivi E 2.988,00 per compensi – di cui E 250,00, per esborsi, E 438,00 per la fase di studio, E 370,00 per la fase introduttiva, E 1.120,00 per la fase istruttoria ed E 810,00 per la fase decisionale – oltre accessori come per legge, da distrarsi ex art. 93 c.p.c. in favore del procuratore anticipatario richiedente;

quanto al presente grado, in complessivi E 2.291,50, di cui E 402,50 per esborsi, E 540,00 per la fase di studio, E 439,00 per la fase introduttiva ed E 910,00 per la fase decisionale, oltre accessori come per legge, da distrarsi ex art. 93 c.p.c. in favore del procuratore anticipatario richiedente.

P.Q.M.
La Corte di Appello di Reggio Calabria, Sezione Civile, uditi i procuratori delle parti, definitivamente pronunciando sull’appello principale proposto da (omissis) con atto di citazione notificato il 16.12.2015, nel giudizio iscritto al n. 626/2015 R.G., disattesa ogni contraria domanda, eccezione e difesa, così provvede:1) Accoglie l’appello e, per l’effetto, dichiara la PROVINCIA DI REGGIO CALABRIA, in persona del Presidente p.t., in solido al CONSORZIO COOPERATIVE COSTRUZIONI SOC. COOP., in persona del legale rappresentante pro-tempore, responsabili del sinistro per cui è causa e le condanna, in solido tra di loro, al pagamento, in favore dell’appellante ed a titolo di risarcimento per il danno non patrimoniale, della complessiva somma di E 7.872,00, oltre interessi computati sulla somma risultante dalla devalutazione del predetto importo al momento dell’incidente (04.03.2007), e progressivamente rivalutata, anno per anno, dal 04.03.2007 all’attualità, nonché della somma di E 1.985,00 a titolo di danno a cose, oltre interessi legali dalla data della fattura;

2) Condanna la PROVINCIA DI REGGIO CALABRIA, in persona del Presidente p.t., ed il CONSORZIO COOPERATIVE COSTRUZIONI SOC. COOP., in persona del legale rappresentante pro-tempore, in solido tra di loro, alla rifusione delle spese e competenze del primo grado di giudizio in favore d i(omissis), che liquida in complessivi E 2.988,00 per compensi, oltre accessori come per legge, che distrae ex art. 93 c.p.c. in favore del procuratore antistatario;

3) Condanna la PROVINCIA DI REGGIO CALABRIA, in persona del Presidente p.t., ed il CONSORZIO COOPERATIVE COSTRUZIONI SOC. COOP., in persona del legale rappresentante pro-tempore, in solido tra di loro, alla rifusione delle spese e competenze alla rifusione integrale in favore di PA. Gi. delle spese e competenze del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi E 2.291,50 per compensi, oltre accessori come per legge, che distrae ex art. 93 c.p.c. in favore del procuratore antistatario;

4) Pone definitivamente le spese di C.T.U. a carico della PROVINCIA DI REGGIO CALABRIA, in persona del Presidente p.t., e del CONSORZIO COOPERATIVE COSTRUZIONI SOC. COOP., in persona del legale rappresentante pro-tempore, in solido tra di loro.

Manda alla Cancelleria per le comunicazioni di rito.

Così deciso in Reggio Calabria nella camera di consiglio del 3 dicembre 2021.

Depositata in cancelleria il 07/12/2021

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