(omissis)
Fatto e diritto
Con ricorso depositato in data 9 settembre 2019 e rubricato al n. 984/19 R.G.L., (omissis) S.p.A. ha proposto appello avverso la sentenza del Tribunale di Milano n.495/19 che ha dichiarato l’inefficacia della cessione del contratto di lavoro dell’appellato (omissis) dalla stessa appellante a (omissis) s.r.l. in assenza del consenso del lavoratore ai sensi dell’.art.1406 c.c., la continuità del rapporto di lavoro con l’appellato (omissis) anche dopo il 31 dicembre 2015 e l’.ha condannata all’.immediato ripristino del rapporto medesimo con adibizione del lavoratore a mansioni corrispondenti e nella stessa sede di lavoro.
Premessa una ricostruzione in fatto della vicenda relativa all’.affermato consolidamento nel 2015 delle attività ausiliarie di gestione dei progetti relativi ai servizi tecnici IT su clienti in due rami autonomi, il TSS Support Services (TSS), comprendente il complesso delle risorse finanziarie, umane e strumentali organizzate per erogare i servizi ausiliari alle attività di manutenzione delle apparecchiature IT presso i clienti, e lo (omissis), comprendente il complesso delle risorse finanziarie, umane e strumentali organizzate per erogare le attività ausiliare di gestione dei progetti relativi sempre ai servizi tecnici IT sui clienti, e della vicenda circolatoria per cui è causa, come esposta nella memoria difensiva di primo grado;
precisato che l’odierno appellato apparteneva al ramo (omissis), lavorando all’.interno del team (omissis) che forniva le attività ausiliarie di monitoraggio, accensione e disattivazione dei server dei clienti, occupandosi anche delle attività di assistenza ai tecnici incaricati della manutenzione/interventi tecnici sui server medesimi; allegato di aver stipulato con (omissis) s.r.l. un contratto di servizi di durata fino a cinque anni dall’.1 gennaio 2016 al 31 dicembre 2020, con il primo motivo di gravame l’.appellante lamenta l’.asserita contraddittorietà della sentenza sotto un duplice punto di vista.
Prima di tutto, nelle sue affermazioni in relazione all’.individuazione del discrimine tra ambito di applicazione dell’art.2112 c.c. e ambito di applicazione dell’art.1406 c.c., laddove ha sostenuto che, ai fini dell’applicabilità della prima disposizione, sarebbe necessaria una operazione di diritto societario. Sotto tale profilo, l’illogicità dell’.argomentazione – nell’.ottica del gravame – deriverebbe dal riconoscimento da parte del primo giudice della sussistenza di una tale operazione societaria, rappresentata dal conferimento in natura dei rami aziendali (omissis) e (omissis) da parte della stessa appellante alla sua controllata IBM Servizi Tecnologici s.r.l., poi ceduta al Gruppo Adecco, ed effettuata nel pieno rispetto delle regole del diritto societario.
In secondo luogo, analoga contraddittorietà sarebbe ravvisabile quando il tribunale nega che le attività conferite a IBM Servizi Tecnologici s.r.l. costituiscano una azienda o un ramo di azienda, derivando tale conclusione dalla asserita mancanza di efficace contestazione da parte dell’.odierna appellante alle allegazioni del lavoratore in ordine alla carenza di autonomia e preesistenza dei complessi aziendali di cui si discute, per poi sostenere che i lavoratori sono rimasti addetti alle medesime funzioni, non risultando trasferiti ad una nuova organizzazione aziendale, così da confermare, invece, che l’.organizzazione preesisteva.
Con il secondo motivo di impugnazione, l’.appellante censura l’.affermazione del tribunale in punto di ripartizione degli oneri probatori, laddove attribuisce alle allora resistenti l’.onere di fornire la prova dei requisiti di applicabilità dell’art.2112 c.c., sul presupposto che tale disposizione sarebbe una deroga al principio del necessario consenso del contraente ceduto ex art.1406 c.c.: in proposito, la tesi esposta nel gravame è che le regole che limitano la circolazione dell’impresa e la libertà di organizzazione sono eccezioni al principio generale di cui all’.art.16 della Carta di Nizza e agli artt.1 e 4 Direttiva UE 2001/23/CE.
Di conseguenza, nella prospettazione della società, l’art.2112 c.c. non sarebbe un’.eccezione all’art.1406 c.c., ma una specificazione al principio generale della tutela dell’.avviamento nella cessione di azienda di cui all’art.2558 c.c., posta nell’.interesse dell’.acquirente dell’.azienda, del cedente e del lavoratore contraente ceduto, quest’.ultimo tutelato solo tramite la concessione della facoltà di recesso per giusta causa, ma che potrebbe godere di una tutela aggiuntiva assicuratagli, appunto, dall’art.2112 c.c. in termini di continuità del rapporto di lavoro. Però, ai sensi della direttiva europea invocata, essendo la deroga all’art.2558 c.c., norma generale in tema di cessione di aziende, contenuta nell’art.2112 c.c. nell’.interesse dei lavoratori, questi ultimi sarebbero onerati della prova.
Con il terzo motivo di appello, (omissis)si duole dell’.omesso esame in sentenza della questione della definizione della nozione di ramo di azienda e dell’.applicazione e interpretazione dell’art.1 Direttiva UE 2001/23/CE e dell’art.16 della Carta di Nizza:
nell’ottica del gravame, il tribunale avrebbe dato per scontato che la nozione di azienda non sia unitaria e sia diversa nel diritto del lavoro, rispetto a quella elaborata nel diritto commerciale e nel diritto tributario, ove il trasferimento di azienda si realizza nell’.ipotesi di successione nell’.attività e trasferimento di avviamento, senza la necessità degli ulteriori requisiti richiesti nel diritto del lavoro, e precisamente la preesistenza e l’.autonomia funzionale, non presenti nella definizione normativa comunitaria e italiana. Invero, secondo la difesa della società, la sentenza appellata avrebbe pedissequamente seguito l’.interpretazione dell’.art.2112 c.c. offerta dalla prevalente giurisprudenza della Corte di Cassazione, violando la supremazia delle fonti europee in materia di trasferimento di azienda, in particolare per aver letto l’.art.2112 c.c. – norma di implementazione di una direttiva europea – in modo non conforme al diritto comunitario. Secondo la tesi esposta nel gravame, il quadro in cui si muove la disciplina comunitaria è quello della protezione costituzionale europea della libertà di organizzazione di impresa e la direttiva UE 2001/23/CE ha la finalità di contemperare, appunto, il principio generale della libertà di organizzazione dell’.impresa nel mercato europeo con l’.esigenza di assicurare nella circolazione una adeguata tutela del lavoratore.
In tale ottica, sulla base della giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, la direttiva in questione non potrebbe essere interpretata nel senso di autorizzare gli Stati membri ad adottare misure che, pur essendo più favorevoli ai lavoratori, possono pregiudicare la sostanza stessa del diritto del cessionario alla libertà di impresa, considerando essenziali solo due elementi, e cioè che vi sia una entità stabilmente organizzata in grado di fornire un servizio economicamente utile senza rilevanti apporti esterni – come può avvenire nelle attività labour intensive – e che la parte trasferita – se il trasferimento non è integrale – ne rappresenti l’.essenza in termini di utilità funzionale ed economica.
La difesa dell’.appellante richiama, in particolare, la sentenza CGUE Am. 6 marzo 2014 C-458/12 – e le più recenti Co. Siguenza 7 agosto 2018 C-476/16 e Ellinika Nafpigea AE 13 giugno 2019 C-664/17 – per sostenere che, in presenza dei presupposti previsti dalla direttiva, il passaggio è dovuto, ma è consentito anche in mancanza di tali presupposti, perché l’.interesse dei lavoratori tutelato è di “passare” all’.acquirente, e non quello a “non passare”, così che eventuali norme nazionali che prevedano il passaggio anche in assenza dei presupposti previsti dalla direttiva in esame sarebbero valide, in quanto più favorevoli ai lavoratori rispetto ai diritti garantiti dalla direttiva in termini di diritto al mantenimento dei diritti nel passaggio- a nulla rilevando, dal punto di vista della direttiva medesima, il diritto a non passare senza il proprio consenso.
Nell’.ottica del gravame, non sarebbe quindi ammessa un’.interpretazione dell’.art.2112 c.c. più restrittiva di quella risultante dalle fonti comunitarie, attraverso il criterio di giudizio, utilizzato dalla giurisprudenza nazionale, di impedire espulsioni incontrollate, dal momento che tale finalità è estranea alla Direttiva UE 2001/23/CE.
Di conseguenza, la prospettiva dalla quale la Corte di Giustizia guarda alla fattispecie della cessione di azienda non coinciderebbe con quella espressa dalla giurisprudenza di legittimità nazionale.
Con il quarto motivo di gravame, la società critica la valutazione degli elementi probatori risultanti in atti e qualificanti la fattispecie secondo la normativa di riferimento: prima di tutto, secondo la difesa dell’.appellante, il primo giudice avrebbe omesso di considerare gli elementi documentali relativi alla sussistenza di una cessione contrattuale di una porzione di azienda, comprendente anche i lavoratori, finalizzata a realizzare una operazione di outsourcing di servizi accessori, analiticamente identificati e disciplinati anche nelle modalità esecutive dai contratti di appalto di servizi, resi dall’impresa (omissis) s.r.l. dietro un corrispettivo che costituisce per quest’.ultima – in parte – ricavo di impresa, e quelli relativi alla qualità di soggetto giuridico autonomo della cessionaria (omissis) s.r.l., in termini di impresa costituita dai rami ceduti che opera in concorrenza sul mercato per profitto.
In secondo luogo, il tribunale avrebbe omesso di valutare la documentazione che attesta le attività ed i servizi resi dal ramo (omissis), riguardanti l’.erogazione di servizi tecnici ausiliari, per lo più da remoto, finalizzati a risolvere le problematiche sui sistemi operativi e/o sulle infrastrutture dei clienti, e riguardanti la gestione e il monitoraggio dei progetti IT, al fine di verificarne la qualità, i livelli di servizio ed il raggiungimento degli obiettivi in termini di efficienza economica. Da tale documentazione, nell’.ottica del gravame, sarebbe emerso sia che il ramo (omissis) svolgeva presso la cedente ed ha continuato a svolgere presso la cessionaria un insieme di servizi ausiliari – dettagliatamente elencati nell’.atto di appello – il cui elemento unificante, ovvero il servizio venduto sul mercato, era la gestione dell’.infrastruttura nella parte commessa, sia che (omissis), dopo il trasferimento della struttura di impresa a (omissis), manteneva la gestione della governance dei contratti con i propri clienti e della supervisione dei relativi servizi complessivamente resi.
Nell’.ottica del gravame, le allegazioni e produzioni documentali dettagliatamente richiamate avrebbero dovuto far ritenere al tribunale accertata la sussistenza di una entità e di una attività economica, ai sensi della Direttiva 23/01 nell’.interpretazione costantemente offertane dalla CGUE, anche accertabile mediante CTU economico- organizzativa.
Analogamente, la società si duole della omessa ed erronea valutazione delle prove orali condotte dal primo giudice: in proposito, nella prospettazione del gravame, per quanto riguarda il mantenimento dell’.identità dell’.entità trasferita – in termini di complesso organizzato di persone ed elementi che consentono l’.esercizio di una attività economica finalizzata al raggiungimento di un determinato obiettivo – l’.indagine del tribunale avrebbe dovuto valutare la struttura essenziale a svolgere l’.attività economica svolta – e cioè il nesso funzionale di correlazione, ovvero l’.interdipendenza, e complementarietà tra i beni strumentali dei quali non è necessaria la disponibilità a titolo di proprietà né del cedente né della cessionaria, essendo sufficiente la conservazione della relazione di disponibilità strumentale e complementarietà – come pure la ripresa o prosecuzione di tali elementi essenziali da parte del nuovo imprenditore, a prescindere dalla integrazione organizzativa in una nuova struttura.
Richiamando in particolare le deposizione dei testi (omissis), (omissis), (omissis). – correlate con gli altri elementi documentali in atti – la difesa dell’.appellante sostiene che sarebbe stata raggiunta la prova che la riorganizzazione del 2015 atteneva ad una mera specificazione organizzativa della porzione di azienda (omissis) che, come svolgente specifiche ed ausiliarie attività economiche definite, esisteva già in epoca precedente alla riorganizzazione del 2015, posto che le persone addette al ramo ceduto che qui interessa svolgevano da tempo le attività poi cedute. Non solo:
sarebbe stato dimostrato anche che la medesima specificazione di porzione di impresa organizzativa, la relativa organizzazione e le attività sono transitate in (omissis) s.r.l. per effetto della cessione del ramo (omissis) che ha mantenuto le medesime caratteristiche, mentre il coordinamento con la cedente è un coordinamento esecutivo di attività definite contrattualmente, conosciute in forza di uno specifico sapere posseduto dai lavoratori, che non ha necessità di indicazioni esecutive day by day, che il nesso di complementarietà ed interdipendenza tra i fattori impiegati prima e dopo la cessione per la esecuzione è rimasto identico, il che darebbe un indice di continuità dell’.attività, solo elemento qualificante rilevante per la giurisprudenza comunitaria e per lo stesso schema della normativa italiana che regola l’.impresa economica.
L’.appellato (omissis) ha resistito, concludendo per il rigetto del gravame.
Con ricorso depositato in data 9 settembre 2019 e rubricato al n. 985/19 R.G.L., (omissis) s.r.l. ha proposto appello avverso la medesima sentenza del Tribunale di Milano n.495/19.
Con il primo motivo di appello, la società ripropone la questione della errata rimessione in termini del lavoratore, a fronte della eccezione di decadenza dalla impugnazione della cessione di ramo di azienda formulata nella memoria difensiva di primo grado: sul punto, nel gravame si ricostruisce la vicenda processuale avanti il tribunale, rilevando che all’.eccezione in esame la difesa del lavoratore nulla aveva replicato alla prima udienza utile del 18 novembre 2016 né in quelle successive, sino all’.udienza del 9 maggio 2018 quando, avanti il nuovo giudice assegnatario della controversia, chiedeva un “termine per le produzioni documentali che siano leggibili in relazione a tale eccezione” di decadenza, che all’.udienza del 17 maggio 2018 la stessa difesa chiedeva termine per acquisire da Poste Italiane S.p.A. la cartolina di consegna a (omissis) s.r.l. del doc. 10, che all’.udienza del 20 giugno 2018 chiedeva di rinunciare agli atti del giudizio ex art.306 c.p.c. e che all’.udienza del 27 giugno dichiarava di non avere a disposizione l’.avviso di ricevimento smarrito da Poste Italiane S.p.A. Inoltre, l’.appellante rileva che il lavoratore non si sia tempestivamente attivato per chiedere un duplicato dell’.avviso, come richiesto dalla costante giurisprudenza di legittimità ai fini della rimessione in termini.
Con il secondo motivo di impugnazione, la società si duole dell’.errata interpretazione della normativa comunitaria e dei principi della giurisprudenza della CGUE operata dal tribunale, analogamente a quanto sostenuto nel proprio appello da (omissis) S.p.A. Con il terzo motivo di gravame, (omissis) s.r.l. lamenta l’.errata valutazione delle prove contenuta nella sentenza impugnata, richiamando le deposizioni dei testi (omissis), (omissis), (omissis). e confutando l’.attendibilità dei testi (omissis), (omissis). – inattendibili, secondo la difesa dell’.appellante, avendo in corso analogo contenzioso – per concludere che sarebbe stata raggiunta la prova che il (omissis).
– e il (omissis) che, peraltro, qui non rileva- era costituito come articolazione produttiva autonoma prima della cessione ed ha conservato tali caratteristiche anche dopo il trasferimento, essendo dotato di autonomia organizzativa, intesa come legame funzionale che rende le attività dei dipendenti appartenenti al gruppo interagenti tra di esse e capaci di tradursi in beni o servizi individuabili.
L’.appellato (omissis) ha resistito, concludendo per il rigetto del gravame, mentre (omissis) S.p.A. ha insistito nella riforma della decisione impugnata.
All’.udienza dell’.1 ottobre 2020 la causa è stata discussa e decisa come da separato dispositivo letto in udienza.
Preliminarmente deve essere respinta l’.eccezione di decadenza ex art.32 L.183/10 che l’.appellante (omissis) s.r.l. ha riproposto in sede di gravame, sul presupposto che il lavoratore sia stato erroneamente rimesso in termini dal primo giudice e non abbia fornito ritualmente la prova della tempestiva impugnazione della cessione di ramo di azienda nei suoi confronti, avendo depositato avvisi di ricevimento relativi all’.invio effettuato alla sola (omissis) S.p.A. Invero, come puntualmente rilevato dal tribunale, l’.impugnazione ritualmente effettuata dall’.interessato in data 11 febbraio 2016 nei confronti di cedente e cessionaria – e prodotta quale doc.10 del fascicolo di primo grado di Dell’ (omissis)– risulta essere stata spedita a mezzo raccomandata in data 11 febbraio 2016 – come provato dal doc.10 bis del fascicolo di primo grado del lavoratore depositato in data 17 maggio 2018 – mentre, con riferimento alla dimostrazione della ricezione da parte di (omissis) s.r.l. della raccomandata di cui si discute, parte ricorrente ha depositato nel corso del giudizio di primo grado in data 14 settembre 2018 il duplicato della prova di consegna effettuata in data 12 febbraio 2016, richiesto ed ottenuto da Poste Italiane S.p.A., essendo stato smarrito l’.originale, la dichiarazione del responsabile CPD di Milano Pr., pure rilasciata da Poste Italiane, in cui si attesta la consegna al destinatario della medesima raccomandata in data 12 febbraio 2016 e la dichiarazione di Adecco Italia Ho. di Partecipazione e Servizi S.p.A. di conferma dell’.arrivo della lettera raccomandata in esame presso la sede di Milano via (omissis) – ove, per stessa ammissione della (omissis) s.r.l. all’udienza del avanti il tribunale del 17 ottobre 2018, si trova la reception condivisa della cessionaria.
D’.altro canto, come correttamente rilevato dalla sentenza appellata, in caso di smarrimento dell’.avviso di ricevimento, l’.unico atto idoneo a provare l’avvenuta ricezione è il duplicato rilasciato dall’.ufficio postale né può sostenersi che lo smarrimento da parte dell’.agente postale della prova della ricezione dell’.impugnazione non rappresenti una legittima causa di rimessione in termini per la parte onerata dell’.impugnazione medesima, risultando peraltro dagli atti che l’.allora ricorrente si è attivato per richiedere il duplicato poi prodotto in giudizio.
Esaminando, allora, congiuntamente le questioni prospettate negli appelli proposti dalle società cedente e cessionaria, osserva il collegio che la vicenda in esame ha dato origine ad un ampio contenzioso deciso da questa Corte di Appello in senso sfavorevole alle appellanti con numerose precedenti decisioni (cfr. tra le molte:
Corte Appello Milano 11 dicembre 2018 n.2045/18; Corte Appello Milano 18 settembre 2019 n.1566/19; Corte Appello Milano 8 settembre 2020 n. 501/20) le cui motivazioni sono qui richiamate anche ai sensi e per gli effetti di cui all’.art.118 disp. att. c.p.c.
“Si rileva che, sulle questioni sottoposte al giudizio di questo Collegio, questa Corte d’.Appello si è già espressa, in analoga fattispecie, con sentenza n. 1019/17, decidendo in sede di rinvio disposto dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 9682/16, sulla base delle seguenti motivazioni:
“invero, la Suprema Corte – con la statuizione resa nel presente procedimento – ha espresso approfondite e condivisibili valutazioni in ordine alla conformità dei principi enunciati in ordine al caso di specie con l’.ordinamento sovranazionale, alle quali questo Collegio ritiene di uniformarsi.
Nello specifico, la sentenza di rinvio ha così motivato sul punto:
“al fine di individuare quando ricorra la fattispecie della cessione di ramo d’azienda, secondo la Direttiva 12 marzo 2001, 2001/23/CE, che ha sostituito la direttiva 14 febbraio 1977, 77/187/CEE, come modificata dalla direttiva 29 giugno 1998, 98/50/CE, “è considerato come trasferimento ai sensi della presente direttiva quello di una entità economica che conserva la propria identità, intesa come un insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un’attività economica, sia essa essenziale o accessoria” (art. 1, n. 1, direttiva 2001/23). La Corte di Giustizia, cui compete il monopolio interpretativo del diritto comunitario, ha ripetutamente individuato tale nozione come complesso organizzato di persone e di elementi che consenta l’.esercizio di un’attività economica finalizzata al perseguimento di un determinato obbiettivo (cfr. Corte di Giustizia, 11 marzo 1997, C- 13/95, Su., punto 13; Corte di Giustizia, 20 novembre 2003, C- 340/2001, Ab., punto 30; Corte di Giustizia, 15 dicembre 2005, C- 232/04 e C-233/04, Gu.-Go. e De., punto 32) e sia sufficientemente strutturata ed autonoma (cfr. Corte di Giustizia, 10 dicembre 1998, He. Vi., C-127/96, C-229/96, C-74/97, punti 26 e 27; Corte di Giustizia, 13 settembre 2007, Jo., C458/05, punto 31; Corte di Giustizia, 6 settembre 2011, C- 108/10, Sc., punti 51 e 60). Tale interpretazione è stata confermata nella recente sentenza 6 marzo 2014, C-458/12, Am. ed a., in cui la Corte UE – in particolare ai punti 30 e 32 – ha richiamato la propria precedente giurisprudenza, ed ha anzi precisato (pt. 34) che l’impiego del termine «.conservi» nell’.art. 6, par. 1, commi 1 e 4 della direttiva «.implica che l’autonomia dell’entità ceduta deve, in ogni caso, preesistere al trasferimento”, per concludere al pt. 35 che «…qualora risultasse … che l’.entità trasferita di cui trattasi non disponeva, anteriormente al trasferimento, di un’.autonomia funzionale sufficiente — circostanza questa che spetta al giudice del rinvio verificare — tale trasferimento non ricadrebbe sotto la direttiva 2001/23». In tale sentenza la Corte di Giustizia ha anche evidenziato, in specie al punto 51, che l’obiettivo della Direttiva è di garantire, per quanto possibile, il mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di cambiamento dell’.imprenditore, consentendo loro di rimanere al servizio del nuovo imprenditore alle stesse condizioni pattuite con il cedente: ha così ritenuto coerente con tale finalità l’.allargamento da parte della legge nazionale dell’ambito della protezione del lavoratore ceduto ad ipotesi ulteriori rispetto a quelle di cessione di ramo d’.azienda così come sopra individuata, e ciò prescindendo dall’indagine in ordine alla genuinità della cessione ad altri fini, eventualmente concorrenti, di tutela. 6.1. La normativa nazionale non è stata tuttavia rimodellata con il fine di allargare l’ambito della fattispecie astratta della cessione di ramo d’.azienda rispetto alla nozione adottata in sede comunitaria, considerato che il legislatore al contrario ha manifestato l’esplicita volontà di adeguarvisi. La legge n. 30 del 2003 all’art. 1, comma 2 lettera p) ha infatti delegato il governo a rivedere il D.Lgs. 2 febbraio 2001, n. 18, (che aveva già modificato l’art. 2112 c.c.), al fine dichiarato di realizzare un “completo adeguamento della disciplina vigente alla normativa comunitaria”, costituita dalla richiamata direttiva 2001/23/CE del Consiglio del 12 marzo 2001, già recepita dalla L. 1 marzo 2002, n. 39, richiedendo poi in particolare al punto 2) la previsione del requisito dell’. “autonomia funzionale del ramo di azienda nel momento del suo trasferimento”. All’esito dell’esercizio della delega, l’art. 2112 c.c., nel testo modificato dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 32 applicabile ratione temporis alla presente controversia, ha mantenuto immutata la definizione di “trasferimento di parte dell’.azienda” nella parte in cui essa è “intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata”, mentre le modifiche normative hanno riguardato la soppressione dell’inciso “preesistente come tale al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità” e l’aggiunta testuale “identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento”, che richiede che al momento della cessione venga individuato l’ambito dell’ autonomia funzionale del complesso ceduto. Ha altresì introdotto al VI comma un regime di solidarietà tra appaltante ed appaltatore per il caso in cui l’alienante stipuli con l’acquirente un contratto di appalto la cui esecuzione avvenga utilizzando il ramo d’azienda oggetto di cessione. L’ intervento normativo del 2003 ha quindi ribadito e sottolineato che costituisce elemento costitutivo della fattispecie della cessione d’azienda l’.autonomia funzionale del ramo d’azienda ceduto, ovvero la capacità di questo, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi, funzionali ed organizzativi (così come chiarito in più occasioni da questa Corte, v. Cass. n. 5425 del 2015, n. 25229 del 2015, n. 8759 del 2014, n. 2766 del 2013, n. 22613 del 2013, n. 21711 del 2012). Il fatto che la nuova disposizione abbia rimesso al cedente e al cessionario di identificare l’articolazione che ne costituisce l’oggetto non significa che sia consentito di rimettere ai contraenti la qualificazione della porzione dell’azienda ceduta come ramo, così facendo dipendere dall’autonomia privata l’applicazione della speciale disciplina in questione, ma che all’esito della possibile frammentazione di un processo produttivo, prima unitario, debbano essere definiti i contenuti e l’insieme dei mezzi oggetto del negozio traslativo, che realizzino nel loro insieme un complesso dotato di autonomia organizzativa e funzionale apprezzabile da un punto di vista oggettivo. Il requisito della preesistenza del ramo e dell’autonomia funzionale nella previsione si integrano quindi reciprocamente, nel senso che il ramo ceduto deve avere la capacità di svolgere autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario il servizio o la funzione cui esso risultava finalizzato già nell’ambito dell’impresa cedente anteriormente alla cessione. La disposizione legittima quindi anche la cessione di un ramo “dematerializzato” o “leggero” dell’impresa, ovvero nel quale il fattore personale sia preponderante rispetto ai beni, quando però il gruppo di lavoratori trasferiti sia dotato di un particolare know how, e cioè di un comune bagaglio di conoscenze, esperienze e capacità tecniche, tale che proprio in virtù di esso sia possibile fornire lo stesso servizio (Cass. n. 21917/2013 e 15690/2009). 6.3. Tale requisito, letto conformemente alla disciplina dell’Unione, consente di limitare le ipotesi di deroga al principio generale stabilito dall’art. 1406 c.c., secondo il quale la cessione del contratto richiede il consenso della parte ceduta, scongiurando operazioni di trasferimento che si traducano in una mera espulsione di personale, in quanto il ramo ceduto dev’.essere dotato di effettive potenzialità commerciali che prescindano dalla struttura cedente dal quale viene estrapolato (in tal senso in particolare v. Cass. n. 5425 del 2015, n. 25229 del 2015, citate) ed essere in grado di offrire sul mercato ad una platea indistinta di potenziali clienti quello specifico servizio per il quale è organizzato”.
Sulla base di tali autorevoli e convincenti argomentazioni, il Collegio non ravvisa gli estremi per la rimessione degli atti alla Corte di Giustizia dell’.Unione Europea ex art. 276 T.F.U.E. con riferimento alle questioni pregiudiziali interpretative vertenti sull’art. 2112, c.c. in rapporto con la Direttiva 2001/23/CE”.
I principi in essa richiamati sono stati successivamente più volte ribaditi dal Supremo Collegio, il quale, con sentenza n. 19034 del 31.7.17 ha nuovamente affermato che “costituisce elemento costitutivo della cessione l’autonomia funzionale del ramo ceduto, ovvero la sua capacità, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi funzionali ed organizzativi e quindi di svolgere, autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario, il servizio o la funzione cui risultava finalizzato nell’ambito dell’impresa cedente, indipendentemente dal contratto di fornitura di servizi che venga contestualmente stipulato tra le parti” (nella specie, la S.C. aveva cassato con rinvio la sentenza del giudice di merito che aveva ritenuto integrata l’.ipotesi di cui all’.articolo citato nel caso di cessione di un “call center” costituito come ramo di azienda in occasione e in vista del trasferimento, benché per la realizzazione dell’.attività ceduta fosse necessaria una continua interazione con programmi informatici rimasti nella proprietà esclusiva della cedente).
La Corte di Cassazione è anche recentemente tornata a pronunciarsi in materia, confermando “i consolidati principi dì diritto” in ordine alla necessità – quale essenziale elemento costitutivo della fattispecie di cui all’.art. 2112, c.c. – di una “sufficiente autonomia funzionale”, anteriormente al trasferimento, della quota d’impresa ceduta e, quindi, di “una preesistente entità produttiva funzionalmente autonoma” (Cass. 26.11.18, n. 30574/18; nello stesso senso, v. – ad es. – Cass. 15 aprile 2014, n. 8757; Cass. 27 maggio 2016, n. 11069; Cass 31 maggio 2016, n, 11247; Cass. 31 luglio 2017, n. 19034; Cass. 29 novembre 2017, n. 28508; Cass. 24 ottobre 2017, n. 25145).
A tali invalsi principi questa Corte ritiene di uniformarsi, considerandoli pienamente condivisibili e conformi al proprio stesso orientamento, già espresso nel precedente sopra riportato, al quale intende in questa sede dare continuità.
Su tali presupposti è possibile affermare come la preesistente autonomia funzionale del complesso ceduto rappresenti requisito indispensabile per l’.applicazione della disciplina di cui all’.art. 2112, c.c.” (così testualmente: Corte Appello Milano n.2045/18 cit.) .
Parimenti infondato è il secondo motivo di appello proposto da (omissis) S.p.A: in ordine al riparto probatorio dei requisiti di operatività dell’.art. 2112 c. c. che, contrariamente a quanto sostenuta dalla difesa dell’.appellante, grava non già sui lavoratori che intendano contestare la cessione, bensì sulla parte cedente che intenda avvalersi della disciplina stabilita dalla disposizione codicistica.
“A tale riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito – in modo ad avviso del collegio del tutto corretto – che “incombe su chi intende avvalersi degli effetti previsti dall’art. 2112 c.c., che derogano al principio del necessario consenso del contraente ceduto ex art. 1406 c.c., fornire la prova dell’esistenza dei relativi requisiti di operatività”, individuati – ancora una volta – nell’.autonomia funzionale del ramo ceduto, ovvero la sua capacità, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi funzionali ed organizzativi e quindi di svolgere, senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario, il servizio o la funzione finalizzati nell’ambito dell’impresa cedente” (Cass. 31.5.2016, n. 11247; conf., Cass. 9682/16, cit.)” (così testualmente . Corte Appello Milano n.501/20 cit.).
Esaminando, ora, le contestazioni che negli appelli riuniti sono rivolte alla valutazione del quadro probatorio, documentale e testimoniale, emerso dagli atti osserva il collegio che, contrariamente a quanto sostenuto dalle appellanti, le risultanze istruttorie acquisite in giudizio consentono di escludere – alla luce dei principi indicati dalla Suprema Corte – che le società abbiano adempiuto al proprio onere probatorio in ordine alla sussistenza dei requisiti necessari a qualificare il complesso oggetto della cessione come ramo di azienda.
Come puntualmente ritenuto dal tribunale, il vaglio da compiere riguardava la capacità del complesso ceduto di svolgere, autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario, il servizio o la funzione cui esso risultava finalizzato già nell’ambito dell’impresa cedente anteriormente alla cessione, grazie allo specifico bagaglio di conoscenze, esperienze e capacità tecniche proprio del gruppo di lavoratori trasferiti.
L’.istruttoria esperita in primo grado non ha consentito di accertare la sussistenza di tali requisiti nel caso di specie, in particolare con riferimento al ramo (omissis), a cui apparteneva l’.attuale appellato: come evidenziato nella sentenza di primo grado, l’.individuazione del complesso ceduto è stata effettuata attraverso la creazione del gruppo denominato (omissis), composto da 272 lavoratori, in cui sono state inserite persone provenienti da strutture aziendali diverse, selezionate sulle base delle rispettive professionalità, collegate ad attività definite “non più strategiche” per la cedente dal teste Co. così che, nell’.ambito dello stesso gruppo, “sono stati prelevati soltanto alcuni “lavoratori “ che hanno proseguito le loro attività sotto il cappello di (omissis), venendo così trasferiti, mentre altri che appartenevano allo stesso gruppo e facevano le stesse mansioni sono rimasti in (omissis)” (cfr. la deposizione del teste Be., escusso dal primo giudice nella medesima udienza del Co. il 9 gennaio 2019) .
In tale contesto, desumibile dalle risultanze istruttorie, ritiene la Corte del tutto condivisibile la conclusione del Tribunale, laddove ha sottolineato che i lavoratori ceduti non sono stati selezionati per l’.appartenenza ad un ramo di azienda già esistente ed autonomo e, dunque, infondati i gravami riuniti.
Ogni altra doglianza è assorbita.
Le spese del grado seguono la soccombenza e sono poste a carico solidale delle società soccombenti, nella misura indicata in dispositivo di € 3.300, oltre spese generali e oneri accessori, in relazione al valore della controversia.
Sussistono inoltre i presupposti per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’.art.228/12 a carico delle appellanti soccombenti.
P.Q.M.
respinge gli appelli avverso la sentenza del Tribunale di Milano n. 495/19;
condanna le società appellanti in solido alla rifusione delle spese del presente grado liquidate in €. 3.300, oltre spese generali e oneri accessori.
Si dà atto che sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato ai sensi della L. 228/12.
Milano, 1 ottobre 2020 Il Presidente estensore dr.ssa (omissis).
